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Autore: Elis9800    16/03/2019    6 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VII

 
Puzzle mancanti
 
 
 

 
 
“Non posso credere a quello che ho fatto”
 
La sconcertata confessione di Hinata rimbombò cupamente all’interno dei suoi stessi timpani, riecheggiando nel proprio cervello come vittima di un potentissimo eco indesiderato.
 
“Io non aspettavo altro”
 
La maliziosa risatina di Suga fu lievemente coperta dalle pallide dita sottili, che tuttavia non servirono a renderla meno evidente.
 
“Era ora che mostrassi un po’ di sfacciataggine, Shoyo!” fu il trillo incoraggiante di Noya, corroborato dai pollici ben sollevati in vivace segno d’approvazione.
 
“Perché, hai mai ragionato davvero su qualcosa prima d’ora?”
 
Il tono beffardo del biondo occhialuto, placidamente accoccolato sul divanetto nero posto di fronte al medico, strappò Shoyo dai propri pensieri conturbanti per consentirgli d’assumere una smorfia irritata. 
 
“Non stavo parlando con te, Tsukishima!” saettò agitando i pugni in avanti, desirando ardentemente d’assestarne un paio su quella fastidiosa zazzera color grano.
 
Peccato che la spropositata differenza d’altezza fra i due proibisse fermamente la realizzazione dell’agognata brama.
 
“Sei odioso, Tsukishima” sospirò stancamente Koushi, sistemandosi una ciocca di capelli argentei dietro l’orecchio.
 
Dinanzi al commento poco lusinghiero del quasi sempre gentile Suga, Kei non poté evitare la svettante comparsa di un cipiglio imbronciato sulla fronte.
 
“Che ci fai qui, comunque? Non sarebbe il tuo giorno libero oggi?” domandò poi l’infermiere, osservando con perplessità il ragazzo impegnato a giochicchiare svogliatamente con un bicchiere mezzo vuoto di caffè.
“In teoria. Ukai-san ha però avuto la brillante idea di combinare un pasticcio con alcuni documenti di una certa rilevanza, reclamando poi il mio aiuto per rimediare. Dunque eccomi qui, a lavorare in quest’ospedale anche nel mio auspicato giorno di riposo” sputò sardonico, bilanciandosi gli occhiali scuri sul ponte del lungo naso.
 
“Almeno ti rendi utile. Cosa faresti in casa tutto solo soletto?” chiocciò Tanaka con sguardo canzonatorio, apparendo magicamente da dietro le esili spalle di Koushi.
 
Una piccola vena iniziò a sporgere dalla tempia pallida del dirigente amministrativo.
 
“In effetti, Tsukki, da quando Tadashi si è trasferito dall’appartamento che dividevate per iniziare a convivere con Yacchan…” ghignò Nishinoya scoccando un’occhiata al rosso, concedendogli l’occasione di una rivalsa su un piatto d’argento.
“Non credo tu abbia molto da fare” concluse Shoyo con un’irritante cantilena, tirando fuori la lingua nella perfetta imitazione di un bimbetto di sei anni.
 
Le guance di Kei s’imporporarono lievemente e dagli occhi ambrati sgorgarono vere e proprie scintille.
 
“Beh, te la sei cercata, Tsukishima” commentò in maniera nettamente imparziale Ennoshita, le cui orecchie non avevano potuto evitare d’udire gli alti toni della conversazione, risuonanti in maniera fin troppo squillante fra le pareti della piccola saletta.
“Piuttosto, Tanaka. Non dovresti essere di turno in questo momento?”
Il ragazzo dalla testa rasata tossicchiò qualcosa d’incomprensibile, non osando incrociare lo sguardo del coetaneo che proruppe in un sospiro rassegnato.
“Fossi in te mi affretterei a filarmela. So che Daichi-san si sta dirigendo proprio…”
 
La conclusione della frase fu assolutamente superflua.
 
“Tanaka! Ti ho cercato praticamente ovunque! Si può sapere perché ignori il cercapersone?!”
 
Il tono di Sawamura, saturo di una minaccia malamente contenuta, fece letteralmente rizzare i peli sull’intero corpo di Ryuu.
“Al seminterrato ti sta aspettando Asahi con un enorme carico di medicinali urgenti! Non può mica trascinarsi quel portapacchi da solo!” lo redarguì severamente e, prima che dai suoi occhi potessero fuoriuscire vere e proprie fiamme ardenti, Tanaka non perse tempo a scattare in piedi, accennare un rapido segno di saluto in direzione dei colleghi e sfrecciar via come un razzo in fase di decollo.  
“Ma tu guarda” sospirò stancamente il primario di Medicina Generale, strofinandosi l’avambraccio color caffellatte sulla fronte.
 
Dopo un attimo di riassestamento delle acque e di recupero della consueta tempra mite del medico, Noya intervenne con fervore.
“Sei troppo stressato, Daichi-san!” esclamò con cipiglio intransigente.
“Perché non ti siedi un attimo? E’ tutto il giorno che ti vedo correre da un lato all’altro dell’ospedale” concordò Suga con tono gentile.
Sawamura accennò uno sbuffo.
“Come faccio a rilassarmi se ne capita una al minuto?  Voi poi non mi rendete di certo la vita più facile” ironizzò, squadrando i colleghi con un sopracciglio inarcato.
“E daaai Daichi, non sgridare i bambini” scherzò Koushi con leggerezza, alzandosi dalla poltroncina e scoccandogli una pacca delicata sulla spalla.
“Un nostro pulcino ha appena preso il volo da casa, sai?” esalò con aria esageratamente afflitta, scoccando a Hinata un occhiolino fugace che provocò al rosso l’eccessiva dilatazione delle pupille.
“Che intendi?” indagò il primario con un accenno di malcelata curiosità.
Il grazioso infermiere ghignò.
“Ti ricordi l’uomo che all’incirca tre settimane fa ti ha fatto incavolare al pronto soccorso? Si è anche permesso di alzare la voce con te”
“Suga-san!!” implorò a quel punto Hinata, sperando vivamente che il senpai gli concedesse un piccolo atto di carità.
Daichi parve riflettere per qualche istante prima d’annuire, rabbuiandosi appena.
“Gli avrei riferito volentieri qualche parolina” mugugnò gravemente e Koushi ridacchiò con malizia.
“Beh, pare che entrerà a far parte della famiglia molto presto” sussurrò sibillino.
Shoyo desiderò ardentemente d’esser seppellito vivo.
 
Prima che Sawamura potesse comprendere meglio cosa intendesse il collega, una voce femminile chiamò il suo nome concitatamente.
 
“Michimiya, che succede?” domandò subito, voltandosi verso la donna dagli scuri capelli corti e vispi occhi castani appena comparsa sulla porta della saletta.
“C’è stato un problema con le macchine della ventilazione artificiale nell’ala cinque del reparto Terapia Intensiva. Pare che non abbiano funzionato a dovere per qualche minuto e i familiari dei pazienti ricoverati hanno iniziato a lamentarsi con veemenza, pretendendo di vedere un superiore” informò velocemente, la voce spezzata dal fiatone per aver probabilmente corso su cinque rampe di scale per riuscire a scovare il primario.
Un nuovo, profondo sospiro scosse l’ampia schiena di Daichi, mani che sfregarono celermente il viso per tentare di scollarsi di dosso l’onerosa patina di spossatezza.
“Ci mancava solo lo scoppio di una piccola rivolta. Mentre io mi occupo delle famiglie tu puoi chiamare immediatamente il tecnico per capire quale sia stato il problema? Non voglio che si rischi mai più nulla del genere…”
 
Parlottando a passo spedito i due medici lasciarono la sala relax velocemente come vi erano apparsi.
 
Suga si grattò la nuca, un po’ contrariato.
“Daichi si assume sempre responsabilità che non dovrebbero competere a lui” sbottò irritato, ricadendo con un tonfo sulla morbida poltroncina in pelle.
“In effetti spetterebbe al direttore generale occuparsi delle lamentele. Perché hanno chiamato proprio Daichi-san?” commentò Noya, imbronciato.
“Perché Ukai-san è così tanto incasinato con i suoi affaracci da chiamare persino me per risolverli nel mio giorno libero” proruppe irritato Tsukishima, alzandosi dal divanetto e gettando il bicchiere ormai vuoto di caffè nel cestino.
“Gli unici ad apparire sfaccendati, guarda caso, sembrate solamente voi tre” osservò con le palpebre ridotte a fessure, dirigendosi poi senza guadarsi indietro verso l’ascensore.
 
“Quel brutto…”
“Calma Shoyo, non c’è bisogno di cedere alle provocazioni di Tsukishima” lo interruppe però Suga con voce pacata.
Nishinoya pareva proprio sul punto di cedere a una sonora imprecazione nei confronti di quell’antipatico di Kei quando però il cercapersone trillò rumorosamente dalla tasca dei suoi pantaloni, facendolo guizzare in piedi come una molla e, dopo un prorompente saluto agli amici, schizzare via verso la rampa delle scale come un fulmine.
 
