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Autore: Elis9800    16/01/2019    5 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VI

Fissione






 
“Voi due… vi conoscete?”
 
Lo squillante tono stupito di Bokuto ruppe quel silenzio carico di mille variegate sfaccettature, insinuatosi non appena Kageyama si era risollevato dal pavimento e aveva iniziato a fissare il volto di Shoyo come se si trattasse di un alieno piombato da chissà qualche galassia sconosciuta, la gola arida e la lingua completamente incollata al palato.
 
“Emh, ecco… sì. Gli ho ingessato il braccio qualche settimana fa” mugugnò Hinata con lieve imbarazzo, grattandosi la nuca e occhieggiando l’arto bendato di Kageyama come a valorizzare la propria tesi.
 
La voce sottile del medico causò il riassemblamento delle sinapsi apparentemente scollegate di Tobio.
 
Sfoderando la miglior espressione d’alterigia che potesse pescare, sbottò un “Conoscersi non è proprio l’espressione più adeguata”, scagliando poi un’occhiata di sufficienza al rosso dinanzi a sé, che alzò repentinamente le iridi sul suo volto.
 
“In effetti è meglio dire che i nostri siano stati incontri assolutamente casuali” ribatté per le rime Shoyo, il cui pizzico non velato di stizza sembrò esser colto dal corvino, che sbatté le palpebre più volte per metabolizzare il concetto.
 
Se Kenma e Kuroo erano impegnati a studiare la scenetta con particolare attenzione, lo stesso non poté dirsi di Bokuto che, con la solita espressione bonaria, scoccò al legale un largo sorriso.
“Che coincidenza! Le nostre uscite sembrano esser sempre un luogo di ritrovo, non è vero Akaashi?” chiese allegramente al compagno, appena giunto accanto al gruppetto e in procinto di assimilare celermente le informazioni perdute.
 
In quel momento, tuttavia, Tobio sembrava non prestare eccessiva attenzione allo svolgimento dell’azione che lo circondava.
Nonostante ostentasse una facciata d’altezzosità, v’era una domanda che gli bruciava impellente in testa e che stava causando lo sbobinamento di pellicole di ricordi ben conservate dentro ai suoi scompartimenti mentali.
 
Insomma, Akaashi gli aveva riferito del suo amico al Karasuno Hospital, ma aveva solo menzionato il tizio che lavorava nell’ambito amministrativo.
Il medico non poteva dunque essere un intimo conoscente dell’aspirante magistrato.
Allora…
 
“Perché non spieghi a Kageyama com’è che avete stretto amicizia?”
 
Tobio non sapeva se Keiji possedesse l’arte della telepatia o lo leggesse semplicemente come un libro aperto, ma gli fu comunque estremamente riconoscente d’avergli evitato quello scomodo quesito.
Mentre gli scoccava un’occhiata, però, si chiese intimamente quale ragione potesse mai esservi dietro al minuscolo, eppur visibile, luccichio che colse negli occhi cobalto del maggiore mentre terminava di pronunziare quelle parole.
 
Che Akaashi stesse intuendo qualcosa a lui precluso?
 
Bokuto, come prevedibile, si gasò in pochi istanti alla possibilità d’esplicare qualcosa di cui solo lui potesse mostrarsi portavoce.
 
“Certo! Il piccoletto qui presente” e assestò una sonora pacca sull’esile spalla di Shoyo, che fu interamente scosso dalla potente vibrazione, “è un grande amico di Kenma” continuò allegro, indicando il ragazzo con il telefono perennemente stretto fra le dita sottili e appoggiato con la schiena al torace di Kuroo.
“Si conoscono fin dal liceo! Un’amicizia quasi equiparabile alla mia e del mio bro…”
“Bokuto, vai al succo” lo interruppe subito Keiji, troncando sul nascere qualunque sproloquio sarebbe sicuramente fuoriuscito dalla bocca di Koutaro e da quella del felino accanto a lui, già pronto a ribattere tempestivamente a tal dichiarazione d’eterno affetto.
“Akaashi-kun è un guastafeste” esalò con tono mortalmente offeso Tetsuro, stringendo le braccia con aria innocente attorno alla vita di Kenma, il quale sembrava totalmente intento a giocherellare con il proprio Smartphone.   
Keiji roteò gli occhi, ma non si curò di ribattere.
“Stavo dicendo… ah, sì! Conoscendo Kenma, è stato inevitabile che Shoyo arrivasse a incontrare Kuroo, considerando che quei due sono sempre appiccicati” evidenziò Bokuto con un occhiolino e Tetsuro gli rispose con un sorrisetto sornione mentre si congiungeva maggiormente con il corpicino di Kozume, che alzò solo allora gli occhi dorati sul volto affilato dell’altro per capire cosa stesse accadendo.
“E iniziando a frequentare Kuroo, non ha potuto non conoscere il sottoscritto” proclamò infine con tono trionfante, indicandosi con i pollici con aria estremamente vittoriosa.
 
“Il tutto suona piuttosto familiare, non trovate?”
 
La voce festaiola che s’inserì senza preavviso nella conversazione fece rizzare i peli sulle braccia di Tobio.
Agganciò gli implacabili occhi blu alla figura slanciata avvicinatasi nuovamente al gruppo e, notò con malcelata avversione, accostatasi fin troppo in prossimità del piccolo rosso, le cui iridi nocciola guizzarono proprio in direzione del nuovo arrivato.
 
“Non è così, Sho?” domandò ancora ammiccante, umettandosi le labbra e lasciando così trasparire la sferetta nera che gli svettava orgogliosamente sulla lingua.
 
Assolutamente disgustosa per un uomo di quell’età, pensò il corvino con espressione nauseata…
Sebbene non fosse soltanto quella riflessione, l’unica che occupasse i suoi processi cognitivi.  
 
Perché quel tizio ossigenato dall’insopportabile ghigno stampato in faccia aveva affermato che quella situazione sembrasse familiare?
Perché era ostinatamente appiccicato al suo medico?
Quei due erano davvero stati insieme?
E se anche fosse stato, perché diavolo ciò avrebbe dovuto provocargli talmente tanto fastidio?
 
“Perché, voi due com’è che vi conoscete?”
 
La bocca di Tobio si era mossa come dotata di volontà autonoma.
 
Fu, forse, una delle poche volte nella sua vita in cui non si curò minimamente di mantenere la caratteristica facciata di ostentata indifferenza.
Fu, forse, una delle rare occasioni in cui il desiderio d’entrare più in contatto con un’altra esistenza umana si palesasse in tutta la sua irruenza, ignorando la consueta nulla considerazione per vite al di fuori della propria.
Fu cieco persino agli occhi lievemente stupiti di Akaashi, che lo guardavano di sottecchi, e a quelli assottigliati di Kuroo e Kenma, che parevano analizzarlo con dovizia da sotto le rispettive frange.
L’unico elemento su cui le iridi blu si focalizzarono pienamente fu il volto stupito del rosso che lo guardava, la bocca schiusa e gli occhi colmi di… vita.
 
Sì, avrebbe potuto descriverli solo come traboccanti di una vitalità… a lui estranea.
 
Fissò quel volto delicato per un tempo indefinito.
 
Forse si trattava di mera immaginazione, ma l’espressione assunta da Hinata, l’intensità con cui avevano iniziato a studiarlo le sue iridi nocciola…
 
Possibile che quel medico avesse inteso che, quell’apparente semplice frase proferita con astio, costituisse uno sbilanciamento inaudito per lui?
Un oltrepassare un confine intaccato?
 
Davvero due esseri umani avrebbero mai potuto comprendersi con un unico, singolo sguardo?
 
Non furono tuttavia le labbra a cuoricino del piccolo rosso a emettere il suono che Tobio avrebbe, inconsciamente, desiderato udire.
 
