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Autore: NyxTNeko    18/01/2019    3 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 1 - Tutti nascono anonimi come me -


Ajaccio, 14 agosto

Letizia era seduta sulla seggiola, accarezzava con premura il ventre gonfio, mancava poco tempo all'imminente parto, questione di giorni ormai. Il bambino continuava a scalciare, impaziente di voler nascere e vivere. Il caldo asfissiante di quei giorni, inoltre, non l'aiutava, anzi, acuiva enormemente la sua seconda gravidanza, Giuseppe non le aveva creato tutti quei sussulti e turbamenti; si mise ad osservare il cielo, per distogliere la sua mente e  tranquillizzarsi.

Carlo la vide da lontano, era così bella in quello stato, si diceva che durante la gravidanza, la futura madre assumesse nuova bellezza, Era convinto più che mai che fosse esattamente così. Il piccolo Giuseppe stringeva la grossa mano del padre, aveva un'espressione serafica.

La moglie percepì i passi sicuri del marito e quelli un po' incerti del piccolo, si voltò verso nella direzione da cui provenivano. Carlo le sorrise e con entusiasmo avvicinò il suo orecchio alla pancia - Accidenti come scalcia! - rise gioioso, parimenti di un bambino.

- Sì, ridi, ridi, tanto sono io a dover sopportare ciò...per voi uomini è tutto così facile - sbuffò Letizia allontanando stancamente il marito da lei. Voleva stare sola.

Carlo, lievemente sbigottito, si poggiò sulle ginocchia forti e muscolose, si chinò, le ruotò delicatamente il viso roseo, fissandola dritta negli occhi - Non potrò mai provare l'esperienza del parto, questo è vero, ma sto facendo di tutto per migliorare le nostre condizioni, soprattutto con l'esilio del Patriota - sussurrò soavemente nelle sue orecchie.

Letizia intravide una luce nelle sue iridi azzurre: le sue speranze non erano ancora morte, risplendevano con limpidezza nel suo sguardo gioviale. Credeva fermamente che qualcosa sarebbe cambiato per sempre in Corsica, specie dopo il patto sancito con il conte Marbeuf e il giuramento di fedeltà al re, che lo aveva reso assessore della corte di giustizia di Ajaccio - Hai combattuto al mio fianco con un bambino in grembo, sottoponendoti ad ogni sforzo, pochissime donne avrebbero potuto sostenere tutto ciò, tu l'hai fatto...

- Sì però...come... - mormorò sottovoce.

- Ce la faremo, Letizia - la rassicurò spostandole una ciocca dietro l'orecchio; la sua voce bassa e profonda assunse una dolcezza quasi angelica - Se resteremo uniti - le diede un bacio sulla guancia liscia e vellutata - Ora, però, non pensare a cose tristi, amore mio, domani sarà un giorno di festa per la nostra piccola città - aggiunse sorridente.

Con tristezza, riprese a massaggiare la pancia gonfia. Le sarebbe tanto piaciuto raccontare alla creatura di aver contribuito all'indipendenza definitiva dell'amata isola, invece non le restava che il rammarico di non aver potuto rendere i suoi adorati figli felici. - Già, domani... - sussurrò sospirando, aveva quasi dimenticato che giorno sarebbe stato, pieno di gente e confusione.

- Ma...mamma... - udì la donna, ridestandosi dai suoi pensieri e notò il piccolo Giuseppe, avvolto nella veste lunga sino ai piedi, allungare le braccia verso di lei, voleva essere coccolato ed abbracciato - Mamma... - ‎ripetè stringendo le manine.

Aveva imparato a camminare in maniera quasi perfetta, la parola era, però, ancora minimale; rivolse uno sguardo materno al primogenito e lo prese tra le braccia. Giuseppe appoggiò la testa sulla pancia, curioso, come sempre, di sapere se la mamma sarebbe rimasta sempre così - Fratellino...qui dentro...giusto? - .chiese ancora ridendo. Ogni volta che incontrava la madre le faceva questa domanda.

- Sì, presto conoscerai il tuo fratellino o sorellina, figliolo caro, con cui potrai giocare, scherzare, condividere gioie e dolori - rispose Letizia lisciando i morbidi capelli castani del figlioletto, che adorava quel tipo di carezze - E sul quale dovrai vegliare, dare l'esempio in quanto primogenito e futuro capofamiglia...

Il piccolo annuiva e sorrideva, senza però, comprendere totalmente quelle parole, la guardava ridendo, ancora ignaro e inconsapevole delle difficoltà della vita. Abbracciò la pancia della madre, con una tenerezza incomparabile, e disse, rivolto al feto - Ti proteggo...

La madre non poté non restare colpita da tale gesto e lo lasciò lì, in quell'abbraccio fraterno, mentre accarezzava entrambi. Il padre guardò quel quadretto quasi commosso, sperando di poter essere più presente, nonostante i suoi numerosi impegni.

