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Autore: Izumi V    24/01/2019    4 recensioni
Storia scritta per l'evento "Merry Christmas!" del gruppo fb "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"
Un altro possibile inizio, un altro possibile svolgimento... e il cupido Mike Stamford ci mette lo zampino senza vergogna!
*Estratto:
Aveva qualcosa di infantile, e allo stesso tempo estremamente serio: quell’aria che possono avere solo i bambini quando sono davvero concentrati su qualcosa che li affascina.
Un sorriso sincero e luminoso si dipinse sul volto di John. Non riusciva a smettere di guardarlo. Si avvicinò a lui di qualche passo.
“Sherlock?”
“È bellissima, vero?”
“Già,” rispose John. Ma non guardava la neve.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mike Stamford, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Eccoci di nuovo qui, con quello che è l’ultimo capitolo di questa storia.
Vi lascio subito alla lettura, tenendo per la fine qualche nota di saluto :)
Buona lettura!
 
 
 
Forgiveness
Capitolo 4
 
 
 
15 Dicembre
Notte
 
Fu una notte tormentata e insonne per entrambi.
Sherlock non abbandonò il proprio violino un solo secondo. Una melodia triste, ora lenta ora incalzante, si librava nell’appartamento andando di pari passi con i suoi pensieri.
Questa volta Mrs. Hudson non ebbe nulla da ridire, consapevole che dovesse essere successo qualcosa di importante tra loro. Non era presente, ma aveva idea che il loro rapporto avesse subito una brusca svolta.
Il ragazzo non si dava pace, non riusciva a capire cosa avesse sconvolto tanto il dottore.
Cosa temeva davvero?
Nel blu delle sue iridi aveva letto la paura. Paura di Sherlock, di un suo rifiuto?
No.
Ad un tratto l’archetto scivolò in malo modo sulle corde sottili dello strumento. Una distrazione dovuta a un’improvvisa illuminazione. La melodia ricominciò sulle note volute.
John non temeva l’altro. Dopo tutto, era un soldato.
John aveva paura di se stesso.
 
Nello stesso momento, Watson si rigirava senza pace tra le coperte, incapace di prender sonno.
Guardò l’orologio: le tre.
Sbuffando, rinunciò e scese al piano di sotto. L’occhio cadde per un attimo sul secondo cassetto del comodino, ma si limitò a darsi dell’idiota.
Come altre volte, il pensiero andò allora alla bottiglia. Tuttavia, qualcosa questa volta lo frenò.
Un paio di occhi felini, color acquamarina, comparvero nella sua mente e bastarono a farlo sentire in colpa. Strano.
“Perfetto, ora non mi permette nemmeno più di bere.”
Si accasciò sfinito su una poltrona della sala. Poggiando le mani sui braccioli, si rammentò della sensazione provata compiendo lo stesso gesto all’appartamento di Baker Street. E si rese conto che lì aveva un sapore diverso, più dolce di quanto non ne avesse in casa propria.
Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra sottili.
Vide il telefono abbandonato sul tavolino. Poteva chiamare Sherlock… no, pessima idea. Poteva chiamare Mike. Ma per cosa, poi?
Non avrebbe saputo raccontargli la propria paura. Lui non avrebbe capito. O forse sì, ma non era sicuro di volerlo.
 
Un piccolo germe oscuro gli si era piantato nel cuore da tempo. Il pensiero che fosse tutta colpa sua. Se non avessero litigato, quella sera, Mary non si sarebbe messa alla guida a un’ora così tarda. Era stanca, non avrebbe dovuto guidare.
Le cose erano precipitate più in fretta di quanto non si sarebbe potuto pensare. Il matrimonio era stato felice, all’inizio. Erano giovani, entrambi apparentemente convinti dell’amore che provavano l’uno per l’altro. Poi John era partito per la guerra: al suo ritorno non era più lo stesso. O meglio, nulla dentro di lui era cambiato; piuttosto, qualcosa che prima dormiva si era risvegliato.
Qualcosa che Mary non voleva vedere.
Qualcosa con cui neppure John aveva voluto fare i conti.
Finché la bomba, caricata a furia di silenzi, non era esplosa in una lite furibonda.
John si raggomitolò su se stesso, rivivendo nella testa ogni singolo momento di quella sera. Si premette le mani sulle tempie: se solo avesse avuto il coraggio.
Lo stesso che gli era mancato quel pomeriggio, quando era letteralmente fuggito via da Sherlock.
Non se lo meritava. Quel ragazzo non se lo meritava.
Solo a pensarci gli mancava il respiro.
Sherlock Holmes.
No, non poteva trascinarlo a fondo con sé. Avrebbe rovinato tutto, lo avrebbe fatto soffrire.
E lui non se lo meritava.
 
