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Autore: Parmandil    07/01/2019    2 recensioni
“L’utopia come obiettivo è il fuoco nel motore nucleare. L’utopia come pratica è stagnazione, putrefazione; alla fine è la morte. Che è precisamente dove troviamo la Federazione Unita dei Pianeti, un secolo dopo il termine dell’Età dell’Esplorazione”.
Siamo nel XXVI secolo, anno 2550. La Federazione sembra passarsela bene, ma i più accorti, come il Capitano Chase, sanno che non è così. La Federazione, infatti, sta ristagnando: i confini sono statici e l’esplorazione langue. Gli Umani si sono impigriti: nessuno vuole più rischiare la vita lontano da casa. Le poche esplorazioni sono condotte con sonde automatiche, mentre le astronavi – ormai antiquate – si limitano a pattugliare lo spazio federale. Gli equipaggi sono sotto organico, male addestrati e poco motivati.
In quest’epoca decadente, le crisi aumentano: sia esterne (guerriglie oltreconfine), sia interne (mondi insoddisfatti dalla soffocante burocrazia federale). Oggetto di contesa è anche la Prima Direttiva, che molti ritengono superata. Per reagire alla pericolosa stagnazione, la Flotta Stellare vara un progetto rivoluzionario: la USS Enterprise-J, di classe Universe, una “città nello spazio” che ripropone i valori della Federazione. Ma nemmeno l’Enterprise potrà arginare l’oscura minaccia che riemerge dal passato, per frantumare la Federazione e tutto ciò che rappresenta.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jonathan Archer, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 6: Fuochi di guerra

 

   A poche centinaia di km dalla Sfera, l’Enterprise e le dieci Dreadnought mantenevano le posizioni. Le astronavi spiccavano come macchioline scure contro le tinte infuocate delle anomalie circostanti. Attendevano un segnale dal Collettore, che avrebbe fatto divampare la battaglia. Nel frattempo si sondavano a vicenda ed elaboravano vettori d’attacco, cercando di trovare un vantaggio.

   E il segnale venne. Ma non fu quello previsto. Di punto in bianco, le Dreadnought sbandarono. Con la morte della Regina, anche tutti i Parassiti Neurali erano periti. In tutta la Galassia, dentro e fuori il territorio federale, migliaia di schiavi stavano tornando in sé. Molti si rivolgevano ai medici, o alle forze di polizia locali, o alla Flotta Stellare. Alcuni pensavano già a come estrarre il Parassita per poi rivenderlo al mercato nero. E sulle Dreadnought era scoppiato il caos.

   «Comandante, le navi stanno rompendo la formazione» rilevò Terry sulla plancia dell’Enterprise. «Si direbbero allo sbando».

   «È il momento. Ci porti dentro la Sfera e la distrugga!» ordinò Ilia.

   «Con piacere» annuì Terry. Chiuse gli occhi, attingendo a tutte le sue capacità di calcolo. I banchi anti-polaronici dell’Enterprise entrarono in funzione. I raggi violetti colpirono il generatore di raggio traente della megastruttura, con una serie di scariche concentrate, facendolo esplodere. La deflagrazione si allargò sulla superficie della Sfera, coinvolgendo vari livelli. L’Enterprise era libera.

   L’ammiraglia balzò in avanti a massimo impulso. Sgusciò fra le Dreadnought e s’introdusse nella Sfera, attraverso la parte incompiuta del guscio. Non c’era uno scudo a bolla che la proteggesse, perché l’avrebbe resa inefficace. C’erano però centinaia di cannoni a particelle, che bersagliarono l’Enterprise, mettendo a dura prova i suoi scudi.

   Ma Terry aveva avuto tutto il tempo di calcolare il vettore d’attacco. Tra milioni di possibili traiettorie, aveva scelto quella che la esponeva al minor fuoco di sbarramento. E aveva individuato i bersagli da colpire. Attaccò pesantemente la Sfera, con tutte le armi, colpendone ogni punto critico.

   Era una scena apocalittica. La megastruttura vibrava, bombardata da decine di siluri quantici, transfasici, cronotonici. Ciascuno seguiva una traiettoria predeterminata, per fare più danno possibile. I raggi anti-polaronici e i cannoni a impulso bifasici dell’Enterprise disegnavano una ragnatela mortale all’interno della Sfera. La nave girava intorno al fascio energetico centrale, indugiando soprattutto intorno ai poli, per colpire il reattore. Mai prima di allora una singola nave federale aveva sfoggiato tanta potenza di fuoco. Interi brandelli di Sfera furono tranciati dal guscio e si allontanarono nello spazio, roteando sui loro assi. Le esplosioni si allargarono, propagandosi lungo le linee dei sistemi energetici, raggiungendo altri settori che esplosero a loro volta. Di lì a poco la Sfera cominciò a collassare. I suoi sistemi difensivi smisero di fare fuoco. Centinaia di livelli abitativi, che avevano richiesto decenni per essere completati, furono divorati dalle esplosioni a catena.

   «È ora di uscire, qui fra poco farà caldo» disse Terry. Scagliò un’ultima salva di siluri contro il guscio sferico, aprendo un ampio squarcio. E l’Enterprise vi passò attraverso, mentre la Sfera era squassata da esplosioni sempre più catastrofiche.

 

   «È inammissibile!» gridò la Messaggera, entrando quasi di corsa nell’hangar. Attorno a lei c’era una fitta scorta di Tuteriani; altri ancora l’attendevano intorno all’Auriga. Lo shuttle del Capitano non era stato distrutto solo perché i Tuteriani pensavano che potesse far loro comodo, per espugnare l’Enterprise e procedere con l’Infiltrazione. Ma le cose erano cambiate drasticamente. «Una rivolta degli schiavi qui, nel nostro Collettore! Sub-comandante, voglio che sia stroncata all’istante!» ordinò la Messaggera al capo delle guardie.

