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Autore: Jeo 95    17/01/2019    1 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.A.- Chaossu! 
Evviva, finalmente sono riuscita a finire questo interminabile capitolo! Devo ammettere che è stato interessante cimentarmi in diversi punti di vista, spero di aver resto i vari personaggi più IC possibili!
Nel caso così non fosse... ricordo a tutti che questa è una fic, io non sono l'Amano (perchè altrimenti Reborn starebbe facendo concorrenza con One Piece a livello di lunghezza) e qualche cambiamento mi è quindi concesso xD
E niente, spero di aver reso tutto al meglio, anche se uno dei personaggi ha una situazione... complessa che magari spiegherò più avanti xD
Grazie a tutti per il costante supporto
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Benché il nome derivasse da una chiesa bianca dedicata alla Vergine, il quartiere londinese di Whitechapel era tristemente famoso per i misteriosi omicidi che nell'autunno del 1888 avevano destato scalpore tra la popolazione.

L'artefice di tali efferati crimini era un singolo individuo denominato Jack lo Squartatore, la cui vera identità era tutt'oggi ancora avvolta dal mistero. Il nome del serial killer tuttavia -e qui si lasciò sfuggire un encomio per la destrezza dell'omicida- infestava ancora le vie più scure del quartiere, specie la notte, quando ubriachi e ragazzine spaventate giuravano di aver visto il fantasma dello Squartatore aggirarsi per Whitechapel, in cerca probabilmente della sua prossima vittima.

Quale posto migliore in cui un eccentrico scienziato poteva decidere di stabilirsi?

Whitechapel era un quartiere tutto sommato tranquillo -non poteva lamentarsene, aveva lavorato in luoghi molto più caotici- e si era rivelato un buon punto d'interesse per le sue ricerche sulle Fiamme -ahhh, c'era ancora così tanto da scoprire, era tutto semplicemente eccitante!

Verde non poteva chiedere di meglio.

Controllando i dati sul portatile, Verde si sistemò gli occhiali sul naso, strofinandosi le palpebre di tanto in tanto, stressate probabilmente dal continuo fissare lo schermo illuminato del computer.

Tze, stupidi bisogni umani di riposare e nutrirsi, rallentavano le sue ricerche e la sua fame di conoscenza: prima o poi avrebbe trovato un rimedio scientifico a quel fastidioso problema.

Keiman dormiva beato ai suoi piedi, scostandosi appena quando percepì una presenza avvicinarsi, ma continuando a dormire quando constatò che non si trattava di una possibile minaccia.

«Non è il caso di fare una pausa, Mr. Verde? Se non fa attenzione rischia di collassare sulla tastiera.»

Verde spostò lo sguardo sul suo assistente -un giovane orfano londinese cresciuto per strada, una delle menti più brillanti con cui avesse mai avuto a che fare, uno spreco lasciarlo a marcire sotto un ponte- che lo guardava con pacatezza, aggiustandosi il ciuffo biondo arricciolato che gli copriva uno degli chiari occhi blu, quello destro. Tra le mani aveva un vassoio, su cui poggiavano due tazze bianche con un liquido fumante all'interno -riusciva a scorgere solo il vapore che fuoriusciva da esse, ma probabilmente doveva essere tè.

Tra i denti spiccava lo stecco bianco di un lecca lecca, il suo ripiego alle sigarette che Verde gli aveva rigorosamente impedito di fumare -non accettava fumo nel laboratorio, solo all'esterno e solo quando il lavoro non era urgente.

Accettò la tazza di tè che Knocker gli aveva gentilmente offerto, senza però staccare gli occhi dal monitor e facendo attenzione a non schizzare il contenuto sulle apparecchiature.

Avrebbe preferito un buon espresso italiano, ma si accontentò.

«Non ancora, ho un paio di dati da controllare.» era ad un passo dall'accertare che tutte quelle fanfare sui presunti avvistamenti di Jack lo Squartatore non fossero poi così infondate, non aveva tempo per fermarsi.«Piuttosto, hai completato la macchina?»

Knocker scosse il capo, finendo la propria bevanda e mostrando alcuni appunti al suo maestro, colmi dei calcoli su cui si era scervellato per giorni, senza cavarne un ragno dal buco. Era ad un punto morto.

«Il rilevatore segna la presenza di Fiamme dell'Ultimo Desiderio, tuttavia non abbiamo sufficiente potenza nel sistema di concentrazione per riuscire ad estrarle ed intrappolarle. Qualunque cosa ci sia là fuori, che sia lo Squartatore in persona o semplicemente la manifestazione fisica delle sue ultime volontà, resterà a piede libero ancora per un po'.»

