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Autore: ale_9038    18/07/2009    3 recensioni
“Neliel” riconobbi la voce di Ariel, anche se l’avevo sentita solo per pochi secondi “sai cosa succede alle bambine cattive?!” fece una breve pausa “Vengono punite” disse le ultime due parole tutte d’un fiato e senza lasciarmi il tempo per ribattere riagganciò...
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5° - Quando il gioco si fa duro…-

Capitolo 5° -  Quando il gioco si fa duro…-

 

Quando mi risvegliai, Anestis non c’era, al suo posto trovai solo tante piume bianche e nere sui sedili dell’auto. La mia camicetta era ridotta in brandelli, ma fortunatamente i dolori che avevo provato negli ultimi quindici minuti in cui ero rimasta cosciente erano scomparsi. In qualche minuto misi a fuoco tutto ciò che mi era accaduto dal mio arrivo in Grecia. Ero andata a vivere con un completo sconosciuto rivelatosi in seguito un presunto angelo dalle ali nere. Avevo conosciuto due draghi che, insieme ad una ciurma di vampiri, licantropi ed elfi, avevano provato ad attentare alla mia vita. Un ragazzo aveva provato a stuprarmi. Ah, dimenticavo, ero morta senza sapere d’esserlo. Che vita noiosa…

Guardai l’orologio, erano le due, da un momento all’altro il parcheggio si sarebbe popolato. Misi in moto la macchina e, dando gas, uscii dal parcheggio. Al diavolo Ariel, se voleva tornare a casa, poteva mettere le ali oppure avrebbe potuto chiamare i suoi draghetti. Sfrecciai per le strade d’Atene, ignorando gli autovelox e i semafori, una multa non avrebbe gravato di certo al portafoglio del mio fratellino.

“E così, alla fine ti ha trovata” mi rigirai e, accanto al mio sedile, vidi una giovane ragazza sui 20 anni. Sbandai e per poco non mi andai a scontrare con un tir. Ma che diamine: avevano aperto le gabbie degli psicopatici?

“ Oh mio Dio! Chi diavolo sei?” dissi con sdegno e premendo maggiormente l’acceleratore. La ragazza mi fissò con degli occhi blu oltremare da far invidia a chiunque.

“Ancora non ti è tornata la memoria? Uffa, sorellina inizi a diventare lenta…” ribatté scostandosi dal viso una ciocca di lunghi capelli corvini. 

“Hai sbagliato persona” risposi continuando a guidare come una pazza.

“No che non ho sbagliato persona” continuò. Avevo i nervi a pezzi, mi ci mancava solo un’altra psicopatica, non ci bastava Ariel?

“Fa come vuoi, sei tu quella sta perdendo tempo” dissi rassegnata.

Non avendo le chiavi del garage fui costretta a parcheggiare la macchina fuori al cancello d’ingresso. Scesi dalla vettura e la ragazza mi seguì.

“Dov’è Ariel?” mi chiese quando fummo davanti al portone d’entrata.

“Non lo so” risposi aprendo velocemente casa. 

“Ah, ok”. Entrammo in casa e la giovane sconosciuta psicopatica si buttò sul divano.

Sicuramente vi starete chiedendo come io possa aver fatto entrare quella ragazza in casa. In quel momento non avrei saputo rispondervi. Rimasi immobile davanti alla vetrata per qualche istante, fino a quando non sentii il bisogno d’andarmi a mettere qualcosa addosso che non fosse una camicia a brandelli. Stavo per andare quando sentii nuovamente gli arti bloccati e un dolore lancinante al petto, prima di perdere i sensi vidi quella ragazza sorridermi e qualcuno prendermi in braccio. In quel momento pensai a mio nonno che mi aveva sempre detto di non parlare con gli sconosciuti.

 

Quando mi risvegliai, mi trovavo nel mio letto che era debolmente illuminato dalla timida luce della luna. Mi alzai e andai verso la sala, da dove provenivano le voci di Ariel e della psicopatica.

“Rebecca…” sussurrai rivolgendomi alla sconosciuta. Non appena pronunciai quel nome, Ariel, sobbalzò.

“Oh piccola…” disse la giovane venendomi vicino e abbracciandomi “…bentornata tra noi!”

“Finalmente hai riacquistato la memoria” s’intromise Ariel accarezzandomi i capelli.

