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Autore: AdhoMu    24/01/2019    7 recensioni
["Principenny" Clearwater / Charlie Weasley (et Percy Weasley)]
"Weasley.
Patronimico riferito ad antichissima famiglia magica inglese, appartenente al rinomato gruppo delle Sacre Ventotto. I suoi membri sono tradizionalmente affiliati alla Casa di Grifondoro e presentano un biotipo ben preciso, costituito da capelli rossi, pelle chiara e lentigginosa ed occhi di colore variabile fra il celeste e il nocciola."
Ah: e sono anche maledettamente numerosi, aggiungerei io.
E pure fascinosi, accidenti a loro.

Dodici caselle. Dodici draghi.
Riusciranno Penny e Charlie a recuperarli tutti prima della Battaglia Finale?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antonin Dolohov, Charlie Weasley, Filius Vitious, Penelope Clearwater, Percy Weasley
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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3. Dalla padella... alla brace.
 
Due, a mio parere, sono le Leggi Fondamentali di Weasley, anzi no: tre.
La prima. Il mondo è troppo piccolo e gli Weasley troppo numerosi. Ovunque andrai, ti imbatterai in uno di loro.
La seconda. Gli Weasley ti si infilano sotto pelle. Chi ne ha avuto uno, lo sa.
La terza. Molly Prewett in Weasley merita il Premio alla Carriera per aver sfornato una serie ininterrotta di sette inestimabili opere d'arte.
A seconda del caso, la vita ci vede protagonisti di circostanze che corrispondono o alla prima, o alla seconda, o alla terza legge; o fors’anche a più d'una, magari raggruppate a due a due.
Io, in quella memorabile mattina resa rovente dalle fiamme della fucina e dal mio sangue surriscaldato, ebbi piena coscienza del fatto che, alla specifica situazione che vedeva protagonista me, si applicavano perfettamente tutte e tre.
Perché uno, mi trovavo in paese lontano e mi ero imbattuta in un Weasley. Due, il mio Weasley precedente mi mancava moltissimo; non saprei dirvi se in qualità di Percy, ma certamente in qualità di Weasley. E tre: Charlie Weasley in tenuta da fabbro era un assoluto capolavoro.
 
Il ragazzo, in piedi davanti a me, mi scrutava assottigliando gli occhi.
- Chi abbiamo qui? - mi chiese, sfilandosi il grembiulone di cuoio e mettendo in mostra un ensemble di obliqui da far impallidire un Bronzo di Riace. Prima quiddista, poi domatore di draghi: aveva avuto modo di lavorarci parecchio, il giovanotto, a quel suo addome da capogiro. Io tentai di ricompormi un minimo: quello era il segnale convenuto, la frase di riconoscimento. Non potevo avere una defaillance proprio in quel momento.
- La... la Principessa di Itaca - risposi, scandendo lentamente il nome in codice fornitomi da Alastor Moody prima della partenza.
Senza smettere di guardarmi, Charlie appellò una maglietta bianca da un attaccapanni poco lontano e, con mio sommo rammarico, se la infilò. Nonostante la velocità della vestizione, però, ebbi modo di notare che, sul suo pettorale sinistro, risaltava il tatuaggio stilizzato di una piccola Furia Buia; fu solo un'immagine fugace ma, chissà perché, capace d'imprimermisi in modo indelebile nelle retine.
- E cosa sei venuta a fare? – domandò ancora, sistemandosi gli spessi braccialetti, simili a polsini di cuoio, che portava su entrambi i polsi.
A ordire segreti e a tessere trame - recitai io come da copione, decisamente più concentrata in seguito all’occultamento di quella sua strepitosa tartaruga marmorea.
Lui venne avanti e mi tese la mano, che io strinsi con ostentata professionalità.
- Benvenuta in Romania, Penelope - mi disse, rivolgendomi un caldo sorriso - e perdona la noia di questi procedimenti di riconoscimento...
- Figurati - assentii io, sorridendogli a mia volta. - Da quanto ho capito, dobbiamo fare molta attenzione...
- Oh sì - convenne subito lui per poi aggiungere, forse mosso dal buon proposito di rompere il ghiaccio: - anche se nel tuo caso, forse, non ce ne sarebbe stato bisogno...