Verde digrignò i denti, non trovando tra i calcoli del suo pupillo nessun errore, nessuna falla che potessero sfruttare per aggiustare la macchina e raccogliere finalmente i dati necessari a provare la loro ultima scoperta.

Potevano Fiamme vecchie di più di 100 anni infestare ancora il quartiere in cui aveva vissuto ed agito il loro legittimo padrone? La volontà dello Squartatore era così forte da dar vita propria al suo potere, affinché continuasse ciò che lui non era stato in grado di compiere?

Verde bramava per dare una risposta scientifica e razionale a tutto questo, poiché per lui l'inspiegabile -in fondo- aveva sempre una spiegazione logica. E se non l'aveva -come la maledizione di cui era stato vittima- semplicemente Verde accettava che quel qualcosa fosse un miracolo che superava perfino la scienza.

Nel caso di Jack tuttavia non c'era nulla d'inspiegabile, se soltanto avesse trovato un modo per intrappolare quelle Fiamme e studiarle più da vicino, Verde era certo di poter risolvere il mistero che girava attorno al potere dell'Ultima Volontà.

«Il problema è la mancanza di fonte prima.» aveva aggiunto Knocker, dopo svariati minuti di silenzio.«Se avessimo un catalizzatore, un qualcosa che sfrutta ed incarna il potere delle Fiamme, forse potremmo studiare un modo per intrappolare anche Fiamme residue con volontà propria, ma senza quelle ed una maggiore energia, credo sia impossibile.»

A Verde venne in mente un solo oggetto che corrispondeva alla descrizione data dal suo allievo -più potente di qualsiasi anello, capace di assorbire costantemente le Fiamme del suo stesso custode e conservarle in grande quantità- che oramai non era più in suo possesso.

Un vero peccato: se da una parte era stato piacevole ritornare a crescere, liberarsi di quel corpo minuscolo -per quanto utile in certe occasioni- e poter riacquistare le sue vere sembianze, le possibilità che si aprivano con il poter utilizzare il ciucciotto degli Arcobaleno l'avevano sempre allettato, venirne privato ancor prima di poterle sfruttare era stata una sfortuna.

Dopotutto lui era sempre stato positivo nell'accettare la sua condizione, ed anzi il suo stile di vita non era cambiato poi molto rispetto a quando era adulto: il suo cervello era intatto ed attivo, non aveva bisogno d'altro per continuare a lavorare. Il problema dell'altezza era risolvibile grazie a Knocker, quindi Verde si era perfettamente adattato alla condizione d'infante a cui era stato costretto.

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare, frustrato.

«Tze, se solo avessi ancora il mio ciucciotto...»

«Oya oya, direi che siamo arrivati al momento giusto allora.»

Fu rapido Verde ad estrarre da sotto il proprio camice la propria pistola, Knocker al contrario arretrò sorpreso, mentre una nuvola indaco avvolgeva la stanza, rivelando due figure di cui non si era reso conto prima. Kaiman soffiò nel punto in cui vi erano i due sconosciuti, ma rimase accanto a lui, aspettando probabilmente l'ordine di attaccare.

Verde riconobbe nel più basso dei due Iemitsu Sawada -un Vongola, il Boss del CEDEF- mentre non riusciva a dare un nome all'altro ragazzo, che sogghignava senza distogliere lo sguardo da lui, stringendo tra le mani un... tridente?

Si diede un'occhiata in giro, riconoscendo nell'operato dei due l'utilizzo di indimenticabili Fiamme della Nebbia -tra gli elementi più affascinanti secondo la sua opinione- e delle potenti illusioni che queste accompagnavano.

Chiunque fosse quell'altro ragazzo, Verde sapeva che si trovava davanti ad un illusionista di tutto rispetto: probabilmente poteva dare del filo da torcere a Viper stesso se si fossero trovati a combattere l'uno contro l'altro.

«Puoi anche usare Fiamme della Nebbia? E da dove è saltato fuori quel tridente?»

«Kfufufufu tra le altre cose, sì. Non preoccuparti del tridente, piuttosto...»

Verde sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando vide gli occhi del ragazzo: mentre quello sinistro era azzurro -più intenso di quello di Knocker, tendente al blu del cielo quasi- quello destro era rosso come il sangue, terrificante ed intrigante allo stesso tempo. Sembrava che al posto della pupilla vi fossero dei numeri all'interno -erano kanji giapponesi quelli?- e pensò a quanto sarebbe stato bello poter studiare quel fenomeno per venire a capo di quel mistero.