“No, non proprio, ricordo solo poche cose” risposi. Mi fecero sedere sul divano.

“Ok, dicci cosa ti ricordi…” cominciò Rebecca.

“…Naturalmente senza saltare alcun dettaglio” continuò Ariel.

“Dov’è Curzio?” chiesi senza badare alla loro richiesta.

“Curzio, cazzarola, me n’ero dimenticato, Bec non doveva stare con te?” rispose Ariel.

“Aspetta…” andò verso la vetrata, la aprì mise le ali e sparì dalla nostra vista.

“Ariel…” dissi con un tono di supplica

“Sì, dimmi” non feci in tempo a rispondere, sentii una volata di vento e vidi Curzio e Bec punzecchiarsi sul terrazzo. Entrarono e Curzio mi venne ad abbracciare.

“Piccola peste che non sei altro, ci hai fatto penare in questi anni, te ne rendi conto?” mi disse con un tono affettuoso.

“Sì, ma dove eri finito?”

“Questa pazza di tua sorella mi aveva legato a un albero”.

“Ok, ora basta è da una settimana che voglio sentire la sua versione dei fatti quindi ora vi azzittite e lei mi dice quello che si ricorda. Il primo che parla lo spenno” disse Ariel rivolgendosi ai due, dopo mi fece sedere “vai, parla, dì quello che ricordi”.

“Ok, inizio dal principio o dall’ultima battaglia?” chiesi con risoluzione.

“Dal principio” rispose Bec.

“Va bene, allora… da quanto ricordo siamo venuti sulla Terra ancor prima che gli uomini stessi nascessero, ci fu un periodo in cui su questo pianeta vivevamo solo noi, angeli neri impuri, e quelli puri. Vivevamo in simbiosi, ci divertivamo. Noi di tanto in tanto facevamo esplodere qualche vulcano, loro invece facevano sbocciare fiori. 4 Demoni e 4 Angeli. Non c’era più la distinzione tra il Bene e il Male. Ma un giorno iniziarono a comparire i primi uomini, noi rimanevamo in disparte a guardarli mentre si evolvevano e facevano le loro prime scoperte.  Con il passare degli anni, però, iniziarono a uccidersi a vicenda, a rubare, a commettere atti impuri e così, velocemente, crearono i sette peccati capital:i superbia, avarizia, vanità, ira, gola, invidia e lussuria. Gli angeli puri non desideravano altro se non vederli morti, per loro stavano rovinando il nostro mondo, ma noi non la pensavamo come loro. Per noi gli umani non costituivano una fonte di fastidio, anzi ci incuriosiva il loro modo di pensare, il loro esser solo di passaggio in questo mondo e i loro limiti. Noi potevamo, anzi, possiamo fare tutto ciò che vogliamo, possiamo mettere le ali e volare in cielo, tele-trasportarci da un luogo a un altro, leggere nella mente di qualsiasi essere vivente che non sia uno di noi, far cambiare il tempo a seconda del nostro umore, ma, soprattutto, noi possiamo vivere in eterno. Con la nascita dell’uomo, iniziarono a vivere anche i primi esseri demoniaci e le prime creature benevole. Alcune non si mostrano agli occhi degli uomini per loro volontà, altre vivono con loro e altre ancora non possono essere viste dai semplici occhi umani. Così tra discussioni e litigi noi angeli ci dividemmo in due parti, Neri e Bianchi. Noi volevamo vivere con gli umani, loro volevano eliminarli per far tornare su questo pianeta la pace di un tempo. Naturalmente, le vari creature, si schierarono dall’una o dall’altra parte. I vampiri sono sempre stati con noi, ma a differenza nostra, loro negli umani, d’interessante, trovano solo il sangue, dalla nostra parte ci sono anche gli elfi e i draghi che oramai dovrebbero essersi estinti. Le ninfe, le sirene e le fate appoggiano gli angeli Bianchi.

Ci furono diversi conflitti tra di noi. Ma terminarono sempre alla pari. Però durante una battaglia circa trecento anni fa persi la vita, per salvare qualcuno, non era uno di voi, chi era?” chiesi. Mi guardavano stupiti, come se il fatto che io non mi ricordassi chi avevo salvato fosse inconcepibile.

