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Autore: Alba_Mountrel    12/01/2019    1 recensioni
Una ragazza č persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverā
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Preannuncio che questo capitolo sarà parecchio lungo. Non riesco a capacitarmi di come sia potuto venir tanto pieno di parole, parole, parole e ancora parole ma la realtà non finisce mai di stupirmi. Quindi, ecco a voi il nuovo capitolo. Buona lettura!
Ps. se trovate degli errori o incongruenze o qualcosa che non è chiaro o che non vi garba, e vi va di lasciare una recensione, vi prego fatelo. Se no che le pubblico a fare le mie storie? Buona scrittura a tutteeee

Nono Capitolo

"Crollo, Parole in codice, Inconveniente"
 
Piango, piango e non riesco a non disperarmi oltre che all’esterno pure all’interno, nella mia debole mente che fa fatica a dibattersi per ‘un tozzo di pane’: per un minimo di stabilità.
“Sono circondata da una manica di esseri insensibili, che pensano solo a portare avanti i loro affari”.
All’improvviso, sono attraversata da una speranza.
“Mi ero ripromessa che avrei trovato un modo per riuscire a scappare, ed è quello che farò. Quanto è vero che mi chiamo Desdemona. E lo farò appunto per voi… famiglia mia”.
Provo a mettere in moto la mente per risollevarmi, prima di tutto, il morale e trovare il coraggio di uscire dal ‘tunnel’ della negatività. Dopo qualche minuto mi calmo e, quindi non piango più, allora nella mia mente comincia a tornare un minimo di speranza. Quel minimo che mi serve adesso e mi servirà sempre per tirare fuori la grinta e le capacità, stavolta completamente e non per metà come al solito.
Il primo pensiero che mi passa per la testa è che l’amico di Matt, Mello, non c’è perché deve essere andato a sbrigare qualche lavoro.
“Quindi uno in meno, eventualmente, da raggirare. Anche se temo che siano infinitamente più scaltri e attrezzati di me, anche presi da soli. Anzi. Senza credo. Lo sono, eccome. Parto nettamente in svantaggio, Dio. E se provassi a diventarci amica? Però, subdola Des…. Non credevo di poter formulare un pensiero simile, per poi realizzarlo davvero. Però, che alternative ho? Non molte temo, anche conoscendole, e io non le conosco, purtroppo. Ok. Positività Des. Allora, per diventare amica di Matt… beh, non dovrebbe essere difficile visto che era lui stesso disposto a essere anche di più nei miei confronti… no?! No, non sarà affatto semplice. Potrei provare a farlo sentire in colpa per cosa mi ha detto poco fa, per cominciare”.
«Cazzo. Ma come mi vengono certe idee? La disperazione, ecco cos’è. Non potrebbe mai funzionare. Matt è un professionista anche se sembra un completo sempliciotto. Accidenti a me e alla mia testaccia bacata».
Urlo con quanto fiato ho in corpo. Memore che sono in una camera insonorizzata.
“Chissà per cosa la usano loro”.
Rabbrividisco violentemente al solo pensiero di sangue, torture e tutto il resto, che volano per la stanza e mi sento ancora più oppressa di prima. Mi aggredisce un senso di peso nel petto e cerco freneticamente la maniglia della porta per uscire.
“Devo. Immediatamente. Uscire di qui”.
Caccio un breve e leggero ma liberatorio urlo. Di solito vengo sentita in capo al mondo ma mi trattengo perché non voglio che l’altro mi senta. Uscita dalla stanza, prendo la scala e la percorro molto lentamente. Mi sento la testa vuota ma sono lo stesso presente a me stessa, il che per me è una sensazione terribile ma mi faccio coraggio e continuo a percorrere la scala, quella che non so più esattamente ‘dove mi porterà’.
“Dopo quella pessima sensazione di morte e schifo totale, non riesco più a pensare a niente che non siano i miei stessi pensieri. È terribile”.
«Matt». Cerco di richiamare l’attenzione dell’altro mentre finisco di scendere la scala a chiocciola, la cui forma non sopporto ma non arriva nessun segno di vita, a parte qualche rumore che per il momento catalogo come sconosciuto e non importante.
“Ma che sta facendo? L’ho lasciato lì tipo un secondo fa…”.
«Matt». Urlo appena per farmi sentire dal ragazzo con i capelli rossi e i suoi strani occhiali da aviatore in testa.
“Adesso li avrà messi al collo. Ma… e dai che mi distraggo”.
Ancora, il ragazzo non accenna a rispondermi.
“Evidentemente non mi sente perché sta facendo qualcosa d’impegnativo. Anzi no, questi rumori…”.
Non faccio a tempo a formulare nemmeno il pensiero completo che, aprendo la porta del sotto scala, sento un connubio di suoni fastidiosi se pur bassi, uno dietro l’altro.
“Ma sta giocando ai video giochi… ma quanti anni ha?”.
Cerco di farmi gli affari miei perché mi è passata la voglia di attuare il piano.
“Per ora fare la gatta morta non è il modo adatto per conquistare la sua fiducia e quindi la libertà. Giusto? Ci sono. Bene. Allora aspetterò che la smetta di giocare come i bocchia di dieci anni, e poi mi inventerò qualcosa di utile”.
«Mi avevi chiamato? Scusa, quando mi concentro sul gioco non capisco più nulla».
“Ma perché si scusa? Che fastidioso. Non mi farò abbindolare dal suo modo benevolo di fare”.
«Ah ok».
“Risposta secca e concisa. Dovrebbe bastare a farlo tornare ai suoi affari. Prima ero così lanciata ma adesso mi è cascato praticamente tutto il mondo addosso. Devo pensare tutto da capo. Meno male che non devo elaborare piani per salvare il mondo. Lo farei finire sotto tiro di qualche pazzo in men che non si dica”.
Sospiro sconsolata e mi guardo un poco intorno nella stanza in cui siamo, l’ingresso. Noto che a sinistra dell’entrata c’è una porta da cui, presumibilmente, si accede alla cucina quindi decido di entrare nell’ennesima stanza di questo buco, per cercare qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti.
“Sempre che non siano a secco come nell’altra casa. Ma forse lì sapevano di dover andare via a breve. Già. Quindi era ovvio che non avessero niente, anche se ho l’impressione che loro non abbiano mai niente. Mai e poi mai. Una vita sacrificata in tutto e per tutto, eh?! Va bene…”.
Arrivata all’interno, mi guardo a destra e a sinistra e mi colpisce il fatto che, pur essendo una cucina, il tutto mi appare ancor più spoglio delle altre stanze.
«Dio… e io dovrei stare qui? Non c’è nemmeno una finestra, essendo sottoterra. Altro che claustrofobia. Come fanno a starci ogni giorno, ogni settimana?».
“Ogni anno”.
A certi pensieri ho un tuffo al cuore e mi sento rivoltare lo stomaco: letteralmente, infatti d’istinto comincio a correre e per un attimo mi sembra di annegare nel senso di bruciore che sento alla gola. Arrivo alla porta, e quasi ci sbatto contro da quanto sono lanciata nella mia corsa disperata e cieca, la apro di scatto e intravvedo vagamente un piccolo water su cui mi fiondo senza remore, rimettendo poi tutto quello che avevo mangiato stamattina, quando ancora ero nella prima casa dove mi ha portata Matt.
“Sto praticamente rimettendo lo stesso intestino visto che ho mangiato solo un cazzo di panino, misero e leggero”.
Il mostruoso suono di ciò che sto facendo mi fa sentire ancora peggio, in un continuo sforzo degli addominali per poi esternare tutto ciò che di lercio c’è in me. Dopo due, tre minuti che vado avanti in questo modo, mi sento appoggiare delicatamente una mano sulla spalla, alche mi distraggo momentaneamente per capire se sono in pericolo, e chi è che mi vuole disturbare anche in un momento simile ma la risposta è ovvia.
