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Autore: Alek Raven    26/01/2019    0 recensioni
Gli Hekatos avevano controllo su tutto: grazie agli incantesimi e ai patti con le creature degli altri Piani, plasmavano la realtà a loro vantaggio, e fanculo chiunque non fosse loro pari. Almeno prima di Corvo.
Genere: Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Temple Hall era un edificio già molto vecchio quando i nostri nonni erano appena dei marmocchi. Sembrava essere lì da sempre: la facciata del palazzo era scura, colorata quasi di nero dal tempo e dalle stagioni, ma non una crepa, né un cedimento ne segnavano l’aspetto maestoso e imponente. L’alto portone in legno aveva due battenti in ottone, lucidi e solidi come appena usciti dalla forgia del fabbro, ed era decorato da incisioni e rune, lunghe linee nere di sortilegi, potenti incantesimi e maledizioni. Temple hall fu costruita dal Primo degli incantatori, in un putiferio di magie e oggetti incantati, col sangue di schiavi e demoni mescolato a chiodi e malta, e come la Torre di Baba era stata eretta dalle streghe per raggiungere i Cieli e incontrare il Creatore, così si diceva che il Primo costruì Temple Hall perché raggiungesse le viscere più segrete di Ver, fino alle caverne dove vivevano gli ultimi Demoni.
Questo però interessava pochi: per i più era solo un elegante ammasso di pietre, arazzi e legno, un simbolo del potere degli Hekatos, l’ennesimo atto di narcisismo, a cui pochi potevano accedere. Questa era Temple Hall, almeno fino a quando non nacque Corvo.

Corvo non venne al mondo durante una strana tempesta, o sotto l’influsso di qualche divinità del Caos e della Distruzione. Corvo nacque in un caldo letto durante una tranquilla giornata invernale. Sua madre scalciò, gridò, si cagò addosso e per poco non ruppe il cranio alla levatrice con un calcio, mentre quella piccola nuova vita sgusciava fuori dalle sue viscere. Lo chiamò Corvo perché, banalmente, aveva gli occhi e dei radi capelli neri, e nel tempo quel nome sembrò plasmargli il viso, tanto che appena adolescente la sua ombra sembrava proprio quella di una fastidiosa cornacchia. E gli era andata bene: suo cugino si chiamava Puzzola, sua zia Anemone, suo padre Secchio: questi non erano il risultato di qualche strana malattia mentale di famiglia, ma solo l’ennesima beffa imposta dagli Hekatos a coloro che non avevano neanche un grammo di magia: la feccia non meritava un nome vero, così erano costretti a chiamarsi come animali e oggetti, inferiori e privi di una reale importanza. E questa era la prima cosa che Corvo aveva imparato a odiare del suo mondo.
Gli Hekatos avevano controllo su tutto: grazie agli incantesimi e ai patti con le creature degli altri Piani, plasmavano la realtà a loro vantaggio, e fanculo chiunque non fosse loro pari.
Nascere privo di magia significava una vita di oppressione e paura: Corvo aveva visto molti dei suoi amici scoppiare in una bolla di sangue e budella solo per non aver abbassato lo sguardo o aver respirato troppo forte nel momento sbagliato, e nessuno aveva mai potuto far nulla, fino a quel momento.

Era uno dei tanti giorni freddi e nuvolosi di novembre: Corvo stava svolgendo delle commissioni per conto del suo datore di lavoro, uno Hekatos di basso rango che beveva notte e giorno. Per errore, dimenticò di acquistare uno dei vini preferiti del mago, e quando questi se ne accorse, gli gettò addosso un incanto di morte. Il ragazzo chiuse gli occhi, pronto ad abbandonare finalmente quel mondo ingiusto, ma a quanto pare c’erano altri piani in atto per lui: la magia non funzionò. Il magò blaterò maledizioni di ogni sorta, senza alcun risultato. Alla fine, sbavando e sudando per la fatica e la frustrazione, afferrò uno dei suoi bastoni da passeggio e lo picchiò così forte da fargli perdere i sensi. L’Hekatos non raccontò mai a nessuno quello che era successo, temendo di aver perso i poteri e di essere ucciso: un non più mago era una macchia troppo grande, una falla, un problema da risolvere, e per quegli psicopatici esisteva un unico modo per prendersi cura di certi problemi. Anche se l’Hekatos poteva aver non dato troppo peso alla cosa, Corvo capì di essere inciampato in qualcosa di grosso, e doveva essere sicuro che non si fosse trattato di uno scherzo del caso.