Suga sorrise al comportamento rocambolesco di Yuu, per poi rivolgere nuovamente la propria attenzione verso il piccolo rosso.
“Sappiamo tutti che sei la persona più attiva di quest’ospedale, quindi non agitarti. Anche tu hai bisogno di una pausa, una volta tanto” lo rassicurò con un ampio sorriso rinfrancante.
Hinata sembrò genuinamente rincuorato per qualche istante…
Ma poi assottigliò gli occhi, improvvisamente sospettoso.
“Dici così solo perché vuoi che ti racconti la storia con Kageyama?” borbottò incrociando le braccia.
Koushi assunse un’espressione scandalizzata.
“Non lo farei mai per uno scopo talmente egoistico” sciorinò angelico con le mani giunte sul petto coperto dal camice azzurrino.
Shoyo mugugnò qualcosa di difficilmente comprensibile e l’infermiere si lasciò sfuggire una risatina.
 
“Sul serio, Shoyo” riacquistò poi la serietà incrociando le gambe magre, da cui due caviglie pallide potevano scorgersi tra lo stacco dei pantaloni e le bianche pantofole ospedaliere.
“Ti va di parlarne?” chiese con rinnovata gentilezza, scorgendo il medico mordicchiarsi il labbro inferiore, come in preda a un conflitto interiore.
“Il fatto è…” bofonchiò, torcendosi le dita e fissando il pavimento con intensità tale da sembrare che stesse scrutando la risposta opportuna da una sfera magica celata fra le marmoree mattonelle.
“Che mi sento… mi sento attratto da… Kageyama… in un modo che non capisco” mormorò alla fine, sollevando appena gli occhi per incontrare, con suo grande sollievo, il viso calmo e dolce di Koushi, le cui iridi nocciola rappresentavano un caldo conforto per la sua anima turbolenta.
“Non so nemmeno perché gli ho lasciato il mio numero di telefono qualche settimana fa. Prima della festa di Bokuto-san abbiamo chattato qualche volta e anche se finivamo comunque per battibeccare… mi faceva piacere ricevere un suo messaggio” cercò di spiegare, tentando di operare un po’ di chiarezza nel proprio cervello, ordinando a fatica i pensieri che si azzuffavano prepotentemente fra loro.
Suga lo ascoltava con estrema pazienza, senza la minima traccia di saltare a conclusioni affrettate.
Fu probabilmente tale atteggiamento che lo spronò a continuare, ringraziando mentalmente l’infermiere per quella natura quasi materna che gli concedeva di confidarsi, più volte di quel che avrebbe volentieri ammesso, senza il minimo giudizio e ricevendo sempre in cambio ottimi consigli.
“Alla festa di Bokuto-san è stato come… come trovarsi in un sogno. Non sembrava assolutamente il Kageyama che avevo incontrato settimane fa. Era… diverso, più rilassato. Quando poi mi ha chiesto se avremmo potuto rivederci…” s’interruppe di nuovo, tentando di non soccombere al calore che gli invase le guance al ricordo di quelle parole sussurrate nella notte colma di stelle lucenti, la cui brezza autunnale faceva scuotere dolcemente le siepi attorno a loro.
“Mi sono sentito felice. Felice felice, intendo” precisò annuendo vigorosamente e Suga non poté evitare un tenero risolino.
“Era come se… sentissi un calore premere qui” spiegò, calcandosi il palmo destro contro il petto, abbassando di nuovo gli occhi e forse perdendosi fra le percezioni che si accumulavano imperterrite e disordinate.
“E’ la sensazione che provi quando capisci che ti piace qualcuno?”
Hinata sollevò la testa, ciuffi di capelli rossi ricaddero vaporosi sulla pelle rosea.
“E’ simile… ma al tempo stesso è qualcosa di diverso” descrisse, cercando di concentrarsi su quella vampata espansagli per il torace.
“E’ caldo, ma… sento anche un tremito” sussurrò.
Koushi alzò un sopracciglio, perplesso.
“Kageyama mi attrae, ma al tempo stesso è come se… mi facesse paura” mormorò in tono quasi inudibile.
La linea delle labbra di Suga s’indurì.
“Temi che possa farti del male?”
Hinata parve riflettervi profondamente, solleticandosi il mento con i polpastrelli.
“Anche, sì. Ma non è l’unico aspetto che m’intimorisce. Mi sento… come se mi trovassi sulle sabbie mobili. Al minimo movimento brusco rischio d’esser risucchiato e d’esser guardato con…”
Temporeggiò qualche attimo, in cerca dell’aggettivo maggiormente appropriato.
“Disprezzo?” tentò l’infermiere, inclinando appena il capo.
Il rosso però scosse la testa.
“Fredda apatia”
Koushi allargò gli occhi, sorpreso.
“Non credi che il problema principale di quel tipo sia il guardar tutti dall’alto in basso?”
 
Shoyo si grattò la nuca, radunando le immagini dei loro incontri e facendole scorrere per trovarvi un filo connettore, un comune denominatore.
 
“Io penso che…”
 
“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
 
Non c’è bisogno di certi sentimentalismi”
 
“Ciò che mi spaventa di più… sia la sua totale indifferenza verso tutti” bofonchiò, mordicchiandosi l’interno della guancia.
 
Koushi prestò particolar attenzione a quelle parole.
“A me però pare che il suo atteggiamento freddo sia stato decisamente riscaldato dalla tua influenza” osservò con un sorrisetto.
Le guance di Shoyo si colorarono leggermente.
“Dico sul serio” aggiunse il maggiore con serietà.
“Da quando vi siete visti per la prima volta non avete fatto altro che battibeccare, no? I suoi comportamenti erano tutt’altro che impassibili. Tu non lo rendi impassibile” dichiarò semplicemente con una scrollatina di spalle.
Le iridi nocciola del rosso si allargarono.
“Insomma Shoyo, ti ha chiesto di uscire perché gli piaci, no? Avrebbe mai agito così se ti avesse ritenuto una persona banale?”
 
Il cuore di Hinata parve dilettarsi in capriole piuttosto spericolate.
 
Socchiuse la bocca per pronunciare qualcosa ma si accorse che nessun suono sembrò imboccare la via d’uscita.
Suga gli concesse una risatina, agitando la testa.
“Non l’avevi ancora realizzato?” civettò bonariamente con un luccichio negli occhi.
Le guance di Hinata s’imporporarono violentemente.
Borbottò qualcosa d’incomprensibile e Suga scoppiò finalmente a ridere.
“Come mai arrossisci se gli hai anche lanciato la frecciatina di scriverti per primo?” chiocciò, recuperando l’aria maliziosa occultata alla perfezione dietro all’espressione angelica.
La pelle del medico per poco non incominciò a fumare.
“Sono stato uno sfacciato” guaì, infilandosi le mani tra i capelli folti.
“Quand’è che saresti mai stato discreto?” lo prese in giro Koushi con affetto.
 
“E’ che… ho paura di combinare un pasticcio” sussurrò Shoyo dopo qualche attimo.
 
Si trattava di una sensazione che non riusciva a spiegare a parole, nemmeno a Suga-san.
 
C’era qualcosa in Kageyama che lo attraeva in maniera pericolosa.
 
Sorvolando sull’antipatia e l’irascibilità, che con suo grande stupore trovava sorprendentemente sopportabili…
 
Percepiva un aspetto più oscuro, nel legale.
 
Qualcosa che gli aveva già dimostrato, nelle poche occasioni in cui avevano avuto la possibilità di vedersi.
Eppure, intuiva si trattasse solo della punta di un iceberg ben celato.
 
Kageyama era un uomo alquanto contorto.
Non che lo intimorisse la difficoltà in sé…
 
Ma c’era una strana sensazione inviatagli dal cervello che, almeno a livello conscio, non riusciva ad analizzare.
 
Come un piccolo campanello d’allarme.
 
Un campanello d’allarme che lo avvisava, lo metteva in guardia dalla possibilità che quel legale, quell’affascinante uomo dai gelidi occhi azzurri, capace di arrossire come un bambino...
 
Avrebbe potuto inciderlo profondamente.
 
In che modo, però, non riusciva ancora a pronosticarlo.
 
Un vibrante “bip” dalla tasca dei jeans lo riscosse dai propri pensieri.
 
Pescò distrattamente il cellulare e occhieggiò lo schermo luminoso.
Leggendo il mittente del messaggio, il suo cuore decise di saltare dispettosamente qualche battito.
 
 
-Kageyama Tobio- 18:39
“E’ libero questa domenica?”
 
 
Sbatté più e più volte le palpebre, sforzandosi di metabolizzare quel semplice ma al contempo titanico quesito.
 
Koushi dovette accorgersi dello stato di trance in cui pareva esser piombato il medico poiché si sporse in avanti per adocchiare il contenuto del cellulare, sapendo già per esperienza che al rosso non causasse alcun fastidio quella piccola violazione della privacy.
 
Un sorrisetto contornò immediatamente i delicati lineamenti dell’infermiere.
 