“Matt… che vuoi”.
Non riesco a esprimere questo pensiero ma ai suoi occhi deve essere più che ovvio.
«Che ti è successo? Eh, Bellezza?». Mi chiedi con voce tranquilla, senza energia, come non volessi spaventarmi.
«Sme… Smettila di…».
“Di chiamarmi così. Niente, non ci riesco. È più forte di me. La mia famiglia… La mia famiglia è tutta morta, e io sono ancora qui. Perché? Perché io sono ancora qui? Non dovrebbe essere così. Non DEVE essere così. E forse la mia reazione è una risposta e una preghiera al mio desiderio di farla finita”.
Senza che me ne accorgessi mi sono messa a piangere e lentamente ho anche smesso di vomitare, però i conati a vuoto continuano a non lasciarmi tregua un secondo.
“Sento male alla testa, alla gola, alle ossa, alle budella. Non una sola fibra intatta, c’è in me. Non ce la faccio più”.
Essendo io ancora troppo debole, dopo pochi secondi sento la testa e la schiena troppo pesanti, e mi sento cadere pregustando già un violento schianto contro qualcosa, qualsiasi cosa ma non succede perché Matt mi trattiene per le spalle, e dopo non vedo e non sento più niente perché si fa tutto nero, vuoto e oscuro.

 
POV MATT
 
“Porca puttana. Cosa le è preso tutto a un tratto? Stava bene fino a un attimo fa. Adesso che faccio? Se le viene un attacco epilettico o qualcosa del genere, non sono attrezzato per placare certe reazioni. Fa che Mello risponda e non sia già nella fase due”.
«Des… dai, Des. Ehi».
Provo a scuotere la ragazza che tengo tra le braccia ma non succede niente.
“Era debole, lo so. Troppo debole, e adesso perché questa reazione esagerata all’inverosimile?”.
Il cervello non trova la spinta per riavviare il sistema e cercare una soluzione.
“Stupidi pc e computer e laptop, e puttanate varie, siete inutili. E ora come ne vengo fuori? Devo prendermi una pausa da tutto e portarmi via con me questa fragile creatura. Mi sono sbagliato, non è adatta a questo mondo”.
«Forse…».
“Senza forse. So benissimo perché sta così… gli spazi chiusi nel suo stato non sono affatto consigliati. Beh, nemmeno gli ospedali nel nostro caso. Però, sembra l’unico modo… e se chiamassi il nano bianco? Sì, e poi mi preparerò mentalmente alla reazione di quell’altro pazzo, fuori di testa. No”.
«Coraggio Des. Dai Desdemona, svegliati. Non sei affatto bella da svenuta, e se ti lascerai andare non te lo perdonerò mai. So che non te ne frega niente ma… svegliati». Urlo mantenendo la calma, però man mano che passa il tempo sento la possibilità di riaverla, andarsene secondo dopo secondo ma non sono mai stato un tipo che si fa prendere dal panico. La prendo in braccio e la posiziono delicatamente sul divano di pelle nera posizionato alla sinistra della porta d’ingresso, e considero l’idea di avvicinarle l’orecchio al petto per sentire il suo cuore.
“Pessima idea. Non potrebbe avere un seno più evidente”.
Sconfortato e leggermente agitato le passo due dita della mano sinistra su un punto preciso del collo ma sento che il cuore ancora batte ma non come speravo, è debole.
“Fottutamente debole, cazzo”.
A questo punto comincio a praticarle le manovre di BLS e nel frattempo, pur essendo agitato, riesco lo stesso e inebriarmi i sensi con il profumo delle sue labbra.
“Of course… with this taste isn’t the top but (Certo… con il sapore di vomito non è il massimo) … Ecco che ricomincio a pensare in inglese. Mi fa proprio effetto retrocessione questa ragazza”.
Mi scappa un sorriso.
«Dai Des, ritorna da me, coraggio Bellezza».
“Niente, il battito è sempre debole”.
Non mi faccio mai prendere dal panico ma è anche vero che non sempre la situazione è sotto controllo, e quindi continuo a chiedermi se si salverà o no; quando all’improvviso, dopo qualche massaggio cardiaco, la vedo spingersi in su con gli addominali e allora posso tornare a respirare anche io perché so che è fuori pericolo. Tossisce e sputa un misto di saliva, mia e sua, e resti di vomito che le erano rimasti in gola. Ho appena riacquistato il sorriso che di nuovo sprofonda nel sonno ma stavolta, riaccostando l’orecchio al naso e sentendo il battito, il respiro e le pulsazioni sono regolari e questo mi fa capire che ha bisogno solo d’essere nutrita quanto le serve, e di riposare.
“Non dovrei sporcare un essere tanto puro, sensibile e dolce. Sono proprio un egoista. Mello… torna a casa. Ho bisogno di uscire di qui. Ci deve essere qualcosa per l’ansia in questa casa. In bagno magari… bingo”.
Trovo nella specchiera, soprastante al lavandino, una serie di medicinali e guardando le etichette scorgo ciò che mi serve.
«10 gocce di En e in qualche minuto mi dovrebbe passare tutto».
Esco dal bagno e molto flemmaticamente mi dirigo nuovamente verso il divano dove la giovane sta ancora dormendo, ha un sonno tormentato perché la sento mugolare ma non ci bado particolarmente.
“Avrà un incubo. Povera ragazza. Il problema è che pensa continuamente alla sua famiglia. Quella che sa essere morta. Già. Appena si sveglia la farò rinsavire del tutto quando le dirò la verità. Sì, stavolta non ho dubbi che lo farò, e non ho nemmeno dubbi sul motivo dello stato in cui giace. Non posso più negarle questa verità. Il resto può anche aspettare e che vadano a farsi fottere Mello e tutti i suoi piani della minchia. A proposito…devo monitorare a distanza i movimenti di Mello mentre è insieme a quell’altro… che ore sono? Le otto di sera. Mi ha detto di aspettare almeno l’ora di cena ma quando dice così intende sempre che almeno devo calcolare un’ora in più, quindi alle nove devo ricordarmi di accendere il pc numero nove e di avviare il collegamento con la microcamera che quell’altro ha posizionata sul crocifisso. Ho un’ora per trasportare in camera mia Des e tentare di svegliarla, se necessario, anche con la forza per farle mangiare qualcosa. Anche se non abbiamo granché, visto che non eravamo proprio tanto preparati per la sua presenza. È da un mese che non torno qua, porca eva. Non c’è nemmeno un letto in più e Mello non tornerà prima delle dieci. Devo chiedere al buon vecchiardo Gin se mi fa un po' di riso in bianco d’asporto perché Des non riuscirà a mandar giù nient’altro e io dopo quello che ho visto non ho per niente fame ma mi sforzerò altrimenti va a finire che domani non avrò energie sufficienti”.
Prendo il telefono normale e chiamo il mio ‘corriere’ di fiducia. Come al solito mi fa attendere cinque squilli come abbiamo concordato, dopo di che la sua voce roca ma pastosa mi riempie il padiglione auricolare.
«Ehilà, Vodka». Mi saluta questo con voce altamente sarcastica.
«Ehi, Gin».
«Potresti portarmi i due pc bianchi tra mezz’ora? E aggiungi anche tre porzioni di riso così io te e la mia ragazza ci facciamo una bella cena così te la presento. Io metto vino e tutto il resto. Ho un momento libero, così c’è anche il tempo per una bella chiacchierata». Vado dritto al punto, con voce flemmatica e appositamente disinteressata ma amichevole.
