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Autore: Darla92    18/07/2009    0 recensioni
questa fanfiction è ambientata dopo Eclipse, quando Jacob scappa in Canada
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Caldo, sentivo molto caldo intorno a me, il caldo si muoveva, era soffice.

Cercai di aprire gli occhi, ma ero troppo stanca, volevo tenerli chiusi, volevo dormire, perché non potevo dormire?

Il ricordo di ciò che era successo mi colpì come un pugno, spalancai gli occhi e mi trovai a fissare una superficie pelosa, era morbida e calda, sollevai il viso e incontrai due occhi che mi fissavano, due occhi in una faccia mostruosa, urlai e mi dibattei, caddi a terra e gattonai via, ma qualcosa mi recuperò e mi spinse gentilmente sopra un letto di foglie; mi nascosi dietro un albero, sporgendo la testa per guardare.

Un essere enorme era davanti a me, mi fissava, strinsi gli occhi e repressi un altro urlo di terrore, spronando le rotelle del mio cervello a riprendere a girare, e ragionai:

guardai ancora, era davvero enorme!

mi ritrassi dietro al grande tronco scuro, fortunatamente abbastanza largo da nascondermi tutta, chiudendo gli occhi e facendo dei bei respiri profondi nel tentativo di calmarmi, presi coraggio e sbirciai ancora, era sempre lì fermo a fissarmi, in attesa, stemmo a fissarci in silenzio per quelli che mi parvero una decina di minuti, e così ebbi la possibilità di osservarlo meglio: era un animale dalla stazza più grossa di un orso, ma con il muso e le zampe di un lupo, il pelo abbastanza lungo e dal colore rossiccio

mi resi conto di quanto quei discorsi fossero ridicoli, ma come spiegare allora l’essere che avevo davanti?

Incontrai ancora i suoi occhi, e rimasi incantata, non erano gli occhi di un mostro, o di un animale, cercai di reprimere il pensiero, ma quegli occhi sembravano terribilmente umani.

Occhi tristi; ecco cosa mi trasmettevano quegli occhi: una profonda tristezza. Ho sempre avuto un sesto senso, se così lo vogliamo chiamare, per capire l’umore di una persona dall’espressione degli occhi, ed ora, fissando quegli occhi così normali, così umani in contrasto con il resto dell’aspetto di quell’essere, capii che era pervaso da una profonda malinconia, niente a che vedere con la follia animalesca che mi aspettavo, o con la furia cieca di un altro paio di occhi che mi tornarono vivi in mente, occhi incredibilmente rossi.

Presi a bracciate le foglie sparse sul suolo e ne feci un giaciglio dietro l’albero, poi mi guardai intorno, considerando (o meglio sperando) che se quel lupo-orso non mi aveva ancora fatto nulla probabilmente se ne sarebbe stato lì a fissarmi ancora un po’, recuperai l’immagine dell’altro essere spaventoso che avevo incontrato, quello si che sembrava umano, anzi no, ne aveva l’aspetto, ma non poteva essere umano, era pallido più di un cadavere, e io avevo visto già abbastanza cadaveri nel corso della mia breve esistenza per sapere che la sua pelle era di un colore inumano, anche un albino era più scuro!Ed era di una bellezza soprannaturale, ricordai i tratti duri del suo viso: gli zigomi prominenti, le labbra carnose, i capelli non troppo corti biondo oro, il corpo muscoloso, gli occhi rossi.

Rabbrividii.

Cosa ne era stato? Cos’era successo dopo che avevo perso i sensi? Guardai il lupo-orso, come ci ero arrivata lì, con lui?

Scossi la testa in cerca di qualche ramo abbastanza robusto, e soprattutto in cerca di una via d’uscita, eravamo in una piccola radura circondata da fitta vegetazione, gli alberi parevano tutti uguali, lo sfondo al di la di essi mostrava il marrone degli altri tronchi e il verde delle piante, guardando in alto scoprii che i fitti rami non mi permettevano di vedere il cielo, ma le foglie lasciavano passare comunque la luce; tornai ad osservare il perimetro della radura, niente, non c’era un’entrata o un’uscita, era tutto uguale, quanto tempo ero stata priva di sensi? In che punto della foresta potevo essere? Sbuffai desolata: il mio senso dell’orientamento non era mai stato il massimo e in più in quel momento mi faceva molto male la testa.

Fu un attimo: il mio corpo s’irrigidì e prese a farmi male d’appertutto, molto probabilmente l’adrenalina scatenata dalla mia fuga aveva finito di circolare, e ora dovevo vedermela con tutti i graffi e le botte che avevo preso.