“Ho pensato che fossi una persona che valeva la pena di conoscere.”
 
Quella frase gli tornò in mente all’improvviso. Era la risposta che gli aveva dato Sherlock quando, durante uno dei tanti pomeriggi trascorsi insieme, gli aveva chiesto la prima cosa che avesse dedotto di lui.
Holmes aveva visto qualcosa in lui. Qualcosa per cui “valeva la pena.” Che cosa diavolo era?
Una piccola lucina si riaccese nel suo cuore. Una scintilla che aveva i tratti della speranza.
Afferrò il telefono prima di avere il tempo di cambiare idea e digitò il numero di Stamford.
Al secondo squillo riattaccò, insultandosi per quell’attimo di debolezza.
Ma per fortuna Mike era un buon amico. Il telefono di Watson iniziò a vibrare qualche secondo dopo.
“Pronto.”
“Ehi, amico! Che ci fai sveglio a quest’ora?”
John sorrise. Stamford era davvero una brava persona. Glielo disse.
“Grazie. Ma non penso tu mi abbia chiamato alle tre e mezza di notte per farmi i complimenti,” disse con la voce impastata di sonno e quella che sembrava una risata.
“No, in effetti…”
“E dunque?”
“Scusami, ti lascio dormire.”
“Non dire cazzate! Adesso sputi il rospo o giuro che vengo lì e sfondo la porta a calci.”
“Aiuto. No, non stare a scomodarti…” sospirò, “niente, stavo riflettendo su un po’ di cose e volevo farti una domanda.”
“Benissimo, dimmi.”
“Perché credi che qualcun altro potrebbe considerarmi una persona che vale la pena di conoscere?”
Silenzio. Poi una risata.
“Ehi! Se devi fare il coglione riattacco.”
“No, no! Perdonami. È che a volte sei proprio scemo, amico.”
“Grazie tante.”
“Senti. C’è solo una cosa che posso dirti ed è questa: devi darti una possibilità.”
“Come, prego?”
“Ascolta. So cosa hai passato dopo… la morte di Mary. Lo so perché sono l’unica persona con cui hai parlato in tre mesi, e questo già dice tanto…” Una pausa. “Non puoi condannarti per sempre, John. Se finalmente hai incontrato qualcuno che ti fa stare bene, che ti conosce e ti apprezza proprio per quello che sei… e se quella persona è la stessa che tu desideri render felice… non puoi buttare tutto all’aria. Non per stupida codardia.”
Watson accusò il colpo.
“Mi stai dando del codardo?”
“Certo.”
“Pfff”
Mike sentì l’amico scoppiare a ridere.
“Vedo che hai capito.”
John annuì come se l’altro potesse vederlo.
“E ora dimmi, volevi davvero chiamare me?”
“E chi altro avrei dovuto chiamare?”
“Ah, lo sai solo tu. Io però ora torno a dormire, o domattina la tieni tu la lezione al posto mio.”
“Non ci penso proprio… Grazie, Mike.”
“Lascia stare, va’. E dormi un po’ anche tu.”
Chiuse la chiamata.
John inspirò profondamente, cercando di riordinare i pensieri.
Voleva chiamare qualcun altro? Più che chiamarlo, voleva vederlo. Vista l’ora, decise saggiamente di rinviare ogni mossa al giorno seguente.
Automaticamente il suo sguardo cadde sull’anello poggiato come sempre sul tavolino vicino all’ingresso. Annuì a se stesso. Forse era giunto il momento di riporlo una volta per tutte: non come una cosa da nascondere, ma come un capitolo da chiudere.
 