“E perché mai t’interesserebbe? Tu chi saresti?”
 
Una scarica elettrica gli attraversò di netto la spina dorsale.
 
Assorto nella contemplazione degli scintillanti occhi del medico, non si era reso conto che la testa bionda di quel tizio si era voltata a guardarlo con un sorrisetto irridente inciso sulle guance.
Lo squadrava con aperta strafottenza, un sopracciglio inarcato a palesare lo scetticismo per una richiesta del genere.
 
E in effetti…
Chi era lui per pretendere un’informazione del genere?
 
In pochi millisecondi Kageyama si sentì colpito e affondato.
 
Percepì le orecchie accaldarsi e pregò intensamente qualunque divinità esistente che il rossore non lo tradisse proprio dinanzi a tutta quella gente che pareva aver improvvisamente deciso di puntare gli occhi su di lui, proprio per coglierlo nel mezzo del suo imbarazzo, pronti a rilevare quel madornale e imperdonabile errore.
Sentì il battito cardiaco accelerare.
Il nervosismo d’esser colto in fallo, di perdere nuovamente le redini della razionalità…
 
Si accorse solo dopo qualche lunghissimo ed estenuate istante che il biondo ossigenato era scoppiato in una fastidiosa risata burlesca e lo stava scrutando con occhi ambigui.
 
“Beh, amico, chiunque tu sia è il tuo giorno fortunato! Ho deciso d’accontentarti” proruppe con tono condiscendente, come se si stesse rivolgendo a un bimbetto capriccioso.
 
Se prima il corpo di Tobio si era irrigidito dalla tensione, in quel momento divenne un vero e proprio fascio di nervi.
 
Come osava quella mezza cartuccia apostrofarlo a tal modo?
Chi si credeva di essere per ridicolizzarlo?!
 
Quasi fumando di rabbia, specchiò le proprie iridi contro quelle castane dell’uomo, pronto a mangiarselo in un sol boccone…
E, inaspettatamente, fu colto da un nauseante senso di disagio.
 
Quello sguardo… quello sguardo bonariamente ammiccante…
 
Che avesse colto qualcuna delle innumerevoli sensazioni che si agitavano impazzite nella sua mente?
Se così era, non ebbe modo di comprenderlo ulteriormente.
 
“Ci siamo conosciuti proprio tramite Bokuto” iniziò Terushima, indicando con un cenno del capo il ragazzo alle proprie spalle che sorrise soddisfatto del proprio imprescindibile operato.
“Io e Bo abbiamo frequentato la stessa facoltà per un po’ e capitava che uscissimo piuttosto spesso insieme a Kuroo… e proprio in una di queste occasioni ho conosciuto Sho” confessò con tono esageratamente sognante, rifilando un sorrisetto ammiccante a Hinata, che però distolse lo sguardo.
 
Tobio non si fece sfuggire quell’esiguo apparente dettaglio.
Che il medico fosse… un po’ contrariato?
 
“Sai, non era la prima volta che lo vedevo. Quando ero al liceo avevo assistito alle sue performance. Sono sempre stato un appassionato di sport, quindi non potevo non perdermi il piccolo saltatore dalle mille prodezze. Sai che Shoyo è stato un campione di salto in alto, no?”
 
La sua era una domanda retorica, ma Tobio non seppe identificare se contenesse sarcasmo o meno.
Che volesse testare il livello d’intimità fra lui e Hinata?
 
Nonostante la possibile provocazione, i suoi occhi si spostarono sul viso del medico, le cui guance erano lievemente arrossate e un borbottio somigliante a un “Piantala, Teru” stava fuoriuscendo dalle labbra ben disegnate.
 
Chissà perché, eppure l’immagine di quello scricciolo che sfidava un ostacolo improponibile… non era così assurda come avrebbe previsto.
Fu anche abbastanza semplice figurarsi l’aspetto del suo medico in età adolescenziale.
Forse ancor più minuto, magari con qualche accenno d’imperfezione sul viso…
 
Gli occhi, però, ricolmi della medesima energia che lo abbagliava nel presente.
 
Digrignò i denti fino a farli stridere fra loro.
Si stava perdendo in futilità, come sempre.
 
“Non riuscivo a crederci! Non potevo farmi scappare l’occasione di conoscere meglio l’artefice di quelle millanterie che avevo ammirato per anni. Così ho cercato in tutti i modi di conquistarlo”
I suoi occhi furbi si posarono sul volto ancora un po’ imporporato di Hinata, prima di sibilare con un occhiolino “E alla fine ci sono riuscito”.
 
Tobio non capì esattamente come fosse possibile, eppure percepì nitidamente le proprie viscere attorcigliarsi in una morsa inscindibile.
Non sapeva nemmeno cosa ritenesse più insopportabile, se il tono lascivo con cui quel tizio si fosse rivolto al suo medico, l’idea che quei due fossero stati assieme o il modo in cui il piccolo rosso fissasse imbarazzato il pavimento, morsicandosi le labbra.
 
“Suvvia gentil signori, basta rivangare il passato”
L’intervento di Kuroo fece distogliere per un momento l’attenzione di Kageyama dal viso di Terushima, distraendolo dalle bizzarre manie omicide che si erano insinuate tra i propri pensieri.
 
“C’è un’intera festa con quintali di cibo che ci aspetta” aggiunse con il solito ghignetto affabile eppure, chissà per quale stravagante motivazione, sembrava che si stesse riferendo quasi esclusivamente a Tobio.
Prima che il legale potesse aprir bocca, Akaashi gli scoccò due gentili colpetti sulla schiena e lo invitò ad addentrarsi tra la folla per raggiungere il piano bar, ponendo così le distanze da Tetsuro e gli altri.
 
Forzandosi a voltare la testa e a smettere di scrutare in giro per scorgere la peculiare chioma rossa, seguì Keiji fino al colorato bancone pregno d’alcolici e strampalate bottiglie, davanti il quale si fermarono per due bicchieri di birra.
Tobio teneva le iridi fisse sul liquido ambrato che andava riempiendo il vetro affusolato, finché le parole di Akaashi non lo colsero di sorpresa.
 
“Non ti piace Terushima, vero?”
 
Le spalle del corvino guizzarono in un lieve sussulto e le dita si strinsero involontariamente attorno alla base del boccale.
Tutti segnali che furono colti con attenzione dagli occhi cobalto di Keiji.
 
“N-non posso dire che non mi piace se non lo conosco…” tentò di tergiversare, squadrandosi le mani.
“Eppure, dal tuo atteggiamento di poco fa, si direbbe proprio il contrario”
 
La voce di Akaashi era calma come sempre, cionondimeno una nota divertita faceva capolino con discrezione.  
Gli occhi di Tobio schizzarono repentinamente verso il viso del maggiore, le punte delle orecchie arrossitesi contro la propria volontà.
Cercò di mettere assieme una frase che potesse confutare quell’infantile teoria, ma nulla al di fuori di qualche verso strozzato fuoriuscì dalla sua bocca.
 
Keiji ridacchiò sommessamene, in maniera del tutto bonaria.
 
Non era nuovo alla totale incapacità di mentire di Tobio.
Tuttavia, qualcosa nel suo comportamento stonava visibilmente con il Kageyama che era abituato a conoscere.  
Approfittò pertanto d’averlo colto in fallo per, magari un po’ sadicamente, affondare lievemente il dito nella piaga.
In fondo, era davvero curioso.
 
“Dunque… il famoso medico di cui mi hai parlato tempo fa è Hinata”
 
Le orecchie di Tobio rizzarono immediatamente all’udire quel nome.
 
Si mordicchiò il labbro inferiore, conscio di non poter sfuggire al quesito del ragazzo.
 
