Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: Red_Coat    19/01/2019    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una capanna in legno a due piani, nel bel mezzo di una radura.
Questo fu ciò che trovò Victor Osaka seguendo quei sussurri spettrali.
Da lontano sembrava quasi accasciarsi su sé stessa, era impossibile credere che stesse in piedi da più di due secoli.
Le assi grigiastre sembravano fatte di cartapesta, le fondamenta erano invase dalle erbacce e dal tetto si spandevano i rami dei rampicanti che ricoprivano quasi tutto lo scheletro dell'abitazione, fatta eccezione che per una finestra e parte della facciata laterale destra e sinistra.
Mano a mano che si avvicinava, tuttavia, Osaka poté notare come quell'aspetto da relitto forse solo ingannevole apparenza.
Le assi di legno erano forti, non c'era un solo danno nella struttura e perfino la porta sembrava non essersi arrugginita più di tanto.
A Victor parve quasi di vedere un astuto soldato che si fingeva morente solo per poter sferrare il suo attacco a sorpresa.
Per questo cautamente si avvicinò all'uscio, e quando vi fu di fronte ne ispezionò attentamente la serratura e i cardini.
L'unica cosa che li bloccava erano le radici sottili della pianta infestante, recisi quelli con la lama della katana la porta fu libera e il suo aspetto lo sorprese di nuovo.
Fu come se fosse appena stata posta lì.
Era un uscio spesso di un legno robusto e resistente, scuro quasi fino a raggiungere una tonalità di nero.
Il SOLDIER fece un passo indietro, osservandola per poi allargare lo sguardo su tutto l'edificio.

«Cosa sei tu?» si chiese, rivolgendosi all'edificio nel suo insieme -Una casa stregata?-