“Conciso e dritto al sodo. Mi piace” cinguettò, causando un sussulto nelle spalle di Shoyo, che probabilmente nemmeno si era accorto della vicinanza di Suga.
Le sue guance erano tinte di un’adorabile sfumatura rossastra.
“Anche se è davvero formale. Non vi date ancora del tu?” aggiunse poi con un pizzico di perplessità.
Shoyo perse l’espressione imbarazzata in favore di un piccolo ghigno.
“Scommetto che si vergogna ancora a inviarmi un messaggio troppo confidenziale. Quando gli ho chiesto di abbandonare la convenzionalità sembrava addentrarsi in qualcosa di sconosciuto” ridacchiò, immaginandosi la faccia del corvino assumere un cipiglio terribilmente concentrato al digitare quell’sms.
“Forse parlare in assenza della barriera del formalismo è qualcosa cui non è davvero abituato” osservò Sugawara.
 
Le iridi nocciola di Shoyo incontrarono repentinamente quelle di Suga.
 
Barriera di formalismo, eh.
 
Ricordava nitidamente il muro eretto dal legale non appena si era azzardato, nel corso del loro secondo incontro, a domandargli qualcosa di maggiormente privato.
Qualcosa verso cui lui pareva… sinceramente in difficoltà.
 
Ma si trattava solo di difficoltà?
 
Shoyo si ritrovò a corrucciare la fronte, meditando attentamente e dimenticando per qualche minuto il messaggio che gli aveva causato l’acceleramento della respirazione.
 
Durante la festa di Bokuto-san, o comunque nelle varie occasioni in cui si erano precedentemente imbattuti, v’erano state indubbiamente parecchie volte in cui Kageyama sembrasse esser teso o brancolante nel buio.
La maggior parte di esse si risolvevano però con una battutina da parte sua e l’ostentata ira del legale culminante con l’arrossamento delle sue orecchie, dettaglio che Shoyo aveva incominciato a trovare segretamente adorabile.
 
Allora, l’assunzione di quell’espressione glaciale, di fredda apatia di cui era consciamente e inconsciamente terrorizzato…
 
Quando appariva?
 
Aveva paura di combinare un pasticcio per tale ragione, no?


Temeva di pronunciare qualcosa di sbagliato, qualcosa per cui Kageyama iniziasse a guardarlo come se improvvisamente fosse disinteressato a lui.
Come se lo stesse…
 
Escludendo.
 
Allargò gli occhi, fissando senza nemmeno accorgersene il nome del legale a caratteri ben nitidi sul display.
 
Temeva che Kegayama lo escludesse?
 
Aveva paura che il legale lo tagliasse definitivamente furi dalla sua impegnata e un po’ misteriosa esistenza?
 
Temeva che lo considerasse assolutamente banale?
 
Ma perché era spaventato da tutto ciò?
 
I suoi ragionamenti, almeno a livello conscio, avevano esaurito i fili logici disponibili per persistere in quel difficoltoso intreccio di fattori.
 
“Shoyo?”
 
Il medico sussultò non appena percepì un tocco gentile sulla spalla.
 
Ancorò lo sguardo un po’ stralunato su Koushi.
 
“Tutto okay?” domandò l’infermiere con una sfumatura d’ansia.
 
Ponendo di lato quei pensieri prepotenti che tanto agognavano un’esaustiva risposta, si sforzò d’annuire e assumere un’espressione serena.
 
“Stavo solo… pensando a cosa rispondergli” spiegò nervosamente.
E, in effetti, si trattava di una bugia solo a metà.
 
Davvero non aveva ancora idea di come ribattere.
 
Doveva essere spontaneo come sempre, no?
Ma se avesse esagerato e Kageyama non sarebbe più voluto uscire con lui…?
 
L’infermiere ridacchiò, scoccando un lieve pizzicotto sulla guancia rosea di Shoyo.
“Non ti complicare la vita. Sii te stesso come sempre e non sbaglierai. A lui, del resto, piaci per questo. No?” cinguettò con un occhiolino e il rosso sorrise, mordicchiandosi il labbro inferiore e recuperando un po’ di fiducia in se stesso.
 
Sì, era la verità.
Comportarsi con estrema naturalezza aveva sempre funzionato con quell’antipatico legale.
 
O almeno, la maggior parte delle volte.
 
 
-Medico Idiota- 18:45
“Inizio il turno alle 19.00 ma la mattina e il pomeriggio sono disponibile ;)”
 
 
Digitò con un lieve sorrisetto maligno.
Con sua sorpresa, la risposta giunse quasi immediatamente.
 
 
-Kageyama Tobio- 18:46
“Le andrebbe di uscire verso le 12:00? Decida lei il posto.”
 
 
Hinata non sapeva se essere sorpreso o basito.
 
Kageyama gli stava concedendo carta bianca su dove andare…?
Si sentì inaspettatamente in mano un sostanziale potere decisionale.
 
Vi rifletté per qualche minuto.
 
Dove portare quel legale che trascorreva la maggior parte del tempo fra uffici zeppi di carte e oscuri tribunali?
 
La risposta fu molto più semplice del previsto.
 
 
-Medico idiota- 18:48
“Che ne dici di una bella passeggiata al Rikugi-en? Potremmo prima mangiare qualcosa nei dintorni e poi prendere un tè lì :D”
 
 
-Kegeyama Tobio- 18:49
“La aspetto davanti alla fermata Komagome.”
 
 
Hinata sbuffò appena.
 
Non si sbottonava proprio, eh.
 
“Ho fatto bene?” chiese un po’ titubante, mostrando la chat a Suga.
 
Dopo aver velocemente letto lo scambio di sms, Koushi annuì con un grande sorriso.
“Per un primo appuntamento direi che è un luogo perfetto” chiocciò con un sorrisetto malizioso e Shoyo guaì con un “Suga-saaan” che fece ridere di gusto l’infermiere.
 
Prima che potessero aggiungere altro il cercapersone di entrambi trillò sonoramente, riportando i due giovani uomini nuovamente con i piedi per terra.
 
 
 
***
 
 
 
Il sole era alto nel cielo contornato da rade nuvole bianche come panna.
La brezza di fine settembre scuoteva dolcemente i rami degli aceri e consentiva alle foglie imbrunite di vorticare allegramente sul terreno.
Un tiepido chiacchiericcio accompagnava il passeggio di eterogenei gruppi di persone lungo i marciapiedi circostanti.
 
Ritto e immobile come un pilastro di cemento, Kageyama si ergeva dinanzi alle porte girevoli della stazione Komagome con la schiena tanto impettita da far sospettare che un manico di scopa si celasse tra le sue spalle.
Gli occhi guizzavano con matematica cadenza all’orologio d’acciaio avvolto al polso sinistro.
 
Le 12:04.
 
Era arrivato dieci minuti prima, abituato a spaccare sempre il secondo nelle aule di tribunale.
 
Cosa significava quel ritardo di ben quattro minuti?
 
Il cuore iniziò a pulsare con irruenza nel petto.
 
E se Hinata avesse deciso di non presentarsi?
Se aveva ritenuto non più interessante un’uscita con lui?
Se se ne fosse dimenticato?
 
Non si erano scambiati alcun messaggio quella mattina, dunque non era un’eventualità da escludere a priori.
 
Insomma, perché diamine non arrivava quel piccolo idiota?
 
Si sforzò di riprendere il controllo della propria respirazione esagitata.
 
Si era documentato, maledizione, in teoria sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
 
Aveva riavvolto il nastro delle spiegazioni di Akaashi, Bokuto e Kuroo fino alla nausea, ripercorrendo con estrema minuzia ogni microscopico dettaglio della conversazione svoltasi al termine della festa, avvenuta nove giorni prima.
 
 
 
“Devi assolutamente invitarlo a uscire!! Non è vero, bro??” era stata la a dir poco esaltata risposta di Bokuto non appena Tobio aveva riassunto in maniera stringata, tentando in ogni maniera possibile di nascondere l’imbarazzo, la situazione creatasi fra lui e quello strambo medico.
 
Avrebbe fermamente evitato qualsiasi coinvolgimento esterno che avesse potuto provocargli disagio, ma si rendeva conto autonomamente di non riuscir a combinare poi molto senza il supporto di qualcuno ben più esperto in maniera.
In fondo, prima di divenire capaci in un settore la pratica era sempre necessaria, un po’ come nel suo mestiere.
Chi dunque meglio di Bokuto e Akaashi, coppia fissa da ben otto anni, e Kuroo, cresciuto al fianco del proprio attuale compagno da quando riuscisse a ricordare?
Riteneva che possedessero un’esperienza delle cosiddette “relazioni interpersonali” abbastanza cospicua.
Dal dire al fare, comunque….
 
“Mi sembra evidente che il piccoletto sia interessato a te, Kageyama-kun” aveva concordato con un sorriso sornione Tetsuro, muovendo le mani con gesto eloquente.
“Così com’è palese che tu non sia per nulla indifferente al nostro tenero medico. Non è così, Akaashi-kun?” aveva poi sogghignato con occhi socchiusi, provocando al legale un brivido lungo la spina dorsale.
 
Nonostante costituisse una presenza fissa alla pasticceria Murakami, ove Tobio si recava settimanalmente, e avesse un po’ fatto il callo alle sue espressioni feline, non sarebbe mai riuscito ad abituarsi totalmente ai comportamenti equivoci di quell’uomo.
 
