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Autore: WhiteLight Girl    27/01/2019    1 recensioni
Sembra che tutto sia normale nella vita di Marinette, tra la scuola e la vita da supereroe, finché all'improvviso succede qualcosa e Ladybug si ritrova incapace di lasciarsi scivolare addosso le avance di Chat Noir. La sensazione di aver dimenticato qualcosa si fa largo nella testa della ragazza e si rifiuta di passare, mentre il suo istinto inizia a gridare di non fidarsi di Gabriel Agreste. Marinette si convince che ci sia sotto qualcosa, ma sarà davvero così o si sta solo allarmando per nulla?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 2
Sottosopra


La sveglia suonò a vuoto per diversi minuti, prima che Marinette trovasse la forza di spegnerla. Non fu una decisione consapevole, solo un gesto meccanico del braccio che cercò a tentoni il cellulare ed un dito passato alla cieca sul display. Poi, senza neanche rendersi conto di ciò che stava facendo, Marinette sollevò la coperta sulla testa per riparare gli occhi dal sole che entrava dal lucernaio e mugugnò nel sonno rannicchiandosi su sé stessa.
Strofinò la guancia contro il cuscino, beandosi del suo calore e della sicurezza che le dava il piumino leggero appena tirato fuori dall’armadio. Nulla avrebbe potuto costringerla ad alzarsi, specialmente dato l’eco del vento che batteva contro i vetri delle finestre facendole tremare. Solo la sensazione dello stomaco che gorgogliava la strappò al mondo dei sogni, riportandole la sensazione del proprio corpo e dissipando l’appannamento portato dai sogni del primo mattino.
Marinette sentì Tikki infilarsi sotto il piumino, raggiungere il suo capo e sfiorarle la guancia. Sapeva già cosa sarebbe successo da quel momento in poi.
«Guarda che stai facendo tardi.» le disse il Kwami.
Marinette ripensò al compito per cui il giorno prima aveva provato a studiare fino a tardi, a come forse, se invece fosse andata direttamente a dormire, non sarebbe stata ancora così stanca. E poi realizzò con un rantolo che comunque non ricordava neanche la metà delle cose che aveva letto e ripetuto.
«Marinette...» insistette Tikki.
La spinse indietro con due dita per impedirle di scrollarla ancora e trattenne uno sbadiglio.
«Non mi sento molto bene.» disse. Non riusciva a capire se fosse l’ansia per il compito oppure se si fosse ammalata, ma ebbe l’impressione che a breve si sarebbe trovata a vomitare.
Tikki premette una mano sulla sua fronte. «Non sembri avere la febbre.»
Neanche Marinette pensava di averla, perché a parte i lievi brividi provocati dall’aria fresca del mattino che scivolava sotto la coperta non aveva freddo, non tremava, e la mente era lucida come se fosse perfettamente in salute. Eppure quella sensazione di nausea non accennava a calmarsi.
Strizzò gli occhi, si sforzò di non pensarci, si concentrò – per quanto l’intontimento glielo permettesse – su nuvole e zucchero filato e sul modo in cui il materasso sembrava abbracciarla ed invitarla a tornare a dormire.
«Marinette! Sei in ritardo!» esclamò Tikki. «Sono già quasi le otto.»
L’informazione ebbe sulla sua mente l’effetto dello sparo di un cannone, Marinette si mise a sedere, scostò i piedi fuori dal letto e si sforzò di alzarsi. Pochi istanti dopo stava arrancando giù per la scaletta, le mani strette attorno alla ringhiera per prevenire ogni caduta e gli occhi mezzi aperti per assicurarsi di mettere i piedi nel punto giusto.
«Andrà male, Tikki, me lo sento.» disse. L’ansia non accennava a lasciarla, tanto forte da farle quasi anche passare la fame.
«Tu fai del tuo meglio.» le disse Tikki. «Se andrà troppo male potrai sempre recuperare.»
Marinette annuì, frugò nell’armadio alla ricerca della biancheria pulita e si sfilò la maglietta per cambiarsi. Aveva già la canotta pulita in mano, quando si ritrovò a piegarsi verso il pavimento ed a vomitarvi sopra, incapace di trattenersi.
Premette una mano contro lo stomaco e si sforzò di non inspirare, perché annusare l’aria adesso avrebbe potuto provocarle un altro conato e lei non voleva affatto che accadesse.
Tikki le fu subito accanto.
«Oh, cielo...» disse, il musetto contratto in una smorfia di preoccupazione.
Marinette arretrò e si appoggiò alla scrivania sbuffando. Ora avrebbe dovuto lavarsi, prendere qualche stupida medicina che calmasse la nausea, ripulire e poi correre per non fare tardi a scuola. «Marinette?» sussurrò Tikki. «Forse sarebbe meglio che restassi a casa.»