“Se pur questo telefono non sia tracciabile la conversazione potrebbe venir spiata ugualmente, va a sapere. Meglio che mantenga la copertura fino a che non sarà necessario”.
«Va bene amico mio. Senti, già che ci sono porto anche qualcosa da bere e ce la raccontiamo. Ho voglia di sapere cosa hai fatto in questo ultimo mese».
«Gin quante volte ancora di dovrò dire che non serve che porti niente quando vieni da me. Non sono un poveraccio che ha bisogno del contentino». Emetto una risata sommessa per completare la recita, dopo di che lo saluto e metto giù la chiamata per tornare a dedicare le mie attenzioni a Des, la quale sembra nuovamente morta, se non fosse per il ventre che si alza e si abbassa ritmicamente a contrassegnare che è viva e vegeta.
“Meno male che non sei morta… Mello persiste nell’affermare che ha pensato all’idea di tenerla… e che è arrivato alla conclusione che qualcosa gliela potremo far fare ma non sono così sicuro che fosse sincero, ora come ora. Magari dopo viene fuori che dopo questa crisi Des si riprenderà e diventerà più forte di prima però la strada è ancora lunga, e nel frattempo le rovineremmo la vita. Chissà che piani stronzi ha in mente quello lì”.
Improvvisamente la sento mugugnare qualcosa ma non la capisco, perché parla nel sonno ma provo lo stesso ad avvicinarmi per cogliere il più possibile, visto che l’inconscio dice molto più di tutto il resto. Mi sorreggo con le mani ai lati dei suoi fianchi e dopo averla guardata molto attentamente per cogliere eventuali importanti sfumature della sua espressione, avvicino l’orecchio sinistro alla sua bocca e quel che sento conferma i miei pensieri: quando sarà in forze le dirò tutta la verità.
«Sorella… sorellina. Io… io, io non… vi prego…».
“Ovvio, sta sognando la sua famiglia. E chi non lo farebbe in una situazione simile. Se fossi in lei mi sarei buttato molto tempo fa. Invece, lei ha preferito attendere. Forse pensava di potersi riprendere con le proprie forze. Quanto sei ingenua povera piccola. Beh, poco male perché ho potuto avere la possibilità di risparmiarle questo dolore e soprattutto di evitarle un’azione inutile… dato che i suoi non sono effettivamente morti. È meglio che la porti in camera mia, di sopra. Pensa te, è venuta giù solo un attimo fa e adesso ce la devo riportare di peso”.
Le metto una mano sotto la testa e l’altra sotto il bacino, per poi far forza e tirarla su fino a portarmela in braccio. Pur essendo in una posa alquanto scomoda sopporto il suo peso, che per le mie abitudine è esiguo, e mi incammino verso la porta che per fortuna è rimasta aperta. Entro nel sotto scala e chiudo la porta a chiave, poi salgo la scala e nel frattempo Des non la smette un secondo di agitarsi e di mugolare come una neonata che non è riuscita a fare il riposino pomeridiano, e un po' mi fa sorridere.
“È così piccola e indifesa. Non vorrei proprio doverla introdurre a corruzione, inganno e quant’altro”.
Arrivo nella mia stanza e prima di tutto chiudo la porta con il piede sinistro, la quale con un tonfo si chiude automaticamente e fa agitare Des ancora di più, tanto che rischia di cadermi. La trattengo a me forzatamente e faccio a tempo a poggiarla delicatamente sul mio letto, quello affianco a quello di Mello, il quale al contrario del mio è dalla parte della finestra. La osservo per capire se è cambiato qualcosa ma vedo che è stabile, quindi mi prendo un secondo per osservarla.
“Da sveglia non avrei molte possibilità, non nel modo che vorrei almeno. Che bella… peccato doverla svegliare subito”.
«Des… dai Des, sveglia! È pronto tesoro». Urlo. La frase e l’intonazione e, soprattutto, le parole che uso sono atte a risvegliarla esattamente come faceva sua madre.
“Un metodo orribile ma che funziona sempre, se lo scopo è mettere il ‘soldato’ sull’attenti. Questa frase l’ho scoperta dalla stessa madre di Desdemona, e mi voleva ammazzare quando ha capito il motivo della mia domanda”.
«Detesto questo lavoro». Rifletto ad alta voce con poco interesse e senza enfasi.
“Non lo penso veramente ma ogni tanto dire questa frase mi toglie il disturbo di crasharmi in inutili e pesanti complessi e moralismi, che mi rallenterebbero e basta il sistema”.
Nel frattempo Desdemona si è svegliata e ora mi fissa con gli occhi gonfi di sonno e di lacrime, e lo sguardo perso, confuso.
«Mi pareva di… ho sognato…».
«Lo so, la tua famiglia. Però adesso non ci pensare perché fra mezz’ora arriverà la cena».
«Ah… ah il tuo amico sta per arrivare, quindi».
«Vuoi dire Mello?».
«Eh? Sì… già… Mello». Mi risponde con lo sguardo prima confuso, poi malinconico e pensieroso.
“Che dolce, di me si è ricordata subito e invece il nome di Mello, adesso che è suscettibile, non se lo ricordava”.
 

POV DESDEMONA
 
“Perché ho sentito mia madre che mi chiamava per il pranzo, come quando da piccola mi alzavo molto tardi? L’avrò sognato…”.
«No, Mello non arriverà presto, perciò… visto che sei svenuta dopo aver vomitato qualsiasi cosa ci fosse al tuo interno ho pensato avessi bisogno di un trattamento d’emergenza, così ho chiamato un mio amico che ci porterà del riso, più qualcosa per rilassarmi». Mi scappa un suono interrogativo e confuso di cui mi pento immediatamente perché subito dopo mi rispondo da sola.
“Ma certo… parla di droga. Ma che cazzo… mafioso, doppiogiochista e pure drogato? Tombola”.
Lo fisso con disprezzo e odio. Dopo di che tutto a un tratto mi tornano in mente le immagini di poco fa e vengo attraversata da una violenta fitta alla testa, e allo stomaco, e alle ossa, e dappertutto. Mi porto il palmo della mano destra sulla tempia, nella disperata speranza che passi tutto quel male ma non me lo aspetto veramente.
«Che buffa che sei. So cosa pensi e francamente non mi tocca poi tanto ma in ogni caso ci tengo a farti sapere che il mio cervello è ancora bello intatto, di conseguenza non posso essere drogato. Poi, col ruolo che ricopro di hacker non mi verrebbe mai permesso di assumere sostanze troppo pesanti e troppo spesso. Quindi puoi stare tranquilla perché la uso solo per allentare la tensione che mi crea un’ansia che non ti sto nemmeno a descrivere. I farmaci legali non li sto nemmeno a calcolare. Non mi fanno praticamente niente, ormai. Lo so, non avrei dovuto nemmeno abituarmi a questa roba ma ormai è così».
«Lo sai che parli un po' troppo, Matt?! Comunque, non pensavo a quello». Mento spudoratamente, senza alcun motivo.
«Des…». Mi rivolge un ghigno di divertimento e consapevolezza, insomma il solito.
“Ha sempre la stessa identica espressione sul viso, questo qui”.
«Si?». Mento di nuovo, facendo finta di niente e allora lui sospira, e si gira verso il cassetto a destra del letto dove sono sdraiata.
“Adesso che ci faccio caso. Perché è così vicino? Solo per svegliarmi?”.
Digrigno i denti per la rabbia che questi pensieri mi provocano.
“Che diavolo mi ha fatto? Forse è lui che mi ha chiamata in quel modo che mi ha ricordato mia madre. Sì, per forza… BASTARDO”.
Rivolgo lo sguardo dalla parte opposta rispetto a lui per non fargli vedere la mia espressione, una volta tornato a guardarmi.
«To’ Des, pulisciti la bocca e bevi. Ne hai bisogno perché hai perso molti liquidi. Ed è dire poco».