   «Mia signora, è... complicato» rispose quello, nervosamente. «Gli schiavi sono in rivolta non solo qui, ma anche sulle Dreadnought. Senza la Regina si sono liberati in tutta la Galassia. Migliaia di spie e agenti sono sfuggiti al nostro controllo...».

   «Conosco le conseguenze!» l’interruppe la Messaggera. «Mi ascolti bene, voglio che uccidiate ogni singolo schiavo, sia qui che sulle astronavi. E controllate di nuovo quella navetta!» aggiunse, indicando l’Auriga. «Ormai non ci servirà per conquistare l’Enterprise, ma potemmo sempre usarla per raggiungere la Terra e diffondere qualche virus. Piantonate questo hangar, anzi, tutti gli hangar; i federali non devono sfuggirci. Fate in fretta, io... devo andare» disse, portandosi una mano alla tempia.

   «Se posso chiedere, dove...» azzardò il sub-comandante.

   «La Primaria vuole che le faccia rapporto» disse la Messaggera, con un brivido. «Tornerò appena possibile. Lei nel frattempo esegua gli ordini!» esclamò. E si dissolse, richiamata nella sua dimensione.

   I Tuteriani si affrettarono a eseguire. Mentre in tutto il Collettore infuriava la lotta contro gli schiavi in rivolta, centinaia di guardie affluirono negli hangar, circondando le navette. L’Auriga era la più sorvegliata di tutte. Nel frattempo alcuni ingegneri Tuteriani erano saliti a bordo per scansionarla. Fu così che scoprirono lo scomparto segreto a prua. In pochi minuti lo scassinarono, scoprendo il siluro al suo interno. Era un contenitore oblungo, con le estremità smussate, dalla superficie nera e lucida. Sembrava una pillola, se fossero esistite pillole lunghe più di due metri.

   «Che avete trovato?» chiese il sub-comandante, prontamente allertato.

   «Stia attento, signore. Sembra un missile federale» disse il capo-ingegnere. «Abbiamo chiamato la sala teletrasporto, ma non risponde».

   «È un siluro transfasico!» riconobbe il sub-comandante. «Dobbiamo decomprimere subito l’hangar».

   «Un momento, ho strane letture» avvertì il capo-ingegnere, analizzandolo con un sensore. «Sembra che la testata sia stata sostituita con qualcos’altro. Una strana... camera di risonanza». Armeggiò con i controlli del siluro, riuscendo ad aprire la sezione di testa. Ne fuoriuscì un’intensa luce bianco-azzurra, che illuminò lo scomparto segreto e i volti attoniti dei Tuteriani.

   «Che cos’è?» chiese il sub-comandante.

   «Qualche tipo di particella esotica. Anzi, di molecola» disse il capo-ingegnere, cercando di analizzarla. «I federali devono averla prodotta nel loro Universo. Sembra... no, non è possibile!» gemette. «Il timer, guardate se c’è un timer!» gridò, rovistando tra il groviglio di fili e componenti elettronici accanto alla camera di risonanza. In pochi secondi lo trovò. Lui e il sub-comandante lessero le inesorabili cifre rosse: 3, 2, 1...

   «Per il nostro popolo» disse il sub-comandante, chiudendo gli occhi. Poi Omega esplose, annichilendo i Tuteriani, l’Auriga e tutto il Collettore Subspaziale. Non fu solo la struttura a esplodere: l’intera bolla di subspazio in cui si trovava fu obliterata. L’onda d’urto percorse il tunnel, distruggendolo man mano, ed eruppe dall’ingresso esagonale sulla superficie della Sfera. La sua corsa distruttiva non era ancora finita.

 

   «Niente male, come battesimo del fuoco» riconobbe Ilia. Lei e Terry erano in piedi davanti allo schermo principale e osservavano la megastruttura dei Tuteriani che si accartocciava. Anche i droni di costruzione sulla sua superficie erano stati distrutti, prima che potessero sciamare via. Decenni di fatiche erano stati vanificati in pochi minuti. «Rapporto» ordinò Ilia, osservando con distacco tutta quella distruzione.

   «La Sfera è disattivata, anche se il relitto continuerà a bruciare per molti giorni» constatò Terry. «Le anomalie si stanno dissolvendo. Abbiamo di nuovo i sensori e le comunicazioni a medio raggio. Teletrasporto e occultamento operativi. Quanto alle Dreadnought, sono ancora allo sbando» rilevò. «In queste condizioni possiamo distruggerle».

   «Proceda» disse Ilia, sperando ancora di soccorrere il Capitano.

   «Un momento, qualcosa sta uscendo dal portale» avvertì l’IA.

   «Sono i nostri?» chiese Ilia.

   «Negativo, rilevo due tracce tuteriane. Sembrano navette o gusci di salvataggio. Con queste esplosioni, i miei sensori sono disturbati» si scusò Terry. Inquadrò il portale. L’ingresso esagonale lampeggiava, instabile; presto le esplosioni della Sfera l’avrebbero spazzato via. Due piccole capsule tuteriane se ne stavano allontanando. Ma dal portale eruppe una formidabile onda d’urto azzurrina, che le fece schizzare via come foglie in un uragano e scosse persino l’Enterprise.

   «Quella era...» mormorò Ilia.

   «Sì, Comandante: un’onda d’urto subspaziale» confermò Terry, rattristata. «La Bomba Omega è esplosa. Il Capitano e gli altri sono morti».

   «Non è stato invano» disse Ilia, provata. «Rapporto sul Collettore».

   «Il tunnel subspaziale è collassato» rispose Terry. «Rilevo che il subspazio è distrutto nel raggio di tre giorni-luce, come previsto dall’Ingegnere Capo. Qualunque cosa ci fosse oltre quel portale, è stata annichilita». Mentre parlava, l’ingresso ormai spento del tunnel fu distrutto dalle esplosioni.