Nella città di Soma non tutti i maghi erano figli di scrofe con la puzza sotto il naso: alcuni, in particolare quelli con pochi o quasi nessun potere magico, erano dei drogati che avrebbero fatto qualsiasi cosa per una dose di amnesìs da buttare giù. Così Corvo si diresse nella città vecchia, in quei buchi del mondo che in tanti racconti erano abitati da ratti e feccia. Lì il ragazzo trovò un vecchio Hekatos, molto vecchio, e si sapeva che più invecchiavano, più il loro potere, per quanto misero, cresceva. Corvo gli sbatté sotto al naso una bustina trasparente con tre pillole di roba di quella buona, a patto che lui provasse a ucciderlo con l’incantesimo più potente che conosceva. Il vecchio ridacchiò, borbottando che ai suoi tempi ne aveva fatti fuori a decine di ragazzetti presuntuosi come lui con un schiocco di dita, e BOOM, ecco che ossa e viscere esplodevano in ogni direzione. Corvo deglutì, e per un attimo un brivido freddo gli percorse la schiena, ma non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una risposta che il vecchio con una mano gli strappò via la droga, e con l’altra schioccò le dita, borbottando qualche parola sottovoce.
Una specie di onda di vento rovente investì Corvo, raggiungendo ogni parte del suo corpo, fin dentro le ossa, ma lui non esplose. Il vecchio Hekatos rimase incredulo, sul viso la stessa espressione del suo padrone. Schioccò le dita e borbottò ancora, una, due, tre volte, e altrettante ondate di calore investirono Corvo, ma lui non morì. Il vecchio sbiancò, e intimò al ragazzo di stare lontano, insultandolo e dandogli del mostro. Corvo ghignò, e si mosse di un passo verso di lui. Questo indietreggiò ancora, fino a trovarsi con nessuna via di fuga, schiacciato tra il ragazzo e le luride mura del vicolo. Corvo a quel punto era così vicino che poteva distinguere ogni vena negli occhi del vecchio, ingialliti e devastati dalle droghe. Con un movimento quasi impercettibile, sgozzò il vecchio maiale fatato. Nessuna difesa magica entrò in suo soccorso. Niente immagini di morte, o esplosioni, oppure stati di coma, o ancora demoni usciti dalle pareti per staccargli la testa e mangiargli il cuore. Forse il vecchio non ne aveva, o forse qualunque cosa lui fosse diventato funzionava anche contro trappole e malocchi. Mentre ripuliva la lama e guardava il vecchio affogare nel proprio sangue marcio, pensò fosse il momento di mettere a frutto questo suo strano potere, magari contro qualcuno meno fuori di testa.

Mr. Chandler era un Hekatos di prima classe, sposato con una delle lontane pareti dell’attuale Primo Incantatore, con tanto di prole pronta a portare avanti la sua linea di sangue, tra le più antiche di Soma. Era un dotto, uno studioso, un libertino e anche un maledetto pedofilo. In casa sua i servi erano tutti giovani, appena qualche estate oltre la prima conoscenza della carne e dei suoi piaceri. Mr Chandler li pescava ovunque, non importava in quale fogna abitassero, bastava che avessero denti buoni, un bel viso e mani morbide. Corvo non era tra questi, perché per fortuna secondo l’uomo sembrava un “pulcino brutto e malato”, ma dato che era bravo con le caldaie, gli “permetteva” di fare dei lavoretti presso la sua casa. Corvo conosceva ogni perversione di quell’uomo, perché più volte aveva trasportato ragazzi privi di conoscenza negli alloggi dei servitori e qualche volta era stato anche costretto a far sparire qualche piccolo cadavere vittima delle attenzioni morbose dell’Hekatos.
Era notte quando il ragazzo entrò nella camera padronale, e mancavano poche ore all’alba. Chandler dormiva della grossa e ai piedi del letto c’erano un paio di giovanetti svenuti, pieni di lividi e ancora sanguinanti dai vari orifizi. Corvo strinse la presa intorno al pugnale, e senza badare troppo a non fare rumore, si avvicinò al letto, portando la lama verso la goal del bastardo. Il filo era a pochi millimetri dalla carne quando Chandler aprì gli occhi. I due si guardarono per un attimo, un’esitazione sufficiente perché l’Hekatos potesse scagliare contro di lui un la lama alla gola del bastardo. Il filo della lama era a pochi millimetri dalla carotide dell’uomo, quando quello aprì gli occhi. Per lo spavento Corvo esitò quel tanto che basto allo Strego per urlare uno dei suoi incantesimi. Fu come se un troll delle Acque Nere gli avesse dato un pugno alla bocca dello stomaco: il ragazzo indietreggiò e sputò sangue, ma anche se in preda al dolore riuscì a rialzarsi. Chandler ripetè la maledizione più e più volte, ma ogni volta sembrava essere meno efficace. Smise solo quando Corvo fu abbastanza vicino e gli infilò la lama nello stomaco, colpendolo più e più volte.
La bocca di Chandler non emetteva più alcun suono, e le sue dita cercarono di aggrapparsi ai vestiti di Corvo, come se questo potesse impedirgli di morire. Corvo se lo scrollò di dosso, e lo guardò agonizzare a terra, mentre puliva il sangue della lama su uno straccio.
Adesso aveva la conferma di poterli uccidere tutti.