Sedetti con fatica nel giaciglio di foglie, mi tolsi il giubbotto, ormai ridotto a brandelli, e lo appoggiai accanto a me, sotto portavo una felpa pesante, poiché nonostante fossimo a fine luglio in Canada faceva freddo lo stesso, notai che le braccia erano piene di tagli, il braccio destro in particolare era impregnato di sangue, sospirai e con fatica mi tolsi anche quell’indumento, mi morsi il labbro per non urlare di dolore, la maglietta a maniche corte che portavo sotto era rigida di sangue rappreso, mi tastai ovunque, sul busto avevo molti lividi, ma niente tagli, sulle braccia invece era un macello, ma nulla di grave, constatai, infine mi tastai il collo, dove quell’essere assurdamente bello mi aveva afferrato sentivo male, ma non c’era sangue, al contrario avevo un taglio sulla fronte sopra all’occhio sinistro e mi usciva il sangue dal naso.

Riprovai a muovermi ma non ce la feci, la gamba destra non rispondeva, pregai di non essermela rotta, ma non riuscivo a spostarla; strappai il giubbotto del tutto e mi bendai alla bell’e meglio, poi rimisi la felpa, non era un granché come primo soccorso, ma sapevo che era meglio fermare le emorragie se non volevo morire dissanguata.

Non so da dove venisse all’improvviso tutta quella lucidità, ma credo proprio che mettersi ad urlare e strapparsi i capelli in preda al panico non sia molto d’aiuto in certi casi.

Sbirciai dietro di me e ammutolii, il lupo-orso era sparito!Scossi la testa

Trovai dei rametti e delle foglie secche, li raggruppai in un punto e presi l’accendino, accesi con successo un fuocherello e mi scaldai le mani, sinceramente ho sempre odiato gli scout e i campeggi estivi, ma in quel momento mi fu utile l’aver imparato come si vive all’aperto quando ero andata in tenda con degli amici l’anno prima.

Mi voltai ricordando improvvisamente di aver avuto lo zaino con me durante la fuga, ma naturalmente non lo trovai, sbuffai desolata.

rimpiangevo di non avere portato con me il coltellino svizzero che mi aveva regalato mio nonno, ma non ci pensai molto, dovevo trovare un modo per tornare a casa!

Il fumo creato dal fuocherello iniziava a darmi fastidio, tossii un paio di volte, facendo aria con le mani, perché rimaneva nella radura?!Mi resi conto con terrore che i rami erano troppo fitti per farlo uscire velocemente, mi bloccai pensando ad un modo per rimediare, ma all’improvviso il fuoco si spense, e davanti a me apparve il lupo-orso.

Urlai e saltai indietro, sbattendo contro l’albero, a tentoni cercai qualcosa intorno a me

“Stai indietro!”urlai, puntandogli contro un bastone e muovendolo qua e là per farlo allontanare, ma lui lo prese in bocca e me lo strappò di mano, lanciandolo lontano; mi addossai ancora di più all’albero, lui si avvicinò sempre di più, annusandomi, poi abbassò il muso sulle mie braccia e poi sul mio petto

“Ehi!”gli arrivai uno scappellotto nel muso, mi ringhiò contro, e io mi abbracciai, piegando le ginocchia contro il petto.

“Ma che cosa ho mai fatto per meritarmi una morte così violenta?Un proiettile in testa non era meglio?Più veloce, più pulito..”stavo delirando, l’enorme animale fece un verso stano e mostrò i denti, proprio davanti alla mia faccia, una serie di lunghi e affilati denti…

Terrorizzata, cercai di allontanarmi da lui, ma era talmente grosso che sbarrava ogni possibile via d’uscita; ero sull’orlo di una crisi di nervi e un essere non ancora propriamente identificato stava per mangiarmi!

Velocemente com’era arrivato, scomparve, era a due metri da me adesso, col muso spinse qualcosa, era il mio zaino. Lo presi, era perfettamente intatto, dentro c’erano ancora i libri e l’astuccio, il portafoglio e l’iPod, guardando meglio scoprii che c’era anche il panino che non avevo mangiato a pranzo.

Riportai lo sguardo al lupo-orso, non sapendo come comportarmi, mi aveva salvato? Il fatto che mi avesse riportato lo zaino denotava una qualcerta intelligenza no?

“Grazie”mormorai, lui alzò il muso e lo riabbassò, quasi stesse annuendo, poi toccò col muso i rimasugli del fuocherello che avevo acceso poco prima e mosse il muso prima a sinistra poi a destra.

L’essere stava cercando di dirmi qualcosa… un animale che tenta di dire qualcosa? Dovevo aver sbattuto la testa più forte di quanto pensassi..