   «Beh, direi che possiamo lasciare la Macchia» disse Navarro. Non mostrava il minimo rammarico per la perdita del Capitano e degli altri ufficiali.

   «Ha fretta di andarsene?» chiese Ilia, lanciandogli un’occhiataccia.

   «Sono gli ordini del Capitano» si difese il Consigliere.

   «Non l’ho mai visto così ansioso di obbedirgli» notò il Primo Ufficiale.

   «Comandante, rilevo un SOS» avvertì Grog.

   «Inviato dal nemico?» chiese la Trill, che non era in vena di salvataggi.

   «No, inviato dai nostri!» si meravigliò il Ferengi. «Ci chiamano con i comunicatori».

   «Ma da dove?! Dove sono?» esclamò Ilia, girandosi verso lo schermo. Notò due puntini che galleggiavano davanti a un mare di esplosioni. I due gusci fuoriusciti dal tunnel subito prima che Omega spazzasse via tutto. Possibile?

   «Qui Chase, siamo nei gusci da esperimenti dei Tuteriani» risuonò la voce del Capitano all’altoparlante. «Non aprite il fuoco, ripeto, non aprite il fuoco! Se la situazione è abbastanza sicura, là fuori, portateci subito a bordo».

   «Sì, Capitano. È bello sentire la sua voce» disse Ilia, commossa. «Terry, li teletrasporti a bordo. Abbassi gli scudi solo per il tempo indispensabile».

   «Tre secondi basteranno» rispose Terry.

   I gusci svanirono dallo schermo, materializzandosi in due diverse sale teletrasporto dell’Enterprise. Per non perdere l’occasione di studiare la tecnologia tuteriana, Terry aveva teletrasportato anche quelli.

   «Scudi ripristinati. Attendo ordini» disse Terry.

 

   In sala teletrasporto, Grenk e i suoi ingegneri aprirono il guscio alieno più in fretta che poterono. Dentro c’era un cilindro trasparente più sottile, da cui erano stati strappati in fretta i cavi e le altre apparecchiature mediche, per fare più spazio. E lì, nello spazio angusto progettato per un solo Tuteriano, c’erano Chase e Neelah. Per starci si erano dovuti mettere praticamente abbracciati. Quando il cilindro interno fu estratto, il Capitano e la biologa si guardarono attorno, abbagliati dalle luci. Erano circondati dalla squadra ingegneristica di Grenk e da quella medica di Korris, che li fissavano apprensivi. Si scambiarono uno sguardo imbarazzato e si affrettarono a districarsi.

   «Ehm, salve, dottore» salutò Chase, mettendosi seduto.

   «Capitano, venga subito in infermeria» disse Korris, preoccupato. «Intanto le do questo, contro gli effetti delle anomalie» disse, facendogli un’iniezione ipodermica. «E un bel po’ di arithrazina contro le radiazioni di Omega» aggiunse, svuotandogli un’altra siringa nella spalla, sopra l’attaccatura del braccio artificiale. «Ma lei è ferito!» si preoccupò, vedendo i profondi squarci nel braccio. «Cioè... danneggiato» si corresse, notando che si trattava dell’arto meccanico.

   «Vuole che lo sistemi io?» suggerì Grenk.

   «Dove sono Lantora e T’Vala?» chiese il Capitano, che aveva notato la loro assenza.

   «In sala teletrasporto 2. Un’altra squadra medica si sta occupando di loro» disse una proiezione di Terry, facendosi avanti. «Capitano, il fatto che siate sopravvissuti sconvolge le mie subroutine logiche».

   «Anch’io sono felice di rivederla» sorrise Chase. «Come vanno le cose, qua fuori?».

   «La Sfera è distrutta, le anomalie sono dissolte. Siamo di nuovo operativi al 100%» riassunse Terry. «Restano le Dreadnought, anche se sembrano allo sbando. Che vuole fare con loro?».

   «Aspetti, vengo subito in plancia» disse Chase, tornando sulla pedana del teletrasporto.

   «Dove crede di andare? Lei mi seguirà in infermeria!» protestò Korris, che intanto aveva fatto le iniezioni anche a Neelah.

   «Ora non ho tempo» disse Chase. «Si preoccupi della dottoressa, piuttosto: un Parassita Neurale è appena morto nel suo collo, non vorrei che avesse danni neurologici. E controlli anche T’Vala: le hanno dato un soppressore neurale e le hanno tolto parecchio sangue».

   «Korris a infermeria, preparate una trasfusione di sangue vulcaniano. Gruppo T positivo» disse il medico al comunicatore. «Faccia quel che deve, Capitano, ma appena avrà finito venga in infermeria» raccomandò. Non era più timido e impacciato come i suoi colleghi l’avevano visto finora: quando i suoi pazienti erano in pericolo, Korris Vrel era molto professionale.

   «Okay, energia!» ordinò Chase. La sala teletrasporto si dissolse attorno a lui, sostituita dalla plancia. Gli ufficiali applaudirono il suo ritorno, con la vistosa eccezione di Navarro.

   «Bentornato, signore. Le restituisco il comando» lo salutò Ilia, sollevata. Il teletrasportò ronzò di nuovo, materializzando anche Lantora.

   «Tutto bene?» gli chiese il Capitano, vedendoselo apparire a fianco.

   «Abbiamo ballato un po’, quando Omega è esplosa. Ma sì, stiamo bene» rispose l’Ufficiale Tattico, tornando alla sua postazione. «I dottori stanno portando T’Vala in infermeria».

   «Adesso pensiamo alle Dreadnought» disse Chase, lasciandosi cadere in poltrona. Gli sembrò più accogliente e confortevole che mai. «Pronti allo scontro. Terry, mi faccia vedere quelle navi» ordinò.

   Le Dreadnought apparvero sullo schermo. Erano ancora allo sbando e Chase ne immaginava il motivo. I Tuteriani a bordo cominciavano a sentirsi male, ora che le anomalie si erano dissolte.