“Sì, esatto” borbottò lapidario, premurandosi poi di tapparsi la bocca con un lungo sorso di birra.
“Posso capire perché tu l’abbia ritenuto un po’ eccentrico” ribatté Keiji, che ricordava alla perfezione le parole spese da Kageyama nei confronti di Hinata.
Si perse per qualche istante a rimescolare il contenuto del bicchiere di vetro, soppesandone il contenuto con aria pensierosa.
“Ti assicuro, però, che si tratta di una persona eccezionale” aggiunse infine, sollevando lentamente gli occhi e puntandoli sul legale con intensità magnetica, nonostante Tobio evitasse prepotentemente il suo sguardo.
 
Eccezionale?
 
“Ridicola, semmai” sputò il legale con fin troppa acidità…
Che, in realtà, non avrebbe avuto motivo di esistere.
 
Ammettere l’eccezionalità di quel rosso avrebbe significato lo sconquassarsi di ogni suo ragionamento.
Non vi erano eccezioni alla regola.
Non esistevano individui verso cui avrebbe mai riversato deboli sentimenti da pappamolle.
 
Akaashi non si disturbò a rispondere.
Si limitò semplicemente a guardarlo, studiandone con estrema minuzia la severità della mascella, la lieve ruga che gli corrugava la fronte e gli occhi…
 
Percependo la nuca bruciare per la persistenza dello sguardo di Keiji, Tobio fu infine costretto a ricambiare l’occhiata.
 
Le iridi cobalto di Akaashi lo trapassarono come un’acuminata lama.
 
Si sentì istantaneamente a disagio, quasi in soggezione.
 
Perché lo stava fissando così?
Cosa voleva esprimere quell’espressione fin troppo penetrante?
Sembrava che Keiji intendesse scavare con gli occhi in fondo alla sua anima.
Ma cosa avrebbe preteso di trovare?
 
Deglutendo forzatamente, il cuore di Tobio accelerò i propri battiti per appena qualche istante, bensì sufficienti affinché le proprie sinapsi producessero un’ostica realizzazione.
 
Menzogna.
Ecco a cosa mirava, Akaashi.
 
Un brivido gli percorse celermente la spina dorsale.
 
Stava, a dir poco palesemente, mentendo a se stesso.
 
Con una scusa appena mormorata, s’affrettò a porre quanta più distanza possibile tra sé e l’aspirante magistrato.
 
Avvertiva un nodo attorcigliarsi alla sua gola come un roveto affilato, avviluppandolo tanto da impedirgli di respirare. 
 
Era tutto così fottutamente assurdo.
 
Perché la propria percezione della festa era tutto d’un tratto mutata non appena giunto quel piccolo medico?
Perché si sentiva inquieto, incapace di star fermo?
Perché gli tremavano leggermente le mani?
Perché sentiva l’esigenza di rintracciare quella testa rossa fra la calca?
Perché la sua presenza non lo infastidiva, ma anzi… lo rendeva trepidante?
Cosa adduceva quello scricciolo nella sua mente perfettamente ordinata e priva della benché minima traccia d’anarchia?
 
 
“Come te la passi, Sho?”
 
Eccola, quella voce ghignante.
Poté udirla nitidamente, nonostante il chiacchiericcio persistente all’interno dell’affollato ambiente.
 
Sollevando la testa dalla propria postazione, tentò di sfruttare la propria altezza per individuare il biondo ossigenato, scorgendolo infine con il gomito mollemente appoggiato al pilastro bianco del gazebo e lo sguardo rivolto verso il viso del piccolo rosso…
A una distanza fin troppo ravvicinata. 
 
Ignorando il sentore di malessere generatogli nelle viscere e la bislacca voglia d’afferrare la faccia di quell’individuo e calciarla il più distante possibile, si mosse cautamente verso l’angolo in cui quei due parevano star discutendo.
 
 “Tutto bene, non ho così grandi novità”
 
A circa dieci metri dalla posizione del medico, un campanello d’allarme rimbombò nella mente di Tobio.
 
Riuscì nitidamente a cogliere nella sua voce qualcosa di… strano.
In tutte le conversazioni che avevano intrattenuto, persino in quelle telematiche maledizione!, il tono del rosso era sempre stato schifosamente pimpante.
Vispo, allegro, frizzante.
Insomma, avrebbe potuto definirlo con una gamma innumerevole di lemmi.
Se, invece, avesse riflettuto sugli aggettivi meno appropriati che avrebbero mai potuto, o dovuto, venarne la melodia…
Flebile, sommesso, pacato.
 
Quel medico, incarnazione vivente dell’iperattività…
Perché appariva talmente tranquillo in quel frangente?
 
“Mi meraviglio di te, di solito ami raccontare la tua vita”
 
La risposta di Terushima era scherzosa, eppure Hinata apparve ugualmente a disagio.
Yuuji l’aveva praticamente rapito mentre stava chiacchierando allegramente con Kenma dinanzi al tavolo del buffet.
Sebbene non si vedessero da un bel po’ di tempo e non gli dispiacesse del tutto parlare con lui…
Conversare con il proprio ex gli provocava sempre un po’ d’agitazione.
Eppure, nonostante ciò, non riusciva mai a rifiutare di netto le sue richieste.
 
Essendo una totale frana a mentire, Terushima non impiegò più di qualche secondo per leggere le emozioni contrastanti che apparvero sul volto fanciullesco di Shoyo. 
 
“Di solito amavi raccontarla a me” precisò con un sorrisetto difficilmente fraintendibile.
 
Gli occhi nocciola di Hinata si allargarono e una nuova ondata d’imbarazzo lo travolse, imporporandogli le guance.
 
“T-teru…” balbettò sommessamente, mordicchiandosi il labbro inferiore e tentando d’ignorare lo sguardo penetrante di Yuuji.
 
Detestava ammetterlo, ma era assolutamente incapace di prendere decisioni con il pugno di ferro che non riguardassero strettamente il suo ambito professionale.
 
La vigorosa risolutezza nel perseguire obiettivi quasi inimmaginabili pareva letteralmente dissolversi non appena si trattava di fronteggiare una persona in carne e ossa, totalmente vinta dalla sua anima gentile ma ingenua.
Dinanzi a un comportamento persuasivo si lasciava spesso convincere, immischiandosi in situazioni non sempre encomiabili.
 
“Sai... mi sei mancato”
 
Il calore delle guance di Shoyo arrivò probabilmente alla temperatura d’ebollizione.
Non ebbe nemmeno la necessità di alzare le palpebre per percepire la vicinanza del viso di Yuuji a pochi centimetri dal suo.
 
Affondò i canini sul labbro inferiore, tentando di ripristinare un minimo di calma.
 
Yuuji sapeva bene che Shoyo fosse abbastanza semplice da incitare e non perdeva mai occasione per tentare un approccio diretto.
Vero era che in passato, nonostante non stessero più insieme, Hinata aveva ceduto alle proposte di un “ritorno di fiamma”, come l’aveva denominato Terushima, e i due erano finiti a letto più volte di quel che fosse accettabile.
Però, adesso era diverso.
 
Munendosi di coraggio, puntò le iridi verso l’uomo dinanzi a sé, che sembrava scrutarlo con vivo interesse.
 
“E’ passato un po’ di tempo, è vero. Però…”
 
Si forzò a essere diretto, a essere duro.
Gli occhi di Yuuji, però, erano così ardenti…
 
“Non ho sentito così tanto la tua mancanza” sussurrò infine, abbassando la testa.
Ciuffi di capelli rossi gli ricaddero sulla fronte pallida.
 
Maledizione.
 
Strinse i pugni fino ad affondare le unghie sui palmi.
 