Si levò per qualche istante un soffio di vento e in esso gli sembrò di sentire rieccheggiare una risata perfidamente soddisfatta, ma non seppe distinguere se fosse voce maschile o femminile. Era troppo flebile, molto di più di un sussurro.
Rabbrividì, ma non seppe trovare la forza di arretrare.
Come fosse un richiamo lontano, un eco ancestrale da un suo più recondito istinto, qualcosa lo invogliò ad entrare e lui lo fece, scostando appena la porta.
L'interno era scuro, le finestre al primo piano erano tutte serrate.
Le aprì, prima passando la lama del suo pugnale, quello regalatogli da Hikari e che fino ad ora non aveva mai usato, proprio sopra i cardini di ognuna e spezzando i legami della rampicante, poi spalancando con forza per respingere le fronde ormai prive di appoggio.
Erano due finestre a nord e due a sud, più una rivolta ad ovest.
Quest'ultima era bloccata anche da un chiavistello, segno che chiunque avesse abitato quel luogo non aveva mai avuto la minima intenzione di aprirla.
Una volta aperte tutte e cinque però la luce riuscì ad inondare di nuovo il suo interno, e ciò che si trovò di fronte Osaka non lo sorprese più di tanto.
Era un ambiente ampio, quasi del tutto spoglio ma molto disordinato.
Il soffitto era alto, rettangolare e rinforzato da tre travi di legno massiccio.
In fondo alla sala vi era un elegante camino rivestito in pietra lungo tutta la canna fumaria, dentro vi erano ancora le braci di un focolare e qualche ciocco smozzicato.
Proprio di fronte ad esso, sul lato sinistro, una poltrona rivestita in pelle che a giudicare dall'aspetto doveva essere appartenuta davvero a un qualche animale, mentre a destra, proprio sotto alla finestra, vi era un letto in ferro battuto e un ceppo di legno che fungeva da comodino, sul quale erano appoggiati una lanterna, un vecchio libro impolverato e un foglio di pergamena arrotolata con affianco una piuma nera che fungeva da pennino una boccetta di quello che presumette doveva essere inchiostro.
Si avvicinò ad osservare meglio, la prese tra le mani. Era in pregiato vetro soffiato, ed era vuota.
Il poco inchiostro rimasto si era seccato incollandosi alle pareti e al fondo.
Si chiese che tipo di persona dovesse essere il proprietario di quell'oggetto.
Di sicuro qualcuno di molto ricco, perché immaginava che calamai così finemente lavorati non potessero appartenere a tutti.
La fattura della biancheria del letto avvalorò quella sua tesi. Non era un esperto ma conosceva bene le stoffa grazie a Hikari e a sua madre Erriet, che le commerciava assieme ai suoi ricami.
Quelle con cui erano fatte quelle lenzuola erano pregiate, cotone bianco per materasso e il per il lenzuolo, lino per il cuscino e lana lavorata per la coperta e la trapunta sopra di essa.
Quest'ultima, di colore blu di Prussia, in particolare era stata anche decorata con ricami molto, molto ben fatti, soffici e lisci al tocco.
Erano dei mandala che dovevano avere un particolare significato religioso.
Lo capì per caso quando scoprì di riuscire a decifrare alcuni disegni in essi contenuti.
C'erano dei cerchi che parlavano di qualcosa legato al lifestream, raffigurato come un fiume azzurro o come un ampolla che conteneva le anime.
Su quest'ultimo disegno non fu sicuro di aver avuto una corretta intuizione, ma sugli altri non ebbe dubbi.
C'erano una corona fatta con fili d'oro, un mandala con dentro i frutti del Pianeta.
Qualcuno era fatto intrecciando vere pietre preziose assieme a fili d'argento od oro.
Minuscoli smeraldi puntellavano lo sfondo blu Prussia trasformandolo in un cielo stellato, e all'altezza del cuscino era raffigurata con precisione quasi maniacale una scena che non gli lasciò più alcun dubbio.
C'erano un grande falò, e intorno ad esso in primo piano dei bambini, uno dei quali stretto nelle spalle da un vecchio vestito come un re, con un grande scettro e una lunga tunica d'oro e tessuto verde pistacchio.
In secondo piano invece, come ombre volte di spalle, c'erano figure che dovevano essere altri adulti, alcuni dei quali sembravano indossare lo stesso copricapo del re, uno strano cappello a punta ripiegata all'indietro o di lato.
Sembravano dei maghi, e i bambini vestiti tutti con lunghe tuniche bianche dei piccoli iniziati a un qualche rito.
Sembravano tranquilli, così come le donne che li accompagnavano, qualcuno rideva.
Solo il ragazzo che il re portava così fieramente con sé sembrava non gradire, anzi.
Fisico asciutto, alto.
Lunghi capelli neri, occhi del colore del lifestream, pelle pallida e viso all'apparenza smunto.
Guardava preoccupato le fiamme, sembrava assorto in qualche pensiero e per un istante di troppo anche Victor rimase immerso a contemplarlo, chiedendosi chi fosse e come mai tutto quel bel ricamo era stato nascosto interamente sotto al cuscino nel risistemare il letto, quasi il proprietario non volesse vederlo.
Un'intuizione si fece strada dentro di lui, per qualche istante gli parve quella giusta.
E se ... se magari quella casa fosse appartenuta proprio a quel bambino, che una volta cresciuto aveva deciso di vivere là?
Non poteva dirlo con esattezza, magari quel copriletto era stato acquistato da un vecchio stregone e quella casa invece era appartenuta alla sua famiglia.
Comunque sia la curiosità non si spense, la accantonò soltanto in un angolo della sua mente e riprese a guardarsi intorno.
Aggiustò di nuovo il letto come lo aveva trovato, attento a non smuovere troppa polvere e sorprendendosi del fatto che non vi fossero poi così tante ragnatele e animali salvatici ad infestare il posto.
Sembrava come se l'edera rampicante lo avesse tenuto nascosto e protetto da tutto, fino al suo arrivo.
Ma continuò a sentire una strana atmosfera intorno a sé, come ... come se il padrone di casa in realtà non se ne fosse mai veramente andato e dovesse riapparire da un momento all'altro.
Avrebbe dovuto inquietarlo, eppure era come se fosse semplicemente un ospite in attesa.
Si sedette sul letto e prese tra le mani prima il vecchio libro, sfogliandolo senza capirci nulla, poi la pergamena che srotolò e lesse con lo stesso effetto.
Entrambi erano scritti in una lingua antica e incomprensibile, ma almeno nel libro vi erano figure che lo aiutarono a capire.
Era un vecchio libro di favole Cetra, i disegni era fatti tutti con acquerelli e colori tenui, e narravano le storie di principi, cavalieri, re, mostri sanguinari e saggi stregoni.
Erano bellissimi, dovette ammetterlo. Due o tre lo fecero sorridere meravigliato e lo indussero a sfiorarli appena coi polpastrelli ricoperti dai guanti.
Molto rilassanti, e questo confermava la sua teoria che in quella casa vivesse almeno un bambino.
Forse dormiva con qualcun altro al piano di sotto e sopra vi erano i suoi genitori.
Ma guardandosi intorno e osservando l'arredo umile si chiese perché una famiglia che poteva permettersi una coperta di simile fattura avesse scelto di vivere lì, in mezzo alla foresta.
La risposta alla sua domanda arrivò quando presa in mano la pergamena la srotolò e potè osservarne il contenuto.
Prima di ogni cosa la calligrafia con cui era stata scritta saltò subito ai sui occhi, inducendolo a trattenere il respiro.
Si alzò in piedi e quasi avesse toccato un qualcosa di estremante pericoloso arretrò abbandonando il foglio sul letto.
La scrittura ... era la stessa che aveva visto in sogno, entrando nella parte del suo subconscio in cui risiedeva ciò che rimaneva di quello di Kendra.
Era ... era la sua, di quel maledetto fantasma!
E non solo la calligrafia, anche il testo, incomprensibile per quanto antico, era identico a quello di una pergamena che aveva potuto scorgere curiosando tra i documenti che aveva trovato in quell'antro scuro.
Era lo stesso identico documento, e quel bambino ...
Quello allora ...
Il proprietario di quella casa doveva essere ...