Scosse il capo. «Poi tutti penseranno che l’abbia fatto per saltare il compito, Adrien penserà che sono una persona poco seria e suo padre non gli permetterà mai di fidanzarsi con me, figuriamoci sposarmi!»
«Marinette!» la fermò Tikki. «Sappiamo entrambe che Adrien non è quel tipo di persona che pensa male dei suoi amici.»
«Ma suo padre sì, già odia Nino, ora comincerà ad odiare anche me...»
Si lasciò cadere sulla sedia, la voglia di scendere al piano inferiore a recuperare stracci e secchio totalmente inesistente, lo stomaco che ancora tremava e gorgogliava.
Rimpianse di aver lasciato il cellulare sul comodino e trovò la voce per chiamare sua madre.
«Mamma! Credo di essermi beccata un qualche virus.» gridò, sperando che la sentisse.
Aspettò seduta alla propria scrivania, Tikki era già nascosta dietro al computer e Sabine arrivò dopo appena un paio di minuti.
«Non ti senti bene?» domandò.
Marinette annuì. «Mi dispiace, se mi dai cinque minuti prometto che ripulirò tutto.»
Fece un cenno verso al rigurgito ai piedi dell’armadio, il solo pensiero quasi le scatenò un altro conato, gonfiò le guance per trattenerlo, le mani strette sullo stomaco come se questo potesse calmarlo.
Sabine le si avvicinò e strofinò una mano sulla sua schiena. «Non importa, tesoro, ci penso io. Tu torna pure a letto.»
Marinette sbatté gli occhi. «Non posso saltare il compito di oggi, mamma.»
Lei sorrise e la aiutò a tirarsi su. La spinse verso la scaletta e le disse: «Non puoi andare con il rischio di vomitarci sopra, direi.»
Marinette squittì. «Oh, no! Potrei rischiare di vomitare addosso ad Adrien!»
Sabine rise. «Sono sicura che Adrien capirebbe.»
Forse era anche vero, pensò Marinette risalendo verso il letto, ma lei non sarebbe comunque riuscita a guardarlo mai più in faccia, se mai fosse accaduto. Decise che sarebbe stato meglio non rischiare e tornò a distendersi, vide sua madre sparire nella botola per tornare al piano inferiore, allora Tikki la raggiunse e sollevò la coperta per rimboccargliela.
«Rimettiti presto.» disse il Kwami.
Marinette chiuse gli occhi, rifletté sul fatto che probabilmente avrebbe dovuto telefonare ad Alya per avvertirla dell’assenza, ma era sveglia da troppo poco tempo per non avvertire ancora l’intontimento del sonno che la reclamava. L’ultima cosa che sentì prima di riaddormentarsi furono i passi di sua madre che tornava in camera, probabilmente per ripulire.

Quella mattina, Marinette sognò baci e carezze al chiaro di luna, vivide coccole dispensate dall’alto della torre Eiffel mentre Parigi viveva sotto i suoi piedi e quelli di Adrien. Gli occhi verdi del ragazzo rilucevano familiari mentre lui le sorrideva, la sua stretta la faceva sentire al caldo ed al sicuro anche senza la maschera ed il costume. Il mondo non esisteva, fuori da quella piccola bolla di felicità, e nulla e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento.
«È una serata purrfetta, non credi, mia signora?» domandò lui, fissandola da sotto la frangia scompigliata.
Marinette poteva ancora sentire la consistenza dei capelli di lui sotto le dita, il suo sapore sulle labbra le impedì di sollevare gli occhi al cielo a causa del gioco di parole.
«Purrfetta davvero.» disse invece.
Il sorriso di Adrien si aprì, se possibile, ancora di più e lui si sporse verso di lei, stringendola ancora e premendo per l’ennesima volta le labbra sulle sue.
Marinette si aggrappò al bordo della torre per non cadere, il lenzuolo le si impigliò tra le dita, il calore delle labbra di Adrien divenne l’angolo della zampa del suo peluche gigante. Abbandonò quel sogno con un moto di delusione e si mise a pancia all’aria, gli occhi puntati contro il lucernaio, da dove scoprì che Chat Noir la stava osservando.
Marinette sussultò e si tirò su, sollevando la coperta per ripararsi come poteva nonostante non avesse nulla da nascondere, vide Chat Noir sbracciarsi e mostrarle i palmi come in una muta richiesta di non gridare, ma lei non aveva alcuna intenzione di farlo.
Sbloccò il vetro e lasciò che il ragazzo entrasse, riflettendo sulle implicazioni che quella visita avrebbe potuto avere.