   «Apriamo il fuoco, Capitano? Possiamo distruggerle, finché sono così» suggerì Lantora.

   «No, Tenente. Quelle navi hanno sbandato perché gli schiavi a bordo si sono ribellati» rispose il Capitano. «Temo che molti, forse la maggior parte, siano stati uccisi. Ma è grazie a loro che l’Enterprise ha potuto colpire la Sfera. Dobbiamo salvare i superstiti». In quella una della Dreadnought esplose. Era lontana, ma la detonazione fu così potente da scuotere l’Enterprise.

   «Ma che...» mormorò Chase.

   «La nave di testa ci chiama, Capitano» disse Grog.

   «Sullo schermo» ordinò Chase. Si trovò a fissare nuovamente la Messaggera.

   «Capitano Chase... è sopravvissuto» constatò l’aliena con disappunto.

   «Siamo sopravvissuti tutti e quattro, Messaggera. Mentre lei ha perso» rispose Chase. «E adesso che sta facendo?» chiese, sentendo che l’Enterprise sobbalzava per l’esplosione di un’altra Dreadnought. «Perché distrugge le sue navi?».

   «Non ho scelta» rispose la Messaggera. «Come avrà capito, i nostri equipaggi si sentono male, ora che non ci sono più anomalie. Devo richiamarli indietro. Ma non posso lasciare le nostre navi da guerra in mano al nemico. Perciò devo distruggerle».

   Un terzo scossone segnalò che un’altra Dreadnought era andata. Ad ogni esplosione, centinaia d’innocenti erano uccisi.

   «Non deve farlo. Almeno mi faccia teletrasportare i superstiti sull’Enterprise» suggerì Chase.

   «Nessuno può tradirci e sopravvivere... sentito, Lantora?» rispose la Messaggera. «Quei morti saranno un monito per lei e per tutta la Federazione». Un quarto scossone, altre vittime.

   «Questo massacro inutile non cambia le cose: voi siete sconfitti» disse Chase.

   «Sciocchezze... non avete la minima idea del nostro potenziale bellico» ribatté la Messaggera. «Possiamo aver perso una battaglia, ma la guerra è appena cominciata». Quinto scossone.

   «Non vi conviene dichiararci guerra» ammonì Chase. «La vostra Vate vi ha già avvisati che sarete sconfitti».

   «Non sottovaluti la nostra conoscenza delle linee temporali» ribatté la Messaggera. «Ci sono molti modi per piegarle al nostro volere». Sesto scossone.

   «Fallirete; presto tutta la Federazione saprà di voi» disse Chase.

   «Già, immagini il panico, la confusione» sorrise la Tuteriana. «La vostra Federazione è debole, Capitano. È in pace da così tanto tempo che non riesce più nemmeno a pensare la guerra, a capire cosa sia. Figurarsi a combatterne una! I vostri leader preferiscono ritirarsi e i vostri cittadini preferiscono credere che sia tutto un complotto. Anzi, sono certa che molti simpatizzeranno con la nostra causa». Settimo scossone.

   «Anche se fuggite da un Universo che collassa, questo non vi dà il diritto di sterminarci» disse Chase. «E per inciso... non abbiamo prove che il vostro Universo stia morendo. Abbiamo solo la parola di una bugiarda». Ottavo scossone.

   «Verità e bugie sono concetti relativi, Capitano» rispose la Messaggera, divertita. «Ognuno si crea la realtà che più gli aggrada. Ma adesso le dico un fatto: da questo momento, i Tuteriani sono in guerra con la Federazione». Nono scossone.

   «Ci avete dichiarato guerra molto tempo fa» rispose Chase. «Se volete chiudere la partita, così sia».

   «Così sia». La Messaggera si dissolse, risucchiata nella sua dimensione. Subito dopo la comunicazione fu chiusa; sullo schermo apparve l’ultima Dreadnought. Ancora qualche secondo e si auto-distrusse, uccidendo gli ultimi ribelli. Rimase solo l’Enterprise, a galleggiare in uno spazio affollato di rottami e gas incandescenti. Molti detriti rimbalzarono sui suoi scudi. Poco lontano, i resti contorti della Sfera continuavano ad ardere.

 

   «Timoniere, tracci una rotta per uscire dalla Macchia di Rovi» ordinò Chase stancamente.

   «Sì, Capitano» rispose questi, un Rigeliano.

   «Quanto ci vorrà?».

   «Quattro giorni a massimo impulso per uscire dalla zona in cui il subspazio è distrutto» rispose il Rigelieno. «Altri tre per uscire dalla Macchia di Rovi».

   «Un’intera settimana! Speravo di poter avvertire prima la Federazione» si dispiacque Chase.

   «La Macchia di Rovi non è come la Distesa Delfica, Capitano» commentò Terry. «Non è stata creata dalle anomalie dei Tuteriani. Quelle avevano molto peggiorato le cose, certo. Ma anche in loro assenza, la Macchia resta un luogo pericoloso».

   «Uhm, sì» borbottò Chase, sfregandosi la fronte. «Tolga l’Allarme Rosso e apra un canale con tutta la nave».

   «Fatto, signore».

   «Qui è il Capitano Chase. Come avrete sentito, l’Enterprise ha appena sopportato un duro scontro a fuoco. La buona notizia è che non abbiamo vittime. E la nave è pienamente operativa» disse, scorrendo il rapporto stilato da Terry. «Ora veniamo alle notizie cattive». Sospirò, guardandosi il braccio metallico pieno di tagli. Si sentiva esausto e dolorante, non vedeva l’ora di andare in infermeria e poi a dormire. Ma voleva fare subito questo annuncio.