Perché non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia?
Perché non riusciva mai a essere sicuro come avrebbe desiderato?
Si sentiva così… così…
 
“Così mi ferisci, Sho” esalò con tono mortalmente ferito Yuuji ma, riprendendosi in un millisecondo, avvicinò la mano fino a sfiorargli la guancia accaldata, riportandone il viso verso l’alto.
“Però… se lo pensi davvero, perché non me lo dici guardandomi negli occhi?”
 
Debole.
Ecco cos’era.
 
 
“Mi sembra di comprendere che Hinata non gradisca la sua presenza”
 
Una voce tagliente sferzò improvvisamente i suoi processi cognitivi, provocando lo scatto involontario del suo volto.
 
“Sei di nuovo tu, amico? Che posso fare per te?”
 
Il tono di Terushima era palesemente infastidito.
 
Guardava l’uomo dagli occhi blu dinanzi a sé come se si trattasse di una piccola seccatura di cui sbarazzarsi alla svelta, per poi tornare con tranquillità alle proprie occupazioni.
Come convincere il suo ex ad andare a letto con lui, ad esempio.
 
Da aguzza, l’espressione di Tobio si tramutò in artica.
 
“La prego di rivolgersi a me come meglio si confà a un uomo della sua età. Non credo che lei sia più un ragazzino, signore” ribatté con tono glaciale.
 
Il biondo rimase interdetto per qualche attimo.
Un lieve segno d’insicurezza precedette lo sfoggio di una smorfia minacciosa.
 
“Ehi, come ti permett…”
 
“Inoltre gradirei l’uso del lei, considerando che io non la conosco e mai vorrei approfondire la sua conoscenza”
 
Poco importava che mezzora prima avessero intrattenuto una spiacevole conversazione, più dettata dal bisogno impellente di Tobio di carpire il passato di quei due che condotta da raziocinio.
Non avrebbe mai più rivolto la parola a quella specie d’individuo.
 
Yuuji sembrava sinceramente piazzato.
E forse, per la prima volta da anni, letteralmente a corto di parole.
 
“Dunque, glielo ripeto. Il dottor Hinata non gradisce la sua presenza, ergo, se non vuole che la situazioni si complichi, le chiedo di non avvicinarsi più a lui”
 
Nonostante l’oggetto delle proprie sentenze si trovasse esattamente a pochi passi da lui, la sua attenzione era tutta per quel tizio ossigenato dalla disgustosa sferetta nera sulla lingua.
E dire che quell’idiota di medico aveva anche osato venir a contatto con quella cosa riprovevole…
 
Non poté quindi scorgere l’espressione di puro stupore che era apparsa sul viso di Shoyo, occhi spalancati e labbra socchiuse.
 
Quello lì… era davvero Kageyama?
Lo scontroso e intrattabile avvocato che più volte lo aveva denigrato e trattato con irriverenza… lo stava difendendo?
 
Avrebbe potuto ipotizzare che si trattasse di un‘abitudine del mestiere se non avesse saputo quanto indifferente fosse quell’uomo alle cause da lui trattate.
Rimaneva dunque aperta la domanda.
Perché stava agendo in maniera così discordante dalla sua personalità?
 
Malgrado tutti i quesiti che gli frullassero in testa, non poté fare a meno di osservare un po’ incantato lo sguardo ferreo di Kageyama al fronteggiare Yuuji.
Niente e nessuno l’avrebbero mai sradicato dalle sue intenzioni.
Gli occhi erano fissi, impenetrabili. La bocca dritta come una linea retta.
Emanava una spavalda sicurezza da ogni minuscolo poro.
 
Il cuore di Shoyo iniziò a battere con maggior vigore.
 
“Tu sei completamente fuori di testa. Gli vuoi dire qualcosa, per favore?”
 
La voce di Yuuji sembrava lontana anni luce rispetto alle orecchie di Hinata, ancora assorto a soppesare l’uomo davanti a sé.
Proprio poiché lo stava fissando con persistenza, quasi saltò in aria non appena il viso di Kageyama si girò verso di lui, guardandolo dall’alto con quell’aura di controllo assoluto.
I suoi occhi, però, non erano più gelidi.
 
“Cosa vuole fare, Hinata?”
 
Il cuore di Shoyo si trovò inspiegabilmente ad accelerare nuovamente.
 
Kageyama non si era mai rivolto a lui apostrofandolo esplicitamente.
Eppure, il suono del proprio nome sulle sue labbra… pareva quasi naturale.
Come se si trattasse di un’abitudine consolidata.  
 
Forse proprio per la mancanza di una risposta, Tobio perse un po’ di quella fiducia che l’aveva spinto d’istinto a immischiarsi in quella sgradevole conversazione.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia fin quasi a sanguinare.
 
Che avesse totalmente malinteso il comportamento del rosso?
Non sarebbe stata la prima volta che travisasse emozioni e simili.
E se Hinata adesso lo considerasse alla stregua di un impiccione?
Forse sarebbe dovuto rimanere in assoluto silenzio…
 
“Spostiamoci allora, Kageyama-san”
 
Con un sobbalzo, le iridi blu di Tobio si focalizzarono nuovamente sul volto candido del medico.
Non riuscì a interpretarne le intenzioni, ma quelle parole furono tutto ciò di cui, al momento, necessitava.
 
“Ci vediamo, Teru” fu il rapido saluto che Shoyo concesse al ragazzo, la cui espressione, non appena il rosso voltò il capo per scoccargli una rapida occhiata, era di puro sconcerto.
 
Trattenne a fatica una risatina.
Era divertente scorgere la spavalderia di Yuuji venir meno, certe volte.
 
 
 
“Sbaglio o il piccolo Kageyama-kun ha appena messo k.o. il nostro Terushima?”
 
La voce cantilenante di Kuroo giunse alle orecchie del biondo prima ancora dell’impatto della mano, che gli colpì fraternamente la spalla.
“Non lo chiamerei proprio piccolo” commentò Akaashi con un sopracciglio inarcato da dietro il dorso di Tetsuro.
“E’ più alto di Yuuji, infatti” aggiunse Kenma senza la minima inclinazione vocale, gli occhi dorati che non staccavo lo schermo fluorescente del telefonino e il fianco appoggiato a quello del felino.
“Beh, potrebbe metter su ancora un po’ di massa muscolare!” s’intromise allegramente Bokuto, spuntando da dietro Keiji e mostrando a tutti con fierezza il bicipite d’acciaio.
 
Se possibile, l’espressione stordita di Terushima si corrucciò ancor di più.
 
“Ma vi eravate appostati per godervi lo spettacolo?” mugugnò indispettito con la schiena un po’ incurvata.
“Eravamo nelle vicinanze” spiegò con noncuranza Akaashi, scrollando le spalle.
“Il gazebo non è mica enorme” annuì vigorosamente Koutaro.
“Sai com’è, ci si muove” ghignò Tetsuro.
“Ha insistito Kuroo per venire a spiare” concluse Kenma, ignorando il “Mi tradisci così facilmente!” di Kuroo per continuare a giocare con il cellulare.
 
Yuuji scosse la testa, decidendo d’ignorare gli “amici” per concentrarsi sul problema più ingombrante.
 
“Chi diavolo era quello lì, si può sapere?” pigolò come un cucciolo bastonato, indicando vagamente il punto in cui quello spilungone era andato via con Hinata al seguito.
Non sembrava nemmeno la stessa persona che appena cinque minuti prima sarebbe stato pronto a divorare Shoyo in un sol boccone.
 