- Ah no? - mi stupii. - E come mai?
- Mah, perché... – rispose lui, assorrendo leggermente. – Ecco, diciamo che la descrizione fornitami da Malocchio non lasciava adito a dubbi....
- E perché? Che cosa ti ha detto? - lo incalzai io, subitamente sospettosa.
- Oh beh, nulla di che - tossicchiò lui, rendendosi conto di averlo ridotto in granita fina, il ghiaccio che aveva desiderato rompere.
Lo voglio sapere! - berciai, stridula come un'unghia strisciata sulla lavagna.
 
Una specie di fatina turchina tutta nastrini azzurri e boccoli biondi, eh? La confessione di Charlie mi aveva sommamente impermalita. Ah! Ma ve la faccio vedere io...
Nonostante la presentazione tutt’altro che lusinghiera, però, dovevo ammettere che sia lui che gli altri miei colleghi e colleghe della Riserva non mi avevano riservato alcun pregiudizio.
Mi trovavo da una settimana in Romania e, al di là di ogni mia più rosea previsione, le cose stavano andando piuttosto bene.
Il personale della Riserva era composto da streghe e maghi provenienti da ogni parte del mondo, ciascuno con la sua storia alle spalle e tutti abbastanza simpatici. La maggior parte di loro parlava l’inglese e ciò mi permise di inserirmi facilmente all’interno del gruppo nonostante le mie lacune linguistiche dato che paradossalmente, al contrario delle lingue dei rettili, gli idiomi umani mi erano pressoché estranei.
Quanto ai draghi, avevo già avuto modo di avvicinare i Lungocorni addomesticati, che vivevano nei pressi della Sede ed erano suddivisi in quattro categorie: cuccioli, giovani, adulti e anziani. Visti così, ad una distanza ravvicinata, anche i piccoli mi erano sembrati estremamente pericolosi, soprattutto quando scuotevano il capo rischiando di infilzare la gente con le loro lunghe corna dorate.
Eppure, dopo aver trascorso una mezza giornata ad affinare la pronuncia, avevo scoperto che quei minacciosi draghi rumeni erano dei tipi assolutamente... ragionevoli. Ascoltavano, comprendevano e, quando lo ritenevano opportuno, agivano di conseguenza. Alcuni di loro, addirittura, si erano degnati di rispondermi verbalmente, il che mi aveva fatto un immenso piacere, soprattutto perché avevo subito notato l’espressione ammirata dei miei colleghi.
Non avrei potuto essere più orgogliosa di me stessa.
Certo: in un paio di occasioni, soprattutto in presenza degli esemplari adulti, avevo avuto l’impressione che Charlie mi si fosse un po’anticipato frapponendosi fra me e gli animali, come se temesse che io non fossi in grado di cavarmela da sola (cosa che dal punto di vista fisico, a conti fatti, era assolutamente vera). Probabilmente la mia presentazione inoltratagli da Moody l’aveva lasciato alquanto impensierito e il mio aspetto da ragazza di buona famiglia, con camicetta bianca e gonna a pieghe, doveva avere corroborato le sue incertezze.
Io non me l’ero presa.
A me piuttosto, il fatto di lavorare gomito a gomito con il fratello del mio ex ragazzo, faceva un po’ specie. Perché, indubbiamente la presenza di Charlie mi rendeva più difficile superare lo schiaffo morale infertami da Percy;  era pur vero che il secondogenito Weasley era subito (e del tutto inconsapevolmente) riuscito a richiamare la mia attenzione, ma al tempo stesso era come se a causa della sua presenza il ricordo di Percy, ancora troppo recente, faticasse il doppio a dissolversi. Era come se, nonostante le enormi differenze esistenti fra i due, un Weasley si fosse sovrapposto all’altro, laciandomi piuttosto confusa e disorientata.