«Ah, ok». Senza voltarmi allungo la mano verso di lui e mi porge una bottiglia piccola e un fazzoletto di carta. Li afferro e senza più voglia né di pensare né di dire niente, mi pulisco la bocca da eventuali tracce di vomito e apro la bottiglia, per poi bere a grandi sorsate disperate tutto il suo contenuto.
«Avevi una gran sete, eh. Adesso vieni con me in cucina che aspettiamo il corriere».
“Ma perché non se ne sta un po' zitto? E poi, ancora persiste a restare in questa maledetta posizione. Non ti voglio vicino, Matt. Che tu sia pulito o no come persona… sei sempre un estraneo, per me”.
Lo guardo intensamente, carica d’odio per fargli capire che si deve spostare subito e lui afferra il concetto al volo, ma la sua risposta mi fa presupporre che non abbia mai avuto cattive intenzioni.
«Oh… ok. Dai vieni». La sua espressione da stupita passa a sorridente, come sempre ma è lo stupore che mi fa capire che non aveva secondi fini.
“A meno che non sia un attore incallito. Spero proprio di no. Mi manda il sangue alla testa la gente che mente. A volte rischio di provocarmi un aneurisma, a pensarci. Dovrei imparare a soprassedere ma non c’è verso”.
Si alza liberandomi i movimenti e a questo gesto mi torna in mente quando eravamo nel letto dell’altra casa.
“In quel momento non pensavo minimamente che ero nel letto con uno sconosciuto. Chissà perché. Forse, ero così annichilita da non accorgermi nemmeno dell’ovvio. Ero troppo occupata a fargli ottenere i suoi obiettivi, per accorgermi che la vicinanza con i suoi addominali non era il punto fondamentale della situazione”.
Questo ultimo pensiero mi provoca un lieve e dolce tuffo al cuore ma decido di non farci caso.
“Se badassi a tutti i miei pensieri potrei impazzire qui, seduta stante. Meglio concentrarmi sulla cena, va”.
«Hai detto che viene il corriere? Quale corriere? Di certo non è un amico come mi hai detto poco fa ma comunque… gli hai chiesto qualcosa di leggero e commestibile, vero?!».
«Ma come siamo sarcastici oggi… certo, per chi mi hai preso. Mangeremo un semplice riso in bianco perché tanto anch’io non potrei mangiare altro dopo quello che ho visto poco fa. Ah, ho deciso che mangeremo qui perché non è il caso che ti alzi, ora come ora. Così, quando avrai finito sarai già qui per riposarti. Comunque, ho capito cosa ti è successo di sotto. Hai pensato per l’ennesima volta alla tua famiglia… e… beh… l’ennesimo pensiero negativo e gli spazi chiusi hanno provocato l’effetto boomerang nel tuo stomaco». Conclude con un sorriso amichevole stampato sul volto, e non so se schiaffeggiarlo, non ne avrei le forze, o sorridere insieme a lui.
“Di questo non se ne parla neanche”.
«Lo so cos’è successo, mi chiedevo solo se mi avessi stuprata, approfittando del mio stato d’incoscienza…». Gli domando sardonica e mi sento invadere i padiglioni auricolari da una risata genuina e divertita che mi stupisce non poco.
«Ma no, come avrei potuto? Ti paio il tipo?».
«Non lo so». Gli rispondo sicura di me, scavando affondo nel suo sguardo in modo da far trasparire il fatto che non sono del tutto deficiente.
«Ah beh, giusto. Comunque no, non sono un vigliacco simile. Ho molto rispetto per le donne solitamente e quando non ne ho, non vado certo a scoparmele. A meno che non lo richieda il piano, s’intende ma questo lo potrai capire anche tu». Lo sguardo di ovvietà, sereno e per nulla turbato che mi rivolge mi fa rabbrividire perché ha espresso con naturalezza un concetto che è terribile quanto indispensabile, almeno in questo mondo aspro e crudele.
Provo a muovermi perché nella posizione seduta appoggiata ai cuscini in cui sono, mi duole l’osso sacro, e poi sono stanca di star seduta e se continuo così, so per certo che potrei impazzire. Questo per ovvi motivi, ma soprattutto per la situazione di cappa asfissiante che sento gravarmi sul petto.
«Matt, ti dispiace lasciarmi sola?». Mi decido ad aprire bocca tutto a un tratto.
“Non voglio vedere nessuno, tanto meno loro due. Matt… anzi no, non solo Matt. Perché gli uomini nella mia vita devono sempre rovinare tutto?”.
Penso amareggiata e rifletto sul fatto che nel corso della mia vita, i maggiori problemi li ho avuti a causa loro.
“Forse è un segno che dovrò prima o poi interpretare come una specie di dovere, verso me stessa, di dover allontanare loro e attrarre qualcun altro. Ma no, è come dire che siccome non trovo l’uomo giusto, mi faccio suora… no! Non è questo il metodo”.
Le mie riflessioni vengono all’improvviso interrotte dalla voce pacata e un po' roca del ragazzo che mi sta accanto.
«Va bene ma…». Sento un suono che non riesco a identificare ma immagino sia il campanello, qualcosa che funge da esso.
«Oh, il campanello. Cambio di programma. Se ti senti in grado scendi pure e raggiungimi in cucina».
«Matt, io non voglio vedere nessuno. Né mangiare, né niente. Solo restare sola». Mi volto verso la mia sinistra per nascondere la mia espressione che esprime tutto il mio odio e la disperazione del momento.
«No, Des». Mi sento dire con decisione, quasi fosse un ordine e in qualche modo lo è di certo. Il mio verso interrogativo e confuso lo esorta a spiegarsi, anche se non ce n’è davvero bisogno e il motivo è palese, e mi rincuora anche un po', facendomi lievemente tornare la voglia di alzare lo sguardo.
“Nonostante tutto però, non mi convincerai a seguirti”.
«Des, adesso vado ad aprire la porta e tu decidi cosa fare ma le opzioni comprendono mangiar qui sul letto o venire con me in cucina, chiaro?».
«Certo». Rispondo dispettosamente ironica.
“Matt… guarda che non sono scema. Ho capito. Ma non vuol dire che debba seguirti come un cagnolino ovunque tu vada”.
Questo esprimono i miei occhi davanti alla sua espressione decisa ma anche implorante, e lui fortunatamente mi presta attenzione, perché lo vedo rassegnarsi e girarsi verso la porta per andare ad aprire alla persona che è arrivata.
«Ascolta. Io sono di là… se ti viene voglia dopo cena ci facciamo anche qualche tiro, che ne dici?». Mi domanda sarcastico guardandomi in modo malandrino. A questa sua espressione così poco distaccata e professionale, sbuffo sonoramente girandomi scocciata dall’altra parte, più per non mostrare il sorriso che mi ha strappato, che per un reale motivo.
“Ma perché gli uomini devono essere tutti così mona?”.
Penso, sentendo nel frattempo un peso sullo stomaco che si alleggerisce.
Sento Matt scendere le scale e superare la porta di sotto di tutta fretta, al che mi vien da pensare che dietro il portone d’ingresso non ci sia uno che ama aspettare.
“Che gente che conosci Matt. Spero che tu non l’abbia anche invitato a restare. Allora no, che non uscirei da questa stanza. Fossi matta. Mi dovresti legare e imbavagliare a una sedia di sotto se volessi farmi stare con quello vicino”.
Tendo l’orecchio destro, quello più acuto, per captare la situazione e quando, dopo aver sentito la porta chiudersi, sento il silenzio totale capisco che la persona non è rimasta, così posso rilassarmi un po' e decidere seriamente se ho la forza di alzarmi dal letto oppure sono ancora troppo debole.
