Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: StarCrossedAyu    26/01/2019    0 recensioni
L'essere umano si è sempre spinto oltre i propri limiti: ha modificato la natura, valicato confini inaspettati, seguito il progresso incessantemente.
Eppure per Hanji Zoë nulla è più interessante delle radici che hanno dato origine alla civiltà odierna e, quando Historia Reiss le offre su un piatto d'argento la possibilità di mostrare al mondo la veridicità delle sue teorie, si butta a capofitto nell'impresa.
Levi Ackerman è un uomo dai saldi principi, dotato di un carattere ruvido e scostante che nasconde innumerevoli ferite e spaccature profonde nel suo animo martoriato.
Insieme, affronteranno uno sconvolgente e pericoloso viaggio all'altro capo dell'universo, dove un antico nemico li attende minacciando ciò che hanno di più prezioso.


|EreRiren||Storia liberamente ispirata al film "Stargate" (1994)|


|¦🏆 Vincitrice del contest Instagram - La Grande Sfida - nella categoria "Undiscovered Gems" indetto dal profilo @AmbassadorsITA¦|
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stargate

 

 



- Capitolo 2 -


Dalla sala di controllo Historia, Moblit e il soldato Arlert - insieme a tanti altri - trattenevano il fiato. Il Comandante Smith invece manteneva la sua solita espressione seria e composta.

Immediatamente dopo il Capitano Ackerman, uno ad uno, l'intera squadra valicò il confine che separava il loro mondo da ciò che si celava all'altro capo dell'universo. La sonda era giunta a destinazione senza danni, ma un corpo umano come avrebbe reagito a un simile viaggio? Cosa sarebbe accaduto?

Hanji fu l'ultima ad avvicinarsi allo Stargate.

Quella luce, quasi pura e candida, si rifletteva sulle lenti dei suoi occhiali. Il viso della donna era concentrato, assorto, rapito da uno spettacolo tanto bello quanto misterioso. Il suo cervello tentava di elaborare scientificamente cosa stesse accadendo, ma lo stupore che sentiva dinanzi a quello che poteva essere definito un miracolo la lasciava completamente attonita, senza parole.

Con cautela, allungò la mano per toccare la bolla di pura energia sprigionata dalla porta delle stelle, ritraendola subito dopo. La percezione di caldo e freddo insieme, così intensi, l'aveva portata a indietreggiare. Se l'avesse oltrepassata, sarebbe morta scottata? Assiderata? O forse entrambe...? Non lo sapeva.

Inspirò profondamente, saltellando sul posto per sciogliere i muscoli di gambe e braccia resi rigidi per la tensione e, sotto gli occhi di tutti, balzò in avanti.

Percepì distintamente il suo corpo disintegrarsi in milioni - miliardi - di piccoli frammenti che velocemente la scaraventarono nelle profondità del cosmo. Nonostante non possedesse più una forma fisica, i suoi pensieri e i suoi sensi rimasero intatti e percepì il gelo dello spazio trafiggerla come mille aghi, mentre superava a velocità inaudita le stelle che formavano la prima costellazione, annichilita dal loro calore, poi la successiva e un'altra ancora fino a che scorse una luce la quale, sempre più vicina, la avvolse privandola persino di sè stessa.

Quando rinvenne - erano trascorsi pochi secondi o mille anni...? - tremava incessantemente sotto lo sguardo serio di Levi che, inginocchiato accanto a lei, tentava di frenare quello spasmo incontrollato dovuto allo shock del viaggio. I suoi abiti, le sue carni, fumavano come una bistecca sulla brace in netto contrasto col freddo che sentiva scuoterla facendole battere i denti come un paio di nacchere.

«É tutto a posto, ce l'ha fatta.»

Hanji scattò in avanti gettandogli le braccia al collo, sbilanciandolo e facendogli perdere l'equilibrio, alla ricerca di un contatto umano, il quale la rassicurasse che - - era ancora viva. La consapevolezza che il suo corpo avrebbe potuto disperdersi nello spazio o ricomporsi nel modo sbagliato l'aveva infine colta come un fulmine a ciel sereno. Si staccò bruscamente dall'uomo solo per toccarsi insistentemente il viso.

«É tutto al suo posto, tranquilla. Se dovesse spuntarle un terzo occhio sulla fronte sarete la prima a saperlo» le disse il Capitano, rimettendosi in piedi per poi ripulirsi dalla polvere con un moto di stizza mal celata. La bruna rise, scaricando tutta la tensione che sentiva in quel suono sgraziato, guardandosi finalmente attorno.