Dal canto suo, della mia relazione di quasi cinque anni con uno dei suoi fratelli minori, Charlie sembrava non saperne assolutamente nulla. Mai un commento, mai un’allusione a riguardo. Del resto, quando lui ancora frequentava la scuola, io e Percy eravamo ancora lungi dallo stare insieme e in seguito, durante gli anni del nostro fidanzamento, Charlie aveva vissuto quasi ininterrottamente in Romania. Forse lui neppure immaginava che il suo pomposo fratellino avesse frequentato tanto a lungo una ragazza; e probabilmente Percy, così ermeticamente riservato, non si era mai dato il disturbo di informarlo durante le sue rare visite.
E così io, ritenendo del tutto inutile metterlo al corrente di fatti che, peraltro, non mi andava affatto di rivangare, decisi di tenermi la cosa per me e di concentrarmi sul mio lavoro.
 
Charlie era davvero un bel tipo: allegro, disponibile e di buon cuore.
Era anche un gran lavoratore, spontaneo, esuberante, sempre pronto a rimboccarsi le maniche. Sapevo che ai tempi della scuola era stato uno studente modello, Prefetto e Caposcuola, ma anche un ottimo Cercatore sul campo da Quidditch, oltreché un ragazzo piuttosto ambito dalle compagne; condizione della quale, però, lui aveva sempre approfittato assai poco. Con Percy condivideva l’impegno nelle cose, che amava fare per bene e cui si dedicava con immensa abnegazione; non possedeva però i suoi modi seriosi e, nonostante gli ottimi risultati, era rumoroso e disordinato, sempre pronto alla risata e assai poco incline all’eleganza. I suoi modi di fare erano più simili a quelli dei gemelli, Fred e George, che conoscevo un pochino meglio; come loro, Charlie era sempre propenso al sorriso anche se, effettivamente, non era un burlone.
E poi, pensavo io osservandolo affascinata, amava il suo lavoro.
Amava i draghi.
A quelle creature, il fratello maggiore di Percy si dedicava anima e corpo, con zelo e passione. Nei loro confronti era sollecito e amorevole; spesso, dimostrava anche una buona dose di coraggio nell’accostarsi senza esitazionea a quei bestioni da cinque tonnellate e aliti roventi, senza però commettere mai l’errore di prenderli sottogamba. Li temeva il giusto e non li sottovalutava né li sfidava perché, saggiamente, sapeva che erano sempre loro, e non lui, ad avere il controllo della situazione. A questo proposito, in un’occasione, mi aveva mostrato le cicatrici da ustione che si era beccato anni prima per eccesso di baldanza nei confronti di un esemplare selvaggio.
Laddove il fuoco del Lungocorno gli aveva quasi arrostito l’avambraccio destro, la pelle presentava ancora un aspetto lucido e arrossato.
- Non temere, però – mi aveva detto in tono rassicurante. – Domani, quando finalmente ti porteremo a vedere i selvatici, adotteremo tutte le misure del caso.
 
Il giorno dopo, alle prime luci dell’alba, ero già in piedi: non potevo certo rischiare di presentarmi in ritardo alla mia prima missione sul campo.
“Ti vengo a chiamare io alle cinque e quarantacinque” mi aveva detto Charlie prima di augurarmi la buonanotte. “Fatti trovare pronta”.
Io alle cinque e mezza ero già lavata, pettinata, vestita e in sbadigliante attesa. Talmente insonnolita, in effetti, che dopo qualche attimo di torpore mi riscossi e realizzai che erano già le sei, e che Charlie non si era ancora fatto vivo.
Che si fosse dimenticato di mettere la sveglia?
“Forse è meglio se lo chiamo io” pensai, tirandomi su a fatica dalla seggiola.
E così, un po' sovrappensiero e ancora piuttosto assonnata, uscii e, percorso il tratto di corridoio che mi separava dai suoi alloggi, mi avvicinai alla porta della sua stanza e mi apprestai a bussare.
Improvvisamente mi bloccai.
Dall'interno proveniva un rumore sospetto che, quando fui in grado di capire meglio di cosa si trattava, mi fece rimanere lì impalata davanti all'uscio, con la mia stupida mano sollevata a mezz’aria.
Una voce inequivocabilmente femminile e piuttosto arrochita sussurrava qualcosa in una lingua sconosciuta, alternando brevi parole concitate, che suonavano simili ad un indistinto Wsslee, a mugolii di intensità crescente.
Io ero letteralmente impietrita.