-Kendra ...- mormorò, tremante.

Il cuore che batteva a mille e nella mente un solo pensiero.
Doveva andarsene prima di incontrarlo, non voleva più averci niente a che fare.
Eppure non riusciva a muovere un solo centimetro del suo corpo, che sembrava continuare ad indugiare mentre i suoi occhi ispezionavano curiosi anche i dintorni.
Delle scale a chiocciola in legno, sulla sinistra; Una piccola dispensa appena prima di esse, poi un'altra, e un'altra ancora.
Tutte piene zeppe di boccaci, fasci d'erba e piante officinali essiccate, pestelli, piatti e altri utensili.
Vicino alla porta un appendiabiti a trespolo finemente intagliato, vuoto, e al centro della stanza un piccolo tavolo con su una brocca e un paio di bicchieri.
Sotto di esso, sul pavimento in pietra, soltanto un piccolo tappeto all'entrata, per pulirsi le suole degli stivali, e sulla sinistra un grande scomparto in pietra simile ad una dispensa che doveva contenere chissà cosa.
C'era ... il minimo indispensabile per vivere.
Solo quello, e nient'altro.
E Kendra era un principe, almeno a quanto gli era stato detto da Ifalna, perché avrebbe dovuto vivere in un posto simile, lontano dai suoi sudditi e dalla sua civiltà leggendo un vecchio libro di favole prima andare a dormire??

«Basta adesso, Vic …» risolse sbrigativo.

Quindi girò i tacchi e si avviò frettolosamente all'uscita, ma proprio nel momento in cui fece per spalancare la porta un rumore simile a un pesante tonfo lo raggiunse dal piano di sopra.
Si bloccò ad ascoltare, per qualche attimo non udì più nulla ma quando fece per andarsene accadde di nuovo.
Stavolta erano passi frettolosi.
Un brivido percorse la sua schiena, tremò e sfoderò la spada, voltandosi.
Nuovamente il silenzio tornò a regnare sovrano.
Ancora qualche attimo, infine Osaka si decise.
Sospirò rassegnato e fece una smorfia.

«E va bene, maledetto spettro porta sfortuna ...»

