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Autore: pamina71    10/01/2019    10 recensioni
1777. Oscar è ancora alla Guardia Reale, Fersen è ancora in Svezia (dalla cronologia del manga).
Tutto procede come di consueto, sino al giorno in cui cominciano ad giungere messaggi molto particolari.
Qualcuno da aiutare, oppure da salvare.
Talvolta Oscar deve agire da sola, talaltra con André, ed altre ancora in cui è lui solo a dover sbrogliare la matassa.
Vagamente noir, ma molto più leggero delle mie ultime storie.
Credits: L'Assommoir – Io sono il messaggero
Genere: Azione, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. Luci

 

La sera era giunta, si era trasformata in una notte stanca che era trascolorata in una nuova alba senza nessuna notizia da Parigi.

Oscar non sapeva se preoccuparsi ulteriormente o se concedersi il lusso di rilassarsi. Ne parlò con André durante un attimo di quiete tra un'esercitazione delle Guardie Reali ed una delle passeggiate della Regina. Lui seppe rassicurarla, fiducioso che il fabbro Bijard fosse riuscito a trattenersi. André, per quanto fosse più concreto di lei nei giudicare la situazione della Francia, pareva sempre nutrire una fiducia maggiore della sua rispetto alla possibilità di ravvedersi delle persone.

Tuttavia, le suggerì di passare, la sera, da Rue du Bourg Tibourg, per una verifica. Solo per tranquillizzarla. Un passaggio rapido, magari giusto chiedendo al ragazzino del piano di sotto, Alain.

Oscar apprezzò il suggerimento. André sapeva sempre come affrontare i problemi che le si ponevano in maniera logica e senza farla sentire come una ragazzina. Sapeva come contenere la sua preoccupazione più grande: quella di essere giudicata non come un soldato, ma per quello che era, una giovane donna. Non temeva di essere scoperta: la farsa del nome, del fatto che le si rivolgessero chiamandola Monsieur, e tutto il resto era solo un'enorme segreto di Pulcinella. Tutta la corte era a conoscenza di chi realmente fosse. Proprio per questo temeva che le venisse rinfacciata una qualche debolezza femminile. Proprio per quel motivo badava a non dare alcun adito a critiche. Proprio questa paura la teneva sempre così rigida e frenata. André era l'unico che non si poneva alcun problema riguardo alla sua persona, viveva il suo essere una donna soldato con naturalezza estrema, nonostante fosse palese che giudicasse un errore la scelta del Generale. E che forse proprio per questo sapeva sempre come consigliarla al meglio. Per questo e per la sua lucidità di giudizio nei confronti della società.

 

Ancora una volta si trovarono a percorrere la via verso la città nel tardo pomeriggio estivo. Il sole illuminava i covoni che gli ultimi contadini stavano sistemando con cura. Era un paesaggio pacifico che placava i sensi ed i pensieri, dopo le frivolezze di corte. Oscar immaginava solo vagamente quali fossero le reali condizioni di vita di quegli uomini e ne aveva un'idea piuttosto edulcorata. La visita alla casa di Lalie era stato un bagno gelido di realtà, ma non aveva idea di quanti fossero davvero a vivere in quelle condizioni.

Appena imboccarono la via si imbatterono in Alain e nei suoi amici, seduti a ciondolare sugli scalini di una casa sul lato all'ombra della via. Appena li vide il ragazzino scattò in piedi.

- Tutto tranquillo. - Rispose alla muta domanda che gli veniva rivolta.

- E il cibo?

- L'oste si comporta in modo onesto. I pasti arrivano, e non manda su vino.

Mancò poco che ad Oscar scappasse un sospiro di sollievo.

- Ci siete riusciti. - Riprese Alain. - Forse.

- Come, forse? - chiese André.

- Non mi fido. Tutto qui.

- Nemmeno noi, se è per questo. Altrimenti non saremmo venuti.

- Ma io lo tengo d'occhio. Non lascio Lalie da sola. Ha solo due anni in più di mia sorella.

- Bravo. Il tuo comportamento è molto ammirevole.

Il ragazzino si strinse nelle spalle.

- C'è poco da ammirare. Qui dobbiamo darci una mano tutti quanti. Altrimenti facciamo una brutta fine.

Oscar annuì.

- Spero di non avere notizia da parte tua, a breve.

 

Rientrarono a Palazzo Jarjayes abbastanza tardi, dopo aver cenato fuori dal calore soffocante che stagnava nella cerchia delle mura, in una delle guinguettes che costellavano le pendici di Montmartre. Oltre che per la frescura, erano sempre vivacemente affollati perché la loro posizione permetteva di vendere vino senza pagare la tassa di ingresso alla città. E forse avevano leggermente esagerato con i pichet di rosso.

Il palazzo era già quasi del tutto addormentato, solo le ultime cameriere passavano alacri. Con la testa ovattata, si separarono immediatamente per recarsi ognuno nella propria stanza, senza concedersi il rituale del salottino. E così non videro che, ad attenderli, era posata un'altra bottiglia chiusa con la ceralacca e contenente un foglio arrotolato.