L'intera squadra era lì, apparentemente sana e salva, che caricava i fucili coi sensi allerta. Si trovavano ai piedi del secondo Stargate in quella che appariva come una camera in pietra, la cui superficie era così liscia e levigata da sembrare non vi fosse alcuna intercapedine o blocco a formarla. Levi imbracciò la propria arma, diretto verso la rampa che conduceva all'unica uscita.

«Schultz, Yin: seguitemi.»

I tre soldati fecero capolino all'esterno, pronti a far fuoco, trovandosi sotto il sole cocente - o qualunque fosse il nome di quella nuova stella a illuminare il loro giorno. Chilometri di deserto si estendevano tutt'intorno, nessun segno di vita che desse loro motivo di preoccupazione, e si concessero il tempo di guardarsi attorno mentre anche la Dott.ssa Zoë, aspramente rimproverata da Ral al suo seguito, li raggiungeva in preda alla curiosità che la stava divorando viva.

Sabbia cocente fin dove arrivava lo sguardo e un caldo asfissiante che la costrinse a sbottonare il colletto della divisa militare assegnatale. Infine si voltò per osservare il luogo da cui erano venuti e trattenne a stento un gridolino d'eccitazione: un enorme arco, simile in tutto e per tutto a quello presente negli scavi di Shiganshina, affondava le sue fondamenta in quel posto isolato e inospitale; ai lati dell'ingresso erano presenti mura consunte e levigate dai venti sabbiosi, diroccate fino a sgretolarsi inesorabilmente per unirsi al deserto; in alto nel cielo, privo di qualsiasi nuvola e dalle tinte rossastre, tre lune svettavano quasi stessero rincorrendosi tra di loro. La voce del corvino la riscosse, riportando la mente della donna alla realtà.

«Instaurate un perimetro, vi concedo un'ora. Provo a fare rapporto al Comandante.»

Levi si inoltrò nuovamente in quel cubicolo, scavato alla base di ciò che restava di quel muro il quale, tempo addietro, avrebbe certamente raggiunto un'altezza elevata. Enorme, imponente. A cosa serviva...?

Andò ad accendere il dispositivo per le comunicazioni ma, esattamente come preventivato, ogni tentativo di lasciare almeno un messaggio fu assolutamente inutile. Si passò stancamente una mano sugli occhi per poi posarli su di una cassa ben sigillata, sul fondo del carrello con i loro beni e i rifornimenti. Se ne sarebbe occupato non appena rimasto solo.


-


«Che cazzo vuol dire "non posso attivarlo"?»

Erano trascorse alcune ore dal loro arrivo. La Squadra Operazioni Speciali aveva svolto il proprio dovere, preparando l'accampamento e sistemando armi e munizioni in modo che fossero facilmente utilizzabili nel caso si fossero trovati faccia a faccia con forme di vita ostili.

La Dott.ssa Zoë aveva vagabondato in autonomia, studiando le rovine in superficie e la posizione degli astri che adornavano il cielo di quel luogo misterioso, per poi essere riportata bruscamente alla realtà da Levi che, con poca gentilezza, l'aveva invitata a muovere il culo per decifrare la nuova sequenza del secondo Stargate. I suoi ordini erano precisi e li avrebbe rispettati, meticoloso come sempre. Ma, quando la ricercatrice aveva cercato il coperchio su cui avrebbero dovuto essere incisi i simboli necessari, l'aveva attesa una sgradita sorpresa.

«Qui non c'è niente. Posso decifrare i segni sul portale, ma senza l'esatta sequenza di successione trascorreranno anni prima che io individui quella corretta.»

«Mi sta mentendo per andarsene a zonzo a ficcanasare?» domandò aspramente il Capitano: era più che certo che la sete di conoscenza della bruna, prima o poi, li avrebbe messi nei guai.

«No, avevo solo dato per scontato di trovare un coperchio anche qui, mea culpa..!» ridacchiò Hanji. «Potremmo cercare altri segni di civilizzazione, insomma non andiamo mica di frett-»

«Il suo compito è riallineare lo Stargate, Dottoressa Zoë. Lo sa fare, sì o no?»

«... Allo stato attuale delle cose, mi è impossibile aprire il varco.»

I soldati lì presenti reagirono ognuno in maniera differente: chi taceva, chi imprecava, chi si era seduto in preda allo sconforto. Il corvino invece, apparentemente, non aveva perso la calma.

«Non ci muoveremo da qui. Tra un mese il Comandante darà ordine di attivare lo Stargate alla base. Dobbiamo solo aspettare.»