Immobile dinnanzi alla porta di quella stanza pessimamente insonorizzata, dentro la quale si stava consumando un qualcosa che io avevo ben compreso, la mia fervida immaginazione decollò per un volo pindarico dai contorni decisamente torbidi, che mi condannò a combustione rapida manco fossi un novello Icaro co’le sue ingenue ali di cera.
Dovetti chiudere di scatto gli occhi, trattenendo il respiro e tappandomi la bocca con il palmo della mano.
E fu peggio.
Mi sembrava quasi di vederlo, Charlie Weasley, intento a muovere i suoi bei fianchi snelli per regalare un piacere sublime ad una fortunatissima sconosciuta. Anzi, a volere essere sinceri era come se lo vedessi proprio.
E mentre quella sfilza di immagini assolutamente disdicevoli sfilava rapida dinnanzi ai miei occhi rischiando seriamente di farmi soffocare, un gemito prolungato e particolarmente acuto (che la donzella coinvolta non si curò minimamente di smorzare o forse, chissà, non le era riuscito di farlo) confermò le mie più inconfessabili teorie, facendomi quasi cadere all'indietro. 
Là dentro c’era uno che, per la barba di Merlino, ci sapeva davvero fare.
 
Oh, ma per Merlino” pensai, accalorata “deve essere... è... maledettamente bravo... oh, per Priscilla la Saggia, chissà perché me lo ero immaginato... Oh! Leva le tende, sciocca di una Penny: cos'è? Vuoi forse farti sorprendere sul luogo del delizio... ehm, del delitto?!”
Infiammata oltre ogni dire arretrai di qualche passo, per poi lanciarmi in una fuga precipitosa.
Oddio... oddio... continuavo a ripetermi, sgambettando frenetica qua e là, un po' a casaccio. E andai avanti così per un bel po' finché, svoltando nel corridoio della sala da pranzo, non andai a cozzare contro qualcuno che procedeva in direzione opposta.
L'impatto contro un corpo di una decina di volte più solido del mio mi fece letteralmente volare a gambe all'aria.
- Penny!... Oh, scusami tanto!...
Io spalancai gli occhi, sbigottita. In piedi davanti a me, vestito di tutto punto e con le guance rosse di chi è appena rientrato alla base, Charlie mi guardava meravigliato.
- Ch-Charlie?!
Il ragazzo mi sorrise, aiutandomi a rialzarmi. La sua mano, che io impiegai un millesimo di secondo in più del dovuto a lasciare andare, era calda e leggermente ruvida.
- Oh, Charlie - farfugliai, imbarazzata ai pensieri che mi erano frullati per la testa poco prima. - Sei... qua. Sì perché ecco, avevo pensato che... che...
Charlie si lasciò sfuggire una risata fragorosa.
- Sei passata dalla mia stanza a chiamarmi? - mi chiese, trattenendo a stento le risa.
Io avevo le guance in fiamme, per non parlare delle viscere, cosicché fui in grado di borbottare soltanto un contrito:
- Oh, beh.
- Glielo dico sempre, a quel marpione di Wassily, di insonorizzare la stanza quando si porta a casa le sue conquiste - disse Charlie, alzando le spalle. - Capisco che non siamo in un convento, ma un po' di discrezione non guasterebbe, dico bene?
All’udire le sue parole, io trasecolai.
Wassily.
Il compagno di stanza di Charlie. E non Weasley. Avrei dovuto pensarci che poteva trattarsi di lui, e invece no: al primo sospiro sospetto, avevo subito dato per scontato che si trattasse di Charlie. Il che, a pensarci bene, rivelava chiaramente quanto irrimediabilmente, ormai, io fossi partita per la tangente.
Anyway - continuò lui, sistemandosi con calma le due polsiere di cuoio - ora posso finalmente entrare per prendere lo zaino: è tutta notte che tento di rientrare.
- Tutta... notte? - pigolai io, strabuzzando gli occhi.
- Wassily mi ha appena mandato un Patronus per darmi il via libera – rispose lui con l’aria più naturale del mondo. – Finalmente hanno finito.
E poi, come se nulla fosse:
- Andiamo?
Le mie orecchie, decisamente purpuree, stentavano a credere a tale indelicatezza.