15 agosto

Quel martedì di festa, carico di emozione e spirito di patriottico, era particolarmente caldo, afoso e soleggiato; Letizia, per sua fortuna, rimase contagiata da quell'atmosfera, si sentiva più allegra e serena del solito, persino il piccolo nel ventre sembrava tranquillo. Lo accarezzava dolcemente. Lei era già pronta per assistere alla funzione religiosa dedicata all'Assunta, la protettrice del popolo corso. "Spero che porti tanta serenità alla nostra piccola famiglia" si disse con spirito colmo di fede. Era, infatti, una giovane donna molto religiosa e devota alla Madonna.

Anche Carlo era credente, seppur in misura minore della moglie. Quel giorno, in particolare, rappresentava, per il Buonaparte in questione, il momento ideale da trascorrere insieme agli amici e a persone rispettabili che potessero aiutare l'economia e il prestigio della famiglia, molto nota dalle quelle parti, benestante ma non eccessivamente ricca. Possedeva molte terre e case, non solamente ad Ajaccio, ma pure nei paesi vicini, oltre alla casa di campagna, un gregge di pecore e una vigna. Un piccolo patrimonio che permetteva di condurre un'esistenza abbastanza agiata, se paragonata ad altri clan dell'isola.

Prima di indossare uno dei suoi abiti migliori, si era chiuso nella stanza per dedicarsi alla diffusa arte dell'incipriarsi, secondo il canone e la moda dell'epoca, fortemente influenzati dalla potenza francese, patria dell'Illuminismo e dei costumi.

Letizia aveva, invece, deciso di andarci il più naturale possibile con un abito lungo e particolarmente largo per via del suo stato interessante; era di una stoffa abbastanza pregiata e finemente lavorata, di un colore verde brillante. Portava pochi gioielli: una collana per coprire un po' il seno più pieno del normale e degli orecchini. I capelli erano acconciati in maniera aggraziata e piuttosto semplice: dei boccoli raccolti all'insù.

Giuseppe vestiva in modo modesto: era ancora troppo piccolo e la madre non riteneva necessario che indossasse abiti troppo scomodi e sofisticati per la sua età. Portava la sua consueta veste di color panna, le scarpine nere che fuoriuscivano dal bordo e un fiocchetto sul collo.

- Carlo, muoviti - disse lei aspettandolo paziente e a modo, con la schiena dritta, sul divanetto - Fra un po' arriveranno i nostri parenti e faremo tardi

- Un momento... - sbottò lui con la voce leggermente modificata a causa dell'imbuto che portava sul viso, per evitare che la cipria entrasse negli occhi - Ho quasi fatto! - Sventolò la mano al servo per indurlo a sbrigarsi. Obbedì immediatamente.

La donna emise un profondo respiro ed aspettò, ricominciando a pensare ai nomi che avrebbe potuto dare alla creatura, sia maschili sia femminili. Il suo sguardo, poi, si soffermò sul figlio primogenito, sempre molto pacato e sorridente, incredibilmente simile al carattere del marito. Lui lo guardò e si strinse fra le sue braccia.

Alla fine il marito uscì, tutto agghindato e profumato, si era quasi del tutto adeguato allo stile di vita francese, lo reputava uno sfarzo elegante e raffinato - Scusate se ti ho fatto attendere, madame - le porse un leggero inchino.

- Ma era proprio necessario conciarti così Carlo? - bofonchiò la giovane, esaminandolo dalla testa ai piedi. Sfoggiava una sottomarsina color senape, una marsina rossa, con ricami dorati alle estremità e ai polsi, abbinati alle culottes della medesima tonalità. La cravatta bianca attorno al collo. Sottobraccio aveva anche un cappello con delle vistose piume colorate.

- Certamente, tesoro - rispose lui ammirandosi allo specchio, controllava che fosse impeccabile, desiderava dare un'ottima impressione a chiunque lo avesse visto - È un giorno importante

- Papà vestito bello - disse Giuseppe ridendo felice alla vista del padre. Il piccolo era tanto affezionato a lui e quest'ultimo si mostrava sempre amorevole e gentile con il bambino. Un padre atipico, ma senz'altro esemplare dal punto di vista affettivo.

Ridacchiò soddisfatto - Qualcuno non la pensa come te, Letizia

- Stai bene - lo accontentò alla fine la moglie, scocciata, alzando le iridi grigie in alto, gliela diede vinta questa volta.

Carlo la guardò e si avvicinò con aria furbetta, cinse il braccio destro attorno a lei - Non mi sembri molto convinta di quanto hai detto

Letizia lo squadrò nuovamente - Adesso che ti guardo meglio, devo ammettere che stai davvero bene

- Sono un uomo di tutto rispetto, ora - emise convinto allentando un po' la cravatta - Ed è giusto, quindi, che vada in giro vestito in modo adeguato

- Andiamo allora - gli mostrò l'orologio a pendolo che ticchettava - O resteremo in piedi

- I tuoi stanno già sulla carrozza? - domandò Buonaparte dandole il braccio e allungando la mano al figlioletto tutto contento, pur non comprendendo ciò che stava accadendo.