“Per una volta concordo con te, Kuroo-san” era stata la pacata risposta di Keiji, velata tuttavia da una patina di malizia che colpì e affondò definitivamente il legale.
“Se fossi in lui mi aspetterei un invito nel giro di pochi giorni” aveva aggiunto con un sopracciglio inarcato.
Koutaro aveva annuito freneticamente.
“Non bisogna mai aspettare troppo a lungo! Non fare il mio stesso errore, Kageyama! Akaashi mi rinfaccia ancora il modo in cui l’abbia fatto aspettare per mesi prima che io…”
“Bokuto” l’aveva però ammonito fermamente Keiji, scoccandogli un’occhiata che avrebbe potuto letteralmente trafiggere chiunque.
Il ragazzone aveva sussultato e borbottato qualcosa d’incomprensibile sotto lo sguardo terribilmente divertito di Kuroo che, dopo aver chiocciato un “Ti comanda a bacchetta, eh Bo” e aver ridacchiato all’occhiata in tralice di Akaashi, si era rivolto a Kageyama con un “Però concordo con il giudice demoniaco qui presente. Faresti meglio a darti una mossa. Anche perché…” si era interrotto, volgendo lo sguardo alla postazione del Dj da cui ancora perveniva una psichedelica musica remixata “Teru non se ne starà buon per sempre” aveva ghignato con un occhiolino malevolo nei confronti del corvino, irrigiditosi nel giro di un millisecondo.
 
Di certo quell’essere rivoltante non avrebbe più dovuto azzardarsi ad avvicinarsi a quel medico idiota, questo era ovvio.
 
Inaspettatamente, la sicurezza di Tobio aveva avuto un picco notevole a tal pensiero.
 
Sì, aveva concluso, mentre ancora i tre amici battibeccavano animatamente.
 
Chiedere a quello scricciolo di uscire sarebbe stato indubbiamente il passo più corretto da compiere.
 
 
 
“Ma chi me l’ha fatto fare”
 
Il cervello di Tobio pareva urlargli contro con parecchia violenza.
 
Stava sicuramente facendo la figura dell’idiota.
 
Era lì in piedi da ben undici minuti e ancora nessuna zazzera rossa all’orizzonte.
 
Chissà cosa stavano pensando le persone attorno a lui.
 
Immaginavano che stesse aspettando qualcuno?
Qualcuno che gli avesse dato buca?
Lo stavano giudicando?
Lo reputavano un pappamolle?
Davvero altro non era che un debole?
 
Dio, aveva una voglia matta di scappare da quel luogo sempre più opprimente…
 
“Kegeyama! Eccoti finalmente!”
 
La guizzante voce di Hinata provocò il momentaneo black-out delle sinapsi di Tobio.
 
“Non pensavo che uscissi dal lato sud! Sono andato all’ingresso principale della stazione ma non ti ho trovato da nessuna parte”
 
Ah.
 
L’ingresso posteriore.
 
Gli occhi blu si staccarono a fatica dall’asfalto grigio per fissare come un ebete la piccola figura che gli si stagliava dinanzi.
 
Che idiota.
Si poteva essere più idioti di così?
Era tutta colpa di quel medico idiota per avergli contagiato quell’idiozia.
 
Per diamine, sbagliare persino l’uscita di una stazione…
 
“Allora, andiamo?”
 
Fu nuovamente la voce del medico a permettergli di tornare con i piedi per terra.
 
Guardandolo finalmente a tutto tondo, operò una veloce ma terribilmente precisa scannerizzazione totale della sua persona.
 
Indossava degli attillati, molto attillati, jeans chiari che gli sagomavano le gambe magre alla perfezione.
Erano abbinati a una maglietta colorata che gli ricadeva morbidamente sul torso, coperto da un’allegra giacca di jeans del medesimo colore dei pantaloni.
Vans rosso fuoco completavano l’outfit come la ciliegina sulla torta.
 
Nulla di più antitetico rispetto al total black che imperniava il suo, di abbigliamento.
 
Hinata però parve non badarvi minimamente.
Lo stava guardando con espressione gioviale, attendendo pazientemente la sua risposta.
 
Assumendo un cipiglio d’irritazione verso se stesso e la propria lentezza nei riflessi, annuì con uno scatto nervoso, precedendo il ragazzo verso l’opposto marciapiede senza pronunziare nemmeno una parola.
 
Shoyo sbuffò sommessamente, attento a non farsi udire, ma era più un sospiro di rassegnata consapevolezza che un vero e proprio segno di fastidito.
 
Aspettarsi un saluto da normale essere umano sarebbe stato richiedere troppo.
 
Con un balzo lo raggiunse, tentando di adeguarsi al passo veloce che aveva intrapreso il legale.
 
“Hai fame? Conosco un locale in cui cucinano un ramen buonissimo. E’ un posto semplice e senza pretese, ma il cibo è delizioso” propose, occhieggiando da sotto in su il corvino con sguardo appena intimorito.
 
Sperava che uno come lui non fosse abituato a cibi troppo lussuosi.
Non aveva sinceramente idea di quanto potesse guadagnare un avvocato del suo calibro.
 
Con sua grande sorpresa, Kageyama si girò e, guardandolo con espressione imperturbabile, rispose semplicemente con “Allora andiamo”.
 
Con un sorriso allegro e un peso in meno che gravava sul cuore, Hinata guidò il legale per alcune viuzze laterali finché non giunsero a un piccolo e semplice locale dall’espetto rustico, da cui però proveniva un delizioso odorino di noodles tale da suscitare l’acquolina.
“C’è posto solo al bancone. Ti dispiace sederti lì o aspettiamo che qualcuno vada via?” chiese Hinata dopo aver appurato con una singola occhiata l’assenza di posti disponibili nei tavolini in legno sparsi per l’esiguo ambiente.
 
Un’ondata d’insicurezza lo stava nuovamente travolgendo.
 
E se Kageyama avesse preferito un luogo con maggior privacy?
Del resto, un uomo come lui seduto al bancone assieme alla massa di comuni essere mortali…
 
Ciò avrebbe minato già dall’inizio il loro…
 
“Nessun problema. E’ domenica, quindi è normale che ci sia più folla. Se aspettiamo si riempirà ancor di più” osservò il corvino con tono piuttosto pragmatico, dirigendosi a passo spedito verso i due posti liberi sulla destra del lungo bancone in legno di cedro.
 
Shoyo fissò la schiena del legale un po’ interdetto prima d’apprestarsi a seguirlo e abbarbicarsi sullo sgabello al suo fianco.
Furono subito accolti da un gentile signore sulla mezz’età con piccoli occhialini rettangolari che registrò le loro porzioni di tradizionale ramen doppio con un sorriso.
 
Un persistente chiacchiericcio avvolgeva con giovialità lo spazio circostante, cui si sommavano ritmanti ticchettii di bacchette e rumorosi risucchi.
 
Adorava quell’atmosfera.
 
Era praticamente cresciuto tra locali del ramen a conduzione familiare, non a caso i suoi preferiti…
 
Tuttavia, ancora una volta, non aveva idea di come la scelta di quel luogo potesse esser interpretata da Kageyama.
 
Lo detestava, ne era fermamente convinto.
 
Si morse il labbro inferiore, maledicendosi per la pessima scelta.
 
Insomma, quello era un avvocato di chissà quale prestigioso ufficio legale della città.
Come aveva anche solo potuto pensare di trascinarlo in un posto comune come quello?
 
Miseriaccia.
 
Si fissò le mani, non azzardandosi a scoccare nemmeno una fugace occhiatina laterale.
 
Si era sentito un po’ nervoso alla festa di Bokuto-san, eppure tutto gli era apparso terribilmente naturale.
 
Okay, era stato Kageyama a compiere la prima mossa…
 
Però era stato lui a incoraggiarlo, no?
 
Doveva trovare un argomento di conversazione.
 
Conversazione, esatto.
 
Diamine, ma su cosa?
 
Di che potevano discutere così su due piedi?
 
La volta precedente si erano già scambiati alcune informazioni, doveva ripescarne qualcuna da lì?
Oppure doveva improvvisare come suo solito?
E se avesse fatto la figura dell’idiota?
 
Non si sarebbe mai perdonato l’aver sprecato un’opportunità del…
 
“Mi ricorda un vecchio ristorante nei dintorni del mio quartiere natale” parlottò tutto d’un tratto Tobio, riscuotendo violentemente il rosso dalle proprie congetture pessimistiche.
 
Si girò a fissarlo con tanto d’occhi.
 
Il corvino si stava guardando attorno con aria… vagamente incuriosita.
 
“E’ un essere umano anche lui, stupido!” si costrinse a ricordare Shoyo, schiaffeggiandosi mentalmente per quell’immotivato attacco d’ansia.
 
Non poteva negare che quell’aura misteriosa lo rendesse più simile a un alieno che a un normale ventiseienne, ma non doveva assolutamente dimenticare che anche Kageyama era composto di carne e sangue.
 
Mangiava, beveva e respirava… esattamente come lui e chiunque altro.
 
Fu quell’apparentemente banalissima constatazione che consentì ai nervi di Hinata d’acquietarsi notevolmente.
 
“Di dove sei, Kageyama?” domandò dunque con la consueta spontaneità, mandando in frantumi quella catena di paure che si era solamente costruito da solo.
 
“Miyagi. Vivevo in paesino vicino Sendai” mugugnò Tobio, guardandosi un po’ imbarazzato le nocche delle mani.
 