Il cameratismo maschile, a volte, riesce ad essere davvero disgustoso.
 
La mia prima esperienza con i draghi selvatici fu a dir poco traumatica.
Il giorno prima Freiwald e Mircea, di ritorno da una lungo giro di ispezione durato tre giorni, ci avevano avvisati di aver avvistato un nido incustodito nel settore nordovest della Riserva.
E così la mia prima missione come membro dell’equipe (della Missione con la M maiuscola non ne avevo saputo più nulla; evidentemente Charlie attendeva disposizioni da parte di Moody) avrebbe previsto un sopralluogo sul posto, in compagnia di Charlie e di quell’impudico di Wassily che, quel mattino, ci corse dietro tirandosi su con assoluta nonchalance la zip delle braghe.
Per fare prima, dopo avere annotato le coordinate sul diario di bordo, ricorremmo alla smaterializzazione.
- Vuoi fare tu, Penny? – mi chiese Charlie, con molto garbo (*).
- Ma certo – annuii io, assai lieta di potermi rendere utile.
In men che non si dica, raggiungemmo il nido.
Nei paraggi, calma piatta. Non un rumore, non un fruscio, niente di niente.
- Ce ne sono sette.
Wassily, laureato in veterimagica presso l’Università di Vladivostok, aveva contato velocemente le uova e, estratta una speciale bacchetta termosensibile dallo zaino, si apprestava a rilevare la temperatura superficiale dei gusci al fine di determinare per quanti giorni il nido fosse rimasto sguarnito.
Charlie, nel frattempo, percorreva a grandi passi il perimetro della radura, guardandosi intorno attentamente, la bacchetta sguainata. Io, in piedi poco lontano, me ne stavo ferma senza dire nulla.
- Che strano – stava dicendo Wassily – La temperatura è alta. Si direbbe che le uova abbiano ricevuto...
Un’ombra calò improvvisa su di noi, tanto ampia da offuscare il sole. Lo spostamento d’aria prodotto da un paio di immense ali agitate con furia ci fece cadere miseramente al suolo, tutti e tre.
Io cacciai un urlo, terrorizzata.
La draghessa si era avvicinata senza fare il minimo rumore: davvero impensabile, per una bestia di quattordici metri ed una stazza a dir poco mastodontica. Rapida come un lampo, con un colpo di coda che per miracolo non era gli stato fatale, aveva colpito Wassily facendolo volare lontano.
Io, manco a dirlo, mi feci prendere dal panico. Credo di aver gridato a perdifiato per almeno cinque minuti buoni, prima di ricompormi un minimo.
Charlie, invece, si era subito rialzato ed era corso verso il compagno, la cui bacchetta era stata sbalzata via al momento dell’impatto.
- Protego!
Uno Scudo prodotto all’ultimo momento salvò entrambi da rogo certo; la situazione, tuttavia, era ai massimi livelli di criticità.
La bestia ruggiva e, imbestialita (non sto a ripetere quanto mi fu dato di comprendere del suo discorso), tentava, alternativamente, di arrostire i due ragazzi e di infilzarli con le corna. Charlie si destreggiava con abilità, profondendosi in incantesimi protettivi veloci e sicuri, ma non sarebbe andato avanti ancora per molto. La forza e la potenza di un animale che una squadra di Schiantatori avrebbe domato a fatica erano decisamente sproporzionali alla resistenza di un ragazzo che, per quanto valoroso, aveva poco più di vent’anni e energie limitate.
E difatti, nel giro di pochi minuti, la situazione degenerò.
Mentre, nel tentativo di difendersi meglio, arretrava di un passo, Charlie inciampò nei piedi di quel rintronato di Wassily e cadde a terra, perdendo la concentrazione.
In un balzo, la draghessa fu loro addosso.
- Fermati, ti prego!
Le mie grida non sortirono alcun effetto nel bel mezzo di quel baccano infernale. La bestia ringhiava, Wassily urlava e Charlie osservava la scena con gli occhi sbarrati.
- Sonorus! – tentai allora, e questa volta la mia voce si spanse nell’aria, forte e chiara.
L’animale si fermò per poi voltarsi verso di me, incuriosito.