“Davvero? Strano non credevamo che fossi morta per salvare qualcuno” disse Bec con un tono poco convincente e guardando gli altri come per dire: “State al gioco, dopo vi spiego”. Decisi di non voler indagare, se volevano tenermi nascosto qualcosa, c’era un motivo, forse lo facevano per il mio bene.

“Continua” disse Curzio

“Ok, voi mi avevate sempre paragonata a una fenice, perché quando muoio, rinasco dalle mie ceneri giusto?”

“Esattamente, continua…” rispose Ariel

Vediamo…” rimasi in silenzio, per quanto mi sforzassi di ricordare, non ci riuscivo “non ricordo altro.”

“Non è possibile, non è possibile che tu ricorda solo, vagamente le tue origini e come sei morta” disse Curzio allibito.

“Ti sbagli, è possibile” ribatté Rebecca con un tono calmo.

“Illuminaci” rispose Curzio inacidito

“Mi ha chiesto di cancellarle la memoria pochi istanti prima che il suo corpo bruciasse”.

“Io lo sapevo, me lo sentivo che c’era il tuo zampino” disse Ariel lanciandole un’occhiataccia e continuando “ lo sai, vero, che il tuo è stato uno sforzo inutile? Se lui vorrà…”

“Lui chi?” lo interruppi io

“Nessuno, vieni hai bisogno di un bagno caldo e una bella dormita” rispose lui.

“Aspetta, maledetto bastardo, tu conoscevi le intenzioni di Anestis perché non l’hai fermato? Che razza di amico sei?”

“E tu che amica sei? Lasci gli amici in difficoltà per salvare uno stronzo come…”

“Ariel!” lo rimproverò Bec “hai lasciato che un umano approfittasse di lei durante il processo di stabilizzazione?”

“Bec lei ci ha abbandonati per lui…”

“Processo di stabilizzazione? Lui,  lui chi?”

“Hai presente quando gli arti ti si sono bloccati e hai avuto il mal di testa? Quello è il processo di stabilizzazione. È difficile da spiegare. Te lo spiegheremo prima o poi. Dai va a dormire, domani dovrai andare a scuola” rispose parzialmente alla mia domanda Bec.

“A scuola? Perché devo andare a scuola? Che senso ha andare a scuola? Domani non andrò a scuola” ribattei io

“Si, invece. Per prima cosa è una copertura, se ti portassimo in un luogo deserto per farti imparare a usare qualche arma gli Angeli Bianchi non tarderebbero ad arrivare, in una scuola, invece, non uscirebbero mai allo scoperto. In secundis mandarti a scuola è un buon metodo per far stare Ariel lontano da noi, vero Curzio?” disse rivolgendosi a quest’ultimo.

“Non ci sto capendo più niente perché ti ha chiesto di cancellarle la memoria?” chiese lui cambiando discorso e alzando un sopracciglio.

“Non lo so, ti giuro che non lo so” rispose lei.

“Bec, per quanti giorni durerà il processo di stabilizzazione?” chiesi, evitando di pensare al passato consapevole del fatto che e ci avessi provato, sarei impazzita.

“Il processo di stabilizzazione è terminato, parzialmente, nel momento in cui hai ritrovato la memoria. Questo significa che non avrai più gli arti bloccati e insopportabili mal di testa. Tuttavia non sappiamo quanto ci vorrà prima che tu riesca a rimettere le ali. Comunque sappi che nessuno” guardò Ariel trascinando l’ultima parola “violerà più i tuoi pensieri come hai ben specificato, prima possiamo leggere nella mente a tutti gli esseri viventi che non siano Angeli. Quindi sentiti libera di pensare a tutto ciò che vuoi”.

“Va bene” dissi sbadigliando

“Ora fila al letto” ordinò Ariel serio

“Ma non ho sonno” ribattei, continuando a sbadigliare.

“Ma se stai sbadigliando” continuò lui

“Ho fame…”

“Ma porca miseria sei diventata insopportabile, nemmeno una bambina fa tutte queste storie”.

“Ma, per favore, io sarò una bambina, ma tu non sei mio padre”

“Al Diavolo….” Imprecò lui prendendo il telefono

“Cosa fai?” domandai inacidita

“Ordino qualcosa” rispose

“No, lascia perdere” dissi, andando verso la mia camera.

“Dove stai andando?” chiese infuriato

“Non sono affari tuoi” risposi chiudendo con forza la porta della mia camera.