   «Al centro della Macchia di Rovi abbiamo incontrato dei nemici spietati. Si chiamano Tuteriani e provengono da un Universo parallelo. Sono fermamente decisi a invadere la nostra Galassia e rimodellarla con una tecnologia che la renderà colonizzabile da loro, ma letale per noi. Se avranno successo, distruggeranno ogni cosa. Perciò faremo rotta verso la Terra, per dare l’allarme. 

   Mi spiace comunicarvi notizie tanto gravi, ma dovete essere informati. E ora mi rivolgo ai civili. I Tuteriani ci hanno formalmente dichiarato guerra e potrebbero tornare ad attaccarci; che accada o meno, è fondamentale che manteniate la calma. Se volete contattare i vostri cari potete registrare fin d’ora dei messaggi, ma ricordate che le comunicazioni con la Terra saranno possibili solo fra una settimana. Se al ritorno vorrete lasciare l’Enterprise, sarete accontentati. Vi forniremo al più presto ulteriori dettagli. Nel frattempo mantenete l’ordine, come avete fatto finora. Siate di esempio per gli altri cittadini federali. Chase, chiudo».

   «Capitano, rilevo circa tremila chiamate di emergenza» disse Terry.

   «Circa? Terry, lei diventa ogni minuto più umana» disse Chase, riuscendo persino a sorridere. «Ma spero che non lo sia troppo, perché dovrà occuparsene lei. Io vado in infermeria. Lantora, venga con me. Ilia, a lei la plancia».

 

   Il giorno dopo, i quattro sopravvissuti alla missione nel Collettore erano ancora in infermeria. Korris e la sua squadra li avevano sottoposti a svariati esami e avevano curato le loro ferite. Si erano concentrati soprattutto su Neelah e T’Vala, che avevano subito i traumi peggiori. Ma adesso toccava a Chase. Korris gli aveva rimosso il braccio artificiale, danneggiato, e ne stava preparando un altro.

   «Sono certo che lo troverà adeguato» disse il dottore, in piedi accanto al lettino del Capitano. «L’infermeria della Ascension era antiquata e anche il braccio che le misero era... beh, sorpassato. Mi stupisce che non l’abbia cambiato, dopo il suo ritorno sulla Terra».

   «Cerco di non cambiare più di un braccio a decade» rispose Chase, osservandosi malinconico l’arto monco. «Quanto ci vorrà perché sia pronto quello nuovo?».

   «Lo stiamo calibrando. Ancora un’oretta e potremo procedere con l’intervento» assicurò Korris. «In realtà, più che le sue condizioni fisiche, sono quelle psicologiche a preoccuparmi. Lei ha vissuto un’esperienza devastante. Tutti e quattro l’avete vissuta» disse Korris, dando un’occhiata agli altri pazienti nei loro lettini.

   «La meditazione vulcaniana è tutto quel che mi occorre per ritrovare la serenità» disse T’Vala, serafica. La trasfusione di sangue le aveva ridato colore e gli effetti del soppressore neurale erano svaniti.

   «E per il suo lato Betazoide, che intende fare?» inquisì Korris.

   «Per quello posso provare il programma di Risa sul ponte ologrammi» ridacchiò la timoniera.

   «E lei, Neelah?» chiese Korris, passando alla paziente successiva.

   «Io sto bene» rispose la biologa, senza alzare gli occhi dal suo d-pad.

   «Che?! No, lei non sta bene!» s’indignò Korris. «Ieri un Parassita Neurale ha assunto il controllo del suo sistema nervoso. Poi è morto, lì dentro il suo collo. Poche ore fa ho rimosso chirurgicamente i resti. Quindi non mi dica che è a posto! Ho parecchie altre analisi da fare».

   «Dottore, posso eseguirle io stessa!» protestò Neelah, abbassando il d-pad. «Mi faccia andare nel mio laboratorio, lì ho tutti gli strumenti».

   «Come no! Lei va nel suo laboratorio, entra in quell’alcova degli orrori e crede di rigenerarsi» la canzonò Korris. «Se non glielo avessi impedito, avrebbe trascorso la notte lì in piedi. Stia nel lettino, invece... finché non la chiamo per la prossima scansione. E beva questo!» aggiunse, porgendole un bicchierone pieno di un liquido bianco e caldo.

   «Che razza di supplemento nutritivo è?» chiese l’Aenar, rigirandolo con sospetto.

   «Quello che le ho consigliato la prima volta, un bel latte caldo. Con un po’ di miele» spiegò Korris.

   «Mi hanno svezzata da un pezzo» disse Neelah, un po’ imbronciata, ma si rassegnò a bere.

   «E lei, Lantora?» chiese Korris, passando al suo ultimo paziente.

   «Mi sento come dopo dieci riprese con un Rettile, ma a parte questo, tutto okay» rispose l’Ufficiale Tattico.

   «Può riprendere servizio nel pomeriggio» annuì Korris.

   «Come, a lui dice che può riprendere servizio?» s’inalberò Neelah.

   «Lui è quello che sta meglio... e l’unico che non ha cercato di minimizzare» spiegò Korris. Riprese il bicchiere, che Neelah aveva appena svuotato.

   «A proposito del mio Parassita... non l’avrà distrutto, vero?» chiese l’Aenar. «Se ce l’ha ancora vorrei che me lo consegnasse, per l’autopsia».

   «E poi se lo terrà sulla scrivania come ricordino?» chiese il mezzo Cardassiano, ironico ma neanche tanto.

   «Dottore, può lasciarci un momento?» chiese il Capitano. «Abbiamo cose di cui discutere».

   «D’accordo, controllo a che punto sono gli altri col suo nuovo braccio» accondiscese Korris. «Ma cerchi di non stancarsi» raccomandò, lasciando la stanza. I quattro pazienti rimasero soli.

   «Capitano, che cosa dovremmo mettere nel rapporto?» chiese Lantora.

   «Tutta la verità. Con una guerra alle porte, non è il caso di tenerci dei segreti, le pare?» rispose Chase.

   «Sì, signore. Per quanto è accaduto in quel laboratorio, io...» cominciò lo Xindi, a disagio.