“Così debole da non poter nemmeno arrivare a un cazzo di tavolo? No, non ci sto”.
Cerco di muovermi in modo da scendere dal letto, ma di fatto, le mie membra sono scosse da brividi e fitte lancinanti a ogni mio movimento. Decido ugualmente di stringere i denti e penso che infondo non mi è successo niente di così grave, quindi con un ultimo sforzo e tanta volontà d’animo metto i piedi per terra e mi alzo. Soddisfatta di me stessa, mi dirigo anche io di sotto perché non ho mai amato farmi compatire o trattare da invalida.
«Oh… non me l’aspettavo, ben venuta nel paradiso terrestre degli investigatori infiltrati». Annuncia sorridendomi divertito e, sempre con quella espressione scanzonata in volto.
“So benissimo a cosa ti riferisci Matt, ma non potrei mai drogarmi. Idiota. Soprattutto nelle mie condizioni”.
Lo guardo con occhi che più torvi non potrebbero apparire e questo, per fortuna, lo porta a desistere.
«Va bene, va bene. Lo capsico se vuoi rimanere coi tuoi pensieri e non vuoi rilassarti un po' con me».
“Non capisco se sei stupido o lo fai apposta… Matt”.
La mia conseguente espressione lo deve aver divertito parecchio perché scoppia in una risata che mi appare sulle prime molto denigratoria, ma poi mi rilasso un po' pensando che infondo, se sono riuscita a inquadrarlo come si deve, è solamente divertito.
“E questo non può che farmi piacere. Mi è sempre piaciuto far ridere la gente, anche se avere un pubblico simile non è delle migliori prospettive”.
«Va bene. Ora mangiamo che se no il riso si fredda. Ah, Bellezza mangia piano e prima testa se te la senti oppure no, so benissimo come ci si sente dopo aver vomitato e di certo, mangiare non è il primo dei tuoi pensieri. Ho visto più volte Mello intestardirsi nel voler mangiare cioccolata e poi, puntualmente rimetteva anche il doppio di prima». Pensare alla scena appena descrittami mi fa tornare su quel senso di bruciore come stessi annegando, e mi porto una mano a coprire la gola, come questo gesto mi aiutasse a far passare la paura e il male.
«Oh, scusa. Forse non dovrei parlare di certe cose proprio mentre mangi. Va beh dai, ora mangiamo».
“Imbecille”.
«Imbecille». Lo fisso infuriata come una belva.
“L’hai fatto apposta, bastardo”.
«Beh, che ho detto?». Mi chiede in falsetto, al che gli ringhio addosso, per poi prendere con rabbia, ben trattenuta per non diventare un animale, la forchetta che ho alla destra del piatto e cominciare a inforcare il contenuto del mio piatto.
“Non mi posso nemmeno alzare e andarmene, sicuramente mi obbligherebbe con qualche sotterfugio mentale a restare qui per qualche motivo. Dio…”.
«Bellezza…». Alzo di scatto la testa, puntando gli occhi sui suoi, rivelando l’ira che mi acceca ma che si placa tutto a un tratto perché un pensiero mi attraversa fulmineo la mente.
“Devo trovare un modo per uscire di qui. Ma… a pensarci bene, se non mi ha nemmeno portata a un cavolo d’ospedale dopo una reazione simile, vuol dire che non mi farebbe uscire per nulla al mondo. Dio, ma perché devo essere così sfigata? Però, no. Questo non è il modo di ragionare e non mi farà arrivare a nulla. Calma Desdemona. Il mio nome ripetuto nei pensieri mi rilassa in momenti di panico. Allora, Desdemona. Ricapitoliamo… ho un mal di testa che non mi permette di pensare, prodotto dall’eccessiva fame che ho; sono in una gabbia di matti e anche ben architettata per non far né entrare né uscire nessuno… beh, direi che le premesse sono ottime…”.
Mi porto alla bocca una forchettata di riso per lasciar per un secondo fuori tutti i pensieri, per poi ripartire con un po' più di ordine e calma. La sensazione di appagamento momentanea che mi trasmette quel boccone però, mi fa passare totalmente la voglia di formulare qual si voglia piano ‘malefico’ di fuga.
“Sono troppo debole ancora, per pensare di poter fregare questa gente. Ho capito, me ne dovrò restar buona, intrappolata qui per un bel po'. Forse dovrò anche fare quello che mi ordineranno ma i miei pensieri nei loro confronti non cambieranno mai. Sempre dei ragazzi di cui non ci si può fidare resteranno per me”.
«Des, non hai appetito?».
«Eh? No, sì. Ce l’ho, ce l’ho eccome l’appetito. Se ben ricordi non ho mangiato niente e per giunta ho rimesso ciò che non c’era, cioè parte dell’abile». Sospiro sconsolata, al ricordo dei quattro giorni, antecedenti all’arrivo di Matt, passati a digiuno.
«Ah, bene bene. Sono contento. Comunque sì, mi ricordo eccome che eri abbastanza sciupata ieri, quando ti ho salvata». Il mio sguardo triste e inquisitorio lo porta a desistere per un attimo «E a... adesso che ci penso, c’è una domanda che mi ronza in testa da una settimana… ma tu hai mangiato in questi giorni?». Mi chiede con un tono più affermativo che interrogativo e mi colpisce la profondità della sua intonazione, mi fa capire che non gli fa per niente ridere il discorso.
“Potrei arrischiarmi a fargli qualche domanda sul motivo per cui mi ha seguita? Avanti… coraggio”.
«Senti Matt…».
«Sì? Dimmi». Sempre con tono serio e roco.
“Che bella voce… no… concentrati”.
«E-ehm… volevo chiederti… mi hai detto che mi seguivi da un po', giusto? E questo mi può far supporre che tu in qualche modo sia, come dire… interessato a me…» mi blocco per un secondo ricercando una vaga conferma involontaria nel suo sguardo, che non arriva «Ma perché mai mi trovo qui, qui dove voi avete la vostra base operativa e dove organizzate tutti i vostri piani e contro piani… non dovrei restare all’oscuro di tutto ciò e persino delle vostre identità, per… diciamo, non farvi correre rischi?».
“Se solo provassi a citare che sono più io a correre rischi, mi riderebbe in faccia. Tipo…”.
«Beh…».
“Oh no, questa pausa così lunga e il suo improvviso cambio di sguardo non mi piacciono per niente”.
«Ci sono delle cose che non sai. C’è un motivo, anzi più di uno per cui tu sei qui ma se c’è una cosa certa, è che tu sei qui proprio per essere al sicuro e non il contrario come tu pensi». Sussulto appena.
“L’ha capito, eh?!”.
«Detto questo… non so come continuare… ci vorrebbe Mello e il suo disinteresse verso i sentimenti altrui».
«Matt, se ti può servire fa finta di essere lui… ma dimmi subito quello che hai da dire».
Esclamo con tono autoritario.
“Forse se mi fingo dura e menefreghista, si deciderà a rivelarmi questi stupidi segreti. Diavolo, ho il diritto di conoscere il motivo per cui sono qui, o no?”.
«Non la penserai allo stesso modo quando ti avrò detto tutto».
«Ma intanto devi dirmelo, no?!».
«Non fa una piega…» sospira, e io mi sento sempre più in ansia «Comincio dall’inizio, così prendo coraggio anch’io». Ridacchia in modo nervoso passandosi una mano sui capelli ora più spettinati del solito, per tutto il trambusto dell’ultima ora.
«No!». Urlo, in un improvviso scatto d’ira che mi prende la mente e mi impedisce di trattenermi, ma accortami dell’esagerata reazione, mi correggo subito dopo.