«Se saremo ancora vivi, ovvio...»

«Hai detto qualcosa, Bossard?»

«No, signore!» scattò immediatamente in piedi quest'ultimo.

«Ehm, tecnicamente sarebbe inutile» si intromise la donna, sollevando il dito indice. «Temo che il viaggio, in tal caso, sarebbe a senso unico in questa direzione e viceversa, ergo: se non apriamo il nuovo Stargate, siamo spacciati...!»

«Allora inizi a lavorare.»

Hanji tremò, sotto lo sguardo assassino di Levi che si allontanò poco dopo. Tutti esalarono un profondo sospiro, non appena l'uomo fu all'esterno.

Petra si avvicinò alla bruna, posandole una mano sulla spalla curva a causa della postura affranta. Era partita per essere d'aiuto, invece aveva finito per essere solo un peso.

«Non si preoccupi, Dottoressa. Abbiamo fiducia in lei, ma soprattutto nel nostro Capitano.»


-


Hanji affondava i piedi nella sabbia, alternando movimenti circolari a calci energici, i quali sollevavano i numerosi granelli creando un velo color ocra che si dissolveva in un battito di ciglia.

Rimunginava con esasperante costanza su come risalire - in tempi brevi - alla sequenza necessaria ad aprire la porta delle stelle, quando udí per la prima volta un suono che non fosse quello del vento. Si incamminò verso la duna, oltre la quale proveniva quello strano verso, sentendosi mancare per la gioia non appena lo intravide: grosso, peloso e soprattutto bavoso. Un animale indigeno.

Trattenendo un urlo, si scapicollò letteralmente verso la bestia - un incrocio tra un cammello, un bisonte e una pecora mai tosata -, arrivandole pericolosamente a un soffio dal muso umido. Gli occhi della donna brillavano, arsi dalla sete di conoscenza, mentre carezzava cautamente l'animale.

«Ciao, bel giovanotto, come siamo belli!» gli disse, notando che si stesse nutrendo di erba da un cespuglio secco e striminzito, macerando lo scarso fogliame con lento impegno; sul suo dorso una sella in pelle, consunta e scolorita, e alla mandibola il morso delle redini.

Qualunque fosse la sua provenienza, era evidente fosse addomesticato.

La studiosa, facendo scorrere le dita sulle briglie, andò a pettinargli il fianco fino a giungere al punto in cui darsi lo slancio e montarlo.

Nel frattempo, Levi si era accorto della sua assenza.

«Ral e Bossard, con me. Dove diamine si sarà cacciata quella squinternata...!»

Cercarono intorno all'accampamento senza ottenere risultato, fino a che non udirono qualcosa che somigliava molto a una bestemmia. Corsero verso la duna, imbracciando i fucili carichi, trovandosi di fronte una scena a dir poco aberrante.

Hanji, a testa in giù, appesa per la caviglia ad un asino troppo cresciuto.

«Che cazzo fai, maledetta quattrocchi! Ti avevo detto di non abbandonare il campo, porca puttana! Staccati da quel coso, ora!» le intimò, abbandonando ogni formalità.

«Non preoccuparti, non è aggressivo!» rise la donna, forse divertita dal fatto che vedesse il Capitano sottosopra. «Qualcuno lo ha perso, vero piccolo?»

Schioccò la lingua ripetutamente, tre-quattro volte, come se stesse richiamando un gatto.

Madornale errore.

La bestia si lanciò in una folle corsa, addentrandosi nel deserto, con la Dottoressa saldamente incastrata all'imbracatura che avrebbe dovuto aiutare a governarlo.

«AIUTOOOOOO!»

«Cazzo...!»

Levi scivolò nella sabbia, lanciandosi all'inseguimento dell'animale, con Bossard alle calcagna mentre Ral comunicava via radio la situazione a Yin e Schultz, intimandogli di tenere il perimetro sicuro. Non sapeva quando e se sarebbero tornati...

 

-


Sentiva la pelle scottare, le narici piene di polvere e la schiena completamente a pezzi, perciò l'improvvisa frescura la fece mugolare di piacere. Qualcosa di morbido e bagnato veniva passato con insistenza sul suo viso, dandole profondo sollievo, finché non riuscì ad aprire gli occhi, le lenti storte e graffiate.

Hanji si ritrovò faccia a faccia col suo rapitore improvvisato, che le leccava il volto con estrema cura e dedizione.

«Dottoressa, sta bene?!» la voce di Ral giunse alle sue orecchie, mentre si metteva seduta accarezzando la testa dello strano animale.