Lo guardai per un attimo, infine scossi la testa e dissi:

“Bè, se proprio devo, tanto vale toccare il fondo”poi mi rivolsi a lui:

“Devo tornare a casa! Non posso stare qui, sono ospite in una famiglia per una vacanza studio, saranno preoccupatissimi! Aiutami” intanto che parlavo facevo dei gesti a mezz’aria, quand’ebbi finito piegò la testa di lato e si limitò a fissarmi, dopo un minuto mi lasciai andare sbuffando, davvero avevo pensato che potesse capirmi?! Mi alzai, presi lo zaino e mi diressi al limitare della radura, preparandomi ad una tortuosa ricerca della via di ritorno; avevo fatto una decina di passi in mezzo agli alberi quando sentii un urlo terribile, mi guardai intorno, ma non vidi nulla.

Deglutii un paio di volte e ripresi il cammino.

Due ore dopo…

Sedetti su un tronco caduto e mi tersi il sudore dalla fronte, avevo fatto non so quanti chilometri ma la foresta non accennava a diradarsi, anzi sembrava addirittura farsi più fitta; avevo mangiato il mio panino quando ero quasi svenuta per un calo di zuccheri, ed ora vedevo di nuovo sfuocato e barcollavo, il sangue aveva cessato di scendere da quasi tutte le mie ferite, tranne uno abbastanza profondo, era quella la mia rovina.

Mi stesi e feci dei profondi respiri, le lacrime presero a rigarmi le guance mentre pensavo che probabilmente sarei morta li, dissanguata o mangiata da qualche fiera; all’improvviso sentii un suono e mi alzai di scatto, pessima idea, non vidi nulla tranne qualche lucina, non riuscii a mettere a fuoco, ma sentii qualcosa di caldo e soffice contro di me, e qualcosa di umido che mi strisciava la faccia.

Era ancora quell’essere. Non ci potevo credere, e mi stava leccando!Mi congelai pensando che era arrivata la fine: il suo stomaco si era svuotato ed era pronto per mangiarmi, chiusi gli occhi aspettando che mi addentasse, ma non so come mi ritrovai sulla sua schiena: mi stava trasportando.

E… era un sospiro spazientito quello che avevo sentito?!


Mi stesi sul letto con l’asciugamano avvolto intorno al mio corpo, i tagli lavati e bendati mi fecero male, ma la mia mente era impegnata a ripercorrere per la centesima volta gli avvenimenti di quella giornata: dopo avermi “salvata” il lupo-orso mi aveva portata fino al limitare della foresta, durante il tragitto mi ero tenuta saldamente alla sua pelliccia straordinariamente morbida e calda, dopo i primi momenti in cui ero rimasta rigida sul suo dorso mi ero rilassata e avevo poggiato la testa sul suo collo, dove ogni tanto vibrava un gorgoglio o un mezzo ruggito.

All’arrivo ero scesa con qualche difficoltà, lui era rimasto a guardare mentre mi sgranchivo le gambe e mi massaggiavo le braccia, avevo preso più tempo possibile, non sapevo come comportarmi, di nuovo.

Alla fine mi ero voltata e avevo teso il braccio verso di lui, il palmo della mano aperta rivolto verso l’alto, lui si era avvicinato e aveva annusato, gli occhi sempre fissi nei miei, io con prudenza avevo mosso la mia mano per accarezzarlo sul muso e sulle orecchie, senza rendermene conto mi ero avvicinata sempre di più, e all’improvviso l’animale mi aveva leccato tutta la faccia, di nuovo.

Ehi ma che schifo!”esclamai disgustata, lui era sempre di fronte a me, il muso a pochi centimetri dal mio viso, lo guardai male mi pulii la faccia con la manica della felpa.

Il momento di perfetta sincronia che avevo avvertito fino a qualche secondo prima mi aveva scombussolata: ero stata pervasa da una sensazione di benessere, una calma improvvisa; tutti i rumori si erano attutiti come se fossimo stati dentro una campana di vetro, gli occhi negli occhi, quegli occhi marrone scuro, che ogni volta mi incantavano senza che potessi farci niente, in quei momenti mi sentii come in compagnia di un essere umano, di una persona vera, potei sentire la sua sofferenza, chiusi gli occhi e, con una mano sul suo muso, mi sentii completa.

Ma la campana si ruppe al suono di un grido disumano, lo stesso che avevo sentito prima nella foresta, alzai lo sguardo stupito alla foresta, e il lupo-orso sparì, di nuovo.