   «Lei ha a cuore la sua specie e il suo pianeta, Lantora. Non posso certo biasimarla» disse Chase. «Mi rallegro che non abbia creduto a quella manipolatrice».

   «Ora capisco cosa deve aver provato Degra» ammise Lantora. «La Messaggera prometteva molto. Un Impero Xindi! Ma saremmo stati comunque schiavi dei Tuteriani. A proposito... crede che riescano davvero a prevedere il futuro? O era una menzogna anche quella?».

   «La distruzione di Nuova Xindus è senz’altro un inganno» disse il Capitano. «Ma per il resto... temo che riescano davvero a fare previsioni. Anche Archer, nella registrazione, ne era convinto. Disse che gliene aveva parlato un Agente Temporale del XXXI secolo» rivelò.

   «Ma lei crede che questi Agenti Temporali esistano davvero?» chiese Lantora.

   «Perché no? Già adesso sappiamo come viaggiare nel tempo, anche se servono astronavi veloci e una buona dose di fortuna» rispose Chase. «È probabile che nei prossimi secoli il viaggio nel tempo progredirà tanto da diventare una tecnologia comune. E questo ci porta alla Guerra Fredda Temporale. Archer me ne ha parlato. Diceva che i Tuteriani, grazie alla loro capacità predittiva, sono una delle fazioni più pericolose di questa guerra».

   «Ma stavolta li abbiamo sconfitti» disse Lantora, speranzoso. «Come mai non l’hanno previsto?».

   Chase esitò. Al suo posto rispose T’Vala. «Capitano, c’è una spiegazione logica» disse. «Ovviamente non so come funzioni quella tecnologia, ma può darsi che riesca a prevedere solo i grandi mutamenti storici. I comportamenti delle masse, insomma, che possono essere analizzati statisticamente con procedimenti matematici. Ma i dettagli, come le decisioni personali, potrebbero essere imprevedibili e sfuggire quindi all’analisi».

   «Come la psicostoria» commentò Chase.

   «Mi perdoni, non conosco questa disciplina» disse T’Vala, imbarazzata.

   «No, no, è solo una cosa di fantasia» sorrise Chase. «Nel XX secolo, uno scrittore di fantascienza terrestre, Isaac Asimov, immaginò che in un lontanissimo futuro si sarebbe sviluppata una branca della matematica chiamata psicostoria. Secondo questa congettura, i comportamenti delle grandi masse erano prevedibili statisticamente, mentre l’arbitrio dei singoli non lo era. La tecnologia dei Tuteriani sembra proprio così. Almeno lo spero... sarebbe un grosso limite al loro potere» disse speranzoso.

   «Allora dobbiamo sperare che qualche singolo individuo riesca a fare la differenza» intervenne Neelah. «È un problema inedito, dovremo parlarne con Terry. Pensi se anche noi riuscissimo a sviluppare questa... psicostoria, se vuol chiamarla così. Riequilibrerebbe lo scontro».

   «Mah... non so come funzionerebbe una guerra in cui entrambe le parti prevedono le mosse dell’altra» disse Chase. «Comunque, per adesso, dobbiamo puntare sull’imprevedibilità. Forse solo gli Agenti Temporali del XXXI secolo avranno la capacità predittiva dei Tuteriani».

 

   «Che devo fare con questi?» chiese Grenk, osservando i due gusci medici Tuteriani, che erano stati trasferiti in un hangar secondario. Si fregò le mani, prevedendo la risposta.

   «Li analizzi atomo per atomo. Li sottoponga a tutti i test che le vengono in mente» rispose Lantora. «Più ne sappiamo sulla tecnologia tuteriana, meglio è. Certo, abbiamo i dati raccolti dall’Enterprise NX-01, ma...».

   «I loro sistemi di analisi erano preistorici» disse Grenk. «Si rende conto che facevano ancora le fotografie?! Bah! So io dove mettere le mani, con questi gioiellini!» gongolò.

   «Cerchi qualunque punto debole nella lega dello scafo. Qualunque modo per ingannare i sensori» si raccomandò Lantora. «Se vuole smontarne uno, lo faccia pure a pezzi. Ma conservi l’altro per la Flotta».

   «E cosa potrebbe trovare la Flotta, che non abbia già scoperto io?» chiese Grenk. «Va bene, farò come dice. Smonterò il guscio che avete usato lei e T’Vala. L’altro – eh eh – è lo yacht del Capitano!» ridacchiò.

   «Si muova, non abbiamo tempo da perdere» raccomandò Lantora.

 

   Chase passeggiava nella Piazza Centrale, guardandosi attorno con attenzione. Su una cosa la Messaggera aveva ragione: portare così tanti civili a bordo era una scelta discutibile. La Flotta Stellare era davvero invecchiata, si disse Chase. L’unico modo per portare la gente nello spazio era farle dimenticare di essere nello spazio. Ma con la guerra incombente, questo non era più possibile.

   «Capitano, lieto di vederla in piedi!» lo salutò Neelah, apparendo tra la folla. «Com’è andata l’operazione?» chiese, avvicinandosi.

   «Bene, il nuovo braccio funziona a meraviglia» rispose il Capitano, flettendo le dita e osservandone il movimento. «È anche meglio dell’altro».

   «Allora potrà fare a pezzi le paratie» sorrise Neelah, scherzando ma non troppo.

   «La prossima volta che incontrerò i Tuteriani, spero di essere armato» si augurò Chase. «E lei come sta?».

   «Mi sono ripresa» disse Neelah, massaggiandosi il collo. «Sa, aveva ragione, sui Parassiti Neurali. Sono davvero le creature più vili, disgustose e malvagie che infestano lo spazio».

   «Mi spiace che l’abbia scoperto in questo modo» disse il Capitano. Di lì a poco passarono davanti all’Antro del Drago.