Un vestito, mi serviva un vestito. Entrai nell’armadio e ne presi uno nero, corto e con i profili blu e rossi. Mi ricordava qualcosa, ma cosa? Vidi brillare qualcosa sul comodino. Il fiocco di neve, quello tempestato di diamanti neri. Decisi che sarebbe stato benissimo col vestito. Lo indossai e, non appena fui pronta, presi le chiavi del garage e uscii dalla mia camera. Ariel stava appoggiato alla porta del bagno con le braccia conserte.

“Dove hai intenzione d’andare?” mi chiese irritato.

“Te l’ho già detto. Non sono affari tuoi” risposi inacidita.

Non disse nulla.

“Non seguirmi” dissi infine andando verso l’uscita.

“Posso venire con te?” mi chiese Rebecca pochi istanti prima che chiudessi il portone.

“Vorrei rimanere da sola se non ti dispiace” risposi liquidandola, senza lasciarle tempo per ribattere.

Entrai nell’ascensore stringendo in una mano le chiavi della Maserati. Ricordai d’aver visto un pub proprio vicino alla scuola. Sicuramente lì, sarei potuta stare tranquilla. Evitai di correre con l’auto. Ero ancora abbastanza scioccata e l’ultima cosa che mi sarebbe servita in quel momento era proprio un incidente stradale.

Entrai nel locale e sedendomi al bancone ordinai un Martini Perfect, sforzandomi di capire come fare per leggere nella mente degli umani, eppure da quanto ricordo gli Angeli leggono le menti degli umani come se niente fosse: perché io non ci riesco? Pensai sorseggiando il cocktail. 

Non ricordavo granché: solo le mie origini e la mia morte. Com’era stata la mia vita? Perché mi ero fatta cancellare la memoria? Quanti misteri: Ariel, Rebecca e Curzio non mi erano di nessun aiuto. Bec voleva nascondermi ciò che ne era stato della realtà prima che morissi. Ariel ce l’aveva a morte con me a causa di qualcosa che nemmeno ricordavo e Curzio… lui, forse, era l’unico ad avere le idee confuse quanto me.

“Come mai tutta sola, ragazzina?” qualcuno mi stava dietro e con voce suadente ma rauca aveva anche osato darmi della ragazzina. Mi girai di scatto pronta ad aggredirlo, ma qualcosa mi bloccò. I suoi occhi indaco, i suoi capelli biondi, le sue mani, le sue labbra; se non avessi saputo dell’effettiva esistenza degli Angeli, lo avrei paragonato a uno di noi. Ripresi il comando della mia mente che si era messa a fantasticare su quel ragazzo.

“Questa ragazzina…” risposi, sottolineando l’ultima parola “…se ne stava andando” feci per alzarmi, ma lui mi mise una mano sulla spalla e mi bloccò.

“No, ti prego, rimani” implorò. Si sedé accanto a me e ordinò anche lui un Martini.

“Scusa se ti ho dato della ragazzina, ma assomigli in maniera impressionante a una persona che conoscevo” disse guardandomi con occhi tristi.

“Ah sì?” ribattei incapace d’aggiungere altro.

“Già, era dolce, gentile, coraggiosa, ma, talvolta, sapeva essere anche vendicativa e… stupida”.

“Insomma il mio esatto contrario” dissi, sorridendo.

“Sono Riley…”

“Piacere Mel… ehm…. Iris” risposi, lievemente agitata. Quella storia dei nomi non mi era del tutto chiara. Dovevo chiedere a Rebecca che appellativo usavo tempo fa.

“Non sei di queste parti…” alluse lui scrutandomi mentre sorseggiava il suo Martini

“Si, mi sono trasferita da poco. Tu, invece, sei di questa zona?” chiesi

“No, diciamo che poche ore fa stavo in un’altra nazione…”

“Davvero? Dove?” domandai guardando l’orologio.

“Italia”

“Oh, non ci sono mai stata. È un bel paese?” domandai. Ero veramente stupida: non ci sono mai stata?! Pensai, ma se ho vissuto lì fino a qualche giorno fa. Fortunatamente il mio accento italiano era inesistente.

“Sì, sotto alcuni aspetti sì”

“Come mai sei venuto qui in Grecia?” chiesi cercando in tutti i modi di leggere nella sua mente.