Kuroo sghignazzò, passandosi le dita fra la crestina mora.
“Ma guardatelo com’è indifeso adesso il povero Teru-kun”
“Io ho sempre detto a Shoyo di trattarlo con il bastone” concordò Kenma da dietro il display.
“La smettete di parlare come se non esistessi?” si lamentò animatamente il biondo, scombinandosi i capelli dal nervosismo.
“Dai Teru, non te la prendere. Era arrivata da un bel po’ l’ora di mollare l’osso” spiegò saggiamente Koutaro, battendogli la mano sulla schiena con forza, a modo suo per apparire confortante, ma finendo per causargli la quasi fuoriuscita degli occhi dalle orbite.
“Perché non ti tiri su remixando qualche bella canzoncina? Non c’è festa senza te alla consolle” suggerì Tetsuro con un sorrisetto, spingendo un ancora frastornato Terushima fra la folla e conducendolo nel piccolo regno che era la postazione del Dj.
 
“Pensi che ci sia rimasto male?” chiese Bokuto dopo qualche minuto, grattandosi la nuca.
Akaashi scrollò le spalle.
“Kageyama avrebbe potuto fare di peggio. Di solito quando parte in quarta arriva anche a far piangere il povero sventurato di turno” osservò, girando poi la testa e scrutando fra la folla.
Koutaro si allarmò sensibilmente.
“Non credi che Shoyo sia in pericolo con lui, vero?”
Un piccolo sorriso arricciò appena le labbra sottili di Keiji.
“Penso che l’unico che abbia davvero paura… sia proprio Kageyama”
 
 
 
Hinata seguì obbedientemente Tobio all’esterno del gazebo, inoltrandosi nella zona in cui l’area verde diveniva maggiormente fitta.
Quando giunsero a un tavolino contornato da graziose panche di legno, costruito su un ampio spiazzo circondato da siepi verdi, il corvino si fermò.
 
“Emh… s-si vuole sedere?” balbettò impacciato, indicando con uno strano movimento della mano la panchina.
 
Hinata trattane a fatica un sorrisetto.
 
Un bambino insicuro, ecco come appariva al momento Kageyama.
In totale e assoluta antitesi con l’adulto sicuro di sé di appena cinque minuti prima.
 
“Certo” rispose, accomodandosi sul legno un po’ fresco, ma non sgradevole.
 
Il clima era perfetto, non molto caldo ma nemmeno paragonabile all’ondata di gelo che aveva travolto la città la settimana precedente.  
Nemmeno un filo di vento rovinava la perfetta serata autunnale.
 
Prima che qualcuno potesse aprir nuovamente bocca, dallo stomaco di Hinata provenne un sonoro brontolio.
 
Fortunatamente la luna era l’unica fonte di luce delle vicinanze, non sufficiente dunque a lasciar trasparire il rossore che s’impossessò prepotentemente delle guance di Shoyo.
Voleva sprofondare per l’imbarazzo.
“Adesso mi prenderà sicuramente in giro, si pentirà d’aver aiutato un inadeguato come me e se ne andrà via tutto impettito” pensò sconfortato, trattenendosi davvero con notevole fatica dallo sbattersi la testa contro il tavolo.
Pareva aver temporaneamente rimosso che Kageyama si nutrisse come tutti gli esseri umani del mondo.
Maledetto il suo rumorosissimo stomaco!
 
“Oh, m-mi perdoni”
 
Per poco Shoyo non scivolò all’indietro.
 
Fissò il legale ancora in piedi con occhi esageratamente sgranati.
 
“C-cosa?” mormorò attonito.
 
“Non ha ancora cenato, dico bene?”
 
Totalmente stralunato, Hinata annuì.
 
Sul viso di Tobio si formò un’espressione risoluta.
“Vado a prenderle da mangiare, allora. Con permesso” e con la miglior espressione di soldato che parte per una missione, s’incamminò a passo spedito verso l’interno del gazebo.
 
Shoyo lo seguì con palpebre spalancate finché poté, prima di riportarli sul tavolo dinanzi a sé quasi meccanicamente.
 
Aveva… davvero sentito bene?
Kageyama prima lo difendeva da Yuuji e poi gli portava volontariamente la cena??
 
Scosse violentemente la testa emettendo qualche versetto frustrato per poi scombinarsi i capelli già arruffati.
 
L’unica risposta contenente un minimo di senso, era che lo stesse prendendo in giro.
Ma era davvero possibile che un tipo come Kageyama sapesse cosa fosse uno scherzo?
 
Prima che potesse proseguire nelle proprie congetture che non stavano molto in piedi, udì un rumore di passi sull’erba e scorse il legale avvicinarsi con un piatto retto dalla mano sinistra e un bicchiere di birra, in precario equilibrio tra il gesso dell’avambraccio destro e il petto.
Si sporse subito per aiutarlo, un istinto ormai indissolubile, ma il corvino scosse la testa, poggiando le stoviglie sul tavolo in completa autonomia.
Dopodiché, schiarendosi nervosamente la gola, si sedette al lato opposto del medico, fronteggiandolo così faccia a faccia.
 
Shoyo occhieggiò il contenuto del piatto e si costrinse a non lasciar scappare dalla bocca un rivoletto di saliva.  
 
Quando Bokuto-san gli aveva comunicato che avrebbe festeggiato il compleanno da Yakiniku-sama si era sentito carico d’aspettative…
Ma non avrebbe mai nemmeno contemplato l’ipotesi di trascorrere una serata talmente surreale.
 
“Grazie mille” ringraziò dunque Kageyama e, con un’ultima occhiata, iniziò finalmente a mangiare con parecchio gusto.
 
Tobio rimase a fissare il piccolo rosso divorare una quantità esagerata di carne con una voracità invidiabile.
 
“Se mangia così tanto, com’è possibile che non sia cresciuto di un millimetro?”
 
La domanda gli sfuggì involontariamente dalle labbra.
 
Maledizione al suo fottutissimo cervello abituato a sputare ogni pensiero sotto forma di parola.
 
Contrariamente a quanto pronosticato, invece, Hinata rise.
Una risata allegra, fanciullesca.
Si rese conto che lo stesse fissando con i suoi grandi occhi nocciola che, alla luce della luna, parevano brillare.
Più del solito, ecco.
 
“Me lo sono chiesto spesso anch’io quand’ero più piccolo” lo informò giocosamente, infilandosi in bocca un intero pezzo di carne di manzo.
“Forse tutto questo cibo va dritto al cervello” aggiunse con un ghignetto prima di avventarsi sul riso.
“Su questo ne dubito fortemente” commentò Tobio, senza però la tipica inflessione sferzante.
Hinata sbuffò, ma non s’infastidì seriamente.
“La prossima volta le ingesso male tutto il braccio” ribatté con un accenno di linguaccia.
 
Suo malgrado, Tobio si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.
 
Era infantile, lo sapeva.
Terribilmente inopportuno per un ragazzo della sua età, per lo più medico.
Eppure…
 
Un calore confortante gli invase il petto, sostituendo per un po’ quel senso d’oppressione, di vuoto che aleggiava da… quanto riuscisse a ricordare.
 
Eppure, con tutti quegli innumerevoli difetti, quel rosso era proprio perfetto così.
 
“Come mai è arrivato così tardi?”
 
La domanda avrebbe potuto suonare invadente o arrogante alle orecchie di molti, ma Hinata sembrava ormai essersi adattato al format comunicazionale del corvino.
 
“Ho finito il turno alle ventidue” spiegò semplicemente, sorseggiando la birra portatagli da Kageyama.
In realtà non era solito bere alcolici, ciononostante tentò di sforzarsi un po’ dopo quell’inaspettata gentilezza da parte del legale.
Ciò non ripagava tutte le cattiverie sputate nel corso delle conversazioni precedenti, ma era almeno un buon inizio. 
 
“Ah, giusto, il turno…” borbottò Kageyama, riferendosi più a se stesso che al suo interlocutore.
 
Come diavolo aveva potuto dimenticarsi di un’informazione tanto basilare?
Aveva fatto la figura dell’idiota, lo sapeva.
 