«S-sí, credo di sì...» rispose ancora piuttosto stordita, guardandosi poi attorno: il paesaggio era leggermente cambiato, offrendo alla vista qualche palma e piccoli sprazzi di vegetazione.

Un'oasi.

Aiutata dal soldato giunto in suo soccorso, la bruna provò a reggersi sulle proprie gambe barcollanti, trovando Bossard e Ackerman appostati in prossimità di un enorme masso. Scrutavano oltre la roccia, silenziosi e guardinghi.

«Sono davvero tanti...»

«Ti stai cagando addosso?»

«N-no, è solo che-»

«Tch...!»

Il corvino lasciò lì il sottoposto, avvicinandosi ad Hanji con fare irritato.

«Sei viva?»

«Sí, io- AHIA!» lo scappellotto che ricevette aumentò, se possibile, il suo mal di testa.

«Che cazzo ti dice il tuo cervello di merda?! Ti ci sei pulita il culo con la laurea per caso? Come ti è saltato in mente di avvicinarti a questo coso!» l'uomo imprecò, adirato, gesticolando verso la bestia che, indifferente, si era distanziata di poco e brucava col muso un piccolo appezzamento verde.

«Cosa facciamo, Capitano?» chiese Ral, preoccupata.

«Potrebbero essere armati e siamo in inferiorità numerica. Torniamo all'accampamento.»

«Armati...? Chi-»

«C'é vita nell'universo oltre al tuo stupido animale, quattrocchi, e l'abbiamo appena trovata.»

Levi si voltò per richiamare Bossard, ancora di vedetta, quando l'essere peloso lo spintonò, superandolo, trascinato per le redini da Hanji che già si sbracciava.

«Ehilaaaaaaà!»

«Porca troia, fermati!!» l'uomo la rincorse, fucile puntato e pronto a far fuoco, mentre la donna correva imperterrita verso i presunti alieni.

Centinaia di occhi, all'unisono, si sollevarono su di lei.

Uomini, donne, bambini. Gli abitanti del luogo non avevano le corna o la coda bensì le fattezze di comuni esseri umani, esattamente come loro. La pelle scura e impolverata, vestiti in abiti logori e grezzi, setacciavano il deserto malamente riparati dal sole grazie a dei tendaggi, intrecciati e variopinti, sopra le loro teste. Videro Hanji oltrepassare le dune, stranamente abbigliata e con uno dei loro animali al seguito, e si fissarono basiti. Dietro di lei, individui ugualmente pittoreschi la seguivano con strani oggetti tra le mani, le espressioni serie e minacciose.

La studiosa giunse in quello che sembrava un sito di scavi, dove stipate in grosse ceste venivano depositate numerose pietre scure.

«Buongiorno a tutti!» esclamò la donna, facendo sussultare uno dei tanti bambini presenti, ai margini della miniera. «Questo piccoletto deve essere vostro, dico bene?» disse, riferendosi alla bestia pelosa.

Levi giunse al suo fianco, l'arma tra le mani e il volto livido di collera; sembrava che niente andasse per il verso giusto, quella giornata. Fissò i presenti uno ad uno, cercando un possibile segnale di pericolo che però non accennava ad arrivare. Per ultimo, si soffermò sul moccioso inginocchiato nella sabbia, proprio di fronte a lui: all'incirca di dodici anni, biondo e dagli occhi nocciola, il viso sporco per via dei residui di quello strano minerale che estraevano con tanta fatica e mezzi così scarsi.

«Capitano, è lo stesso materiale appartenente allo Stargate» lo informò Ral, che analizzava le rocce raccolte dai nativi grazie a un dispositivo portatile.

«Che lo abbiano costruito loro...?» si chiese Hanji.

«Non dire cazzate, sono primitivi. È palese che non dispongano di una simile tecnologia..!» sbuffò il corvino, scoccandole un'occhiata di sufficienza. Stava per aggiungere altro, quando un grido acuto scosse i suoi sensi facendogli puntare il fucile verso la fonte di quel suono.

Il ragazzino biondo tremava, il dito indice verso il petto dell'uomo, in preda al terrore più totale.

«Eαɾʂʂυɱ ɳσιι!» esclamò.

Tutti, nel notare il suo gesto e udire le sue parole, schiusero la bocca emettendo un verso di paura e timore, inchinandosi al suolo quasi stessero pregando una divinità. Il piccolo, infine, fuggì veloce come una scheggia quasi avesse il diavolo alle calcagna, diretto chissà dove oltre la folla che li attorniava.