“Devo ridare una cosa a una persona e dopo mi sono iscritto a una scuola privata da queste parti. Tu, invece, perché stai in questo bar tutta sola?”

“Ho litigato con… mio fratello. Forse è meglio che ritorni a casa, sapresti dirmi che ore sono?”

“E’ l’una” rispose lui guardando il suo Rolex.

“Allora, penso sia proprio l’ora di tornare” feci una breve pausa “ci si vede”.

“… ci si vede” rispose con un gran sorriso. 

Non volevo tornare a casa, non volevo, non volevo e, ancora, non volevo. Ma ero talmente stanca, confusa, assonnata che non riuscivo nemmeno a pensare. E così alla fine rientrai.

Forse sono andati tutti a dormire pensai entrando nel salone. Le luci erano tutte spente. Così senza fare rumore entrai nella mia camera, accesi la luce e per poco non lanciai un urlo. Insomma penso che chiunque avrebbe urlato vedendo un ragazzo dormire sul suo letto. Ma quello non era un ragazzo, quello era il ragazzo. Il ragazzo che mi aveva portata via dall’Italia, il ragazzo che mi aveva ritrovata, il ragazzo che mi aveva dato la possibilità di guidare una Maserati, ma anche il ragazzo che per vendicarsi di qualcosa che non ricordavo aveva lasciato che Anestis mi “importunasse” durante il processo di stabilizzazione.

“Ariel…” sussurrai. Mi avvicinai al letto e lo guardai, un ciuffo di capelli neri gli ricadeva ribelle sugli occhi. Come avrei potuto dirgli “svegliati”? Sembrava un cucciolo indifeso. Decisi di lasciarlo dormire e mi buttai dalla parte opposta del letto con ancora le scarpe addosso. Pochi istanti dopo anch’io ero sprofondata tra le braccia di Orfeo.

 

“Iris, Iris svegliati” disse Curzio scuotendomi. Aprii lentamente gli occhi ritrovandomi con i suoi puntati addosso.

“Che c’è?” chiesi visibilmente alterata

“Devi andare a scuola” rispose uscendo dalla mia camera e aggiungendo “sbrigati, ti accompagno io”.

“Potete anche scordarvelo, non ci metto più piede dentro quella scuola”. Curzio rientrò.

“Senti, prima o poi, tutto tornerà come qualche anno fa: avrai le tue ali, ricomincerai a usare i tuoi poteri e così via. Quando ciò accadrà potremo contrastare nuovamente, ad armi pari, quei quattro pazzi che vogliono porre fine alla razza umana. Fino ad allora, però, vogliamo che tu continui a vivere come un’umana. La mattina andrai a scuola, il pomeriggio studierai e la sera ti potrai divertire. Quindi ora, per favore, lavati, vestiti e fatti trovare giù. Ti aspetto in macchina” non mi lasciò tempo per ribattere. Sparì dalla mia vista e, così, a malincuore, mi preparai.

Nell’armadio trovai una nuova uniforme, di certo non sarei potuta tornare a scuola con la camicia a brandelli del giorno prima.

Erano successe tante di quelle cose che mi ero quasi dimenticata di Anestis. Giurai che non l’avrebbe passata liscia. No, assolutamente no, dovevo progettare qualcosa. Umiliazione, dolore fisico e terrore è questo quello che dovrà subire quell’essere, pensai scendendo dalle scale.

Trovai Curzio ad aspettarmi su una Ferrari nera. Entrai.

“Dove le prendete tutte queste macchine?” chiesi incuriosita.

“Devo forse ricordarti da quanti anni viviamo?” ribatté lui.

“Ehm no, non credo ce ne sia bisogno. Altrimenti mi sentirei molto vecchia” risposi visibilmente imbarazzata.

“Eh già” disse lui semplicemente. Mise in moto e partì.

“Ma Ariel e Rebecca?” chiesi

“Ariel è uscito di casa qualche ora prima che tu ti svegliassi, non ci ha detto dove andava. Rebecca invece è andata a fare un bagno in Australia, anche tu andavi spesso con lei”.

“Davvero?”

“Già, insieme agli squali” aggiunse sorridendo.

“Cosa? Ma dai, non ti credo…”

“Fa come vuoi” disse, sgommando davanti all’entrata della scuola e facendo rigirare gran parte dell’istituto. Non posso di certo dire d’essere passata inosservata.

“Ci vediamo a casa?” gli chiesi prima di scendere.