«Ehm, cioè… prego, va avanti però non ti soffermare su dettagli inutili solo per prendere tempo… sarebbe vigliacco da parte tua». La voce mi si abbassa alla fine perché il pensiero di cosa dovrà dirmi, e di come potrei io prendere le sue parole, mi sento il magone riformarsi in gola e pesarmi sul cuore.
«Certo! Allora…» sospira un’ultima volta per trovare le parole «Prima di tutto sappi che i dettagli tecnici sulle motivazioni di ciò che sto per raccontarti, non posso rivelarteli per la tua stessa sicurezza. Comunque… Ecco, sarò breve. Un giorno la tua famiglia… la tua famiglia è stata rapita dalla mafia locale. Rapita, non uccisa e…». Sbianco e spalanco la bocca, sgomenta.
“Come? Non credo di aver compreso quello che mi stai dicendo…. Matt. Sei tu che sei uno scherzo della mia mente malata? O sono io che sono impazzita all’improvviso?”.
Il mio sguardo è sempre attento e fisso su di lui che continua a parlare ma in realtà non lo vedo affatto, anzi non vedo più niente e tra un po' temo che sverrò per l’ennesima volta in una settimana.
«Eh sì, il loro intento era quello di far fuori tutti, compresa te ma io e Mello siamo riusciti a salvarvi. Des, hai capito? I tuoi sono salvi e li abbiamo noi adesso. Non sono più in mano a quei bifolchi». Credo mi stia guardando sollevato da un peso, con la speranza di una mia comprensione nello sguardo ma dal canto mio, non riesco nemmeno a muovermi od a formulare un pensiero intelligente.
“Quindi… la mia famiglia è viva… ed è vicina…”. Inizio, senza un motivo apparente, a ridere. Rido, rido di gusto e la felicità che mi arriva dritta alla mente e al cuore, tutta in una volta, mi fa sentire e apparire pazza.
“Sì… sì. Ti prego, dimmi che non è un sogno Matt. E se lo è, prima svegliami e poi ammazzami”.
Perseguito a ridere e a sorridere così intensamente, che dopo neanche mezzo minuto sento i polmoni andare a fuoco ma non riesco a calmarmi, nonostante tutto.
“La mia famiglia…”.
«Matt, dimmi che sono pazza o che sto dormendo. Ti prego… oppure dammi una prova del fatto che sono ancora viva e in salute. Ti prego, dimmi che non è tutto uno scherzo, che è tutto vero e non un trucco per ottenere qualcosa da me, che poi cosa non lo so ma va bene lo stesso». E di nuovo rido senza freni, fino allo stremo delle energie e le lacrime scendono copiose, senza vergogna dai miei occhi, i quali non vedevano un raggio di felicità da mesi tra una delusione e l’altra. Non penso a niente ma non ho dubbi che in un momento come questo, non ce ne sia bisogno.
Poi, dopo un altro minuto di sproloqui e risate isteriche sento la sua voce parlare e ritorno lentamente alla realtà, dandomi un contegno con tanta, tanta fatica.
«Bellezza, sono contento che tu sia felice. Fin da quando ti ho trovata sul tetto, aspetto di poterti dire questa… piccola frase che racchiude qualcosa di immenso. Proprio non volevo farlo, perché… infondo sono un debole. Mello d’altronde me lo dice sempre».
«E con questo che vorresti dire? Hehe oh ti prego, bando alle ciance. Voglio vederli, ti prego ho il diritto di vederli. Dove si trovano? Sono vicini? Dimmi di sì…».
“Sono così agitata che potrebbe esplodermi il cuore da un momento all’altro”.
«Ci ho pensato parecchio in questi ultimi giorni. Ovviamente prima devo chiedere a Mello perché è lui a gestire le nostre azioni e… il nostro futuro in generale». Abbassa per una frazione di secondo il viso nel momento in cui l’ultima frase gli esce dalle labbra, come si vergognasse di una simile verità o come se non fosse affatto d’accordo su quel punto.
«Ma non dovrebbero esserci grandi problemi a farteli vedere. Ah, ti avverto… sicuramente Mello vorrà, come dire… averti nella sua rete di informatori e quant’altro. Noi in ogni caso ti vorremmo per la tua capacità di mantenere segreti. Capisci bene che una qualità del genere nel nostro campo sia molto più che ben accetta… Ma in ogni caso, dovrai essere tu a decidere se dare un tuo contributo alla nostra causa, o no».
“Improvvisamente, sento che il suo modo di parlare è cambiato rispetto al solito. È stato più professionale ma allo stesso tempo più freddo, come gli pesasse quello che ha dovuto dire e come se, appunto avesse dovuto dirlo per forza. Beh, ci penserò un’altra volta”.
«Oh… non credevo di essere degna di un tale incarico. Non mi ritengo per niente in grado di sostenere uno stile di vita simile. Capisci Matt?».
“Spero vivamente che davvero faccia ordine in quella testolina rossa, e possa comprendere quanto io non sia in grado d’aiutarli in alcun modo”.
«Ovvio, lo so Desdemona. Lo so benissimo questo ma mi sono impuntato di poter fare un tentativo nel darti la possibilità di… contribuire alla società e nel frattempo, la possibilità di rifarti una vita. Per esempio, se volessi pubblicare un romanzo… noi potremmo agevolare le cose in maniera sostanziosa». A queste rivelazioni rimango senza fiato e già mi raffiguro la vita perfetta che sempre mi sogno ad occhi aperti durante alcuni momenti morti della giornata. Questo però, non impedisce di rimanere fedele a me stessa.
«Scusa Matt, ma non vorrei mai uscire nelle librerie solo grazie ad una stupida e frivola raccomandazione».
«Non penso tu abbia bisogno, in ogni caso, di una raccomandazione». Il blocco emotivo che percepisco in questi momenti si fa sempre più acuto man mano che questo ragazzo dice qualcosa.
“Possibile che ogni cosa che dice sia una cosa sempre più positiva della precedente? Oddio, mi sento in iperventilazione”.
«S… stai dicendo che… ma non voglio, non voglio che per colpa di un mio capriccio qualcuno ci vada di mezzo». Ride.
“Cosa gli fa tanto ridere?”.
Mi chiedo confusa ma ancora non del tutto cosciente di ciò che ho intorno.
«Des, ovviamente farei in modo di accelerare i tempi e di permetterti di arrivare al tuo obiettivo senza dover sborsare un centesimo o al massimo potremmo sborsarli noi, che di certo ne vediamo molti più di te di soldi, questo intendo, tutto qui. Perché finora ci hai visti aggirarci in catapecchie da far spavento, è solo perché mrs. Mello ha deciso che bisogna risparmiare su tutto e spendere anche l’ira di dio, solo per quello che decide lui. Sinceramente a me, la maggior parte delle volte va più che bene perché non sono un grandissimo stratega e, comunque il problema è che non sono così ligio alla rigorosità come lui. Sono un tipo abbastanza alla mano quando posso essere me stesso».
“Questo ti fa onore Matt”.
«Il mio ragazzo…». Mi tappo la bocca metaforicamente prima di tradirmi e rivelare l’immensa scempiaggine del mio inconscio.
«Ho controllato, non hai un ragazzo». Mi punzecchia divertito.
“Che abbia capito che stavo per dire: ‘il mio ragazzo ideale’? No, impossibile”.
«E con questo? Cosa vorresti dire, Matty?». Lo prendo in giro, usando lo stesso nomignolo che ha usato Mello, il suo amico, parlando con me.
«Niente, niente. Però che diavolo… ti ha detto quel nomignolo? Che cane… me la pagherà. Comunque, intendevo solo che le mie ricerche non sbagliano mai e poi, non ti ho vista in ogni caso uscire con nessuno». Mi sorride sornione ma trattenendosi, come a intendere che non è possibile capire cosa stia pensando.