- Chi sei?
Ed io, dato che oramai ero in ballo, mi giocai il tutto per tutto. Tentando di mantenere la calma e pregando Priscilla che la mia pronuncia le riuscisse comprensibile (essendo di madrelingua anglosassone, gli idiomi neolatini (**) mi riuscivano con difficoltà), io le spiegai chi eravamo e come mai ci trovavamo lì.
- E-eravamo in p-pensiero per le sue uova, si... signora draghessa – le dissi, sperando vivamente che mi credesse.
Lei mi fissò sospettosa, indecisa se carbonizzarmi all’istante o cucinarmi a fiamma viva.
- La prego! – la scongiurai, trattenendo il respiro.
Improvvisamente, lei mi voltò le terga e andò ad accovacciarsi accanto al suo nido.
- Andatevene – sibilò, in un tono che mi fece rabbrividire e che mi ricordò l’inquietante pronuncia dei basilischi. – Fuori dalle squame.
E per porre fine alla discussione, la draghessa proruppe in un ruggito assordante che, in lingua corrente, potrebbe essere tradotto più o meno così:
- Per questa volta ho deciso di fidarmi della tua faccia da brava fatina e non vi faccio niente, ma ti avverto: se vi ribecco un'altra volta nei paraggi giuro che vi faccio a pezzi, parola mia.
E la volete sapere una cosa?
Ci avremmo messo la mano sul fuoco.
 
Dal punto di vista professionale, quindi, successo sfolgorante. Sul versante ormonico-sentimentale, invece, di male in peggio.
Perché c’era poco da fare.
Ero in crisi d’astinenza da Weasley, ormai l’avevo capito e, purtroppo per me, il fatto di trovarmene uno costantemente nei paraggi (e anche maledettamente attraente, peraltro) non migliorava di certo le cose.
Mettiamolo bene in chiaro: il mio fidanzamento con Percy s’era sempre mantenuto su un tipo di frequentazione che potrei definire “ad alto livello”, anche perché lui era proprio il tipo di ragazzo che piaceva a me, intelligente e di piglio intellettualoide.
Ciononostante, quello che c’era da fare lo avevamo fatto (alla facciaccia di quel benpensante di mio padre, che mai e poi mai avrebbe sospettato la verità): e non esagero quando dico che, anche su quel versante, Percy se la cavava egregiamente. Non che io disponessi di chissà quali termini di paragone, certo, eccezion fatta per un bacio strappatomi a tradimento da quello scellerato di Roger Davies che mi aveva acciuffata in un angolo della Sala Comune al settimo anno, e al quale però io avevo risposto con immenso sdegno e indignazione, scacciandolo in malo modo, sentendomi poi una vera e propria sgualdrina nei confronti di Percy.
Però insomma, certe cose ero capace di valutarle anch’io.
Nei mesi che avevano preceduto la nostra rottura, tuttavia, i nostri rendez-vous romantici si erano drasticamente diradati. Vuoi le mie lezioni a Cambridge, vuoi il fatto che Percy, spesso e volentieri, era impegnato ad accompagnare il Ministro qua e là, vuoi le nostre sempre più frequenti incomprensioni.
Sta di fatto che, a voler dire le cose come stavano,  mi trovavo costretta ormai da mesi ad una dieta forzata. Non ero mai stata un’assatanata né d’indole particolarmente dissoluta (tutto il contrario, semmai), e ci mancherebbe, ma insomma, avevo poco più di vent’anni e, a peggiorare le cose, ero dotata di una fantasia parecchio fervida. Cosicché Charlie, con i suoi capelli rossi che attiravano il mio sguardo come un punto focale nella notte, con la sua prorompente vitalità , il suo aspetto incantevole e il suo carattere amabile, unitamente all’inconfondibile aroma di Weasley che mi attraeva più del miele le api, rischiava veramente di farmi uscire di senno.
Soprattutto, evidentemente, dopo che lo avevo visto in azione e che me lo ero immaginato impegnato in certe... cose.
Ovviamente, però, io mi guardavo bene dal far trasparire ciò che provavo.