 

Nemmeno la mattina seguente vi si recarono. E così rimase sul tavolino per i successivi tre giorni. Maria Antonietta aveva deciso all'improvviso di dare un piccolo trattenimento. Così lo aveva definito. Nella realtà, era una festa da ballo di discreta entità. Non certamente paragonabile ai grandi balli di corte, ma vi avrebbero partecipato decine di invitati. Così oscar si era trovata ad organizzare in tutta fretta il servizio d'ordine, richiamando in servizio alcune guardie, preparando turni, predisponendo percorsi di ronda. Non era rientrata a casa, la prima sera, troppo stanca e preoccupata per poter anche solo pensare di ripercorrere il tragitto che la separava da Palazzo Jarjayes.

E la seconda sera dovette assistere alla festa. Odiava quei balli. A dire la verità, detestava due cose. L'eccessiva ostentazione del divertimento che caratterizzava quelle serate, con la conseguente esagerazione nel bere, nell'abbigliarsi, nella ricerca della seduzione. E probabilmente la infastidiva ancora di più il fatto che la situazione mettesse ancora più in rilievo il suo essere ibrido. Avrebbe dovuto essere un uomo, e comportarsi come tale. Avrebbe dovuto ballare con le dame, e trarne soddisfazione. Mentre il risultato finale era sempre una grande irritazione, cui si aggiungeva la preoccupazione per il comportamento della Regina.

Era esattamente l'insieme di sensazioni che provava in quel momento, mentre, in compagnia di André, stava scendendo verso la sala da ballo dopo aver controllato che le guardie fossero ai rispettivi posti. Si attardò un attimo ad osservare madame de Polignac che sussurrava qualcosa ad una sua amica. Se possibile, quella donna da sola aveva il potere di irritarla più di tutta la situazione messa insieme. Un'avida arrivista, ma abilissima nel raggirare Sua maestà.

Si riscosse, e si costrinse a riportare lo guardo sulla sala. Così facendo, colse con la coda dell'occhio qualcosa di anomalo. Non avrebbe saputo dire cosa. Uno scintillio anomalo, forse. Quanto bastava per prestare attenzione al grande lampadario che sovrastava la scala. Stava ondeggiando. La fune dorata che lo tratteneva (un pensiero fugace le attraversò la mente: Una fune? Perché non una catena?) si stava sfilacciando. Pochi istanti ed avrebbe ceduto. André stava passando proprio sotto al lume in quel momento. L'azione precedette il pensiero.

Si lanciò alle sue spalle, e lo spinse giù lungo gli scalini. Scivolarono colpendo più volte il marmo con le spalle, le guance, le ginocchia. Ma prima di giungere al fondo si udì uno schianto accompagnato dall'infrangersi di centinaia di cristalli.

Giacquero per qualche istante a terra, ancora tramortiti. Urletti di spavento delle dame giungevano alle loro orecchie, e sopra tutti, il richiamo di Maria Antonietta:

- Oscar! Oscar! State bene?

Lei si levò lentamente reggendosi sulle mani e sulle ginocchia, per poi sedersi un attimo sui talloni. Andrè fece più fatica, il polso sinistro gli doleva parecchio, ed era scivolato malamente con addosso anche il peso di Oscar, ed al momento faticava parecchio a muovere il ginocchio destro.

Videro giungere presso di loro Girodelle ed un paio di altre guardie, con l'intenzione di aiutarli a rialzarsi. Oscar alzò lo sguardo per assicurare Sua Maestà di sentirsi bene ed incrociò gli occhi della Contessa di Polignac. Era fisso, e si vedeva la mascella serrata, in un'espressione dura e, nel contempo, infastidita. Anche André si volse nella stessa direzione, ed ebbe la stessa impressione. Anche a lui parve seccata, come qualcuno cui va a monte un progetto.

Quando si furono rialzati, con una certa lentezza, si trovarono di fianco Maria Antonietta che aveva sceso lo scalone con la maggiore rapidità permessale dal panier e dalle scarpine in seta. Mise una mano sul braccio di Oscar, più scossa di quanto non fossero le due vittime dell'incidente.

- State bene?

- Certamente, Maestà. Qualche livido, nulla di più.

- Prendetevi le giornata libera, domani. Anzi, prendetevi tutto il tempo che vi occorre.

- Non credo sia necessario, Maestà.

La regina si voltò verso Girodelle in un fruscìo di gonne.

- E Voi cercate di capire come possa essere successo.

- Come vorrete che sia accaduto. La corda si è sfilacciata. - si intromise la Polignac. - Non cercate complotti ove non ve ne sono.

- Strano. - la corresse Girodelle - proprio ier l'altro, passando da qui, ho veduto alcuni valletti sostituire le funi di tutti i lampadari del piano.

- Allora l'avranno fermata male – interloquì ancora la Contessa – sappiamo tutti come la servitù sia approssimativa.

Oscar le lanciò un'occhiata feroce.

- Girodelle indagherà. Così ho deciso. - Chiuse Maria Antonietta. - Questo incidente non mi convince. Ed ora, andiamo. - Disse, allontanandosi nella direzione da cui stava giungendo il dottor Lassonne, avvisato da qualche rapido valletto.

 

 

 

 

 

 

   
 
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