“No, io e Rebecca siamo solo venuti a rivederti. Dobbiamo tornare in Africa” rispose senza aggiungere altro.

“Cosa dovete fare lì?”

“Dovresti aver capito, ormai, che gli Angeli Bianchi non si arrendono facilmente. Hanno dato vita a parecchie guerre civili laggiù”.

“Ah, allora arrivederci al più presto” dissi scendendo dall’auto e sorridendo.

“Arrivederci al più presto” ripeté lui mettendo in moto e andandosene.

Se solo avessi potuto fulminare tutti quei ragazzi, vi giuro che l’avrei fatto. Mi fissavano come se avessi avuto un naso rosso da pagliaccio e una parrucca colorata. Fortunatamente, mentre camminavo, nessuno si scansava per lasciarmi passare. Ero curiosa di sapere dove fosse Ariel, ma in realtà stavo cercando Anestis, anche se non sapevo cosa gli avrei detto o fatto se me lo fossi ritrovato davanti. 

“Iris” sentii qualcuno dietro di me urlare il mio nome. Mi rigirai e riconobbi immediatamente Delia.

“Ciao, come stai?” le chiesi sorridendo

“Io bene, tu piuttosto, ieri te ne sei andata via dall’assemblea e dopo non ti ho più vista”.

“Mai stata meglio”

“Bene allora andiamo in classe” ribatté lei senza farmi altre domande.

Durante le prime due ore non feci altro se non studiare i professori. Quello di biologia era un tipo strambo, aveva le chiavi di casa che sembrava gli stessero cadendo da un momento all’altro dalla tasca anteriore dei pantaloni. Su dieci parole che diceva se ne capivano solo due massimo tre e al collo portava una catenina d’oro con una placca con su scritto Tobia. Forse era del suo cane. E aveva il maledetto vizio di toccarsi i folti baffetti neri.

L’insegnante di matematica, invece, era una giovane donna sui 27 anni. Elegante, cordiale e sempre pronta ad accettare le battute degli alunni. Aveva un unico difetto: un’incredibile, interminabile parlantina. Nauseata dalla sua voce a un certo punto della lezione, chiesi addirittura di poter uscire dall’aula.

Durante la terza ora, invece, l’intera classe era in agitazione per una nuova novità. A quanto pareva non sarei più stata l’ultima arrivata della classe.

Quando il ragazzo entrò in aula per poco non svenni, come la gran parte delle ragazze, solo che loro trovavano quel giovane semplicemente stupendo, io, invece, iniziavo ad avere l’idea che mi stesse seguendo.

“Riley..” sussurrai visibilmente sorpresa.

“Lo conosci?” mi chiese Delia

“Non esattamente…” risposi poco prima che il biondino si sedesse davanti al nostro banco.

Senza nemmeno presentare il nuovo arrivato alla classe, la professoressa di letteratura inglese iniziò a spiegare. Non la sopportavo. Quella donna aveva qualche problema. Forse la menopausa le aveva dato alla testa. Dava del “lei” ai suoi alunni. Una ragazza aveva accidentalmente fatto cadere un quaderno e lei aveva iniziato a urlare e l’aveva addirittura buttata fuori dall’aula.

Quando Riley mi passò un bigliettino da sotto il banco lo presi velocemente, senza farmi vedere.

CI SI RIVEDE, c’era scritto su con una penna rossa. Presi una matita dall’astuccio di Delia che guardava incuriosita il foglietto bianco.

PENSAVO FREQUENTASSI L’UNIVERSITA’ scrissi io. Nel tentativo di non farmi vedere glielo ripassai da sotto il banco, ma la prof oltre ad essere irascibile aveva anche una vista da lince.

“Voi due, datemi quel foglietto e uscite immediatamente fuori. A quanto pare non avete ancora capito come ci si comporta in questa scuola” urlò strappandomi il bigliettino di mano.

Senza replicare ci alzammo e uscimmo fuori dall’aula. Nei corridoi regnava il silenzio.

“Cosa ci fai tu qui?” gli chiesi sorridendo.

“Mi sembrava d’averti detto che ero venuto in Grecia per frequentare una scuola privata”.

“Già, ma non avrei mai creduto che fosse questa”.