Quindi rinfoderò la sua arma e salì al piano di sopra, stando attento a non scivolare su quella vecchia scala le cui singole assi sembravano volersi sgretolare sotto il suo peso ad ogni passo, tanto scricchiolavano.
Giunse in un piccolo ambiente scuro; anche lì le finestre erano chiuse con chiavistelli e sbarre, così ebbe modo di assaporare ancora una volta l'atmosfera tetra che aveva caratterizzato il suo sogno.
C'erano due porte, una a destra e l'altra a sinistra.
In mezzo a loro le pareti vuote erano riempite da diversi scaffali sui quali erano stati posti boccaci di vetro di varie dimensioni.
In essi, immersi in un liquido che alle volte era rossiccio, altre era azzurrino e altre ancora verde scuro, erano conservati i corpi di piccoli animali, o organi interni di chissà quali creature.
C'erano occhi, divisi per grandezza in un paio di piccoli vasetti, cinque cervelli sul primo scaffale in alto a destra, un arto rinsecchito che sembrava una mano con artigli, zampe di chocobo, e diversi esemplari di rettili.
C'erano anche due di quei piccoli animaletti tipici delle praterie, col corpo slanciato di un bianco latteo e sulla testa sottilissima una cresta ossea che simulava un piccolo ciuffo d'erba, e una testa di uno di quei grilli sanguisuga che aveva incontrato durante il suo primo viaggio.
Rabbrividì nell'incrociare il suo sguardo vitreo, ma dopo dovette ammettere di essere contento di sapere che almeno uno aveva fatto quella fine.
Però di fronte a quella macabra collezione non potè non farsi due domande.
Prima fra tutte: "Cosa te ne facevi di questa roba, Kendra?".
Senza voler veramente sapere la risposta si avvicinò alla porta alla sua sinistra, si accorse che il grosso chiavistello era stato aperto ed era caduto a terra lasciando la porta schiudersi.
Raccolse il piccolo lucchetto e li strinse tra le mani. Fece una smorfia dopo averlo esaminato.

«Farabutto ...» mormorò.

Era stato aperto da poco, senza la minima forzatura.
Era stato quel fantasma ad aprirlo, probabilmente voleva che fosse quella la prossima stanza che avrebbe dovuto visitare.
E così senza esitare entrò, trovandosi di nuovo di fronte ad uno spettacolo da brividi.
Oltre la soglia trovò un'ampia stanza illuminata dalla luce solare che penetrava dalle finestre spalancate, due sul lato ovest e una a nord.
Era piena zeppa di dispense e librerie strabordanti di volume antichi e documenti vari, e su un ampio bancone da lavoro sul lato ovest, posizionato nello spazio in mezzo ad entrambe le finestre poco distante dalla parete, c'era un'autentica collezione di strumenti da chirurgo, accuratamente disposti uno in fila all'altro e perfettamente puliti.
Al centro della sala però, proprio di fronte alla parete est piena di schemi anatomici e scientifici, la maggior parte dei quali scritti a mano con la stessa calligrafia, vi era un vecchio tavolo operatorio in legno sul quale era distesa una creatura che aveva visto solo una volta, a Nibelheim, nei ricordi di Sephiroth.
Era una specie di bestia umanoide, la pelle blu all'altezza del petto e arancio acceso sulle gambe, gli occhi rossi e la bocca serrata in un ringhio minaccioso. Aveva denti aguzzi, mascelle poderose, canini affilati, e muscoli gonfi; al posto dei capelli una cresta cartilaginea e artigli lunghi, affilatissimi anch'essi, cresciuti al posto delle unghie sulla punta delle dita dei piedi e delle mani.
Victor rabbrividì nel guardare quel mostro, ripensando a tutto ciò che aveva visto nei ricordi del suo Generale, che all'improvviso per qualche attimo tornarono dolorosamente, disorientandolo.
Era una bestia dalle dimensioni quasi doppie rispetto a quelle di un uomo normale, arrivava a coprire tutto il tavolo standoci solo rannicchiata su un fianco.
Dovette fare appello a tutta la sua forza interiore per restare ancorato alla ragione, ma alla fine stringendo i pugni e digrignando i denti parve farcela.
Avanzò fino ad esserle di fronte, dando le spalle agli schemi appesi alla parete, e la osservò restando il più cautamente possibile in allerta.
Ma ci mise poco a capire che quella povera bestia, qualsiasi cosa fosse stata prima di diventare tale, non era più in grado di nuocere contro nessuno.
Era morta, chissà da quanto tempo, anche se sembrava stesse solo dormendo da qualche minuto.
Superando l'adrenalina iniziale Victor Osaka sentì qualcos'altro stringerglisi in gola e farsi largo tra i suoi pensieri, come una tristezza profonda.
A primo impatto quel ringhio minaccioso poteva sembrare sinonimo di selvaggia aggressività ma, chinandosi in ginocchio a guardare meglio, vide che il suo pugno destro era chiuso ermeticamente a lacerare le carni, e notò una strana espressione in quello sguardo folle e vitreo, una che lo indusse a provare compassione per quel povero essere.
Poi lo vide. Un piccolo ciondolo di rame appeso al suo collo.
Si scurì, pensieroso.
Sembrava un amuleto antico, come uno di quelli che aveva visto al collo di quei bambini raffigurati nel ricamo della trapunta al piano di sotto.
Si avvicinò e cautamente lo prese tra le mani senza toglierlo.
Era proprio identico a uno di quelli amuleti.
Quindi ...
Di nuovo rabbirividì, e stavolta non potè impedirsi di trattenere inorridito il fiato, compiendo lentamente e senza nemmeno accorgersene più di un passo indietro.