Si sentiva eccitato al solo pensiero.

«Abbiamo un'offerta interessante per te, Arcobaleno Verde. E visto il tuo attuale... blocco, se così lo possiamo definire, credo proprio che ti converrebbe accettare.»

Verde sogghignò, per nulla impressionato. Ripose la pistola nel camice e si sistemò gli occhiali sul naso, avvicinandosi di qualche passo ai due estranei senza mai abbassare lo sguardo. Vedendolo abbassare le armi, anche Kaiman si rilassò, senza però allontanarsi dal suo fianco.

«Sai, non sono molto propenso ad accettare proposte da perfetti sconosciuti. Temo di essermi perso il nome. Chi saresti tu ancora?»

Il ragazzo sogghignò -era forse rimasto impressionato dalla sua calma?- inarcando appena la schiena in avanti ed incrociando un braccio al petto, come se con quell'inchino avesse potuto scusarsi per non essersi presentato.

«Oya oya, perdona i miei modi scortesi. Il mio nome è... Hayato, Guardiano della Tempesta della Famiglia Giglio Nero. Sono qui sotto ordine di Luce, l'Ottavo Boss della Famiglia.»

Verde fu colto alla sprovvista. Un sottoposto di Luce? Cosa poteva volere ancora da lui quella donna, e cosa poteva essere così urgente da mandare uno dei suoi Guardiani in persona?

«Quale onore, anche se avrei detto Nebbia, piuttosto che Tempesta. Cosa può volere Luce la Santa da questo povero scienziato indifeso?»

Il ragazzo -Hayato- sorrise ancora, mentre Iemitsu assisteva a tutto in disparte, passando lo sguardo da lui a Knocker in cerca di qualche segnale che preannunciasse un attacco che, Verde sapeva, non sarebbe mai arrivato.

Nè lui né il suo pupillo erano amanti della violenza fisica, e se anche lo fossero stati, nessuno dei due aveva il fisico adatto ad ingaggiare battaglia con due mafiosi ben allenati: erano forti sostenitori del potere della mente, avevano quindi tralasciato ogni cosa comprendesse sforzo fisico.

Vide Hayato chiudere un secondo gli occhi, frugarsi nell'interno della giacca nera, per poi estrarne una scatola ed aprirla senza esitazione proprio davanti ai suoi occhi, dandogli la possibilità di ammirarne il contenuto in tutto il suo splendore.

Ora, Verde era abbastanza sicuro delle sue abilità di mascherare le emozioni -forse non hai livelli di Reborn, ma comunque non era facile capire quello che pensasse realmente per la sua mente- e di avere sempre il pieno controllo su di esse, eppure sentì i muscoli del viso contrarsi con scatti costanti una volta che i suoi occhi si posarono sui ciucciotti che il ragazzo custodiva.

«Siamo qui per offrirti di riprendere il tuo ruolo di Arcobaleno, niente maledizioni e alcuni vantaggi una volta che il tuo corpo avrà riacquistato la sua vera età. Kfufufu conveniente non ti pare?»

Verde non rispose, continuando a fissare intensamente il ciocciutto verde -il suo ciuccio, le sue Fiamme del Fulmine concentrate e racchiuse in un piccolo oggetto di vetro- dando solo rapide occhiate al resto della scatola. Erano rimasti solo quattro ciucci compreso il suo, quindi almeno altri tre avevano già accettato di riprendere il loro ruolo di custodi -non sapeva se anche Lal Mirch fosse stata contattata, dopotutto lei era un fallimento.

Una ghiotta opportunità, quasi come se il fato -non Dio, non c'era alcun Dio in cui Verde credesse- avesse deciso di dargli la possibilità di continuare le sue ricerche. Era un segno, una benedizione, un'occasione che non si sarebbe lasciato sfuggire.

Sorrise, aggiustandosi ancora gli occhiali sul naso e sogghignando.«Sembra una proposta interessante, dimmi di più.»

 

***


Quando si sentiva parlare di banlieue -la periferia, i sobborghi delle metropoli francesi- il primo nome a cui ogni giovane mafioso associava quel termine era Saint-Denis, il luogo con più alto tasso di criminalità di tutta la Francia.

Terroristi, spacciatori, ogni genere di feccia umana si radunava nei banlieue più poveri dove lo Stato era completamente assente, dove potevano fare il bello ed il cattivo tempo senza conseguenze. Luoghi lasciati alla mercè della criminalità organizzata senza alcun controllo da parte di autorità e forze dell'ordine, che intervenivano soltanto in caso di specifici eventi che potevano minare la sicurezza della capitale.