Quando la settimana precedente avevano condiviso ricordi riguardanti le rispettive scuole non avevano mai specificato, stranamente, i rispettivi luoghi d’appartenenza.
 
Le iridi nocciola di Shoyo s’illuminarono dalla sorpresa.
 
“Anch’io vengo da Miyagi!” esclamò quasi saltando dalla sedia.
 
Tobio si girò maggiormente verso il medico.
 
“E anch’io sono di un paese vicino Sendai!” aggiunse concitato.
 
Le sopracciglia di Tobio si arcuarono.
 
“Che coincidenza” commentò, sinceramente stupito.
“Non ci siamo… mai incontrati prima d’ora, nonostante la vicinanza” borbottò sommessamente.
 
Che razza di tono aveva appena utilizzato?!
 
Shoyo assunse un sorriso sibillino.
 
“Vuol dire che era destino doverci incontrare proprio a Tokyo ben dieci anni dopo” proferì solenne.
 
Tobio aggrottò la fronte.
 
“Crede… emh, cioè, credi a una cosa insulsa e inconsistente come il destino?” sputò fuori con una sfumatura non celata di spregio.
 
Non si era ancora abituato ad abbandonare la formalità, Shoyo appurò con una punta di divertimento…
 
Così come poté notare con chiarezza la nota di giudizio negativo che ne impregnava la domanda retorica.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia, spostando lo sguardo sul legno del bancone.
 
La stonatura non risiedeva nella discordante interpretazione del destino, da lui utilizzata come un semplice scherzo.
 
Il punto era…
 
Kageyama doveva necessariamente sminuire o denigrare qualunque opinione non aderente ai suoi principi di pensiero?
 
“Non particolarmente. Ma se ci avessi creduto? Dove sarebbe stato il problema?” proruppe dunque senza peli sulla lingua.
 
Dissimulare il proprio nervosismo non risiedeva fra le abilità di cui poteva vantare.
 
Tobio sbatté le palpebre più volte.
 
“Sarebbe da idioti dar credito a una cosa del genere” ribatté come se stesse affermando una totale ovvietà.
 
Per un intero minuto nessuno dei due proferì parola.
 
“Io odio il natto, mi fa venire la nausea. Ciò vuol dire che chiunque lo mangi abbia qualche disfunzione del senso del gusto?”
 
Gli ingranaggi cerebrali di Tobio vorticarono impazziti per tentare di metabolizzare il senso di tale dichiarazione.
 
“A me il natto piace” fu l’unica risposta che il suo cervello seppe produrre, in un tono a metà fra il difensivo e l’aggressivo.
 
Hinata ridacchiò, appoggiando la guancia sul palmo della mano e inclinando la testa.
 
“Secondo il tuo ragionamento allora, dato che a me fa vomitare, dovrei considerarti come affetto da una patologia”
 
Tobio si sentiva confuso e vagamente offeso.
 
Di che diavolo cianciava quell’idiota?
 
“Non ha senso. Il natto è un cibo, a me piace e a lei, cioè te, no. Okay. Il destino è una cosa stupida e basta” sentenziò come se stesse pronunziando un sillogismo incontrastabile.
 
Shoyo dovette sforzarsi per non sbuffargli direttamente in faccia.
 
“Esistono persone che invece pensano sia estremamente importante. E’ lo stesso principio del natto, a te piace e a me no. Si tratta semplicemente di opinioni diverse” spiegò con forzata elementarità, sollevando le mani e facendo spallucce.
 
La testardaggine di quell’uomo iniziava a esser un po’ sfiancante.
Insomma, poteva comprendere quell’orgoglio cocciuto, però…
 
“Se un’opinione è stupida, allora non ha senso d’esistere”
 
In un istante, il puzzle che aveva iniziato lentamente a comporsi per raffigurare la presunta personalità di Kageyama, fu letteralmente smembrato.
 
Inarcò le sopracciglia, studiando attentamente quel volto imperturbabile.
 
La linea della fronte era piatta, così come le labbra sottili.
Gli occhi non lasciavano trasparire il minimo segno d’incertezza.
 
Era davvero sicuro di quanto appena costatato.
 
Davvero convinto che qualunque opinione divergente da quella da lui ritenuta “corretta” fosse da gettar via?
Da non prendere nemmeno in considerazione?
 
Per la seconda volta in quella settimana, uno strano campanello d’allarme trillò tra i meandri dei suoi neuroni.
 
Accecandolo come importuni flash, funeste parole sferzanti si ammassarono sulla superficie delle proprie cornee.
 
Intollerante.
Autoritario.
Dispotico.
 
Simili a prepotenti post-it si appiccicarono violentemente alla figura di Kageyama, che lo fissava ancora con quell’espressione scettica.
 
Fu necessario un notevole sforzo cerebrale per opacizzare quella persistente immagine eccessivamente vivida.
 
Concedeva poco margine alla libertà d’espressione, questo Shoyo non poteva certamente negarlo.
Etichettare però un uomo, di cui ancora sconosceva parecchi aspetti, come un tiranno…
Beh, gli sembrava per lo meno eccessivo.
 
No?
 
Gli ritornarono improvvisamente in mente le parole di Yachi, pronunciate quasi un mese prima.
 
“Sai, quando all’università seguivo le lezioni di psicologia, veniva spesso ripetuto che il comportamento delle persone è quasi sempre una diretta conseguenza di come esse vengono trattate. Non avere amici e non aver nessuno che ti apprezza, porta a chiudersi molto in se stessi… in questo modo si è condotti a credere che nessuno sia degno di considerazione”
 
Sì, aveva ragione.
Doveva soltanto capire come prenderlo per il verso giusto.
 
“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"
 
Tobio parve bizzarramente colpito al petto da quell’affermazione.
 
Non se ne spiegava tuttavia il motivo.
 
Si trattava di un mantra che gli ripetevano fino alla nausea gli inetti che lavoravano con lui allo studio legale, c’era talmente abituato che ormai il suo cervello aveva abilmente appreso come azzerare le loro voci.
 
Perché allora quella stessa critica rivoltagli dallo scricciolo rosso gli aveva causato una sgradevole sensazione?
 
Perché mai avrebbe dovuto assegnarvi importanza?
 
Ne riceveva di peggiori e di nessuna gli era mai importato un singolo accidente.
 
La sua superiorità rispetto a tali trogloditi era sempre stata più che pales…
 
Un momento.
 
L’intero sistema nervoso di Tobio s’arrestò per qualche asfissiante secondo.
 
Non poteva mica significare…
 
No, sarebbe stato assurdo.
 
Quel medico da strapazzo avrebbe consentito alla sua indiscutibile superiorità di vacillare con tanta facilità?
 
Significava che non solo gli stava riconoscendo il merito d’essere un suo pari ma anche quello di trasformarlo in un pappamolla?
 
Il suo esser superiore a certa marmaglia gli aveva sempre conferito il diritto di agire come meglio riteneva opportuno senza elargire spiegazioni a nessuno.
 
La sua parola contro quella del resto della gente comune.
 
E adesso essa era messa in discussione da, da…
 
Da un medico idiota con insulse idee del tutto irrealistiche?
 
Sentiva il corpo ribollire dalla frustrante rabbia che lo accompagnava da ormai anni, che però pareva condensarsi ferocemente per erompere con una violenza che raramente aveva sperimentato prima d’allora.
 
Rabbia d’essere messo in discussione, rabbia di non trovarsi sul podio del proprio personalissimo piedistallo, rabbia di venir contraddetto da un…
 
Da un cosa, esattamente?
 
Come se si fosse improvvisamente schiantata contro una ferrea diga eretta nel giro di pochi millisecondi, la sua ira dovette arrestare la propria corsa furibonda.
 
Non sei stato tu a voler uscire con questo medico, Tobio?
Non sei stato tu ad aver ammesso un interesse nei suoi confronti?
Non sei stato tu ad aver chiesto consiglio su come comportarti per non rovinare tutto?
 
Un’irrefrenabile corrente contro un’inamovibile roccia.
 
La mente inerme del corvino era letteralmente dilaniata in due e la sua espressione ne costituiva il ritratto vivente, talmente corrucciata e contorta da apparire persino comica.
 
“Insomma, quello che voglio dire…”
 
Le orecchie di Tobio registrarono i suoni a fatica, ma riuscirono a ripristinare l’attenzione sulla zazzera rossa.
 
“E’ che per quanto stupida, un’opinione ha sempre il diritto d’esistere. Altrimenti saremmo tutti macchine pre-programmate, non ti pare? Non si può sempre concordare su tutto, ma ciò non vuol dire che la diversità debba essere eliminata. Pensaci. In fondo, non è quello che fai nel tuo lavoro? Una parte vuole avere ragione sull’altra. Non sono altro che idee differenti. E anche se tu non sei d’accordo ti impegni a priori per ottenere la vittoria. Mi sbaglio?”
 
Magari era l’abitudine a semplificare i concetti per i suoi piccoli pazienti, forse era la sua inclinazione a far breccia nelle menti fanciullesche…
 
In qualunque modo stessero le cose, Shoyo capì istintivamente d’aver pronunciato le parole giuste.
 
Vide il viso del legale, costretto in una smorfia disturbante, sciogliersi pian piano, come se che delle ipotetiche contratture venissero finalmente allietate da un benefico massaggio.
 