 
 
 
16 Dicembre
Pomeriggio
 
Molly Hooper era nel laboratorio che condivideva con gli altri dottorandi di Stamford.
Tutta concentrata sul vetrino che stava analizzando, udì all’improvviso un fragore di vetri infranti.
Sussultò lanciando un gridolino acuto.
“Sherlock!”
Il ragazzo, intendo a lavorare nel proprio angolo, si era appena fatto scivolare di mano un set di provette.
“Ops,” mormorò lui con finta noncuranza, tentando di dissimulare il disagio.
Molly accorse ad aiutarlo. Per una volta, sembrava lei quella in vantaggio.
“S-stai bene? È tutto il giorno che sei distratto… assente.”
“Sì, sto bene,” rispose, senza nemmeno guardarla negli occhi. A quel punto, Molly si irritò.
“Ehi. Sarò più lenta di te, ma non stupida. Smettila di trattarmi come tale.”
Sherlock pose lo sguardo su di lei, colpito. “Scusami.”
Era sincero, ed ebbe l’effetto di ammorbidirla.
“Senti, perché non vai a casa?” poi si morse la lingua, andando nel panico: “Non voglio cacciarti! Solo che… insomma… non fa niente se per una volta esci un po’ prima, no? Vai a casa, ti riposi, parli con qualcuno…”
“E cosa dico a Stamford?”
“Non preoccuparti, ci parlo io.”
Sherlock si arrese senza ulteriori rimostranze. In realtà le era molto grato, ma come sempre faceva fatica a mostrarglielo apertamente.
“Se tutti i criminali avessero una Molly Hooper che costruisce alibi per loro, sarei fregato.”
“C-come?”
“Niente, niente. Grazie per quello che fai.”
“Per così poco…”
Lui sorrise. “Non sottovalutarti, Hooper, solo perché io tendo a compiere questo errore.”
Molly avvampò.
“Ok. Ma adesso vai, su!”
 
Il viaggio di ritorno a casa gli parve brevissimo, concentrato com’era sulle proprie elucubrazioni.
Non notò nemmeno la neve che aveva preso a scendere, leggera e silenziosa.
Gli si depositava sui capelli e sul cappotto scuri, creando un bel contrasto.
Solo quando si trovò davanti al 221B di Baker Street si fermò a osservare il cielo, il bianco delle nuvole appena tinto dal rosa del tramonto.
Sorrise, era bello.
La sua contemplazione venne interrotta dallo squillo del cellulare.
Arricciò con disappunto il naso infreddolito.
“Mycroft,” scandì, rispondendo alla chiamata.
“Ciao, fratellino.”
“Che vuoi?”
“Affabile come tuo solito. Volevo solo sapere come stai.”
“Certo, e immagino che in questo Mrs. Hudson non centri nulla.”
“Non capisco proprio di cosa tu stia parlando.”
Sherlock grugnì.
“Mmh, interessante.”
“Ripeto, Mycroft. Cosa vuoi?”
“Ti darò un consiglio, fratellino…”
“…che nessuno ti ha chiesto.”
L’altro lo ignorò. “È da quando eri solo un poppante che ti metto in guardia sugli esseri umani.”
’Scegli bene di chi fidarti,’” lo scimmiottò il più piccolo, interrompendolo di nuovo. “Sì, rammento, grazie.”
“Esattamente. Ho fatto in modo che imparassi a discernere al meglio le persone da metterti a fianco.”
“Mi sto irritando.”
Mycroft alzò impercettibilmente la voce. “Immagino quindi che nella tua mente l’errore non sia contemplato.”
Sherlock si azzittì. Aprì e chiuse la bocca senza emettere suono.
Dall’altra parte del telefono, suo fratello ghignò. Il messaggio era arrivato.
“Ovviamente non è contemplato,” rispose finalmente, per non lasciargli l’ultima parola.
“Ottimo. Ti saluto, fratellino.” E attaccò.
Sherlock sollevò ancora una volta il viso al cielo, osservando i morbidi fiocchi volare giù lentamente, come al rallentatore. Tese una mano per raccoglierne qualcuno sul palmo.
Sorrise ed entrò in casa.
 