Se non si rappresentava un pericolo per Parigi, allora non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Era in uno di quei luoghi nefasti e sporchi che la sua prossima missione si sarebbe svolta, l'assassinio di un qualche mafioso insignificante che aveva fatto arrabbiare le persone sbagliate, credendo di poterla fare franca illeso.

Povero illuso.

Normalmente non accettava lavori in posti così malmessi -non valevano la paga solitamente, erano più i soldi spesi che quelli guadagnati- odiava il puzzo di fogne che solitamente appestava quegli ambienti, la feccia che si nascondeva in ogni angolo credendo di poter guadagnare qualcosa semplicemente mendicando, o accoltellando qualcuno alle spalle, a seconda del metodo preferito. Aveva acconsentito solo stavolta, poiché la paga era piuttosto lauta, e ultimamente il denaro nelle sue tasche scarseggiava come non capitava da un po'.

Qualcosa a cui Mammon doveva assolutamente rimediare.

Quella sera non era Viper -l'altro nome, doveva pur distinguersi in qualche modo- e forse per quel genere di missioni, Mammon era più adatta.

Sorseggiando quello che voleva essere un buon bicchiere di rum con ghiaccio, Mammon era seduta al banco della catapecchia in cui il suo obbiettivo si era radunato per conferire con i suoi colleghi, sbraitando, ridendo e bevendo, raccontando a chiunque della sua stupefacente impresa, di come aveva “fottuto come una puttana” il capo di una grande Famiglia mafiosa Francese.

Illuso. Nessun pivello poteva pensare di derubare una Famiglia e farla franca senza conseguenze.

Nascosta nell'illusione di una giovane donna -dannato corpo da poppante, non era ancora tornata alla normalità- osservava l'uomo farsi beffe di coloro che aveva truffato, ignaro di ciò che lo attendeva di lì a poco.

Aveva soltanto bisogno di una scusa, del momento adatto per agire ed essere sicura di potersela svignare senza che qualcuno avesse possibilità di rintracciarla.

«Célébrons! N'y a-t-il pas une femme qui veuille l'avoir avec moi? Je suis riche!»

Quello era il momento che Mammon aspettava. Bevve fino all'ultimo sorso del suo drink, lasciò qualche moneta sul banco e si avvicinò seducente al tavolo dell'obbiettivo, muovendo i fianchi e lasciando aperta l'ampia scollatura che dava libera visuale al suo prosperoso seno.

Se Fon l'avesse vista in quel momento, probabilmente l'avrebbe rimproverata -«Avventata come al solito, un uso improprio del tuo corpo»- ma siccome era avvolta da un'illusione che avrebbe fatto tutto al posto suo, Mammon si sentì sicura che nemmeno l'esperto di arti marziali avrebbe potuto dire nulla a riguardo.

Era diventato stranamente protettivo -oltre che critico verso ogni sua singola mossa- e questo la irritava da morire.

«Excusez-moi.» disse con voce suadente, portandosi un dito alla bocca e mordicchiandosi l'unghia sensualmente. Accennò appena ad un sorriso. «Y a-t-il un place pour moi?»

L'obbiettivo rimase interdetto per alcuni secondi, prima di sorridere ferino e avvicinarsi a lei, afferrandola per i fianchi e palpandole il sedere a mano piena, senza la minima intenzione di nascondere il suo viscido desiderio.

Disgustoso -è solo l'illusione, solo l'illusione- ma la paga valeva il disturbo. Si appuntò di non usare più il trucco della seduzione per arrivare al bersaglio, era davvero fastidioso.

Sentì Fantasma ribellarsi sulla sua testa -non la lasciava mai sola, ovunque lei andasse, la piccola salamandra era con lei- ma gli ordinò di non interferire: non piaceva nemmeno a lei, ma era pur sempre lavoro.

Le si avvicino al viso leccandosi lascivo le labbra -aveva l'alito che puzzava di alcol, dovette concentrarsi per non vomitargli addosso- e sentiva l'erezione del maniaco premerle su una coscia, mentre smaniava per affondare le sue dita unticce nei suoi seni.

Disgustoso. Ancora una volta, si ripeté che la paga valeva il sacrificio.

Riuscì a convincerlo a lasciare quel postaccio prima che decidesse di essere troppo ubriaco per preoccuparsi della decenza e decidesse di spogliarla nel bel mezzo del locale, portandolo in quello che avrebbe dovuto essere il suo appartamento.