- Ma ti pare che andiamo in carrozza quando abbiamo la cattedrale a due passi? - fece lei stupita - Stai diventando troppo aristocratico e pigro, Carlo - lo rimproverò. Il marito rise senza controbattere l'orgogliosa e spartana moglie.

Una volta raggiunti gli altri componenti della famiglia, si avviarono, dirigendosi verso l'unica chiesa presente nella città: la cattedrale di Santa Maria Assunta, essendo Ajaccio più un piccolo paese di mare, con i suoi circa quattro mila abitanti, che una vera e propria città.

La cattedrale, in stile manierista, era di modeste dimensioni, dalla facciata tardo-rinascimentale. Una volta entrati, sulla destra, vicino al fonte battesimale di marmo, trovarono del posto libero e si sedettero. La cattedrale era brulica di gente, aleggiava un leggero e persistente chiacchiericcio.

Tuttavia, non appena la celebrazione ebbe inizio, una contrazione terribile colse Letizia, togliendole il fiato, seguita da un'altra e un'altra ancora, sempre più persistenti. Cercando di non perdere la calma, comprese che la creatura stava per nascere.

Con grande forza d'animo, riuscì ad avvertire i familiari dell'imminente parto, e immediatamente uscirono fuori dalla chiesa, il più velocemente possibile. Malgrado fossero arrivati in casa, Letizia non fece in tempo a raggiungere la sua stanza e si riversò per terra. I parenti si spaventarono nel vederla cadere in quel modo e temettero che potesse perdere la creatura.

Però la partoriente mostrò tutta la sua tenacia, d'altronde era la sua quarta volta. Riuscì comunque a spostare le voluminose vesti ed indicò all'anziana e gentile serva Caterina, che le aveva fatto già fatto da levatrice, cosa doveva fare. Prima di tutto allontanò i parenti più allarmati dalla partoriente, solo quando ebbe controllato che tutti fossero in salotto, poté occuparsi completamente di lei.

Le urla della moglie si propagarono in ogni angolo della casa. Carlo era agitato, girovagava tra i mobili e i divani nervoso, nonostante conoscesse il carattere tenace di Letizia, aveva paura che qualcosa potesse andare storto, il parto era un evento imprevedibile. "Con questo non si è risparmiata" borbottò tra sé.

Quando le campane del mezzogiorno suonarono a festa, ecco che si udì, tra il trambusto, il primo e potente vagito della creatura. Tutti si guardarono increduli e si diressero verso l'entrata, trovandovi Letizia seduta, sfinita e felice, mentre stringeva tra le mani quel bambino minuscolo che agitava le braccia e le gambe all'aria.

- Complimenti Carlo! È un altro maschietto e bello vivace...non vedeva l’ora di nascere! - esclamò la levatrice raggiante dopo averli visti giungere precipitosamente.

- Fratellino! - urlò contento Giuseppe saltellando - Fratellino!

Carlo ringraziò il Signore con un fugace segno della croce, si augurò solo che questo sopravvivesse come il primogenito. Avanzò emozionato e colmo di gioia ed osservò il secondo figlio: era molto più piccolo e gracile di Giuseppe, dai grandi occhi chiari e con una testa abbastanza grossa,  non molto rotondetto. La sua espressione si fece più pensierosa e preoccupata: anche gli altri che erano morti prematuramente, avevano presentato un aspetto malaticcio.

Letizia si rivolse al fratello uterino Luciano Fesch, arcidiacono di quella diocesi, il quale incrociò il suo sguardo e capì come doveva agire - Carlo, se permettete - esordì mettendo una mano sulla spalla del cognato - Io proporrei di battezzarlo subito, come abbiamo fatto con gli altri - riferì solamente, non voleva paragonarsi di certo all'uccello del malaugurio.

Carlo annuì. Per ragioni di comodità decisero che sarebbe stato meglio battezzarlo in casa, dall'abate Gian Battista Diamante. Fu chiamato con il nome del prozio, ovvero Napoleone, come era consuetudine fare sull'isola con i secondogeniti, che era anche del primo figlio che ebbero poco dopo essersi sposati e che era morto prematuramente; mentre Giuseppe aveva ricevuto il nome del nonno.

"Sono sicura che ti porterà fortuna, mio piccolo leone" disse Letizia mettendolo nella culla, delicatamente "Il tuo ruggito ha battuto persino le campane" continuò fiduciosa, dandogli un caldo bacio sulla fronte e aggiustandogli la coperta che spostava sempre con le gambine. I familiari, accertatesi della salute del piccolo, più che sano, ribattezzarono formalmente il bambino un anno ed undici mesi dopo, il 21 luglio 1771.

   
 
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