«Ma chi diavolo eri, tu mago pazzoide?» Mormorò con rabbia, rivolto a Kendra.

I suoi passi furono fermati da un ostacolo, alle sue spalle.
Incespicò e fu costretto a scostarsi voltandosi a guardare.
C'era una sedia.
Una semplice sedia in legno che serviva ad accomodarsi su un piccolo scrittoio pieno di fogli già in parte scritti.
E su quella vecchia sedia giaceva abbandonato uno scheletro, chino su sè stesso come se si fosse accasciato sulla seduta del mobile, e con i pugni stretti ancora in un ultimo rantolo di vita.
Victor poté vedere solo il cranio e le ossa delle mani, perché il resto era coperto da un lunghissimo mantello coloro blu di prussia e bordato d'oro.
Come gli altri indumenti che aveva visto, anche quello sembrava molto pregiato.
Allungò una mano, ma lo sfiorò soltanto e un improvviso soffio di vento corse a rianimare il velo.
Fu breve, l'attimo di un sospiro, ma bastò affinchè tutto lo scheletro si disintegrasse, tramutandosi in polvere e abbandonando lì tra le sue mani quelle vesti pregiate.
Solo allora Victor Osaka si rese conto di aver di nuovo smesso di respirare.
Quel vociare spettrale, lo aveva sentito di nuovo.
Ma nonostante tutto non poté resistere alla tentazione di continuare a cercare risposte a tutti quei misteri.
Prese tra le mani quella veste pregiata, così larga da permettergli perfino di indossarla sopra al soprabito.
Sembrava simile al suo kimono da cerimonia, quello che aveva indossato al matrimonio con Hikari.
Ma questa aveva uno strascico, lunghissimo tra l'altro, decorato da sofisticati arabeschi sulle spalle e un grande mandala esoterico sulla schiena.
Era la cosa più ... bella e aristocratica che avesse mai visto.
Tanto che rimase di nuovo senza fiato ad osservare il proprio riflesso, nello specchio che si ritrovò ad avere di fronte, proprio a pochi metri dalla porta.
Ma la meraviglia durò poco, perché proprio in quell'attimo il possessore di quell'oggetto riapparve, alle sue spalle, e il suo sogghigno soddisfatto e perfido si riflettè nello specchio assieme all'immagine di chi lo aveva riportato alla vita, dopo secoli di dormienza.

«Meraviglioso davvero. Ti dona molto, lo sai? Victor Osaka ...» lo accolse Kendra Ashurson, nella sua nuova veste di anima maledetta.

Victor si riscosse, improvvisamente libero da quello stupido sentimento di ammirazione.
Si voltò a guardarlo, e ciò che vide non gli piacque per niente.
Dunque era lui.
Quello scheletro.
Era il suo corpo mortale, accasciato su una sedia come un miserabile.
Cos'era accaduto? Era morto sbronzandosi, forse?
Con disgusto iniziò a togliersi quella veste, nella maniera più veloce e sbrigativa che potesse trovare.
Kendra lo osservò compiaciuto, le mani strette l'una nell'altra.
Per l'occasione aveva deciso di tornare a far indossare alla sua immagine quello stesso abito che ora Osaka buttò a terra con disgusto.