“Col cazzo che porto una feccia della tua risma nella mia stanza d'albergo, con tutto quello che mi è costata.” pensò, mentre le labbra del target si avventavano sulle sue, mentre con le mani tastava ogni sua parte con disperato bisogno, come un polipo viscido e arrapato.

Disgustoso. Si appuntò di chiedere un extra sulla paga, dopo un trattamento del genere se la meritava.

Quando l'uomo diventò più intrepido -più avido, desideroso di possederla lì e subito- avvicinandosi al tessuto della minigonna che indossava con il chiaro intento di toglierla ed avere libero accesso alle sue grazie -è solo l'illusione, sta solo toccando un'illusione, povero stupido- Mammon decise che ne aveva abbastanza.

Rilasciò con più violenza le sue Fiamme della Nebbia, avvolgendo il target e scostandosi, materializzandosi alle sue spalle nella forma bambina che era il suo corpo in quel momento, avvolta dal mantello nero che indossava sempre, cappuccio calato e sguardo nascosto da quest'ultimo.

Guardò con ribrezzo l'uomo che continuava imperterrito a toccare l'illusione, mentre questa rispondeva ai suoi movimenti così come Mammon voleva, tenendolo impegnato quanto bastava affinché potesse compiere la missione e porre fine a quell'insignificante vita una volta per tutte.

Fantasma comparve sulla sua testa, eccitato, pronto più di lei ad uccidere quell'uomo che aveva osato sfiorarla. Sbuffava impaziente, e Mammon non poteva che concordare con lui.

«Concordo, è davvero patetico. Direi che è il momento di finirla.»

Schioccò le piccole dita e rilasciò le sue Fiamme, andando ad attaccare la parte del corpo umano che con le sue abilità riusciva a danneggiare più di tutto: il cervello.

Fu un istante, le illusioni si dissiparono attorno a lei, trasformando la stanza in cui credeva di essere in un puzzolente vicolo non troppo lontano dalla locanda in cui era stata “abbordata” dall'uomo, mentre il corpo di quest'ultimo cadeva a terra, il sangue che usciva copioso dalla bocca, le orecchie e perfino gli occhi. Le pupille bianche erano rivolte verso l'indietro, dando al cadavere un aspetto terribile e inquietante.

Mammon sorrise. Aveva esagerato forse -al diavolo, non si pentiva di nulla- ma era ciò che quel tipo di era meritato per averla palpeggiata nell'istante stesso in cui aveva posato gli occhi su di lei -sull'illusione da lei creata, non c'era la minima possibilità che per un lavoro del genere avesse usato il suo vero corpo.

Storia della bambina a parte non si sarebbe lasciata toccare da nessuno, uomo e donna che fosse. Beh, forse una persona con cui non le dispiaceva avere piccoli contatti fisici -una stretta di mano, gomiti che di sfioravano per caso- c'era, ma prima di ammetterlo Mammon si sarebbe strappata la lingua a morsi.

Guardò ancora il cadavere a terra, scattò una foto come prova per il cliente e sbuffò.

«Te la sei cercata, figlio di puttana.»

«Waa! Che disastro! E chi pensava che una bambina potesse creare tutto questo trambusto?!»

Mammon si girò di scatto. Se avessero potuto vederle gli occhi, vi avrebbero letto l'orrore e la sorpresa di trovarsi davanti due individui senza che ne avesse percepito la presenza, qualcosa che non le capitava da diverso tempo ormai.

Fissò con sconcerto i due ragazzi che passavano lo sguardo da lei al cadavere alle sue spalle, uno con sconcerto e sorpresa, l'altro assolutamente impassibile.

Ad una seconda occhiata, Mammon quasi si strozzò nel constatare che uno dei due era Iemitsu Sawada, il neo-Boss del CEDEF, un membro onorato della Famiglia Vongola.

Cosa ci facesse lì in Francia -cosa volesse da lei e come avesse fatto a rintracciarla- Mammon non lo sapeva, ma sembrava preoccupata. Solitamente i Vongola non portavano nulla di buono.

«È un piacere vederti, Arcobaleno della Nebbia, Vipe... ah... Mammon-san?»

A parlare era stato il secondo ragazzo -ma lo era veramente?- alto e biondo, l'occhio destro chiuso come se non potesse vedere attraverso di esso, mentre il destro era viola brillante, illuminato dai raggi chiari della luna piena che quella sera brillava sopra le loro teste.