“Bhè il mondo è piccolo” rispose lui ridendo e continuando “visto che mi hai fatto sbattere fuori dall’aula potresti anche proporti come guida”

“Ma se sei stato tu a darmi quel bigliettino” ribattei fingendomi indignata.

“Forse hai ragione, ma visto che oramai siamo fuori, potresti anche darmi una mano a orientarmi in questo edificio, ho trovato a fatica quest’aula”disse indicando la porta della stanza da cui eravamo appena usciti.

“Hai ragione, ma anch’io sono nuova. So a malapena dove stanno il parcheggio e l’aula magna”.

“Allora vorrà dire che la esploreremo da soli” rispose lui sorridendo.

“Partiamo dall’ingresso?” chiesi

“Partiamo dall’ingresso!” affermò iniziando a camminare verso l’entrata.

“Iris” disse qualcuno alle mie spalle prima che potessi iniziare a camminare. Riconobbi immediatamente la voce di Ariel e divenni rossa come un peperone. Oddio, oddio, oddio. Ora mi legge nella mente, ora mi legge nella mente, pensai nervosamente mentre mi rigiravo verso di lui e mi ricordavo ciò che mi aveva detto Rebecca, non avrebbe potuto, no, non poteva più giocare con i miei pensieri.

“Ariel cosa ci fai qui?” chiese, visibilmente imbarazzata. Cavolo, mi stavo facendo condizionare da un umano. Ma la legge non dice che un Angelo non può frequentare un umano, giusto? Giusto? Giusto? Quindi non mi devo giustificare, esatto?

“Potrei farti la stessa domanda” rispose lui scocciato e in seguito continuò rivolgendosi a Riley “tu, vieni con me, il preside vuole parlarti”.

“Ok” affermò allora il biondino passandomi accanto “Iris, per favore, nel caso in cui quell’isterica dovesse uscire, puoi dirle che sono andato dal preside?” disse, guardandomi serio.

“Ehm… si certo” ribattei. Ma col cavolo che sarei rimasta impalata davanti a una porta da sola. Mi avevano incuriosita, volevo sapere cosa doveva dire il preside a Riley di tanto importante da convocare addirittura Ariel. Così li seguii. Che cosa stupida. Forse Ariel già aveva notato la mia presenza o forse no? Ricordavo vagamente qualcosa riguardante le presenze Angeliche, ma per quanto mi sforzassi, non rimembravo di preciso cosa riguardasse. Rivolevo la mia memoria, non ne potevo più di quei punti in sospeso e quei punti interrogativi.

I due ragazzi si fermarono davanti alla porta di un bagno maschile.

“Ariel non ricordavo avessi di queste tendenze” ironizzo Riley mentre Ariel apriva la porta per lasciarlo entrare.

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Innanzitutto grazie a tutti quelli che sono riusciti a leggere fino alla fine questo capitolo… so che è da tanto che non aggiorno e per questo mi scuso con voi per aver interrotto il quarto  capitolo nel punto più… come dire?!? Cruciale?!?!?!?  XD

Ringrazio di cuore tutti quelli che di tanto in tanto passano a leggere e che hanno messo questa storia tra le seguite, ma i miei ringraziamenti più profondi vanno a:

 

Martina e Sara che vengono letteralmente costrette (dalla sottoscritta) a leggere tutto quello che pubblico. Mwuahahahahahahahah – risata super malefica -  vi aspettano tempi duri.

 

stellabrillante - Meeeeee Erica mi hai lasciato una recensione T_T me si commuove con tutto il cuore. Non datele retta non sono poi così tanto diabolica… forse… ho in mente due o tre cosette. Mwuahahahahahahaha -risata più malefica della risata super malefica stessa –

 

violacciocca - Te tu sei rimasta sorpresa dalla mancanza di recensioni???? Me invece si è quasi messa a piangere T_T a vedere quel tuo commento messo lì buono buono XD. Grazie grazie grazie di cuore. Come puoi ben vedere demordo ma non mollo ( si dice così giusto?)

 

Gin_ookami97 – Grazie di cuore per aver messo la storia tra le preferite e per avermi inviato quella mail ho aggiornato oggi proprio grazie a te. ^__^

 

Un profondo Grazie va anche alla mia Betareader: Ylenia.  Se vedete qualcuna fare a botte con la punteggiatura… bhè quella sono io.

 

Aspetto con ansia nuove recensioni XD. Al prossimo capitolo.  

  
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