Le grandi feste di Temple Hall entrano sempre nei libri delle cronache di tutto il Regno. Tutto lo sfarzo, le meraviglie impossibili che soldi e magia potevano creare per uno o più giorni avvenivano tra quelle sale e quei giardini. Tutti gli Hekatoi e le Hekate del Regno avrebbero ceduto i propri poteri per poter partecipare a uno solo di quei ricevimenti, e si diceva che qualcuno lo avesse fatto davvero. La notizia dell’improvvisa morte del signor Chandler aveva sconvolto buona parte della comunità degli Hekatos, ma solo perché suo nonno era il capo di gabinetto del Sindaco. Le voci e le malelingue si susseguivano, soprattutto tra chi conosceva le sue abitudini notturne, ma nessuno collegò mai la cosa a Corvo, neanche dopo. E in poche settimane il caso svanì, quando iniziarono ad arrivare ai ricchi prescelti gli inviti per il primo ballo d’Inverno. Corvo e gli altri non magici, addobbati come personaggi delle fiabe per bambini, recapitarono a mano le buste incantate agli ospiti scelti, invitandoli ufficialmente alla prima festa dell’anno nelle sale di Temple Hall. Corvo sorrideva, recitava i salamelecchi che gli aveva impartito il maestro di cerimonia dell’evento e memorizzava i nomi e i volti di tutti gli che incontrava. L’odio che aveva covato per tutti quegli anni stava per esplodere, e avrebbe portato con Sè quanti più di quei bastardi fosse stato possibile.