“Simpatico come un cactus negli occhi, eh Matt?”.
«Mi hai spiato il cellulare, eh?!».
«Eh ti ho spiato di persona». Emette una risatina sommessa, non vergognandosi affatto delle sue azioni e parole.
“Beh, in effetti non ha fatto niente di cui vergognarsi. Se mai dovrebbe pentirsi…. Ma non la ritengo una cosa poi tanto grave, visto il tipo”.
«Ma come siamo simpatici…». Lo rimbecco fingendomi arrabbiata, mentre dentro di me prego con tutta me stessa per non esplodere anch’io dal ridere, più per la comicità della situazione che per altro.
“Come ho fatto a non accorgermi mai di nulla? Sono proprio…. no. Matt mi ha espressamente urlato contro che non devo offendermi da sola. Ci pensano già gli altri…”.
«Beh, lo so. Comunque… tornando seri, sarei felice se ti unissi a noi, anche solo ogni tanto. Abbiamo bisogno di gente come te al seguito. Però… allo stesso tempo non insisterò un attimo di più… perché se decidessi così su due piedi per poi cambiare idea subito dopo… sarebbero cavoli amari. Mello non perdona i cambi di programma radicali e, quindi le conseguenze sarebbero abbastanza frustranti… per me ma anche per lui. È uno dei suoi tanti difetti, non riesce a rimangiarsi la parola, o a cambiare idea su qualcosa di importante e quindi si aspetta, anzi pretende che nemmeno gli altri intorno a lui lo facciano. Solo a me permette di essere quasi  totalmente libero. E per un motivo più che valido».
«A cosa ti riferisci? Se posso…».
«Ma sì, ti ricordi che stamattina ti ho raccontato della mia infanzia? Sono uscito dall’orfanotrofio prima del tempo, non perché mi andasse ma per cercare quel deficiente del mio amico. Se non fossi stato così caparbio da uscire dalla tediosa routine, lui non sarebbe più qui ora… intendo su questa terra. Mi deve la vita, quindi non farebbe mai niente che mi mettesse in serio pericolo. Semplicemente ogni tanto capitano situazioni in cui sono anch’io nei guai, per forze maggiori. Ma, quello che voglio dire è che l’esempio lampante di un cambio d’idea e di vita… sono io stesso. Sono al suo fianco, nonostante non avessi nessuna intenzione di diventare un investigatore. Quindi, prima ancora di rincontrarlo, non solo sono diventato un investigatore ma anche un infiltrato nella mafia, e tutto questo per non permettere che muoia» si avvicina al mio orecchio con una mano al lato della bocca come a volermi rivelare a bassa voce un segreto, che mi fa avvampare e ridere allo stesso tempo «Comunque, il motivo è anche che scopa da dio quando abbiamo un momento libero tra una corsa e l’altra». L’ultima frase mi provoca un’ilarità tale che fatico a trattenermi a stento.
“Mi sta venendo da ridere… però non è proprio il caso. In ogni caso, comincia a starmi proprio sulle balle questo Mello. Quando mai uno non può mai cambiare idea? La gente lo fa come bere acqua, e dovrebbe essere condannata per questo? Ma non farmi ridere”.
«Secondo me dovrebbe farsi un esame di coscienza».
«Oh, credimi che se ne fa… ogni tanto… ma poi si ricorda che è troppo sommerso dalle responsabilità per soffermarsi su quello che fa. Appunto, perché non sempre può evitare di compiere certe azioni, capisci bene che sia estremamente restio a tornare sui propri passi».
«Capisco, Matt. Mi spiace che abbiate passato avventure simili e impronunciabili. Al vostro posto non avrei mai accettato, non sono affatto determinata se è questo che volete sapere».
«Ah… ti prego, non mi parlare di determinazione. Mello quando è fuso mi fa una testa così con la determinazione, che sembra un vecchio di ottant’anni dopo quarant’anni di guerra... beh… non è molto lontano, solo che ne ha trenta di anni. È ancora un fottuto trent’enne, cosa che gli ribadisco ogni volta dopo la sua sfuriata, e quindi capisce che non c’è verso e si placa».
“Che forti che sono. Li vorrei come amici, anche se non mi fido ancora ciecamente. Però, è anche vero che sono nel loro covo, senza protezione ne niente, quindi peggio di così…”.
Penso sconsolata e sospiro. Mi domanda a cosa stia pensando ma non serve che gli riveli questo pensiero.
“O forse sarebbe determinante per capire le loro vere intenzioni? Proviamo”.
Vengo illuminata da un lampo di genio.
«Beh… pensavo che siete molti simpatici e, in più, siete delle fottute tartarughe ninja, perciò vi vorrei come amici. Il problema è che non riesco ancora a fidarmi delle vostre reali intenzioni».
“Omettendo la parte in cui mi auto do della prigioniera, potrei testare la sua reazione in maniera che possa in ogni caso andare a mio vantaggio”.
«Beh… beh… questa poi. Non ti facevo così risoluta, cioè… non credevo avresti avuto il coraggio di farmi un’osservazione simile».
“Bingo”.
«Perché, scusa? È lecito da parte mia dire quello che penso».
«Esatto, però come tu stessa hai detto stamattina, siamo dei mafiosi… io dopo che mi hai risposto in questo modo potrei decidere di farti fuori… senza problemi e insieme a tutta la tua famiglia». Parole tanto taglienti mi feriscono profondamente per il semplice suono di ognuna di esse ma mi faccio forza e non distolgo lo sguardo perché quel che vuole dire in realtà, è che non lo farebbe mai.
“È quello che volevo sentirmi dire, Matt. Ora forse posso provare a fidarmi un po' di più. Mai come fossi un normale ragazzo qualunque ma… diciamo che un po' di fiducia almeno tu, te la sei meritata. Del tuo amico non so se riuscirò mai ad avere meno che paura. Poi, con quei vestiti da tipico mafioso russo…. Senza offesa per i russi ovviamente…”. Rido brevemente.
«Senti, Matt. So che forse ti chiederò qualcosa di difficile, ma vedendo la mia famiglia potrebbero aiutarmi nella scelta, non trovi?».
«Ah… certo… beh, te l’ho detto. Il problema è che Lady Gaga deve darci il permesso perché è lui ad avere il controllo delle nostre azioni, presenti e future. Ma non penso ci saranno grossi problemi, visto che ritornerà tra un’ora più o meno. Ma se dirà di no, ti prego di non insistere. In ogni caso, tu rivedrai la tua famiglia… quindi, non ti devi preoccupare. Non ha fatto nemmeno storie perché non gli è andato giù il comportamento di chi li ha rapiti e, quindi farebbe di tutto anche lui per tenerti in vita».
«Ah… perfetto. Ma… posso sapere perché sono stati rapiti? Da quello che mi dici, sembra che sia io la causa delle loro disgrazie…».
“Eh, no. Questo no”.
«No Des. Comunque, adesso se vuoi aiutarmi… Devo seguire Mello nei suoi spostamenti col mio pc. Anzi, con uno dei tanti pc che abbiamo». Alza un indice ad accompagnare le sue parole.
“Questo vuol dire che… stronzo. Cos’è mi vuoi obbligare a diventare vostra complice, eh?”.
«Matt… ti prego. Non mi prendere in giro… prima voglio parlare con la mia famiglia». Lo guardo seria perché comprenda quello che sto pensando e che non voglio più essere presa in giro proprio da lui.
“Quando vorrò aiutarvi allora accetterò di sapere i vostri spostamenti. Volevi davvero farmi saper a tradimento quello che sta facendo Mello, così da rendermi vostra partecipe? O era solo per mettere alla prova la mia intelligenza? Beh, in ogni caso non mi è piaciuto”.