«Accidenti Capitano, lo ha spaventato come si deve...!» ridacchiò Bossard, colpito subito dopo da una gomitata di Ral che lo guardava storto da sotto le lunghe ciglia.

«Credo il motivo sia un altro...» intervenne allora la Dott.ssa Zoë.

Tutti seguirono la direzione in cui puntava il suo sguardo, scorgendo un'enorme figura in oro puro svettare tra i tessuti colorati, quasi fosse un monito: una stella a sei punte, la stessa che pendeva al collo di Levi in quel momento, sfuggita alla sua divisa durante la corsa.

«Bijoutteria all'ultimo grido» rise la bruna, e il Capitano tentò di reprimere l'istinto di strozzarla lì sul posto.

«Che diavolo significa questo disegno?» chiese, quasi ruggendo. Hanji, ancora redini alla mano, fece spallucce.

«Semplicemente è il simbolo di Ymir, Dio della Luce. Forse, ti hanno scambiato per un suo messaggero..?»

«Non sono un cazzo di fattorino!»

«Beh, fingi di esserlo perché a quanto pare avremo un trattamento di riguardo.»

Le persone, ancora con la fronte sulla sabbia, fecero spazio nell'udire la voce di un uomo, alto e dai lunghi capelli castani, avanzare tra di loro: il suo passo era deciso, lo sguardo serio e attento; al collo dei monili in osso, e nel pugno destro un bastone lavorato.

Levi e Hanji se lo ritrovarono davanti, la ricercatrice che tratteneva il fiato per l'emozione mentre il militare lo fissava con espressione impassibile. Finalmente, il nuovo arrivato parlò.

«Oιɳα ιʅɱ ɳιԃ ҽʋασ ʂσƚ ɾαɾԃ...?»

«... Che cazzo ha detto?» sibilò il corvino.

«Non le ho la più pallida idea!» gli rispose la donna sorridendo, gioviale, a trentadue denti.

«Non servi proprio a niente, ci farai solo uccidere...» affermò allora il Capitano, il quale nel frattempo osservava sospettosamente alcuni individui avvicinarsi alla sua squadra con delle ciotole di un liquido che, all'apparenza, poteva essere acqua. «Non bevet-»

«Ahhhhh~! È freschissima, ci voleva proprio, grazie mille!»

Hanji si ripulí la bocca umida con il polso della giacca, sospirando appagata da quella bevanda così comune ma fortemente desiderata per via del caldo asfissiante. Levi, Petra e Auruo la fissarono una decina di secondi, interdetti.

«Beh? Avevo sete!»

«Non è ancora schiattata, forse è potabile» sentenziò l'uomo, portando la propria attenzione sulla figura incappucciata che gli porgeva il meritato refrigerio. Qualcosa però lo scosse nel profondo.

Celate nella penombra garantita dalla stoffa logora a coprirgli il capo, due iridi lo trafissero come lame acuminate: talmente verdi da somigliare a gemme preziose e così infuocate da sembrare braci ardenti, originarie degli abissi dell'inferno. Lo fissavano, minacciose eppure audaci, invitandolo a servirsi di ciò che reggeva tra le mani, scure e rovinate dal faticoso lavoro di estrazione. Gli sembrò di scorgere un sorriso piegare le labbra del suo ospite, lanciandogli una vera e propria sfida.

Levi, senza distogliere lo sguardo, allungò le mani verso la ciotola in terracotta, sfiorando così le dita dell'altro che parve rabbrividire in risposta. Forse, non era così spavaldo come fingeva di essere. Si portò il recipiente alle labbra, trangugiando il liquido chiaro in pochi sorsi per poi restituirlo al proprietario. Non era mai fuggito di fronte a niente, sul proprio pianeta, e non avrebbe di certo cominciato a farlo in quel buco di culo dell'universo.

Con un verso di disappunto lo sconosciuto si riprese la scodella, allontanandosi con fare irritato, inseguito dal ghigno sul volto del corvino.

Storditi dalle chiacchiere di quello che riconobbero come capo tribù, si convinsero a seguire la carovana, intenzionati a scoprire quanto evoluta fosse la loro civiltà e se potevano esser loro d'aiuto nella ricerca della sequenza per attivare lo Stargate.

 

-


Il viaggio fu lungo ed estenuante, tanto che il giorno lentamente venne sostituito dall'approssimarsi della sera.

Quando Hanji intravide la destinazione, finalmente a portata di sguardo, non riuscì a trattenere l'urlo di gioia che le esplose a pieni polmoni.

«Guardate!» fece, indicando dinanzi a sé.