Charlie, a quanto pareva, ignorava i miei trascorsi di fidanzata di Percy, ma il fatto di esserne al corrente io mi bastava. Oltretutto, ero convinta che una come me non fosse, per così dire, di suo gusto. Era sempre carino e gentile nei miei confronti, protettivo il giusto, e anche gioviale e cameratesco quanto bastava per farmi capire che gli andavo a genio.
Al pari del resto del mondo.
Perché Charlie era fatto così: gli stavano simpatici tutti. Era esuberante, allegro, energico per natura.
E buono.
Ma mai, mai, avrei sospettato di potergli piacere anche in altri sensi.
Evidentemente, non avevo preso in dovuta considerazione la Quarta Legge di Weasley, che così recita: se sei piaciuta ad un Weasley, esistono grandi chances che tu piaccia anche agli altri.
 
E questa consapevolezza, del tutto inattesa, mi aveva colpita a tradimento l’ultimo giorno di quel luglio infuocato, abbattendosi su di me con la forza di un uragano.
In occasione della partenza di Charlie, che si sarebbe recato in Inghilterra per prendere parte al matrimonio di suo fratello Bill, il personale della Riserva aveva organizzato una piccola festa di saluto. La sua permanenza fuori sede sarebbe durata solo una manciata di giorni e quindi non si trattava di nulla di che, ma si sa, quando si vive isolati dal mondo e a contatto stretto e costante con draghi feroci, ogni motivo è valido per festeggiare.
E quella sera con mia grande sorpresa, dopo un paio di giri di Pálinka per scaldare gli animi (l’estate rumena non è propriamente calda, soprattutto alle pendici dei Monti Carpazi), Charlie aveva fatto il giro del tavolo da pranzo ed aveva preso posto accanto a me sulla lunga panca di legno che fungeva da sedile.
Seduto dall’altra parte, evidentemente con la chiara intenzione di rimorchiarmi, quell’assetato di Wassily si dedicava da una buona mezz’ora a illustrarmi le millantate doti afrodisiache delle corna dei Lungocorni, ambitissime fra i pozionisti; ed io, già da tempo, avevo inserito il pilota automatico ed annuivo educatamente senza preoccuparmi di ascoltarlo affatto.
- Scusa tanto, eh – esordì Charlie rivolgendo un largo sorriso al suo amico. – Sono venuto a salvare la mia connazionale dalle grinfie di un allupato mannaro della profonda Siberia.
- E la suddetta – volle sapere Wassily, alzando un dito – desidera essere salvata?
- Assolutamente sì – risposi io, sollevando il calice al suo indirizzo.
- E così sia – replicò il russo con un accenno d’inchino. Poi, raccattata la sua bottiglietta di vodka, levò le tende. – Prosit a voi, gelidi anglosassoni.
- Scusalo, eh – ridacchiò Charlie, scuotendo la testa.
- Wassily è uno svergognato – affermai io, rivolgendogli un’occhiata allegra. E poi, sentendomi in vena di inedite audacie, gli proposi:
- Usciamo un po’? Fa un caldo boia qua dentro.
- Agli ordini.
All’esterno, come da previsione, quasi una ventina di gradi in meno; ma nei mantelli di lana leggera ci si stava bene.
Era una bella serata: le stelle ammiccavano fra i picchi montuosi che circondavano la casa, e la luna ammantava il paesaggio di morbide ombre argentate.
- Li senti? – mi chiese Charlie dopo qualche minuto d’imbarazzato silenzio.
Lontano, fra le rocce irte, echeggiavano i richiami notturni dei Lungocorni selvatici.
- Sì.
Altro silenzio.
Charlie, i gomiti appoggiati al parapetto di legno della veranda, si trovava proprio accanto a me; la sua spalla sfiorava la mia ed io, che avevo smarrito in un secondo tutta la mia balda spavalderia, non avevo neanche il coraggio di girarmi a guardarlo.
- Sai Penelope – mi disse ad un certo punto lui, rompendo improvvisamente il silenzio. – Ogni tanto la tua presenza qui mi sembra così... strana.
- A chi lo dici – ammisi precipitosamente io, sbuffando fuori l’aria e guardandolo di sottecchi. – Non c’entro proprio niente con questo tipo di ambiente, in effetti. Ho ancora tante cose da imparare...