Non ottenne una risposta verbale, eppure giurò di poter scorgere le sinapsi di Kageyama assimilare quelle nuove informazioni per poterle rielaborare.
 
In che modo però, non era dato saperlo.
 
“Ma in fondo mi basta questo” pensò con un piccolo sorriso, che si espanse entusiasta non appena il cuoco portò loro due imponenti scodelle in ceramica fumanti.
 
O almeno, per il momento.
 
 
 
 
 
“Aaaah guarda come riflettono bene le foglie d’acero sull’acqua! Il sole le rende ancor più splendenti!”
 
Tobio osservava la scena dinanzi a sé come un intrigato spettatore davanti allo schermo luminoso del cinema.
 
O forse più come un minuzioso scienziato con in mano il vetrino di un microscopio.
 
Nonostante l’iniziale straniante dibattito, il pranzo si era rivelato piuttosto tranquillo tra rumorose sorsate dei noodles, lo scricciolo rosso aveva ragione, quel ramen era davvero squisito, e frizzanti conversazioni per lo più pilotate dal medico, che pareva possedere il dono di una parlantina infinita.
Aveva voluto conoscere i casi più eclatanti che gli erano stati assegnati, comprendere meglio il sistema giudiziario di cui sapeva poco e nulla e indagare un po’ sulla quotidianità del suo lavoro.
Il suo resoconto era stato più volte intervallato da versetti d’apprezzamento o meraviglia, come se stesse narrando gesta eccezionali e aveva dovuto trattenersi a fatica dal sorridere da quello strano atteggiamento.
 
Sebbene lo reputasse un po’ troppo rumoroso, come non aveva esitato a fargli malignamente notare, tale caratteristica non gli dispiaceva proprio del tutto.
 
Costituiva una piacevole alternativa all’opprimente silenzio che lo inglobava appena varcata la soglia del proprio appartamento.
 
Ma non doveva abituarvisi.
 
Non disdegnava quel molesto vizio di blaterare incessantemente?
 
I fiumi di convenevoli e conversazioni prive di utilità altro non erano che voluttuarie, no?
 
Sebbene non sembrassero poi tanto un tedio, se enunciate dalla voce squillante di Hinata…
 
Comunque.
 
Era da poco scoccata la terza ora di reciproca compagnia e l’iniziale congettura che quel medico fosse una molla impazzita personificata in un essere umano aveva trovato la sua definitiva conferma.
 
Giunti dinanzi al portone d’ingresso del Rikugi-en, lo scricciolo rosso aveva incominciato ad agitarsi a destra e a sinistra, esagitato per acquistare i biglietti il più velocemente possibile e dirigersi speditamente verso l’interno.
 
Non che Tobio avesse detestato quella reazione, tuttavia non riusciva a comprendere come fosse razionalmente concepibile eccitarsi talmente tanto all’idea di scorgere degli… alberi.
 
L’entusiasmo di Hinata dovette comunque in una qualche astrusa misura influenzare persino lui, poiché quando varcarono il cancello e s’incamminarono sul sentiero principale era rimasto letteralmente imbambolato dallo spettacolo delle coloratissime foglie d’acero, le cui pigmentazioni brillavano come se possedessero luce propria grazie ai penetranti raggi del sole.
 
Ripensando a quella scena, e al sorrisetto che era nato sulle guance di quel medico demoniaco non appena si era accorto del suo stato di trance, si sarebbe volentieri preso a ramate in faccia.
 
Per una buona mezzora poi il rosso non aveva fatto altro che esalare trasognati suoni di stupore e adorazione, indicando con piccoli balzelli contrasti di colori particolarmente degni di nota o qualunque singolo fenomeno attirasse la sua esaltata attenzione.
 
Sembrava proprio un bambino all’interno di un enorme parco giochi.
 
Nonostante l’oggettiva bellezza della natura circostante, Tobio non poté però evitare di soffermare molto più del previsto la propria attenzione su Hinata, sfruttando la distrazione del medico per riuscire a studiarlo in un habitat differente da quello ospedaliero.
 
L’unico aggettivo di senso compiuto che gli soggiunse dopo un’ulteriore buona mezzora di cammino, fu solo uno.
 
Vitale.
 
Non avrebbe saputo definire altrimenti il luccichio persistente in quei grandi occhi nocciola su cui si specchiavano le vivide sfumature del fogliame autunnale, il sorriso genuino che gli contornava i dolci lineamenti alla vista di un dettaglio rilevante, il rossore che gli dipingeva le guance per il calore del sole battente.
 
Una vitalità traboccante, quasi come se la trapelasse da ogni singolo poro.
 
Una vitalità…
 
Che rischiava di travolgerlo.
 
Sopraffarlo, trascinarlo e scaraventarlo in un mondo sconosciuto.
Un mondo che non aveva mai avuto la possibilità d’esplorare.
 
O forse…
 
Non aveva mai voluto indagare?
 
Se mai avesse ottenuto una risposta, essa si sarebbe persa assieme ai propri pensieri mentre osservava il piccolo medico acciambellarsi sul prato e specchiarsi sul laghetto che rifletteva come il più fulgido degli specchi i suoi capelli scombinati dalla brezza.
 
Era quasi tentato dalla voglia d’infilarvi la mano e sentire se fossero davvero morbidi come apparivano.
 
“Ti piace la natura”
 
Era una constatazione inutile, banale, stupida e dannatamente ovvia e si sarebbe sicuramente preso a schiaffi da solo più tardi per quella fottuta ridicoleria, ma fu l’unica frase coerente che in quel momento albergava nel fiume in piena di sensazioni che era divenuto il suo povero cervello.
 
Shoyo alzò lo sguardo verso il corvino che lo sovrastava e sorrise entusiasta.
 
“La adoro. Questi parchi sono l’unica ragione per cui sono in grado di vivere qui a Tokyo, altrimenti credo che annegherei tra il grigiume” spiegò con una smorfietta orripilata, scuotendo la testa.
Nemmeno un secondo più tardi iniziò a picchiettare con il palmo della mano il manto erboso al suo fianco.
 
“Siedi vicino a me?” domandò con un sorriso incoraggiante.
 
Poco mancò che Tobio si strozzasse con la sua stessa saliva.
 
Era una richiesta innocente, dannazione, perché diamine doveva reagire a quella maniera.
 
Celando al meglio delle proprie capacità il nervosismo, si abbassò fino all’altezza del medico e si sedette a gambe incrociate sull’erba morbida.
 
Poteva quasi contare i centimetri che lo distanziavano dal rosso.
 
Erano dannatamente pochi.
 
Cazzo.
 
Calma.
 
Si era trovato vicino a quell’idiota prima d’allora.
Perché dunque il cuore pareva battere con maggior celerità?
 
Controllo, Tobio, controllo.
 
Respira, espira.
 
Puoi farcela.
 
“Sai, casa mia si trovava in montagna, in piena periferia rispetto al centro abitato. Sono sempre stato abituato a vivere a stretto contatto con la natura e gli animali. Arrampicarmi sugli alberi era la mia specialità” raccontò Shoyo con un risolino, soddisfatto della vicinanza che Kageyama gli aveva concesso.
 
Tobio sbatté le palpebre.
 
Così come la settimana precedente, fu fin troppo semplice immaginarsi un mini scricciolo rosso abbarbicato su un albero come una perfetta scimmietta equilibrista.
 
Si lasciò sfuggire un sorrisetto.
 
“Sembra proprio il tuo habitat naturale. Forse il tuo cervellino è diventato così strambo dopo una bella caduta” sogghignò.
 
Hinata assunse un’espressione d’ostentata offesa.
 
“Per tua informazione non ho mai perso l’equilibrio in vita mia. Ho ottimi riflessi, io” si difese con sguardo malizioso, enfatizzando l’ultima parola con talmente tanta eloquenza che persino l’ottuso Kageyama assottigliò gli occhi, punto sul vivo.
 
“Insomma, Kageyama-kun, perché non mi racconti com’è che ti sei rotto il braccio? E’ una storia talmente imbarazzante da non poterla rivelare nemmeno al proprio medico?” chiocciò malignamente ed evitò per un pelo che la mano del legale si abbattesse sulla propria testa.
 
Scoppiò a ridere impunemente.
 
“Potrebbe velocizzare la guarigione l’ammetterne la causa, chissà” rise ancora, godendosi il rossore che imperlava le guance e le orecchie del corvino in maniera adorabile.
 
Tobio digrignò i denti, sbuffando e assumendo un broncio da manuale.
Se si fosse scorto allo specchio, probabilmente non si sarebbe nemmeno riconosciuto.
 
Scoccò un’occhiata omicida al medico, eppure, davanti a quei vispi occhi pregni di curiosità…
 
“Prometto di non proferire parole derisorie se dovesse trattarsi, come presumo, di una storia comica” annunciò solennemente con la mano destra giunta sul cuore.
 
Tobio assottigliò ancor di più gli occhi blu ed emise un versetto frustrato.
 
Poteva negarsi fermamente, in fondo ne aveva il pieno diritto, no?
 