Un enorme muro, alto una cinquantina di metri, si ergeva imponente e terrificante, simile in tutto e per tutto al Wall Maria e ai resti sotto ai quali erano "atterrati". L'arco d'ingresso li accolse, lo stemma di Ymir ricamato sui drappeggi, entrando in una vera e propria cittadella situata ai piedi della gigantesca costruzione, le cui abitazioni erano state costruite in pietra grezza e fango: un contrasto netto, rispetto al materiale di cui era costituita l'opera muraria.

Il pensiero che attraversò immediatamente la mente di Levi, nel constatare quel dislivello conoscitivo, fu che il muro gli ricordasse troppo una recinzione: se per proteggere i suoi abitanti o rinchiuderli, questo non lo sapeva.

La squadra venne fatta rinfrescare nei pressi di un piccolo pozzo. Lavati alla meglio, furono loro offerti degli indumenti puliti - per quanto la sabbia desertica e le condizioni igieniche consentissero - ma i soldati rifiutarono categoricamente di indossarli. Hanji, invece, cedette ancor prima che le venissero allungati.

«Oh sì, accetto volentieri!»

Ricomparve poco dopo, vestita in un sari grossolano e dalla stoffa povera, abbellita da piccoli ninnoli e coi capelli raccolti in un'acconciatura decisamente più ordinata rispetto a quella usuale.

«Come sto?!» domandò, girando su sé stessa.

«Sembri una donna, hai fatto un salto di qualità» le rispose Levi, dedicandole una breve occhiata per poi guardarsi attentamente intorno. La prudenza non era mai troppa. Petra e Auruo ridacchiarono mentre la Dott.ssa Zoë si portava le mani ai fianchi, fiera del complimento appena ricevuto.

Il capo tribù, incredibilmente cerimonioso e col capo chino, li condusse a un banchetto preparato appositamente per loro. Parlava, tentando di instaurare un dialogo, senza purtroppo ottenere alcun risultato. Hanji rispondeva nella propria lingua, suscitando stupore a ogni nuovo suono o ilarità, fino a quando si ritrovò ad assaggiare un distillato che, dall'odore, sembrava fortemente alcolico.

«Fossi in lei non lo berrei...» le consigliò Petra, tentando di distoglierla da quel proposito.

«Suvvia, riscaldiamo l'atmosfera! Abbiamo scoperto un nuovo mondo, forse la civiltà che ha dato origine alla nostra! Meritiamo di festeggiare!»

Mezz'ora più tardi, rideva sguaiatamente e col volto arrossato a braccetto col capo tribù, suo degno compagno di bevuta. Erano fradici come spugne, davanti al falò sul quale strani animali venivano cotti e offerti loro su piatti decorati con frutti esotici ed erbe aromatiche.

I più piccoli, curiosi, si erano avvicinati per osservare quella strana donna così allegra, e studiare al contempo l'emissario del loro Dio. Una ragazza in particolare, con uno scialle rosso al collo, lo fissava con evidente fastidio.

«Ho un gran mal di testa...» sbuffò il corvino, passandosi una mano sugli occhi.

Nel notare quel gesto, l'uomo dai lunghi capelli castani sembrò tornare improvvisamente sobrio.

«Sƚισ ҽƚƚ αϝҽ ιƈαϝα?»

«Non capisco un accidenti di quello che stai dicendo.»

«Oɱƚσʅσʂ ɾσƚ σʋιʋ ɾσɳ ԃιʂ» concluse, alzandosi e invitando il Capitano a fare altrettanto.

«Che cazzo vuole, Hanji?»

«Non lo sho ma non lo contra- contra- contrariare...!» sbottò al terzo tentativo di articolare la parola designata, ridendo subito dopo.

Levi, afflitto, seguí l'individuo che lo invitò ad accomodarsi in una tenda poco distante. La stoffa colorata era di una tinta calda, il pavimento sabbioso disseminato di cuscini variopinti e impreziositi da ricami; sul fondo, un giaciglio comodo adornato da fiori secchi e petali profumati; un'essenza dall'odore dolciastro impregnava l'aria, rendendola accogliente e invitante. A quella vista, pensò che volesse sistemarlo per la notte. Uno sfarzo inutile, era pronto a dormire persino sulle rocce se necessario.

«Dove riposeranno i miei uomini?»

«Vσƚ ρσ αʂҽɾԃ ƚƚσσƚυʂҽɳ ιιʅϙҽʂ» disse, facendogli cenno di aspettare per poi defilarsi oltre il lembo di stoffa che celava l'ingresso.

«Cristo, questa storia della lingua è uno strazio...!»