Continuo a squadrarlo, con un misto di indignazione e risolutezza che vuole trasmettere la poca pazienza che ho per i giochetti.
“Non ho intenzione di farmi psicanalizzare”.
«Ti chiedo scusa, volevo testare quanto fossero attivi i tuoi riflessi cognitivi».
«Tsk!» sbuffo indignata, per poi voltarmi verso la porta d’entrata «Comunque, il punto è che per ora non posso proprio fare niente per voi. Prima devo vedere la mia famiglia». Ribadisco imperterrita ma molto meno scocciata di prima.
«Va bene, se mi vuoi sai dove trovarmi».
“Questa frase… con quel tono… ci stai forse provando con me, Matt?”.
Mi volto a guardarlo, indispettita e il sorriso che vedo, unito al modo sinuoso di muoversi, mi tolgono ogni dubbio.
“Non penso proprio che sia il modo adatto per conquistarmi… attirare la mia attenzione sì… ovvio, ma non mi conquisterai tanto facilmente”.
In risposta, mi giro nuovamente sulla sedia, portando lo sguardo al muro con fare disinvolto e disinteressato, perché mai e poi mai succederà che concederò qualcosa a qualcuno per il puro gusto di togliermi uno sfizio.
“Mai!”.
 
Le lancette di un orologio che in questa casa non c’è, mi fanno sentire il tempo che scorre lento, e mi attanagliano la mente come degli artigli aguzzi che stringono sulla preda. Mi sento opprimere dal nulla, perché non so cosa fare e i pensieri continuano a vorticarmi in testa.
“Per lo meno, una nota positiva in tutto questo… c’è. La voglia di vivere mi è tornata più di prima. Forse questo lo dirò a Matt. E poi, la mia famiglia è viva. È viva… non ci credo”.
«Non ci credo». Esclamo ad alta voce senza nessuno che possa rispondere, con gli occhi lucidi e un magone di felicità, di cui finalmente non mi devo preoccupare. Sto per piangere ma un pensiero tanto inappropriato quanto insolito per me, mi attraversa veloce.
“Chissà che starà facendo Matt. Uff. La curiosità mi sta uccidendo. Ma non posso andare da lui così. Poi, chissà cosa gli verrebbe in mente. Meglio non pensarci, va… Però, riflettendo… se andassi lì solo per chiedere delle banali informazioni… non farei un delitto, giusto?!”.
«Avere un cellulare… Non dovrei nemmeno andar lì». Sbuffo annoiata.
«Matt». Dopo aver aperto la porta che dà sulle scale urlo il suo nome per farmi sentire ma rammento che anche la porta della sua stanza è insonorizzata e quindi mi costringo a muovere dei passi strascicati per arrivare fino alla sua camera.
“Se sento qualcosa che non devo, lo ammazzo”.
Apro appena la porta e per precauzione lo chiamo a voce un po' più alta del normale, così da coprire eventuali rivelazioni inopportune.
«Matt, posso?». Vedo che ha le cuffie sulle orecchie.
“Questo vuol dire che, in ogni caso non potrei sentire niente e allora a cosa è servito trasferirsi in questa stanza? Bah, la paranoia a volte gioca bruisti scherzi… io personalmente lo so bene, più che bene anzi”.
Siccome, come immaginavo non mi ha sentito, mi dirigo verso il letto e gli agito la mano destra davanti agli occhi, al che si desta e ha un leggero sussulto, una reazione al pericolo imminente.
“Beh, in effetti se non mi facessero più rivedere la mia famiglia diventerei un pericolo… sì”.
«Matt, non avevi detto che Mello doveva tornare a momenti? Ah, comunque volevo chiederti dove posso dormire. Sono molto stanca, ho un mal di testa terribile e non ce la faccio più a stare in piedi. So che è da deboli lamentarsi e bla, bla, bla ma questa settimana per me… è stata dura. Beh, forse tu lo sai tanto quanto me. Quindi, che te lo dico a fare». Gli spiego, fiduciosa che abbia un po' di tatto e che mi accontenti pur non credendomi, difatti gli si increspa lo sguardo per una frazione di secondo ma poi sparisce tutto, e torna nuovamente la solita maschera di spensieratezza.
«Bellezza, mi sa proprio che non ci avevo pensato. E Mello era troppo occupato, oppure ha voluto mettermi in difficoltà per i suoi motivi e quindi non mi ha fatto presente di un fattore… tanto importante».
“Come?”.
«Scusa? Ma… quindi dove dormo? So che non essendo in casa mia non dovrei avanzare pretese… ma cerca di capire. Non sono nemmeno tanto in forze…».
«Direi, proprio per niente». Si tiene il mento, con fare pensoso.
“Mi chiedo se sia davvero il genio che sembra oppure se sia solo frutto della mia immaginazione”.
«Perché non dormi qui per oggi? Io Potrei andare a dormire da una mia amica e Mello dormirebbe di sotto sul divano».
“Come? Do… dovrei dormire da sola con quello in casa? E Matt… dovrei mandare via Matt dal suo letto? No, non se ne parla neanche. Ho ancora una morale, che diavolo”.
«No, Matt. Non se ne parla neanche. Io andrò a dormire sul divano. Non è mica la prima volta che mi trovo a dover dormire sul divano, sai?! Cosa vuoi che sia per una notte. Ah, a proposito quando vi svegliate voi. Immagino molto presto».
«Non sai quanto… più volte non dormo per giorni interi, però sai, prima o poi ti ci abitui e la mente, soprattutto la nostra, è infinitamente piena di risorse». Schiocca un occhiolino nella mia direzione che mi fa sorridere ma quello che ha detto mi toglie all’istante il sorriso, rendendomi triste e nuovamente depressa.
“Certe cose non dovrebbe più accadere. Eppure, sembra che il male debba incrementarsi sempre di più nel tempo. Con l’avanzare della tecnologia, con la disinformazione, le nuove armi, i nuovi metodi dei criminali nel web profondo… tutto troppo per due persone. No?!”.
«Certo… però ci saranno dei giorni morti, no?!».
“Spero vivamente, per loro, che la risposta sia sì”.
«Non molti Bellezza. Comunque, adesso che mi viene in mente, c’è un materasso ad aria nell’armadio di questa stanza. Il problema è Mello, però dall’alto della sua genialità forse avrà trovato un modo. Non penso che la sua soluzione sia mandarti a dormire fuori in strada». Deglutisco al solo pensiero perché quello, più che sicuro, ne sarebbe capace.
«Ma dai, Des. Gli ho detto che non ti faccia niente e quindi mi sembrava ovvio che la mia fosse una battuta». Ride di gusto.
“Beh… almeno lui ha un motivo per ridere, siamo a cavallo”.
 
Dopo la nostra conversazione decidiamo di aspettare il ragazzo biondo, vestito di pelle nera e con il rosario rosso al collo per chiedergli cosa vuole fare, solo che di lui non c’è traccia. Non accenna ad arrivare, nonostante abbia promesso di tornare per le ore dieci. Verso le undici comincio a preoccuparmi io al posto di Matt, il quale evidentemente è abituato a ritardi del genere. A mezza notte e qualche minuto, che sono ancora seduta sul letto ad aspettare in compagnia solamente dei miei pensieri, visto che Matt ha rimesso le cuffie sulle orecchie; mi distendo a pancia in giù e appoggio la guancia sul cuscino, giusto per riposare gli occhi e il corpo, con la faccia rivolta verso Matt, il quale seduto sull’altro letto non si accorge di nulla perché è in contemplazione dello schermo, in cerca di chissà cosa. Dopo due minuti, pensare che sono un’incosciente e addormentarmi, diventano una cosa unica, quindi sprofondo nel buio lasciandomi cullare da delle braccia invisibili e impercettibili ma calde e rassicuranti.
   
 
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