Eppure, sentiva che non fosse il comportamento maggiormente adatto a una situazione come quella.
La condivisione d’esperienze costituiva parte integrante della conoscenza di un individuo e il medico era stato il primo a compiere quel passo.
 
Adesso spettava a lui, no?
 
Inalando a pieni polmoni e trattenendo il presuntuoso calore delle guance, borbottò sommessamente…
 
“Sono… caduto dalle scale”
 
Shoyo adoperò la propria intera forza di volontà per non scoppiargli a ridere in faccia.
 
Fingendo di non aver sentito, il tono del corvino era davvero stato impercettibile, domandò un innocentissimo “Cosa?” che riscosse incredibilmente l’effetto sperato.
 
Sbuffando sonoramente, Tobio ripeté uno scocciato “Sono caduto dalle scale” il cui unico esito fu far scoppiare sguaiatamente a ridere Hinata che, per la violenza delle risate, collassò a terra con la schiena.
 
“Maledizione, quella dannata bambina del piano superiore aveva lasciato i suoi fottutissimi giocattoli sulle scale! E’ già tanto che non si sia ritrovata una lista di denunce sulla porta! La smetta di ridere, idiota d’un medico, aveva promesso di rimanere serio!” strepitò come un isterico, guance roventi per l’imbarazzo e pugni agitati in aria come se desiderasse assestarli tutti sulla testa del dannato rosso riverso a terra.
 
“Nono” esalò tra le risate sconquassanti Shoyo, sollevando una mano verso il cielo terso e gesticolando come se potesse esprimere qualcosa di senso compiuto con le dita.
“Io avevo promesso di non dire nulla per prenderti in giro. Non avevo fatto riferimento alle risate” ghignò con faccia tosta.
 
Tobio rimase completamente immobile per qualche secondo.
 
Hinata parve riassestarsi dall’inarrestabile ondata di risa ma non si rialzò dall’erba, guardando invece il ragazzo con aria interrogativa.
 
Percepì una fitta di senso di colpa nascergli all’interno del petto.
 
Che avesse esagerato…?
 
La sua riflessione fu però interrotta da una domanda a bruciapelo.
 
“Soffri il solletico?”
 
Shoyo ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi con orrore prima che Kageyama gli si gettasse addosso, mandando al diavolo la propria dignità per vendicarsi come un bambino dell’imperdonabile torto subito.
 
“No, p-per favore, basta” fu solo in grado di esalare Hinata con le lacrime agli occhi, contorcendosi al tocco delle dita di Kageyama che gli solleticavano i fianchi, inoltrandosi sotto al giacchino di jeans.
 
Cercò di rotolare via sull’erba ma la vigorosa presenza del corvino pareva non mollarlo.
 
“Basta, basta, mi arrendo” pronunciò ansimante fra un risolino e l’altro, cercando di recuperare una nomale respirazione non appena la mano sinistra di Tobio abbandonò il suo stomaco.
 
“Sei proprio vendicativo, eh” si lamentò con un gran sospiro, schiudendo le palpebre e trovandosi inaspettatamente gli occhi blu di Kageyama a poco meno di venti centimetri di distanza.
 
Il cuore decise prepotentemente di ballargli tra le costole.
 
Se solo la sua mente fosse stata maggiormente lucida, avrebbe persino potuto udire il ritmo impazzito del battito di Tobio, che gli sconquassava imperterrito la cassa toracica.  
 
Si sentiva completamente ipnotizzato.
 
Le iridi nocciola del medico erano screziate da piccole pagliuzze dorate, colpite dai raggi del sole pomeridiano in maniera tale da renderle più luminose di una stella.
 
Erano…
Semplicemente bellissime.
 
“Sei più irruente di quel che mi aspettassi” osservò Shoyo in un sussurro, sperando ardentemente che il legale non si accorgesse della sfumatura purpurea che aleggiava sulle proprie guance.
 
“Come suo medico le dovrei sconsigliare l’eccessivo movimento fisico. Influisce negativamente sulla guarigione delle ossa” aggiunse con un piccolo sorriso.
 
“Come medico non dovrebbe evitare di molestare i suoi pazienti?” ribatté per le rime Tobio, non smuovendosi di un solo millimetro dalla propria posizione, ginocchia e mano sinistra poggiati sul manto erboso, sovrastando così l’esile figura.
 
Shoyo fece una smorfia.
 
“Non le definirei molestie. Sono solo molto premuroso, i pazienti necessitano molte attenzioni” dichiarò con sguardo spavaldo.
 
“Quindi esce anche con altri dei suoi pazienti?” lo stroncò il corvino, assumendo un’espressione scettica.
 
Le guance del rosso si colorarono maggiormente.
 
“Le importerebbe?” sputò fuori senza riflettere, pentendosene però nell’immediato.
 
Che razza di tattica stava utilizzando?
Sarebbe sembrato assolutamente pateti…
 
Il mutamento repentino dell’espressione di Kageyama causò per la seconda volta in quella giornata il brusco dirottamento dei pensieri di Hinata.
 
“Esci con qualcun altro?”
 
Okay, Tobio era un essere patetico.
Ma trattenere quel ringhio era davvero stato impossibile.
 
Se da un lato era rimasto estremamente sorpreso da quell’improvvisa svolta del discorso, dall’altro Shoyo dovette sforzarsi di non apparire troppo soddisfatto da quella rivelazione.
 
Insomma, ciò significava che…
 
No, avrebbe dovuto scoprirlo in maniera diretta, senza congetture mentali.
 
Con un sorrisetto malevolo, decise di volgere la situazione a proprio vantaggio.
Kageyama era sempre stato difficile da far sbottonare e quell’occasione era troppo ghiotta per non sfruttarla.
 
“E se anche fosse?”
 
Tobio, sorprendentemente, si ritrovò il cervello completamente vuoto da ogni possibile risposta.
 
E se anche fosse stato così?
Se quel dannato medico fosse uscito con qualcun altro?
Cosa avrebbe comportato?
In fondo, non c’era alcun contratto scritto che avesse impedito a quella testa rossa di vedere chiunque volesse.
Anche quel disgustoso verme con la cosa sulla lingua…
 
Un momento, Hinata si vedeva con quel tizio?
 
“Non mi vedo con nessuno!” squittì però Shoyo, notevolmente intimorito dall’aura assassina che aveva inaspettatamente circondato il legale nel giro di un singolo istante.  
 
Per diamine, non voleva mica farlo arrabbiare così tanto.
 
Concluse dunque che la soluzione migliore sarebbe stata un cambio di strategia.
Demordere era assolutamente fuori discussione. 
 
“Non mi vedo con nessuno, ma se anche fosse… ti darebbe fastidio?”
 
Si rese conto tuttavia d’essersi spinto troppo oltre.
Cavolo, era il loro primo appuntamento ufficiale, perché poteva considerarlo un appuntamento quello no?, non era troppo presto per provocazioni come quelle?
 
Eppure…
 
Shoyo si mordicchiò il labbro inferiore, abbassando gli occhi dall’espressione improvvisamente seria di Kageyama, non riuscendo a sostenerne lo sguardo.
 
Eppure, forse, quella risposta l’avrebbe aiutato a comprendere la vera natura del legale.
 
Insomma, era stato lui a chiedergli di uscire, no?
L’aveva anche confermato Suga-san.
 
Era la loro prima uscita, certo.
 
Eppure…
 
Eppure quel giorno, contrariamente a quanto avvenuto durante la festa di Bokuto-san, Kageyama non aveva lasciato trasparire alcun palpabile segno che avesse potuto dimostrare un qualche tipo d’interesse nei suoi confronti.
L’aveva seguito obbedientemente, con sua estrema sorpresa, in giro per tutto il parco.
Avevano conversato, tuttavia…
 
Perché volere un appuntamento se non desiderava sbilanciarsi troppo?
Perché chiedergli di uscire se non voleva interagire con maggior confidenzialità?
 
O forse era lui a star esagerando tutto?
 
Nonostante lo mandassero in confusione, quei misteri andavano ad accumularsi in quella grande patina d’ignoto che si stava rivelando essere Kageyama Tobio.
 
Che, chissà per qualche stramba ragione dell’universo, pareva attrarlo come una potente calamita.
 
 
Il legale non rispose subito.
 
Se un peso dal petto si era dissolto per aver scoperto che quel dannato rompiscatole non si vedesse con quel viscido di Teru qualcosa…
 
Non sapeva come replicare a quello scomodo quesito.
Non perché non conoscesse la risposta, ma proprio perché non avrebbe saputo motivarla.
 
Ovvio che l’idea di quella testa rossa saltellante e sorridente accanto a un tizio qualunque, tipo Terushima, gli dava su i nervi.
O meglio, gli faceva rivoltare lo stomaco.
 
Il problema era…
 
Perché?
 
Studiò con inaspettato sangue freddo il viso arrossato dal sole del medico, il cui sguardo era rivolto a un punto imprecisato del prato.
 
Era un uomo dai sorrisi facili, in fondo.
 
Avrebbe potuto elargirli a chiunque.
 
Non ne era solo lui, il privilegiato destinatario.
 
Allora, cos’era?
 
Cosa di quella creatura, da lui stesso definita pregna di vita, non voleva condividere con nessun altro?
 
Cosa lo attraeva in maniera del tutto irrazionale?
 