Il giorno del grande ballo tutti gli invitati arrivarono elegantemente in ritardo. Corvo e gli altri non magici sia affaccendavano a pulire e addobbare le sale da giorni, perché tutto fosse perfetto per quella sera. All’ingresso era stato steso un lungo tappeto blu notte, intrecciato d’oro e d’argento, dove decine di stivali e scarpe passarono quella sera, per accedere all’atrio e alle sale da ballo. Temple Hall quella sera era particolarmente splendida: i piani inferiori erano addobbati da tutti i toni del blu e dell’argento, e centinaia di candele incantante per non sciogliersi mai illuminavano gli angoli più bui del palazzo. L’orchestra suonava su un enorme palco nelle sala principale, e la musica si spandeva per tutte le sale e i corridoi, perfetta, come si ci fosse un’orchestra per ogni sala. I ritratti appesi alle pareti dei corridoi fisavano con piglio severe tutti quelli che passavano, mentre gli affreschi nelle sale raccontavano la storia del primo Hekatos, che con coraggio e astuzia sconfisse i Demoni Maggiori, e aveva fondato Soma nel luogo esatto della sua vittoria finale.
Hekatoi e Hekate mangiavano e bevevano, in quell’atmosfera da sogno che solo la ricchezza può comprare. Corvo si aggirava per le sale, portando in giro una generosa caraffa di vino speziato d’Altaterra. Guardava tutti quei visi rilassati, le labbra di quei borioso che si increspavano e piegavano a seconda delle dimensioni dei loro sorrisi di circostanza. Qualcosa in Corvo si agitava, come un animale in una gabbia molto stretta che raschiava le pareti cercando disperatamente di uscire.
La festa andò avanti fino a notte inoltrata, e vino e afrodisiaci si mescolavano senza sosta. Ai pomposi bastardi era così che piaceva fare: sotto la patina sottile di potere e rispettabilità, nascosti dietro titoli altisonanti, c’erano stravizi, segreti, incesti, e qualsiasi altra nefandezza une mente perversa potesse immaginare, e Corvo li odiava per questo. Quando il grande pendolo in cima alle scale dell’ingresso batté le tre in punto, il ragazzo decise di entrare in azione. Guardò la finestra dietro l’orologio: non c’era Luna quella sera, nessuno avrebbe visto tutto quello che avrebbe fatto.
Le Cronache raccontano a questo punto pochi dettagli di quanto accadde quella notte. Tutto quello che venne annotato fu che ogni singolo Strego presente a Temple Hall fu o ucciso o mutilato, e a questo scarna descrizione è stato allegato un brevissimo elenco dei sopravvissuti.
Le storie, però, raccontano molto di più.
Quando all’alba i servitori vennero a ripescare i rispettivi padroni, quella che videro ancora oggi tormenta le notti senza luna di tutta Soma.
Da sotto l’uscio della porta principale, scorreva un rivolo rosso scuro, ormai quasi secco, e quando i primi servitori arrivarono e aprirono le porte, molti raccontano che vennero quasi investiti da una marea rossa, maleodorante di morte e di feci.
Temple Hall era ricoperta di sangue.
Le pareti, gli affreschi, perfino gli angoli più lontani erano macchiati di rosso. Il volto del Primo Hekatos era irriconoscibile, sotto lo strato scuro del sangue rappreso. I Cadaveri degli Hekatoi erano ovunque, sventrati come pesci prima di finire nel forno, con le budella che pendevano da quello che rimaneva dai cadaveri.
Ed era stato un solo ragazzo a fare tutto quello.
Secondo delle voci, messe in giro o vendute dai servi dei sopravvissuti, quella notte d’inferno era cominciata con un urlo, un grido di aiuto pieno di terrore, seguito dal rumore sordo di un cadavere che cadeva sul marmo lucido. I capelli d’oro del vicerè Chinoise erano arruffati e sporchi, i suoi occhi fissavano il vuoto. Le urla delle donne e dei giovani furono quasi subito coperte da una cascata di incantesimi e maledizioni verso lo smunto ragazzo dai capelli neri che stringeva in mano il pugnale insanguinato. Tutti gli incanti andarono a segno, ma con il solo risultato di fare indietreggiare il ragazzo di appena un passo. E fu lì che la paura , quella peggiore, quella delle cose che non si conoscono, rapì l’anima di tutti.
Una fiumana di Hekatoi si precipitò verso le uscite, solo per scoprire che erano tutte bloccate, e che il palazzo del Primo Hekatos era a prova di magia.
Molti si chiesero come fosse stato possibile che un unico, smunto giovane potesse aver avuto ragione di decine di uomini e donne adulti, alcuni dei quali avvezzi alla guerra e alla violenza più di altri. Ebbene, un ‘opinione diffusa è che semplicemente erano troppo spaventati per compiere qualsiasi atto logico. E intanto il giovane macellaio infilzava e sgozzava, spaccava e strappava, e gli stessi Hekatoii si calpestavano e picchiavano e uccidevano l’uno con l’altro, nel tentativo di sfuggire alla morte.
Quando il sole tinse di rosa la notte, Corvo era immerso fino alle caviglie nel sangue dei suoi nemici. Neanche lui era ben sicuro di come avesse fatto, ma il puzzo di sangue aveva ormai macchiato le sue mani e confermava che la sua vendetta era compiuta. Corvo si guardò attorno, e non vedendo sopravvissuti, si diresse verso l’uscita, ma fu fermato da un sussurro.
Era come una melodia cantata a mezza voce, che proveniva proprio da sotto di lui. Cercando la fonte di quel rumore, strinse più forte la sua lama, gustando un ultimo assaggio di sangue. Quando fu arrivato al centro della sala, la musica cessò, e un vuoto si aprì esattamente sotto di lui, ingoiando il ragazzo e bevendo il sangue degli Hekatoi. Di Corvo non rimase null’altro che un urlo, e insieme a questa storia, entrò nella leggenda, dando il via alla Grande Prima Guerra.
La magia doveva morire.

  
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