   «Che ne dice, facciamo uno spuntino?» suggerì il Capitano. «L’altra volta siamo rimasti nell’anticamera. Stavolta potremmo esplorare l’Antro».

   «Sa che non mangio carne» esitò Neelah.

   «Sono certo che Raav non si offenderà, se gli chiede un piatto vegetariano».

   «Allora... d’accordo, Capitano» accettò l’Aenar.

   Passata l’anticamera, raggiunsero il salone principale, rivestito con finta roccia e illuminato dal braciere. Sedettero a un tavolo.

   «Non pensavo fosse così caldo, quaggiù» disse Chase. «Mi spiace, non avevo riflettuto che gli Andoriani preferiscono il freddo. Se non sta bene possiamo andare altrove».

   «Posso resistere, Capitano» assicurò Neelah. «Uhm, che ambiente pittoresco» commentò guardandosi attorno.

   «Che cosa desiderate?» chiese Raav, facendosi avanti con i menu. «La specialità del giorno è arrosto di targ con contorno di gagh. Un’antica prelibatezza Klingon. Posso servirvi il gagh cotto o crudo, e se preferite anche vivo, come piace agli intenditori».

   «Vuol farmi mangiare dei vermi vivi?!» chiese Neelah, scioccata. «È così... antigienico!» si lamentò.

   «La dottoressa è vegetariana» spiegò Chase.

   «Sì, non avrebbe un brodino vegetale?» chiese Neelah.

   «Se vuole un brodino, lo chieda al replicatore» sbuffò Raav. «Qui abbiamo ricette vere. Vulcaniane, Bajoriane, Boliane... ecco, questo è il menu vegetariano» disse. Glielo allungò tenendolo con la punta degli artigli.

   «Grazie, ci dia qualche minuto» disse Chase.

   «Mi hanno appena tolto un invertebrato dal collo e lui voleva farmene mangiare degli altri!» sbuffò Neelah, quando il Gorn si fu allontanato. «Se ripenso a quei momenti... uh, a proposito!» disse, osservando Chase con un sorriso malizioso. «È vero quel che mi ha detto nel Collettore? Che sono la persona più cocciuta, strafottente e solipsista che abbia mai conosciuto? Perché se è così, è ben strano che mi abbia invitata» commentò.

   «Ricorda proprio tutto, eh?» mormorò Chase, a disagio. «Senta, mi dispiace. Eravamo tutti sotto pressione, in quel momento, e ho esagerato. Ma cercavo di scuoterla, di costringerla a reagire. Sembrava sotto il controllo del Parassita, e... un momento! Lei era in sé, quando mi ha fatto quel discorso sui Tuteriani che erano superiori e le leggi federali che non valevano niente?».

   «Se ero in me?» chiese Neelah. Aveva nascosto il volto dietro al menu, così che solo le antenne craniali sporgevano al di sopra.

   «Sì, lei ha detto che le nanosonde hanno aggredito il Parassita fin da subito. Ma sarà servito un po’, prima che lo uccidessero. Quindi, almeno per qualche minuto, lei è stata sotto il suo controllo. Quand’è tornata in sé? Perché vorrei capire quanto io e Lantora siamo stati in pericolo».

   «Capitano, preferisco non parlare di lavoro a tavola» disse Neelah, abbassando il menu e guardandolo negli occhi.

   «Come preferisce» disse Chase. Doveva ammettere che gli occhi azzurri dell’Aenar erano davvero belli. Ingegnerizzati o no, gli piacevano.

 

   «Un brodino vegetale, bah!» borbottò Raav, passando tra i fornelli. «Cliff, ti spiace occuparti del tavolo del Capitano? C’è un’Andoriana albina che vuole solo piatti vegetariani».

   «Certo, chef» disse il cuoco Boliano, che stava rimescolando in un pentolone.

   «Grazie, amico».

   Il Gorn andò in una saletta più piccola, dietro alla cucina, dove c’erano alcune gabbiette. Contenevano piccole creature batuffolose, di vario colore, che emettevano un trillo musicale. Alcune si erano arrampicate sulle pareti trasparenti delle gabbie, anche se non era chiaro come facessero a restarvi appiccicate. Triboli. Erano le creature più inutili della Galassia: tutto quel che facevano era mangiare e riprodursi, a un ritmo incredibile. Se gli si dava più dello stretto necessario per sopravvivere, se ne veniva sommersi. Erano ermafroditi, quindi non gli serviva nemmeno un compagno, e i cuccioli nascevano già incinti. Il diverso colore della pelliccia dipendeva solo da un’oscillazione genetica.

   «Salve, ragazzi» disse Raav, ben sapendo che quelle creature non possedevano la minima scintilla d’intelligenza. «Vedo che mi state di nuovo riempiendo il retrobottega. Per fortuna, so io cosa fare. Non tutti sono vegetariani, su questa nave!» gongolò. Scoperchiò una gabbia, prese un tribolo e la richiuse subito, prima che gli altri scappassero. Il Tribolo pigolò.

   «Scusa, ma noi rettili siamo così» disse Raav. E lo inghiottì in un sol boccone.

 

   «Stiamo uscendo dalla Macchia di Rovi» disse Terry.

   «E siamo in orario» constatò Chase, seduto sulla poltrona di comando. Attorno a lui, la plancia ferveva di attività. «Quattro giorni a impulso, tre a minima cavitazione. È una fortuna che i Tuteriani non ci abbiano più dato fastidio» disse il Capitano.

   «Crede che la loro dichiarazione di guerra fosse un bluff?» chiese il Consigliere Navarro.

   «Non oso sperarlo» sospirò Chase. «Terry, appena avremo di nuovo le comunicazioni a lungo raggio contatti la Terra. Invii i nostri rapporti, le registrazioni, le analisi... tutto quel che abbiamo sui Tuteriani».