Deglutì bruscamente e incominciò a picchiettare senza rendersene conto i polpastrelli sulla superficie legnosa, producendo un ticchettio persistente.
 
I minuti parvero trascorrere scanditi da un rumoroso orologio a pendolo.
 
Esattamente, cosa gli era saltato in mente quando aveva brillantemente deciso di condurre quel dannato medico, verso cui si sentiva in una qualche astrusa e incomprensibilmente complicata maniera affascinato, sì cazzo l’aveva ammesso okay ne era attratto in qualche stupido stupidissimo modo, fuori dal gazebo?
Come diamine aveva pensato di ficcarsi in una situazione del genere?
Si sarebbe volentieri schiaffeggiato.
 
Si trattenne dall’infilarsi le dita tra i capelli lisci e tirarseli fino a strapparne qualche ciocca, strizzando poi gli occhi e sbattendo la testa sul tavolo.
 
Come bisognava comportarsi in quei casi?
Com’era opportuno agire?
Non aveva mai avuto un vero appuntamento nella sua vita.
Cioè, non che questo fosse da considerare un corrispettivo di uscire insieme, no?
Insomma, si trovavano già a una festa.
Anche se, in effetti, l’aveva fatto uscire fuori da una stanza…
 
“Com’è andata la sua giornata?”
 
Nonostante si trattasse di una banalissima domanda di cortesia, saltò in aria come una molla, i processi cognitivi impazziti come se avesse appena ricevuto una potente scarica elettrica.  
 
“Bene!” quasi squittì, con un tono talmente acuto che se si fosse riascoltato non si sarebbe mai e poi mai riconosciuto.
 
Shoyo scoppiò a ridere, nascondendosi la bocca con la mano per evitare di sputacchiare qualche rimasuglio di riso che ancora stava mangiucchiando.
 
“Perchè sta ridendo, eh? Mi-mi trova ridicolo?” sbraitò Tobio, rosso come un peperone e mortalmente ferito nell’orgoglio.
Gli sarebbero sicuramente crollati i nervi a breve, poteva scommetterci.
 
“In realtà sì, la trovo un po’ buffo” confessò Hinata, ridacchiando ancora un po’ prima di rivolgere nuovamente lo sguardo sul volto scarlatto di Kageyama.
“Però in senso positivo” aggiunse con un sorriso sincero.
 
Il bollore nell’epidermide del corvino diminuì di qualche grado.
 
“Come fa a non essere insulto se la faccio ridere?” mugugnò, titubante.
Non riusciva a concepire come qualcuno che ridesse di lui non lo facesse per scherno o puro disprezzo.
 
Sebbene il legale non lo stesse guardando, Hinata non disgiunse gli occhi dal suo volto, cercando di cogliere i particolari di quella complessa espressione.
Non era ancora in grado di comprenderlo e forse non avrebbe mai raggiunto del tutto un obiettivo del genere, tuttavia…
 
“Ha presente quando i bambini si sforzano per pronunciare una parola che però ancora non riescono ad articolare bene, e ne esce fuori un suono un po’ comico?”
 
Tobio alzò gli occhi sul rosso, il cui sguardo era particolarmente intenso.
 
“Ecco, viene spontaneo ridere affettuosamente a quel buffo tentativo… per poi insegnargli a emettere correttamente la parola che desiderano” continuò, spostando distrattamente qualche pezzetto di carne con i bastoncini.
 
Il corvino sbatté le palpebre, perplesso.
Non credeva di star seguendo il filo di quel ragionamento.
 
“In quel caso non si sta mica prendendo in giro il bambino! Si ride… beh, perché è tenero e suscita una risata dolce” tentò di spiegare con quanta più semplicità possibile, benché non fosse estremamente il suo forte farsi comprendere dagli adulti seriosi.
 
Tobio rimase interdetto per qualche istante, tentando di assimilare quel concetto…
Finché un nuovo, prepotente rossore non gli agguantò le orecchie.
 
“S-sta d-dicendo che io… sono tenero?!”
Non seppe nemmeno se suonò più come una minaccia o una totale esternazione di sorpresa.
 
Hinata si grattò la nuca, tossicchiando per non scoppiare a ridere sguaiatamente e dire addio alla propria testa, poiché dallo sguardo che gli stava scagliando Kageyama comprese che gliel’avrebbe staccata con un colpo solo, se solo si fosse azzardato.
 
“Diciamo che non è proprio l’aggettivo che userei per descriverla... ma almeno ha capito il senso” gongolò annuendo soddisfatto, mettendosi poi in bocca l’ennesimo spiedino di carne.
 
Tobio si corrucciò nuovamente incrociando le braccia al petto, quasi come in una posa difensiva.
Quella conversazione incominciava a non piacergli più.
“E come mi descriverebbe allora?” sbottò inacidito.
 
Hinata sbatté le palpebre, colto in contropiede.
 
Kageyama desiderava davvero conoscere la sua misera opinione?
Lui, il gigante irascibile con l’hobby dell’indifferenza indiscriminata ma la tendenza a comportarsi da impacciato?
Avrebbe potuto stilare una lista intera di epiteti, molti dei quali assolutamente antitetici fra loro…
Però, il vero problema, era che ancora non aveva capito cosa realmente pensare, di quell’uomo.
 
Temporeggiando, bevve un altro lungo sorso di birra, sforzandosi di non arricciare il naso per il sapore amarognolo.
“Diciamo che ho molte teorie sul suo conto…” iniziò con tono sommesso, finché inaspettatamente una realizzazione lo colpì dritto al petto.
 
“Volevo ringraziarla per prima, Kageyama-san”
 
Tobio aggrottò la fronte.
Non era certamente la risposta che si sarebbe aspettato.
 
“Per avermi… ecco, tolto dall’impiccio” borbottò Hinata, mordicchiandosi il labbro inferiore e giocherellando con i rimasugli di cibo.
“Yuuji è un bravo ragazzo, solo che a volte… ecco, sa essere insistente” spiegò, passandosi la mano fra i folti capelli dal color del sole, come a volersi scusare per il comportamento del biondo.
 
“Ciò non mi riguarda minimamente” tagliò corto Tobio, le mani serrate sui bicipiti.
 
Hinata sussultò, stringendo le labbra fra loro e abbassando repentinamente lo sguardo sulle proprie mani.
 
Ovvio che non gli importava della sua vita, perché mai avrebbe dovuto.
Che stupido a pensare che potesse interessargli.
Insomma, nonostante quegli strampalati atti di gentilezza lui era pur sempre…
 
“Sembrava infastidirla, dunque ho agito come meglio credevo” sentenziò il legale con tono piatto, come se stesse enunciando una verità innegabile.
Il solo ricordare la faccia burlesca di quel tizio, poi, gli scatenava un impetuoso senso di violenza.
 
Shoyo sgranò gli occhi.
 
Con lentezza scrutò il volto duro di Kageyama, tentando di non perdersi fra quella matassa labirintica che rappresentava la sua mente.
 
“E comunque, farebbe meglio a evitare di frequentare gente del genere”
 
Tobio si pentì subito per quanto appena enunciato.
 
Ma che aveva nel cervello?
Non era mica il padre di quello strambo rosso, no?
Non avrebbe mica dovuto importagli con chi uscisse.
Difatti non gliene fregava nulla.
Era stato un semplice suggerimento a scopo preventivo.
 
Hinata sollevò un lato del labbro in un sorriso sghembo, quasi…
Nostalgico.
 
“Non mi piace parlare male di Yuuji. Come le ho già detto ha molti difetti, però…”
Socchiuse le palpebre, perdendosi tra frammenti di ricordi di giornate soleggiate al mare, in montagna, in cima alle montagne russe…
“Con lui sono stato molto bene” concluse, quasi in un sussurro.
 