Quella frase lasciò Mammon interdetta. Lui... sapeva? Come aveva fatto a distinguerli? Nessuno -Fon era stato il primo, seguito dagli altri Arcobaleno, ma oltre a loro nessuno sembrava essersi mai reso conto della differenza- era mai riuscito a capire quando fosse Mammon o quando Viper.

Perché erano la stessa persona e due persone diverse contemporaneamente. C'erano giorni -settimane anche- in cui l'uno prevaleva sull'altro, senza però prendere il dominio completo di quel fragile corpo, che imperterrito continuava a cambiare e cambiare, senza mai fermarsi e bilanciandosi in un equilibrio proprio con cui era poi riuscita a convivere.

Quel loro essere versatili, quel loro non essere sempre Viper o sempre Mammon era stata la causa per cui si erano ritrovati soli quando ancora erano dei bambini veri, tutto perché le persone che avrebbero dovuto amarli non erano stati in grado di accettarli per quello che erano. Né a Mammon né a Viper sembrava importare più di tanto.

«Sono Mammon, che cosa volete da me?»

Vide Iemitsu storcere il naso e aggrottare la fronte, grattandosi il capo in cerca di chissà quale rivelazione divina.«Ma... l'Arcobaleno della Nebbia... non si chiamava Viper?»

«Il nome ufficiale è quello CEDEF-san, ma dipende... in questo momento è Mammon-san.»

Mammon non tolse gli occhi di dosso dal ragazzo -e ancora, perché aveva la sensazione che fossero più simili di quanto non credesse?- chiedendosi come sapesse tutte quelle cose su di lei -su di loro- e come facesse a sapere quando era l'uno e quando era l'altro.

Eccetto per il nome e per... beh quello, erano sostanzialmente la stessa persona. Era alquanto interessante, ma non poteva lasciarsi distrarre.

«Parlate, cosa vogliono da me i Vongola tanto da mandare il Giovane Leone in persona a parlarmi?»

Sawada rimase indietro -poteva leggere la sorpresa di essere stato chiamato con il suo titolo stampata negli occhi- lasciando che fosse il compagno ad avvicinarsi.

«Sono il Guardiano della Tempesta di Luce Giglio Nero-sama, e sono qui con CEDEF-san per proporti una cosa Mammon-san.»

Lo vide estrarre una scatola dalla giacca, e porle davanti agli occhi proprio l'ultimo oggetto che avrebbe voluto avere davanti in quel momento: dopo tutto ciò che aveva passato, per quale motivo Luce mandava qualcuno a portarle di nuovo uno stramaledetto ciucciotto?!

Prima che potesse aggredire -verbalmente e fisicamente- i due giovani, il Guardiano di Luce parlò di nuovo.

«Vogliamo che tu porti di nuovo con te questo ciuccio. Che tu ne sia il custode, che lo usi come meglio credi, e che impedisca che cada in mani sbagliate. Niente maledizione, possibilità interessanti una volta che il tuo corpo sarà tornato alla normalità.»

Poteva essere anche una proposta interessante -quali possibilità intendesse era davvero curiosa di scoprirlo- ma ci voleva più di questo per convincerla e riprendere in mano l'oggetto che le aveva rovinato la vita.

«Inoltre, i Vongola e i Giglio Nero si assicureranno di darti protezione e asilo ogni qual volta tu ne abbia bisogno, sopperendo ovviamente ad ogni spesa e fornendoti un compenso mensile che si duplicherà nel caso in cui deciderai di svolgere missioni per conto delle due Famiglie.»

Ok, ora parlavano la stessa lingua, tuttavia non era ancora sicura di voler accettare. Ci pensò attentamente, notando come nella scatola soltanto due ciucci fossero ancora coricati sulla stoffa che li proteggeva: quello viola di Skull e quello rosso di Fon. Se avessero rifiutato e se semplicemente non avessero ancora ricevuto la proposta, questo Mammon non lo sapeva.

Ci pensò ancora, e alla fine si arrese, sospirando. Che senso aveva rimuginarci? Era quasi scontata la sua risposta a quella proposta.

Dopotutto, niente per loro era più importante dei soldi.
 

***
 

Di cose spaventose nella sua vita, Skull ne aveva affrontate così tante da non poterle contare sulla punta delle dita. Perfino in quel momento, durante il suo tour in Germania -poteva tornare a fare lo stuntman, ad esibirsi come faceva un tempo- gli era capitato più volte di trovarsi faccia a faccia con la morte, ridendole in faccia come aveva sempre fatto, ancora prima che l'intero casino degli Arcobaleno avesse inizio.