«Che succede, Chat Noir? C’è un’Akuma?» domandò.
Nonostante la nausea fosse passata era ancora troppo stordita per avere voglia di trasformarsi ed uscire e non riusciva a immaginare chi potesse avercela con lei tanto da farsi Akumatizzare, dato che aveva passato tutta la mattina dormendo. Non le veniva in mente una sola ragione per cui Chat Noir dovesse essere lì per proteggerla.
Chat Noir si fermò ai piedi del letto e sorrise.
«Nessun Akuma.» disse. «Ma ero preoccupato perché oggi non eri a scuola, volevo assicurarmi che non fosse a causa di ieri.»
Marinette annuì. «Tranquillo, deve essere solo qualche forma di virus intestinale, un po’ di riposo e sarò come nuova.»
Lui sorrise, mentre Marinette sollevava il cuscino e si sistemava su esso e sul gatto di peluche per mettersi seduta e poterlo guardare in faccia senza il minimo sforzo.
«Quindi, mio prode cavaliere in armatura di pelle, posso offrirti qualcosa per ringraziarti di questa premurosa visita?» domandò.
Chat Noir scrollò le spalle e si fece spazio sul letto, accomodandosi accanto ai suoi piedi a gambe incrociate. «Se posso scegliere, madamigella, opterei per un croissant.»
Fece un cenno verso il comodino, dove Marinette scoprì esserci un vassoio con un bicchiere di latte ed un piatto di dolci assortiti ancora tiepidi.
Marinette prese il piatto e lo mise sotto il naso del ragazzo che, con occhi lucidi, strinse tra le dita il croissant al cioccolato e gli diede un morso con esagerata riverenza.
«È solo un croissant...» disse Marinette. Sorrise, riscoprendo con un sospiro quanto vedere l’amico così entusiasta per una cosa così piccola potesse rendere felice anche lei.
Ma Chat Noir scrollò il capo. «Questo non è solo un cornetto, questo è il cornetto più buono di tutta Parigi, dovrebbero erigere un tempio per venerarlo!»
Lieta che il ragazzo avesse questa grande considerazione di un prodotto della pasticceria dei suoi genitori, Marinette rifletté sul fatto che avrebbe dovuto trovare il modo di portargliene più che poteva, quando si fossero rivisti per un attacco Akuma.
«Tu non mangi?» domandò Chat Noir all’improvviso. Aveva posato il piatto tra loro e, fino a quel momento, il profumo dei dolci non aveva dato alcun problema a Marinette. Ma l’idea di trovarsi a mangiare fece fare una spiacevole capriola al suo stomaco. Grazie al cielo, pensò, comunque non aveva fame.
«Credo che passerò.» disse.
«Ma sarà difficile riuscire a riprendersi con lo stomaco vuoto.» osservò Chat Noir. Poi indicò il piatto pieno. «E poi, se io potessi, mangerei almeno uno di questi a pasto.»
Marinette sorrise, provò ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se l’avesse fatto e, mentre ipotizzava la tragica scomparsa dei suoi muscoli sotto qualche chilo di troppo, lui diede il primo morso al croissant e la crema gli esplose quasi in faccia.
Marinette si trovò a ridere piegata in avanti e con i capelli negli occhi, mentre lui si ripuliva con un dito il rivolo di crema scivolato sul mento nel tentativo di fermarlo prima che gocciolasse sulla tuta.
«Aspetta.» disse Marinette. «Lascia che ti aiuti.»
Afferrò un tovagliolo da sopra il vassoio e lo pose sotto il mento di lui, pulì via tutta la crema che poté, non riuscì ad impedirsi di puntare gli occhi sulle sue labbra. L’angolo della bocca era ancora sporco e lei avrebbe voluto potersi sporgere e baciarlo.
Si tirò indietro con un moto d’orrore, gli occhi sgranati ed i pensieri in subbuglio.
NO! Marinette! NO! È solo Chat Noir e ieri ti ha salvato la vita, come ha già fatto decine di altre volte. Perché queste volta sembra così diverso?
Probabilmente Tikki avrebbe detto che non c’era assolutamente nulla di diverso, se non il modo in cui lei aveva iniziato a reagire alla sua presenza.
«Io... Io non mi sento tanto bene.» sussurrò.
Chat Noir le sfilò il tovagliolo dalle dita e sorrise comprensivo. «Certo, capisco.» disse. «Tornerò domani a controllarti, probabilmente.»
Marinette sentì il cuore saltare a quell’affermazione e fu incapace di dirgli qualcosa, mentre, con il cornetto stretto tra i denti, Chat Noir si arrampicava su per il lucernaio e se ne andava.
   
 
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