Tobio bramava ardentemente di spaccarsi definitivamente la testa contro il fottuto tavolo di legno.
 
Come diavolo gli era saltato in mente di pronunciare una frase del genere?
L’ultima schifosa cosa che avrebbe desiderato era far rammentare a quel diavolo di medico quanto schifosamente felice fosse stato con quello schifo di rifiuto umano con una schifosa palla appiccicata sulla lingua.
 
Inalò a pieni polmoni, immettendo quanto più ossigeno possibile per arieggiare il cervello.
Stava lievemente perdendo il controllo dei propri fili logici.
Doveva calmarsi.
 
Ma poi, insomma, di solito gli ex non si odiavano tutti indiscriminatamente?
I drama e i film che trasmettevamo alla Tv, e che lui si scopriva a guardare quando era troppo stanco anche solo per cambiare canale, insegnavano quello.
Significava che nella vita reale… gli ex andassero rispettati?
Non ci capiva un accidenti di nulla in quell’assurdo garbuglio chiamato relazioni sociali.
 
“Anche se ciò appartiene al passato”
 
Le parole di Hinata lo ripescarono letteralmente dal fiume di pensieri in cui rischiava seriamente di perdersi.
 
“Ma io spesso non ho la forza di mettere un punto”
 
Il mormorio di Shoyo avrebbe potuto perdersi nella notte autunnale, dolcemente trascinato dalle foglie che la lieve brezza trasportava da un campo d’erba a un altro.
Inudito, impronunciato.
 
Tuttavia, le orecchie di Tobio colsero ogni singola parola.
 
Sapeva bene d’esser negato a comprendere i sentimenti umani, ma c’era qualcosa in quelle parole che lo spinsero a pensare che Hinata non si stesse meramente riferendo a quel tizio.
 
Il suo lato terribilmente razionale stava già apostrofando il medico come debole.
E lo era, certo che lo era, no?
Però…
Decise, almeno per quella volta, d’evitare di ribattere.
 
Accorgendosi solo in quell’istante quanto si fosse lasciato sfuggire di bocca, Shoyo si riconnesse bruscamente alla realtà.
Aveva davvero condiviso informazioni personali, notizie sulla sua vita sentimentale maledizione, con Kageyama?
Davvero si era sentito a suo agio a conversare con qualcosa di tanto privato con lui?
Con un suo… paziente?
Eh già, il legale, in teoria, era un paziente dell’ospedale.
La scelta di farsi seguire espressamente da lui, però, ancora non la comprendeva.
Avrebbe potuto cercarsi un ortopedico di fama nazionale, per quel che ne sapeva.
Non era nemmeno quello, il suo ambito…
 
“Quindi…” tossicchiò Tobio, leggermente esitante.
“E’ stato un campione di ginnastica…?”
 
Tentò di assumere un tono formale, sperando che il contenuto della domanda non suonasse ridicolo.
Dalla risatina emessa da Shoyo, comprese di aver miseramente fallito.
 
 “Oh, maledizione, ma perché deve sempre ridere alle mie…”
 
“Crede di riuscire a darmi del tu?”
 
Le parole del rosso, il cui gomito appoggiato al tavolo e la mano a reggere il mento conferivano un’aria estremamente spontanea, lo interruppero.
 
Le guance di Tobio s’arrossarono appena.
 
“P-perché?”
 
“Beh, se parliamo di avvenimenti personali è un po’ strano continuare con questa convenzionalità, non le pare?”
Inarcò un sopracciglio per assegnar maggior enfasi alle proprie parole.
 
Kageyama mugugnò qualcosa, prima di annuire quasi impercettibilmente.
 
Inspirò a fondo, come se si stesse preparando a compiere un’impresa titanica.
 
“Sei… s-sei stato campione di ginnastica al liceo?” bofonchiò, con tono talmente basso da apparire a malapena udibile.
Peccato che i timpani di quel dannato medico fossero fin troppo prestanti.
 
“Esattamente! Beh, non proprio campione, ma medaglia di bronzo ai Nazionali di ginnastica dell’intero Giappone!” esclamò con occhi scintillanti, incominciando, prima che Kageyama potesse pienamente realizzarlo, un racconto dettagliato del percorso sportivo con relative peripezie da quando aveva quindici anni ed era un ragazzino spensierato con una voglia matta di saltellare ovunque.
Una copia non molto differente dall’originale, insomma.
 
Tobio si ritrovò ad ascoltare le parole di quello strambo rosso con dovizia, perdendosi nelle spiegazioni anche poco comprensibili, osservando le mani che mimavano l’atto di saltare un ostacolo, o arricciando il naso ai versi strani che traboccavano con naturalezza dalla sua bocca ogniqualvolta dovesse illustrare qualcosa di complesso.
A livello conscio non se ne accorse nemmeno, eppure tutti i discorsi di cui Hinata lo stava rendendo partecipe non finivano automaticamente ammucchiati nel consueto scompartimento del cervello, in cui risiedevano ricolmi di muffa discorsi e ciance da lui reputati inconcludenti.
Una minuziosa operazione di messa in sicurezza verso gli angoli più sicuri della sua memoria stava avendo luogo silenziosamente, ma con una tempistica perfetta.
 
 
 
“Non mi sorprende che eri titolare del club di pallavolo al primo anno di liceo! Dovevi essere uno spilungone già da allora!”
 
Il tono di Hinata era pregno di una frustrazione infantile che provocò nel legale un risolino maligno.
“180 centimetri” gongolò, non curandosi d’apparire forse ancor più infantile del rosso.
“Aaargh lo sapevo! La vita è proprio ingiusta” guaì, ingurgitando finalmente l’ultimo sorso di birra.
Doveva ammettere che da metà bicchiere aveva smesso di concentrarsi sul sapore non eccezionale per focalizzarsi sul come l’effetto dell’alcolico gli rendesse ancor più semplice la comunicazione con il corvino.
 
“In realtà credo sia stato anche merito della mia dieta. Ho sempre assunto dosi di latte e yogurt molto superiori alla norma…” rifletté Tobio.
“Quindi ti sono cresciute le ossa più del dovuto? Allora hai sacrificato la resistenza per la lunghezza, a giudicare da quello” ribatté Hinata ridacchiando, indicando con un cenno del capo l’avambraccio ingessato.
 
Non si accorse sfortunatamente di un lieve doppio senso che Kageyama, invece, colse immediatamente.
Arrossì dalla punta dei capelli a quella dei piedi e sbraitò un “Ma cosa dice! Cioè, volevo dire, che cosa dici, idiota!” prima di potersi frenare.
 
Hinata prima lo guardò con occhi un po’ vacui, poi scoppiò nuovamente a ridere per quel comportamento isterico.
Seppur ammettesse di trovarlo vagamente carino.
 
“Ma tu guarda” borbottò fra sé e sé il corvino, ricomponendosi al meglio delle sue capacità.
Fu più per un gesto automatico che spostò le iridi verso l’orologio allacciato al polso sinistro, scorgendone distrattamente l’ora.
Sgranò gli occhi, basito.
 
Aveva trascorso ben due ore e mezza lì fuori con quel medico idiota?!
Come diamine era stato possibile?
 
Scoccò un’occhiata dentro le pareti trasparenti del gazebo, ma la festa era ancora viva, animata dalla musica pazzoide che quel biondo strampalato stava remixando alla pari di un Dj esperto.
Nessuno era venuto a reclamarli, quindi non credeva d’aver speso così tanto del suo tempo.
 
Non che gli fosse dispiaciuto, però.
 
Il suo sguardo vagò fino a posarsi sul rosso, acquattato come un pimpante uccellino sulla panca legnosa… e un sorriso sfuggì inconsapevolmente alle proprie labbra, stirando la pelle in una piccola curva.
 