Lui era Skull dopotutto -lo Stuntman Immortale- colui che sfidava il cupo mietitore e riusciva a farla franca, non poteva lasciarsi spaventare da esso.

Reborn e Colonnello erano stati forse la sua prima vera paura -col cazzo che l'avrebbe ammesso davanti a quegli stronzi, piuttosto avrebbe mangiato un calzino sudato!- e per ovvie quanto sconvenienti ragioni. Erano dei bulli, dei prepotenti, che pensavano di essere più forti solo perché avevano qualche abilità in più rispetto a lui -tze, un giorno glie l'avrebbe fatta vedere lui, nessuno poteva deridere il grande Skull-sama e passarla liscia!- e dopo che la maledizione era cominciata, avevano smesso del tutto di prenderlo sul serio.

Con la fine della maledizione ed il suo corpo che lentamente stava tornando alla sua forma originale, Skull era certo che nessuno avrebbe più osato deriderlo, riuscendo così a guadagnare il rispetto che meritava e a mettere a tacere una volta per tutte i suoi cosiddetti “sempai”.

Nessuno avrebbe più potuto fargli paura.

In quel momento però, bloccato al muro da uno strano biondino armato di tonfa -da dove li aveva tirati fuori poi?- Skull provò cosa significasse avere davvero paura.

Gli occhi grigi erano spietatamente puntati su di lui, che senza casco poteva solo sudare freddo sotto quello sguardo di ferro.

«Erbivoro, prendi questo e adempi al tuo compito, altrimenti ti morderò a morte.» aveva esordito, piazzandogli sotto il naso il suo ciucciotto e quasi costringendolo a riprenderselo.

Skull aveva quasi voglia di piangere ed urlare per la paura, continuando a chiedersi perché quel genere di situazioni capitassero sempre e solo a lui.

«As-Aspetta Haya-chan! Se non gli spieghi per bene non puoi aspettarti che accetti!» intervenne allora il suo compagno, l'altro biondino dalla faccia famigliare che però Skull non ricordava dove aveva già visto.

Il lupo dagli occhi grigi grugnì, mormorando un qualcosa che sembrava un “erbivori” ed un qualcosa che ricordava la parola giapponese “kamikorosu” prima di allontanarsi e sbuffare.

L'altro ragazzo rimase con lui, sorridendogli e chiedendo scusa per il comportamento del suo strano compagno, giustificando il tutto con uno scherzoso:«Non farci caso, soffre di personalità multipla!»

Per qualche ragione, Skull non faticava a crederlo.

Mentre Iemitsu -così si era presentato- gli spiegava le ragioni sotto quella richiesta -”richiesta” un paio di palle! Quello psicopatico lo stava palesemente obbligando ad accettare!- il lupo tornò verso di loro, con qualcosa di diverso che lasciò perplesso l'ex Arcobaleno.

Era sicuro che gli occhi di quel bulletto fossero grigi, quindi com'è che ora erano verdi come un prato in piena primavera? Si sfregò gli occhi, forse tutta la stanchezza accumulata durante il tour gli stava facendo venire le allucinazioni.

«Yare yare, ti chiedo scusa per prima, sono stato un vero maleducato. Caramella della pace?» e gli offrì una caramella all'uva che Skull accettò molto volentieri.«Allora, pensi di poterci aiutare? Reborn e Colonnello hanno accettato, ma se tu non te la senti...»

Skull gonfiò le guance, quasi offeso da quella mancanza di fiducia nelle sue capacità di custodire quello stupido ciuccio. Inoltre, se Reborn e Colonnello avevano accettato e potevano farcela, lui era certo di poter fare incredibilmente meglio.

«Da qua!» strappò il ciuccio dalle mani del ragazzo, tenendolo stretto tra le proprie e mostrandolo con fierezza ai due mafiosi.«Non c'è nulla che il grande Skull-sama non possa fare! Sarò anche meglio di quei due vigliacchi di Reborn e Colonnello, ahahahahah!»

Ghignò, mentre pensava alle facce stupefatte di quei due plebei prostrati ai suoi piedi, mentre si scusavano e ammettevano finalmente la sua indiscussa superiorità.

Un momento che Skull aspettava con ansia.

 

***

 

Guardando fuori da finestrino, Iemitsu riusciva a stento a trattenere un sorriso.

Le nuvole passavano attorno a loro veloci, mentre attraversavano il cielo per la quinta volta nell'arco di cinque mesi, dirette verso la loro ultima meta, la conclusione di quel lungo viaggio che li aveva visti compagni per quel lungo lasso di tempo.