Attese qualche istante, battendo spazientito il piede al suolo e incrociando le braccia, quando sentí discutere animatamente al di fuori della tenda. Stava per uscire ma non fece in tempo a mettere in pratica quel pensiero: una figura venne praticamente scaraventata all'interno, cadendogli letteralmente addosso.

Il Capitano la afferrò per le spalle e, nel momento in cui questa sollevò il viso, un brivido gli percorse la schiena e il respiro gli mancò per un attimo. Smeraldi puri lo scrutarono, dapprima intimoriti e poi con astio, mentre si rimetteva velocemente in piedi frapponendo tra loro una certa distanza. Il cappuccio scivolò via, e comparve il volto di un ragazzo dai capelli castani e la pelle color caramello; gli zigomi alti, le orecchie decorate da piccoli orecchini dorati; la bocca, dalle labbra piene, era piegata in una smorfia sconfitta mentre gli occhi, grandi e luminosi, erano velati da collera e vergogna.

Il corvino non capiva il motivo della sua presenza. Era lì per fargli la guardia...? Doveva considerarsi prigioniero?

Strabuzzò quindi gli occhi quando, con un gesto secco, il giovane rimosse completamente gli indumenti che aveva indosso - piuttosto elaborati rispetto a quelli dei compaesani -, restando nudo di fronte a lui.

Levi, stravolto, osservò per un istante il corpo che gli veniva mostrato dal castano il quale, col viso arrossato e le palpebre serrate, attendeva che facesse di lui ciò che più gli aggradava. Poi il suo cervello registrò l'accaduto e l'evidente significato: gli avevano offerto uno schiavo del piacere.

Con fretta e malagrazia, raccolse le sue vesti coprendolo come meglio poteva, digrignando i denti. Come osavano trattare un essere umano in quel modo?! Persino ai confini dell'universo non si aveva rispetto per la dignità altrui?

«Copriti, svelto!»

Il giovane restò sorpreso, guardandolo con le sue iridi di giada nel goffo tentativo di rivestirlo, completamente immobile. Il suo stupore era palese, quasi tangibile, mentre il corvino cercava di toccare la sua pelle infuocata il meno possibile. Quando lo ritenne coperto a sufficienza uscì dalla tenda come una furia, trovandosi faccia a faccia col capo tribù che pareva attendere qualcosa: i suoi versi di godimento, magari.

«Rҽɾσ ιʂιɳα ƚƚαʅҽ? Aισԃ ɠσႦʅ ʋҽƚɳҽ?»

«Maledet-» iniziò l'uomo pronto ad aggredirlo, ma fu fermato da Petra un secondo prima che caricasse il suo gancio destro.

«Si calmi, Capitano...! Non so cosa sia successo, ma sembrano avere solo buone intenzioni!»

«Livaaaaaai, fai l'educato...!» biascicò Hanji, singhiozzando l'attimo seguente suscitando le risa dei bambini lì presenti. Erano tanti. Troppi.

Se avesse scatenato una rissa e il popolo fosse insorto, forse avrebbero potuto cavarsela. Erano addestrati. Erano armati. Ma cosa ne sarebbe stato di quelle anime innocenti...?

«Tch!»

Il capo tribù nel frattempo, ignaro del pericolo appena corso, tentava di sbirciare all'interno della tenda. Sul suo viso, un'espressione preoccupata ma soprattutto fortemente contrariata. Gli era chiaro che il benedetto di Ymir non avesse accettato il dono fattogli, e sembrava intenzionato a prendersela col povero malcapitato con cui avrebbe dovuto sfogare i suoi bisogni. Levi non voleva dargli una scusa per umiliare il ragazzo più di quanto non avesse già fatto.

La mascella tesa e gli occhi ridotti a due fessure gelide, gli afferrò la mano scuotendola in segno di ringraziamento, tornando poi all'interno del suo alloggio. L'altro, stranito, si fissò il palmo qualche istante, attorniato subito dopo dalla sua gente che emetteva gridolini di meraviglia: il loro capo era stato toccato dal messaggero del Dio.

Quando Levi fece capolino oltre gli strati di tessuto che ricoprivano la tenda, fu colto alla sprovvista nonostante i suoi riflessi solitamente pronti.

Pouff...

Silenzioso e letale, il cuscino ricadde al suolo con un tonfo morbido immediatamente dopo aver colpito il volto pallido del soldato, sollevando una nuvoletta di polvere sabbiosa. I suoi occhi di ghiaccio andarono a posarsi sul proprio aggressore che, decisamente più a suo agio, si era seduto sul letto a braccia e gambe incrociate; teneva il viso, incorniciato da piccole trecce castane che spuntavano dalla sua chioma disordinata, voltato in una posa sdegnosa e offesa, il naso all'insú e le labbra serrate.