   «Sì, signore» disse Terry. Sullo schermo i gas arancioni della Macchia si dissolsero, mentre l’Enterprise ne abbandonava le propaggini. Adesso c’era solo lo spazio nero, punteggiato di stelle.

   «Comunicazioni ripristinate. Un momento, signore... è molto strano!» disse Terry, interdetta.

   «Cosa è strano?» chiese il Capitano.

   «I sensori a lungo raggio rilevano solo le colonie e gli avamposti più vicini. Non riesco a comunicare fuori dal settore. C’è come una barriera che... oh, no!» disse, colorandosi di blu elettrico per un istante.

   «Terry, quel glitch non mi è piaciuto per niente» disse Chase. «Che rileva?».

   «Un momento, cerco di adattare i sensori. Devo capire quante... elaboro» disse Terry, irrigidendosi. Per qualche secondo gli ufficiali la fissarono con apprensione.

   «È confermato» disse Terry, affranta. «I Tuteriani hanno materializzato vaste reti di Sfere nello spazio federale. Le Sfere emettono notevoli radiazioni gravimetriche, anche se non intense come quelle al centro della Macchia. Stanno riconfigurando lo spazio. Tra una Sfera e l’altra ci sono fasci o... membrane di anomalie, che attraversano lo spazio federale, isolando i vari settori».

   «Sta dicendo che hanno frantumato la Federazione in tante zone che non riescono più a comunicare?» domandò Chase, atterrito. Era peggio di quanto avesse immaginato.

   «Sì, Capitano» confermò Terry. «Per la Flotta sarà difficile contrattaccare, o anche solo riunire le forze. Le astronavi sono isolate nei settori in cui si trovano al momento. Noi possiamo attraversare le anomalie, ma le navi più vecchie avranno problemi».

   «Cerchi di capire quante sono le Sfere e tracci una mappa» ordinò Chase.

   «Lo sto facendo. Ecco» disse Terry. Sullo schermo comparve uno schema dello spazio federale circostante, con evidenziati i settori. Era tutto fratturato, attraversato da reti di anomalie, simili a ragnatele.

   «Frell, ci hanno fatti a brandelli!» mormorò Ilia. Lei e Chase si alzarono in piedi, per osservare più da vicino.

   «Se la densità delle Sfere è omogenea, sono circa trecento» calcolò Terry.

   «Quelle della Distesa Delfica erano 72» ricordò Lantora, cupo. «E ne hanno fatti, di danni».

   «È logico supporre che i Tuteriani abbiano corretto la loro vulnerabilità» avvertì T’Vala, dalla postazione del pilota. «Non credo che basterà colpire una Sfera di controllo per distruggere tutta la rete».

   «Cerco di migliorare la mappa» disse Terry. L’immagine sullo schermo si precisò, arricchendosi di dettagli. «Vedete? Le anomalie sono disposte come il tessuto filamentoso di una spugna, mentre le “bolle” vuote sono i settori di spazio non trasformato. Sto rilevando anche diverse Dreadnought tuteriane. Ce ne sono venti che pattugliano lo spazio alterato intorno a noi, in diversi punti».

   «Non possiamo indugiare. T’Vala, tracci una rotta verso la Terra» ordinò Chase. «Se le anomalie l’avessero colpita...» disse, non osando pensare alle conseguenze.

   «Sarebbe l’occasione per collaudare il nuovo Scudo Planetario» disse Terry.

   «Pensa che la difenderebbe dalle anomalie?» chiese il Capitano.

   «Dovrebbe, anche se non è sofisticato come il mio» rispose Terry. «Il problema è che consuma moltissima energia. Non può essere mantenuto a lungo».

   «E gli altri pianeti federali?» chiese Ilia, allarmata. «Pochi hanno il lusso di uno Scudo Planetario. La maggior parte è indifesa».

   «Per questo dobbiamo fare rapporto al Comando ed elaborare una contromossa» disse Chase. «T’Vala, la rotta?».

   «Fatto, signore. L’ho calcolata in modo da attraversare meno spazio trasformato possibile» rispose la timoniera. «In tre giorni a massima velocità raggiungeremo la Terra».

   «Sempre che ci sia ancora» disse Chase cupo, risedendosi sulla poltrona di comando. «Va bene, signori. La guerra contro i Costruttori di Sfere ci era stata profetizzata da secoli. Ora è cominciata. Ci aspettano tempi difficili. Non potremo contare molto sul resto della Flotta, che ha più problemi di noi ad attraversare le anomalie. Possiamo contare solo uno sull’altro, qui sull’Enterprise. Raggiungeremo la Terra e la difenderemo. Proteggeremo anche i cantieri di Marte, dove sono in costruzione nuove astronavi, meglio equipaggiate contro il nemico. E quando il sistema solare sarà al sicuro, partiremo al contrattacco. Distruggeremo le Sfere una per una, se necessario. Senza le anomalie, i Tuteriani non possono resistere, nemmeno a bordo delle loro Dreadnought. Quando vedranno i loro corpi andare in pezzi, capiranno che hanno invaso l’Universo sbagliato. E ora... rotta verso la Terra. Attivare!» ordinò.

   Attorno a lui, l’equipaggio di plancia reagì con l’efficienza di un meccanismo ormai collaudato. Ognuno allertava le proprie sezioni, riferendo la situazione, impartendo gli ordini, aggiungendo consigli personali. Malgrado la gravità della situazione, Chase sorrise. Come gli aveva augurato Archer, la nave e l’equipaggio non lo avevano deluso. Se c’era qualcosa che poteva respingere gli invasori una volta per tutte, era l’Enterprise-J.

   La grande astronave si mosse nello spazio, agile ed elegante. Le gondole quantiche s’illuminarono ai lati, mentre il deflettore pulsava di luce viola. Raggiunta la soglia critica, proiettò il corridoio di cavitazione. E l’Enterprise vi guizzò dentro, svanendo in un lampo accecante.

 

 

FINE

 

 

   
 
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