Ma non importava.
A quel punto aveva già raggiunto il suo scopo.

«Ti sta bene ...» insinuò perfidamente divertito -Se vuoi puoi tenerlo. Ne sarei onorato.- concluse, profondendosi in un profondo inchino e tornando a mostrare quel suo ghigno inquietante.

Victor lasciò cadere a terra il capo, poi finalmente libero scosse le spalle e si sistemò nel suo vecchio e sobrio soprabito.

«Mi fa schifo.» commentò «È molto meglio questo.» con disprezzo e orgoglio.

Kendra sogghignò, annuendo come a volergli dar ragione con accondiscendenza.
Quindi, dopo un ultimo istante di silenzio, si preparò a ripartire all'attacco.

«Allora, SOLDIER ...» disse calmo «Cosa ti ha portato qui, nella tomba delle mie spoglie mortali?»

Ancora una volta, Osaka si ritrovò a ghignare.

«Ce lo avete come vizio voi Cetra, allora.» replicò con sarcasmo, per poi risolvere «Sei stato tu, o chi per te, a chiamarmi. Come credi che avrei potuto trovare un posto simile nel bel mezzo di una foresta che non conosco. Non prendermi in giro, spettro. Non è giornata!» concluse, innervosito.

Il ghigno sulle labbra di Kendra si accentuò vistosamente.

«Oh, sul serio ...?» commentò sogghignando sotto i baffi.

Victor sospirò. Non ne poteva davvero più, adesso.
Gli voltò le spalle scuotendo il capo, e senza dire altro fece per andarsene, ma lo spettro lo freddò con un tono autoritario che non aveva mai usato, e una severità che lo inchiodò sul posto facendolo tremare.

«Allora lascia che ti dica solo un'ultima cosa, visto il tuo buon umore.
Tu, Victor Osaka. Sarai contento adesso.»

Il cuore del SOLDIER si fermò all'istante rimanendo sospeso nell'ultimo battito, gli occhi si sgranarono come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco e a bocca aperta si voltò a guardare il cipiglio altero e severo dello spettro, che non si mosse continuando a rivolgergli tutto il disprezzo di cui era capace.
Della soddisfazione scintillò nei suoi occhi.
Quella per lui era di sicuro la parte più divertente del piano, dopo l'uccisione di sua moglie.
Ah! Il suo sguardo spaventato e la sua espressione stupita erano la cosa più divertente che avesse mai visto!

«Cosa vuoi dire?» mormorò sconvolto Osaka.

Kendra accentuò vistosamente la sua smorfia, poi si fece serio e scosse il capo.

Era davvero un grande attore!

«Fa' un po’ come ti pare, ormai.» risolse, tornando poi a sibilare serpentino «Ma non dire che non ti avevo avvisato, soldatino. Hai messo in pericolo la vita di tuo fratello con la tua stoltezza. Se fallirà sarà soltanto colpa tua.»

E, dopo aver detto ciò, svanì in una nuvola di fumo.
Victor Osaka restò inorridito a fissare il punto in cui era scomparso.

Freddato, paralizzato da quella profezia.

«Cosa?» tornò a ripetere, nel panico «Che vuol dire? Cosa cazzo significa, maledetto!? Di che cazzo stai parlando?» sbottò stringendo i pugni.

Ma l'unica risposta che ricevette fu un misero, poco incoraggiante silenzio spettrale, e a quel punto non gli rimase che tornare indietro sui suoi passi, tormentandosi sul significato di quelle parole.



 

Un makonoid, mostro creato iniettando cellule di Jenova in un corpo umano. È vero che per ottenere questo tipo di mostro è necessaria anche e soprattutto una altissima concentrazione di Mako nel corpo umano, che così adattandosi dà origine a queste mutazioni. Tuttavia probabilmente la maggior parte dei Cetra morì trasformandosi in questo o altri mostri simili, essendo stata infettata direttamente dall'alieno dopo aver cercato di combatterla direttamente.
Scusate la povera qualità dell'immagine, è la migliore che ho trovato su internet.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Red_Coat