Ero tornata a casa barcollante giusto in tempo per la cena, la famiglia da cui ero ospite naturalmente era preoccupatissima, ma per fortuna non avevano chiamato la polizia né altro; mi ero inventata lì per lì che ero andata nella foresta perché mi sembrava di aver visto uno strano scoiattolo, poi però mi ero persa ed ero caduta in un burrone, Dio quanto sono creduloni questi canadesi, mi hanno fatto una ramanzina di un’ora emmezza sul fatto che non dovevo andare in giro da sola nella foresta, perché a quanto dicevano le leggende vi vivevano degli strani esseri che uccidevano le persone in modi brutali, e che gli spiriti delle vittime continuavano ad infestarla perché gli era negato l’accesso al Paradiso; se prima che mi raccontassero questa storia ero indecisa se dirgli o no delle creature che avevo incontrato, ora ero contenta di non averlo fatto.

Mi ero fatta una doccia calda e rilassante, ma continuavo a sentire su di me lo sguardo di quello strano animale.


Occhi rossi.

Erano d’appertutto, si vedevano solo i bagliori rossi come un cerchio nel buio, al centro del quale stava una bambina di al massimo cinque anni, stringeva al petto un orsacchiotto ridotto male, piangeva.

Era tutta bagnata, i vestiti che indossava erano stracciati, i capelli ondeggiavano furiosamente intorno a lei come mossi dal vento; ad un tratto un paio di occhi rossi le si avvicinarono nel buio e si fermarono vicino a lei, che alzò lo sguardo a incontrarli.

Ci fu un lampo bianco e la scena cambiò: la bambina era stesa su un divano e dormiva, un uomo le sedeva accanto, ma non si riusciva a vederlo perché era totalmente in ombra, le accarezzava la fronte con la mano.

Un altro lampo bianco, la bambina era seduta ad un tavolo di legno lungo, china sopra un grosso libro, carta e penna li vicino, un uomo in ombra parlava di fianco a lei ed ella scriveva, alle loro spalle comparvero due paia di occhi rossi che li fissavano da dei volti neri.

L’ennesimo lampo e ora la bambina era cresciuta, aveva si e no dieci anni, scendeva da una macchina grigia davanti ad un grande cancello nero, dietro al quale si intravedeva un palazzo scuro, con molte finestre, un vialetto coperto di neve in mezzo agli alberi conduceva dal cancello agli scalini dell’entrata, stava ancora nevicando e delicati fiocchi bianchi cadevano tra i capelli di lei, una mano sulla spalla la spingeva verso il cancello, che si chiuse dietro di lei e tutto divenne nero.


Mi svegliai di soprassalto, sudata e ansante, mi guardai intorno freneticamente, ma ero sola nella mia stanza.

Mi passai le mani sul viso per detergere il sudore, e notai che tremavano.

Continuavo ad avere il fiatone, così mi costrinsi a calmarmi, scostai le coperte e a piedi nudi raggiunsi il bagno e accesi la luce, che mi diede fastidio per un attimo, poi mi sciacquai il viso un paio di volte, presi l’asciugamano alla mia destra e lo tenni premuto forte contro la mia faccia,

1, 2, 3.

Inspirai.

4, 5, 6.

Espirai.

7, 8, 9.

Inspirai.

10.

Occhi rossi.

Ammiccai e lo rividi, come se fosse davanti a me, rividi i suoi occhi infuocati.

Scossi la testa, guardandomi allo specchio, e a stento mi riconobbi: ero pallidissima, con le occhiaie marchiate sotto gli occhi, le labbra esangui, i miei occhi marroni sembravano vuoti e i miei capelli castano chiaro spenti.

Un tuono risuonò nel silenzio della notte facendomi saltare in aria dallo spavento, sbirciai fuori dalla finestra, ma la pioggia cadeva fitta e non vedevo nulla, appoggiai la fronte al vetro freddo e chiusi gli occhi, ma l’immagine di quell’essere spaventoso incontrato nel bosco mi ricompariva davanti con insistenza.

Un altro tuono riecheggiò nella notte, facendo tremare il vetro.

“Devo farmi forza”sussurrai a me stessa, scacciando con forza quelle immagini e cercando di pensare ad altro, rientrata in camera presi la foto appoggiata al comodino alla sinistra del letto, guardai i volti impressi per sempre in quell’immagine, uno ad uno, la mia famiglia, i miei compagni, il mio rimpianto.

Rividi il grande edificio circondato da un cancello di ferro battuto, oscuro e solitario nella campagna.

Rividi il volto di colui che mi trovò, colui che mi salvò, colui che mi educò… colui che mi abbandonò.

Gli anni di sofferenza, di oblio, non sapendo chi fossi.

Ma ora, chiara come il sole, la certezza che la chiave per scoprire il mio vero passato fossero loro: gli strani esseri bellissimi e con gli occhi rossi.

“Forza”

  
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