Non si aspettava minimamente che il missile gli venisse restituito, se possibile, con maggior forza di quanta ne avesse usata, facendolo sbilanciare e perdere l'equilibrio.

I guanciali lo accolsero con uno sbuffo, raggiunti dalle mani di Levi che, ai lati della testa del giovane, lo fissava severo.

«Non farmi pentire di averti protetto, moccioso. Sono più pericoloso di quanto tu creda.»

Il suo tono di voce, basso e ferale, fece fremere il ragazzo che deglutí a vuoto: non aveva compreso le parole, ma il messaggio gli era arrivato chiaro e limpido.

L'uomo lo liberò da quella posizione, andando a sedersi su di uno sgabello in legno poco distante sotto lo sguardo vigile del giovane. Gli avrebbe lasciato il letto; a terra per lui vi erano cuscini a sufficienza affinché stesse comodo.

Le iridi del castano, di quel verde così intenso, non lo abbandonavano un attimo, facendo sentire il Capitano a disagio: era da tempo che non si trovava a stretto contatto con qualcuno, gli ultimi erano stati...

Si passò una mano sul viso, stanco.

«Come ti chiami...? Che stupido, tanto non capisci un cazzo di quel che dico...»

L'altro lo scrutava, attento eppure curioso. Il corvino indicò il proprio petto, facendo un ultimo tentativo.

«Levi. Io sono Levi.»

Il ragazzo imitò i suoi gesti, puntando un dito verso sé stesso.

«Lι-ʋαι...»

«No, no» scosse la testa l'uomo, picchiettando ripetutamente sul torace. «Io sono Levi. Levi.»

Il giovane sembrò capire, ma gli parve titubante. Poi udí la sua voce emettere un suono nuovo, e in quell'angolo di universo gli sembrò che finalmente qualcosa avesse di nuovo un senso.

«E'ɾҽɳ... E'ɾҽɳ.»

 

-


L'intero villaggio si era assopito, ad eccezione di coloro che avevano il compito di vigilare l'ingresso dell'enorme muro e del capo tribù che era rimasto vicino al fuoco. Petra ed Auruo, poco distanti, riposavano l'una tra le braccia dell'altro, mentre Hanji osservava i ciocchi di legno ardere. Le fiamme si riflettevano sulle lenti rovinate dei suoi occhiali, suscitando mal celata curiosità nell'uomo al suo fianco. La donna li sfilò, porgendoglieli, e lui li prese con titubanza, studiandoli come incantato.

Quando provò a indossarli le sue iridi verdi, ingrandite dalle lenti concave, si sgranarono per lo stupore. Toccò, meravigliato, un minuscolo residuo di cibo sul volto della ricercatrice, osservandolo sulla punta del proprio dito come fosse qualcosa di straordinario, quasi lo vedesse per la prima volta. Probabilmente, l'uomo era miope e la sua vista non era delle migliori. Ora che era nitida, però, ad Hanji balenò in mente un'idea: in fondo, la comunicazione non poteva essere esclusivamente verbale.

«Guarda qui!» gli disse, afferrando un bastoncino a iniziando a creare piccoli solchi nella sabbia. Disegnò l'arco di pietra e un anello, a simboleggiare lo Stargate, ma il capo tribù cancellò immediatamente con la suola del proprio sandalo ogni cosa. La Dott.ssa sollevò lo sguardo, e nei suoi occhi lesse solo paura. Provò di nuovo a comunicare in quel modo semplice e antico, ottenendo solo il medesimo risultato.

Levi uscì dalla tenda. E'ren, dopo il tentennamento iniziale nel coricarsi col corvino a pochi passi da lui, dormiva placidamente in quello che avrebbe dovuto essere il suo letto; sentiva l'esigenza di respirare aria pulita e non più incensi melensi. Vide il leader di quella gente, povera e onesta, restituire gli occhiali ad Hanji per poi defilarsi velocemente.

«Hai scoperto qualcosa?» le chiese, andandole incontro.

«Sì, è così» gli rispose, indossando nuovamente le lenti. «A questo popolo è proibito scrivere.»

Il Capitano inarcò un sopracciglio, pensieroso.

«Perché?»

«La domanda più interessante sarebbe da chi...»

Il chiudersi improvviso delle enormi porte in legno a sigillare le mura, li fece sobbalzare.

Una tempesta era in arrivo.

   
 
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