Lo schermo sopra di loro parlava chiaro, mentre la linea rossa tracciava la distanza rimasta da percorrere tra l'aeroporto internazionale di Hong Kong e quello di Narita a Tokyo, la loro ultima destinazione.

Ormai non mancava molto.

“Manca poco Nakano-chan, aspettami!” sperò solo che ad Hayato non dispiacesse fare una piccola deviazione una volta conclusa la missione: dopo tutto quel duro lavoro, una breve pausa non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

«Sei emozionato?»

Dire emozionato era un eufemismo: gli sorrise, mostrandosi l'energico e scapestrato ragazzino che non aveva mai smesso di essere, nemmeno ora che aveva quasi 23 anni.

«Non vedo l'ora di arrivare! Sono certo che ti piacerà tantissimo, vedrai!» si lasciò trasportare dai sogni, passando un braccio attorno al collo di Hayato e attirandolo con foga a se.«Ti farò fare un giro per il centro, c'è uno dei cafè più in voga del Giappone! Pranzeremo da Aki-chan, fa il miglior sushi in circolazione e... ah! La cosa più importante, potrò farti conoscere Nakano-chan! La mia amata Nakano-chan!»

Vide Hayato aggrottare la fronte.«Nakano-chan?»

Annuì con vigore.«La kouhai più dolce che io abbia mai avuto!»

Iniziò a fantasticare su come sarebbe stato meraviglioso rivedere finalmente lo splendido viso di Nakano-chan, risentire la sua risata, il suo dolce profumo di lavanda e... inevitabilmente, Iemitsu arrossì di colpo.

«Mi raccomando però, non innamorarti di lei! So che è fantastica, simpatica e semplicemente bellissima, ma non posso assolutamente lasciartela! Nemmeno se sei tu, Haya-chan!»

Vide Hayato piegare le labbra -era un sorriso quello? Facevano progressi!- annuendo distrattamente.

«Certo, nessun problema. Cerca di non sbavare troppo, o la tua “Nakano-chan” potrebbe fuggire a gambe levate.»

Iemitsu gli si avvicinò, sorridendo ferino ed abbassando di alcuni decimi la voce.

«Tu piuttosto, cerca di tenere sotto controllo le tue personalità multiple, specie Nebbia-san e Nuvola-san, ne sarai in grado?»

Hayato arrossì fino alla punta delle orecchie, e a quella vista Iemitsu non riuscì a trattenere una grassa risata.

«Cos...?! Ti ho già detto che non è così! È solo colpa delle Fiamme! Le Fiamme!» ma Iemitsu non stava più ascoltando, coprendo ogni parola con le proprie risate.

«Sei davvero uno spasso Haya-chan!»

Gli faceva piacere vederlo così rilassato, specie visto che ultimamente Hayato sembrava perdersi nei propri pensieri, chiudendosi in sé stesso e tagliando fuori il mondo e chiunque avesse attorno.

Avevano girato l'intera Cina alla ricerca di Fon, l'ultimo Arcobaleno che mancava al loro appello, senza successo e finendo per doversi scontrare con membri della Triade alla ricerca della stessa persona. Un mese duro, il più lungo e difficile che avessero affrontato alla ricerca dei bambini prodigio, solo per scoprire che l'Arcobaleno della Tempesta aveva fatto perdere le sue tracce, sparendo dai radar mondiali della Triade e di chiunque non fosse un suo stretto alleato.

Privi di qualsiasi indizio utile, avevano quindi deciso di contattare Luce -sperando che avesse mantenuto contatti almeno con lei- che aveva comunicato loro di sapere dove Fon si trovasse, di averlo visto nelle sue visioni e quindi di poterli aiutare.

Iemitsu aveva quasi urlato di gioia quando aveva sentito dove si nascondeva. Hayato, di contro, si era come congelato.

Sembrava davvero preoccupato -agitato?- come se l'idea di andare a Namimori lo terrorizzasse, ma per quale motivo avrebbe dovuto? Iemitsu questo non lo sapeva, ma desiderava poter aiutare l'amico in qualche modo. Era contento di essere riuscito a distrarlo, scogliere almeno un po' della tensione che l'aveva avvolto in quegli ultimi giorni.

«Ormai non manca poco, tra poco atterreremo, meglio prepararci per il viaggio.»

Iemitsu annuì, riuscendo a scorgere oltre la nebbia di nuvole, le luci che animavano Tokyo. Poche ore di treno lo separavano da casa, non stava davvero più nella pelle.

“Sto finalmente tornando. Namimori, arrivo!”

   
 
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