Avevano parlato senza alcun freno.
Adolescenza, scuola, sport, hobby…
Argomenti superficiali magari, ma non necessariamente noiosi.
Tediarsi sarebbe stato impossibile considerando che battibeccavano ogni due per tre, soprattutto sulle diatribe maggiormente futili.
E nonostante ciò, nel complesso…
 
“Credi che…”
 
S’interruppe, rimangiandosi immediatamente la parola.
 
Era stato bene, non poteva negarlo.
Avevano condiviso piacevoli frammenti di vita, ma tutto terminava lì.
Forse quell’Hinata non era così idiota come aveva pensato, ma nulla di più.
 
“Credo cosa?” riprese però la palla al balzo Shoyo, non demordendo.
 
Tobio si alzò dal tavolo, camminando avanti e indietro con la scusa di sgranchirsi le gambe.
 
Dopo qualche minuto di puro silenzio, riportò lo sguardo sul medico, i cui occhi nocciola l’avevano seguito nelle sue movenze con una certa curiosità…
 
E non seppe se fu per il riflesso della luna, delle stelle, dell’assenza di luci artificiali o per qualche altra strampalata motivazione…
 
Eppure gli occhi di quel piccolo rosso scintillavano, brillavano letteralmente come se fossero loro, le stelle.
 
Soppesò la delicata linea del piccolo naso, la bocca a cuore, le sopracciglia fini dello stesso colore dei capelli scombinati.
 
Forse era un idiota, forse no.
Però, nulla poteva negare che quell’idiota dalle mille debolezze a lui incomprensibili, quell’idiota che gli faceva ribollire il sangue nelle vene dal nervosismo…
 
Gli piaceva.
 
Continuare a negarlo era ormai divenuta una causa persa.
Una causa su cui aveva sbattuto la testa innumerevoli volte…
Ma il cui esito era ormai divenuto evidente.
 
“Credi che potremmo rivederci? N-non in ospedale, intendo” sussurrò, fissando il manto erboso con tanta intensità da desiderare ardentemente di fondervisi.
 
Il cuore gli batteva forte in petto, lo percepiva nitidamente risuonar con forza all’interno dei timpani.
 
Non aveva mai pronunciato una frase del genere.
Era… la prima volta che sentiva il sincero bisogno, o desiderio, che quelle parole si avverassero.
 
Una vocina maligna, però, s’insinuò come una flessuosa serpe tra i meandri oscuri della sua mente.
“Non ti renderà debole, questo stupido sogno?”
Era un sussurro talmente sommesso che però, al momento, fu facilmente ignorato.
 
Il cuore di Shoyo si dilettò in salti talmente spericolati da imitare perfettamente quelli compiuti dal proprio sé adolescente.
 
Non pensò a niente, non ne ebbe nemmeno il tempo.  
 
Si ritrovò semplicemente ad annuire più e più volte, espressione incredula, occhi sgranati.
 
Avrebbe dovuto aggiungere qualcosa magari.
O forse sarebbe stato meglio rimanere in silenzio?
Era troppo stralunato per poter anche solo scegliere fra le due opzioni.
 
Il suono della sveglia automatica del suo cellulare evitò comunque qualunque possibile reazione.
 
Sbattendo confusamente le palpebre, sfilò il telefono dalla tasca dei jeans e si accorse solo in quel momento che fosse molto più tardi del previsto.
 
“Maledizione” borbottò, alzandosi in piedi e stiracchiandosi le spalle.
 
Tobio lo guardò interdetto.
 
“Devo andare a casa a riposare, domani ho il turno di notte” spiegò con una nota triste nella voce.
 
Tobio si morsicò la lingua.
Il fottuto ospedale, perché se ne dimenticava sempre?
D’altronde era lì che l’aveva conosciuto, maledizione.
 
“Sono stato… davvero bene” mormorò poi avvicinandosi appena al legale, che percepì la respirazione accorciarsi drasticamente.
“Hai il mio numero” aggiunse con un sorrisetto che sarebbe potuto essere interpretato come ammiccante se Tobio avesse saputo intendere un po’ meglio gli atteggiamenti altrui.
 
E se non fosse stato troppo occupato a cercare di non iperventilare, naturalmente.
 
Ma che razza di reazione era poi quella?!
 
“Adesso vado. Buonanotte, Kageyama” si congedò cortesemente il medico, prima di schizzare letteralmente come una molla per adempiere i suoi doveri.
 
 
 
Tobio non realizzò l’esatto numero di minuti che spese rimanendo in piedi a fissare il vuoto.
 
Con estrema lentezza, sollevò la mano sinistra e se l’accostò al torace.
Il cuore gli batteva ancora rapidamente.
Cercò di scandagliare i momenti che avevano composto quella serata.
Solo tre ore prima era seduto da solo, isolato dal resto della calca a riflettere su qualcosa che, al momento, nemmeno ricordava…
E tre ore dopo si era ritrovato seduto su una scomoda panca di legno a chiacchierare come se nulla fosse con il suo strambo medico dallo strambo colore di capelli.
 
Se glielo avessero predetto, si sarebbe semplicemente messo a ridere.
 
Come se ancora si trovasse immerso in una specie di trance s’incamminò fino al gazebo, dove la testa per poco non gli scoppiò al contrasto fra il frastuono dell’interno e il silenzio che regnava fra le verdi siepi.
 
“Ehi, ehi, ehi, Kageyama!”
 
La voce di Bokuto gli invase letteralmente i timpani, estromettendo tutti i restanti suoni.
 
“Ti sei perso la torta, sai?” lo informò, ma dal ghigno vivace sul viso non sembrava poi troppo dispiaciuto.
“Mi dispiace Bokuto-san, io…” cercò di scusarsi, tuttavia fu interrotto da un altro sogghigno appena apparso dietro alla possente schiena di Koutaro.
“E bravo il nostro Kageyama-kun” cantilenò Tetsuro, avvolgendogli le spalle con il lungo braccio.
“Non hai perso tempo” gli diede man forte Bokuto, scombinandogli i capelli corvini.
“Voi due, piantatela” li ammonì all’istante Akaashi, individuando subito i due molestatori e sciogliendo dalla morsa un confuso Kageyama.
“Guastafeste come sempre” si lamentò Kuroo mettendo su il labbrino.
“Siete voi che non crescete mai” ribatté Keiji senza batter ciglio.
Nonostante avesse appena ammonito i ragazzi, però, una domanda ben precisa era stampata sul suo viso, le cui iridi erano ancora agganciate a quelle di Tobio.
 
Non seppe se Kageyama avesse compreso la sua espressione facciale o se si trattò soltanto di una banale coincidenza, ma non appena il corvino, sfidando un rossore persistente alla punta delle orecchie, bofonchiò un sommesso “Ho bisogno… di qualche consiglio…”
 
Tre paia di occhi scintillarono sopra a tre ghigni davvero poco rassicuranti.
 
 
 
 
 



 
Note finali: giuro che la smetto di dare indicazioni tempistiche. Tanto non le rispetto mai.
La storia continua a ingranare, ma ci vorrà ancora un po’ per entrare nel climax.
Possiamo dire che qui sembri filare tutto liscio…
O forse troppo liscio, ihih.
Vabbè, basta.
Fissione.
Tobio sta lentamente scindendosi in piccoli pezzettini.
Da che punto di vista, però, è ancora un mistero.
Se avete domande sulla trama non esitate a chiedere.
Ringrazio come non potete nemmeno immaginare tutte le persone che abbiano inserito questa fic fra le preferite e le seguite (la cosa bella è che aumentate, mi fate salire l’ansia perché sono sempre in ritardo) e un mega bacio a chi mi ha lasciato una bellissima recensione.
Sarei felicissima di conoscere il vostro parere sulla storia!
   
 
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