Come al solito sfilò cappotto e sciarpa, appendendoli all’attaccapanni nell’ingresso.
Come al solito, attese un paio di secondi nel caso Mrs. Hudson avesse voluto dirgli qualcosa.
Come al solito, non sentendola, si accinse a salire le scale che lo separavano dal proprio appartamento.
Una serie di gesti abituali e consolidati che tuttavia in quel momento assunsero una sfumatura nuova. Un presentimento si era impadronito di lui, avvolgendolo come una veste calda: una semplice sensazione che nulla aveva a che vedere con la logica, ma che ora aveva il sapore della certezza.
Nella mente di Sherlock, una sola immagine fu evocata in risposta a quello stimolo meramente sensoriale. E in quell’immagine, ore di silenzi e turbamenti vennero spazzati via come se non fossero mai esistiti.
Un nome si articolò sulle labbra del giovane, che si limitarono a tracciarne i contorni senza darne forma definitiva.
Salì i gradini di fretta, ma si bloccò davanti alla propria porta.
L’errore non è contemplato.
In pratica voleva dire: non puoi esserti sbagliato.
Strinse la mano abbandonata lungo il fianco a pugno e si fece forza.
 
Il calore del fuoco acceso e un delicato profumo di legna lo investirono inebriandogli i sensi.
La luce tiepida delle fiamme illuminava lo spazio davanti al camino, avvolgendo le due poltrone in un alone rassicurante. Al centro, seduta per terra, riconobbe una figura ben nota che si voltò verso di lui non appena ebbe messo piede nella stanza.
Il suo cuore mancò un battito. A volte è difficile accettare che qualcosa che si desidera nel profondo stia accadendo per davvero.
“John?” mormorò, la voce profonda un poco incerta.
“Ehi.”
Un sorriso lieve sulle labbra sottili, negli occhi un misto di tristezza e sollievo.
“Che ci fai q– ma quelli sono biscotti?!
“Zenzero.” Rispose prontamente John, e rise.
“Vuoi corrompermi?”
“No. Voglio scusarmi perché sono stato un coglione.”
Sherlock sentì una lieve fitta al cuore. Si confuse, balbettò qualcosa, forse arrossì.
“Dai, siediti,” gli disse l’amico, battendo piano una mano sul tappeto morbido e spesso. Il blu delle sue iridi, perso il velo che lo oscurava, scintillava ora al danzare delle fiamme.
Per entrambi non era facile trattenere dentro la gioia di rivedersi. Parevano secoli ed era appena un giorno.
Sherlock, ancora una volta, obbedì al suo dottore.
Incrociò le lunghe gambe sottili, le dita affusolate si concentrarono sui ghirigori del tappeto, percorrendone i contorni.
John lo osservò con la coda dell’occhio. Era affascinante perfino quando immerso in gesti tanto semplici.
Lasciarono che il silenzio dominasse per un po’ tra loro, interrotto solo dal crepitare del fuoco. Alla fine fu Sherlock a prender parola.
“Non devi scusarti.”
“Sì invece, Sherlock.”
Quest’ultimo alzò il viso. Non si era mai reso conto di quanto amasse il proprio nome quando pronunciato da lui. Aveva una dolcezza spiegata solo dalla premura di John nei suoi riguardi.
“Devo scusarmi per una marea di motivi. E uno è che ho dubitato di te.”
“Di me? In che senso?”
“Ho creduto che avessi preso un abbaglio con me. Sinceramente, spesso mi sono chiesto cosa ci vedessi in me che ‘ne valesse la pena’. Perché io sono il primo a non vederlo…”
Una piccola pausa. Sherlock attendeva.
“…come non ho voluto vedere tante altre cose.”
Si avvicinarono un poco l’uno all’altro. Le mani piantate sul tappeto si sfioravano.
“Cos’è che non volevi vedere, John?”
Questi lo guardò con i suoi grandi occhi espressivi. Si immerse nello specchio d’acqua che erano le iridi brillanti dell’altro.
È come un tuffo nell’acqua, John. Non devi temerlo. Sono acque sicure.
“Quello che ho iniziato a provare per te,” rispose, sempre più piano. “Quello che provo tuttora.”
Sherlock si augurò che non potesse sentire il proprio cuore battere furiosamente.
“La paura non ci serve, John. Non a noi due, non per noi due.”
E prima che l’altro potesse ribattere, annullò la distanza fra loro.
Fu un bacio lieve, a fior di labbra, timoroso nonostante lo slancio.
Watson non lo lasciò allontanare di nuovo; lo abbracciò stretto affondando una mano tra i suoi ricci corvini che gli solleticavano il collo e il volto.
Aveva un’aria tanto fragile, così. Il cuore sembrò suggerirgli che erano davvero fatti l’uno per l’altro.
“Potrebbe essere così tutti i giorni.”
Sherlock, in tutta risposta, si divincolò con delicatezza dall’abbraccio. Gli prese il viso tra le mani, improvvisamente energico.
“Ripetilo.”
“C-che cosa?”
“Ripeti quanto hai appena detto.”
“Potrebbe essere così tutti i giorni.”
Holmes lo fissò intensamente, socchiudendo gli occhi. “Stai accettando la camera,” decretò serio, come se interpretare la sua frase avesse comportato uno sforzo notevole.
John rise, ponendo le proprie mani su quelle dell’altro, ancora sul proprio viso: “Sì, intendo quello.”
“E risolveremo i casi insieme,” continuò lui, sempre serissimo.
“E io ne scriverò dei libri.”
“Usando uno pseudonimo. Magari un nome che inizia con la H…”
“Sherlock, userò il mio nome, che è John. E no, non ti dirò mai per cosa sta la H del mio secondo nome.”
“Peccato, valeva la pena di tentare.”
 