La bellezza?
Sì, quel medico dai capelli color carota e gli occhi splendenti era fottutamente carino.
Eppure, non era quella la ragione.
 
La vivacità?
Prediligeva le persone attive, certo, ma non era nemmeno quella la risposta.
 
L’umorismo?
Kuroo-san ne possedeva decisamente più del rosso, eppure lo inquietava comunque.
 
La spontaneità?
Ne era pregno Bokuto-san, ma non per questo aveva mai provato alcuna forma di attrazione per lui.
 
La gentilezza?
Stesso discorso.
 
Il suo cervello aveva passato in rassegna ogni possibile aspetto che riusciva a categorizzare.
Ognuna di quelle caratteristiche apparteneva a determinate sezioni con dati acquisiti nel corso della sua intera vita.
 
Che quello scricciolo possedesse qualcosa che Kageyama non aveva mai sperimentato prima d’ora?
O che, forse…
 
Non aveva mai preso in considerazione?
 
Innervosito dal silenzio protrattosi per lunghi minuti, Shoyo girò la testa, tornando a guardare dritto negli occhi il legale.
 
Occhi vispi, allegri, caldi, cristallini…
 
Cristallini.
 
Tobio allargò le palpebre.
 
Possibile?
 
No, era ridicolo.
Assolutamente, definitivamente inverosimile.
 
Ciò che lo attraeva di quel piccolo scricciolo rosso…
Poteva per caso trattarsi di…
 
 
Uno squillo improvviso squarciò in un singolo istante l’intera atmosfera che li avvolgeva.
 
Tobio si rese improvvisamente conto di sovrastare ancora il medico e balzò indietro come se si fosse scottato, mentre Hinata si schiarì acutamente la voce, le guance color pomodoro.
 
“Scusami” mormorò mentre recuperava rapidamente il cellulare dalla tasca dei jeans chiari, maledicendo chiunque fosse per il pessimo tempismo.
 
Non appena scorse il mittente, tuttavia, gelò sul posto.
 
“Pronto” rispose immediatamente, saltando in piedi con un guizzo.
 
Tobio rimase seduto sull’erba, occhieggiando distrattamene il sole pomeridiano riflettersi sull’acqua del laghetto.
 
Rimuginava ancora su quel filo inaspettato dei propri ragionamenti finché non sentì nitidamente “Non scusarti nemmeno Suga-san, arrivo immediatamente”
 
Aggrottò subito la fronte.
 
Che voleva dire “Arrivo immediatamente?”
 
Guardò l’orologio stretto al polso sinistro.
 
Erano soltanto le 15:41.
Il medico non avrebbe dovuto iniziare il turno alle 19:00?
 
“Perdonami Kageyama, ma devo andare” si scusò rammaricato Hinata, chiudendo la chiamata e infilando nuovamente il telefono in tasca.
 
Guardò il volto del corvino, rialzatosi nel frattempo dal terreno, aspettandosi magari un’espressione dubbiosa, sorpresa…
 
Non certamente una di pura ostilità.
 
“Pensavo iniziassi alle 19:00” sbottò il legale, scrollandosi i filini d’erba impigliati sui pantaloni senza distogliere però lo sguardo dagli occhi del medico.
 
Quest’ultimo sbatté gli occhi, interdetto.
 
“Sì, ma sono sempre reperibile per le emergenze”
 
Tobio storse il naso, scocciato.
 
“Quindi non puoi mai essere libero dai quei malati?”
 
Fu un unico, fluido, secco, colpo di frusta.
 
Hinata non riuscì a sbattere le palpebre per quelli che sembrarono interminabili minuti.
Le sclere erano aride, immobili.
Pietrificate.
 
Poteva sorvolare su molti dei comportamenti del legale.
 
Poteva perdonargli la rudezza, la totale assenza di tatto e persino la testarda presunzione.
 
Ma non quel tono.
Non quel tono assolutamente sprezzante, denigratorio e disdegnoso rivolto ai suoi pazienti, ai suoi innocenti…
 
“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”
 
Fu come se in un singolo, interminabile istante, tutti i pezzi del puzzle che aveva arbitrariamente deciso vilmente di oscurare, ricomparvero con prepotenza, componendo un disegno sgradevole alla vista, ma purtroppo…
 
Reale.
 
Come aveva potuto rimuovere quegli elementi talmente evidenti, palesi?
 
Però…
Però…
 
“Sono miei pazienti. Non capisci che è mio compito andare in loro aiuto ogniqualvolta lo richiedano?”
 
Sapeva di aver utilizzato un tono implorante.
Era ben consapevole di apparire ridicolo, ma doveva capire.
 
Capire, capire se Kageyama, dopo quell’intero mese di mordi e fuggi, dopo che gli era apparso tanto diverso soltanto nove giorni prima…
 
“Richiedano? Vuoi dire anche per un semplice attacco emotivo?”
 
Le parole di Tobio erano sempre più cariche di spregio.
 
Il cuore di Hinata, invece, era sempre più pesante.
 
“Soprattutto quando sono emotivamente fragili” sussurrò a testa china, tentando di non soccombere a quell’abisso colmo d’oscurità che minacciava sempre di coglierlo in agguato, inglobarlo e risucchiarlo come un buco nero.  
Non era il momento opportuno per lasciarsi sopraffare anche da quella debolezza repressa.
 
Rialzò allora le iridi verso il legale con maggiore determinazione, quando…
 
Un brivido di timore gli attraversò l’intera spina dorsale.
 
Non aveva mai avuto davvero paura dell’atteggiamento scostante di Kageyama.
Mai aveva temuto i suoi modi sgarbati o la sua prepotenza, ma…
 
Quell’espressione.
 
Eccola, quella che fra tutte paventava.
 
Fredda.
Gelida.
Priva d’ogni traccia di…
 
“Devo andare” ripeté nuovamente con voce incerta, voltando le spalle a quell’uomo e correndo speditamente verso l’uscita del parco, verso la stazione e verso il primo treno disponibile verso il Karasuno Hospital.
 
Era come se il tempo avesse premuto il pulsante del riavvolgimento veloce, sfrecciando impazzito su luoghi e persone.
 
Non riuscì a contare i minuti trascorsi dal suo frettoloso congedo.
Seppe solo che, proprio mentre era mollemente seduto sul sedile del vagone che lo avrebbe condotto in ospedale…
 
Shoyo giunse a una fondamentale consapevolezza.
 
Quell’espressione.
 
Quell’espressione gelida che tanto lo intimoriva, quell’espressione di fredda apatia che aveva già conosciuto in precedenza…
 
“Lei… non è felice, Kageyama-san?”
 
Kageyama la assumeva in una singola circostanza.
 
Quella pesante barriera di ghiaccio veniva eretta ogniqualvolta il legale dovesse…
 
Rifiutare un senso di umanità.
 
Senso di umanità di cui lui…
 
 
“Prossima fermata, Southern Hospital District ”
 
 
La gracchiante voce metallica proveniente dall’altoparlante strappò brutalmente Hinata dal suo stato di trance.
 
 
 

 
 
 
 
 
Note finali: dopo una sessione massacrante, riesco a riprendere in mano questo capitolo, iniziato a esser composto subito dopo la pubblicazione del precedente ma costretto a ristagnare per un mese e mezzo causa esami che paragonarli all’inferno è un eufemismo, credetemi.
Anyway.
Credo di aver speso un intero pomeriggio a fare ricerche sui parchi di Tokyo (sono malata, lo so).
Per quanto riguarda la storia…
Un primo, decisivo, ingranaggio, è stato compiuto.
Sono una frana con i preannunci privi di spoiler, quindi facciamo che vi consiglio di prestare attenzione a ogni singola frase enunciata/meditata da parte di entrambi.
Avrà un riscontro futuro quasi sicuramente.
Ci terrei moltissimo a ricevere la vostra sincera opinione sulle interazioni tra Shoyo e Tobio di questo capitolo.
Sto riscontrando qualche difficoltà nella loro descrizione, dovuta magari in parte al fatto che non credo di aver mai letto una storia incentrata interamente sulla KageHina né su Efp, né su Ao3, né su qualunque altro sito(?)
Sta risultando un’operazione più faticosa del previsto.
Ma basta lamentarsi.
 
Piccola parentesi.
Le età di alcuni personaggi sono poste completamente a caso.
Ovvero, vige ancora la regola di “anzianità” del canon (ad esempio Daichi e Suga hanno la stessa età e sono più grandi di Tobio e Shoyo) ma non sto rispettando assolutamente i pochi anni che separano i vari personaggi se non dove opportunamente specificato (es: Daichi è un primario, quindi non può avere solo due anni in più di Shoyo ecc ecc).
Concedetemi dunque questa piccola libertà narrativa, altrimenti avrei dovuto alzare troppo le età di tutti quanti e sarebbe stato inverosimile con le situazioni interne ai protagonisti.
 
Dio, le mie note sono una palla, devo imparare la saggia arte della sintesi.
 
Un milione di baci a chi mi ha lasciato una recensione (il vostro supporto è meraviglioso guys), a chi continua a seguire questa storia (e a chi si sta ancora aggiungendo, vi adoro) e a chi l’ha inserita fra le preferite<3
 
Alla prossima^-^
 


 
   
 
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