- Sei stata molto brava quel giorno, invece – mi disse lui, ed io ebbi l’impressione di scorgere una muta ammirazione nell’occhiata che mi rivolse. – Se non fosse stato per te, ce la saremmo vista davvero brutta.
Io scossi la testa, un po’ imbarazzata.
- Il fatto è – proseguì Charlie girando nuovamente il capo verso di me e costringendomi così a fare altrettanto, per evitargli la spiacevole sensazione di parlare da solo – che una ragazza come te è rara da trovare, in una Riserva di rozzoni come noialtri.
- Oh – risi io nervosamente, tentando disperatamente di sdrammatizzare – ma a me, i rozzoni, piacciono un sacco!
- Ne dubito.
Charlie scosse la testa, poco convinto. Evidentemente, l’ipotesi che a una principessina costantemente vestita di celeste potesse andare a genio il tipo-magiboscaiolo non lo convinceva affatto. E, forse, avrebbe continuato ad ignorare la cosa ancora a lungo se non che proprio in quel mentre, barbina, la luna decise di fare capolino da dietro una nuvola.
I raggi dell’astro si riversarono come una cascata di luce sui capelli fulvi di Charlie, facendoli risplendere come una colata di rame fuso tanto bello da lasciarmi abbagliata. Non mi seppi trattenere: agii d'impulso e, ripetendo il gesto spontaneo che avevo compiuto innumerevoli volte all'indirizzo di Percy, tesi la mano per affondare le dita in quella chioma di fuoco mentre lui sgranava gli occhi, caldi come crema di nocciole.
Mi sentii afferrare i polsi da una morsa ferrea. Un secondo dopo, Charlie mi aveva fatto descrivere una brusca giravolta, intrappolandomi contro la righiera. E il modo in cui mi si accostava, l’esuberanza e l’impeto che dimostrò, mi rivelarono che anche lui era attratto da me, almeno tanto quanto lo ero io.
A quel contatto, io credetti seriamente di prendere fuoco.
Charlie era... oh. Attraente in modo quasi intollerabile, seducente a livelli importanti, Weasley in ogni sua fibra, dai piedi fino alle punte dei fiammeggianti capelli. 
E mi voleva.
Ne ebbi piena certezza nel momento in cui le sue labbra si posarono sulle mie, facendomele ardere come peperoncino di Cayenna. Il tocco dei suoi polpastrelli un po’ callosi sulla pelle palpitante del collo mi strappò un sospiro e mi incendiò le viscere.
Non ero mai stata baciata in quel modo e, lo confesso, la cosa annientò completamente gli ultimi rimasugli di razionalità che mi rimanevano. Ho sempre pensato che, in quei fatidici istanti, sarei stata capace di concedergli ad occhi chiusi qualsiasi cosa lui avesse desiderato.
Per il momento, però, ci limitammo a baciarci con voracità crescente finché, poco lontano, un grido ci interruppe bruscamente.
Weasley! – Mircea, affacciata al riquadro luminoso della porta, lo richiamava dentro. – La Passaporta è pronta!
- Oh, per Godric – esclamò lui un po’affannato.
Lo vidi aprire piano piano gli occhi, le mani ruvide ancora sollevate ad incorniciarmi il viso.
– È ora di andare. Ma non ti preoccupare, Principenny – mi disse allegramente, prima di staccarsi da me con un colpo di reni e di lasciarmi lì, boccheggiante e paonazza. – Quando torno, se lo vorrai, riprendiamo il discorso.
 
Post-scriptum:
Aaah! Il cliché dei due polletti che escono a prendere una boccata d’aria e che poi si impiastricciano su una ringhiera: che amabile ritritaggine!... Da brava amante delle telenovelas, lo confesso: a-do-ro.
Non aggiungo altro perché sono provata.
(*) Da canon sappiamo che Charlie, quando si smaterializza, ha qualche difficoltà nell’azzeccare le coordinate, facendosi anche bocciare all’esame. Ho pensato di mantenere anche qui questa sua caratteristica, tanto per deglorificarlo un po’.
(**) Il draghese rumeno, proprio come il rumeno degli umani, è una lingua neolatina.
   
 
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