 
 
 
25 Dicembre
Mattina
 
Il primo sole del mattino filtrava tra le imposte sottili. Alcuni raggi birichini giocavano sul volto del giovane uomo, addormentatosi la notte prima in una posizione scomposta e decisamente poco comoda. Risvegliato dal calore inatteso, strizzò a lungo gli occhi contornati da ciglia biondissime, prima di portare la mano sinistra sul viso, a mo’ di schermo.
L’altra mano accarezzava piano un lembo di pelle calda e levigata. John Watson sorrise.
Sherlock si era addormentato abbracciato a lui, le gambe sottili intrecciate alle sue, la testa posata sul suo torace.
Il suo corpo affusolato aderiva perfettamente a quello di John, riempiendo uno i vuoti dell’altro.
Sentì l’improvvisa necessità di baciarlo.
Come se avesse potuto ascoltare i suoi pensieri, Sherlock si mosse su di lui, risvegliandosi piano. Sollevò il viso contornato di neri ricci arruffati, che tanto contrastavano sulla sua pelle chiara. A fatica aprì gli occhi per specchiarsi in quelli dell’altro.
“Buongiorno,” gli sussurrò John, senza riuscire a smettere di sorridere. “Lo sai che sei bellissimo, sì?”
In tutta risposta, Sherlock mise il broncio: “Smettila.”
Adorabile.
“Sto solo esprimendo un dato di fatto,” disse Watson, mordendogli il labbro inferiore.
“La bellezza… non è… un dato… oggettivo,” rispose lui, tra un bacio e l’altro.
L’atmosfera si scaldò in fretta. John si tirò su ribaltando le posizioni e stendendosi sul compagno. Le loro gambe si intrecciarono nuovamente.
“Allora lasciami dire qualcosa cui non potrai ribattere: Buon Natale, Sherlock.”
Sulle sue labbra si dipinse un piccolo sorriso. “È un augurio senza senso… però… Buon Natale anche a te, John.”
E a lui sembrò bastare. Si chinò per impossessarsi ancora una volta della sua bocca perfetta.
I bacini cozzarono provocando a entrambi scariche di piacere. Sherlock gli circondò le spalle tra le braccia, stringendolo a sé.
John sentì vacillare il proprio controllo. Si premette maggiormente sull’altro, passando a torturargli il collo con labbra e denti. Le gambe del moro si strinsero alla sua schiena. In tutta risposta, emise un ringhio basso e roco.
“John,” fu invece il gemito che abbandonò le labbra dell’altro.
Il biondo trovò la forza di guardare l’orologio: i loro amici non sarebbero arrivati che tra qualche ora.
“Abbiamo tempo.” Sentenziò, con fare cospiratorio.
Sherlock sorrise.
“Tutto il tempo che vogliamo, per sempre?”
“Per sempre.”
 
 
 
The End
 
 
 
 
Voglio solo concludere ringraziandovi di cuore per essere arrivati fin qui!
Un grazie speciale a chi ha speso del tempo per una recensione, è sempre bello avere un riscontro, indipendentemente dal fatto che sia positivo o negativo.
Just to say, credo che pubblicherò un epilogo come capitolo separato, ma è tutto ancora un working in progress!
A presto, spero
Izu
 
 
  
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