Jasmine
Un altro sabato mattina con il
primo
turno al Blue Market. Una Jasmine insonnolita si avventurò
verso la cucina. Due
giorni dopo l’incidente di Lucy non pensava proprio di
trovare Will in casa,
così fu sorpresa di vederlo, attraverso la porta della sala,
ai fornelli a
cuocere le uova in una padella. Oh, le uova di Will! Splendido!
Ma quando entrò in
cucina, si bloccò
di colpo nel vedere Will abbracciare e baciare… Connor! Ma
Connor? E lei che
pensava che Lucy… Oh, Dannazione! Le uova sul fornello
stavano sfrigolando!
“No!” gridò facendo un passo in avanti.
I ragazzi si staccarono e si
voltarono
verso di lei. Ma lei non li aveva in nota. Non vide neanche il viso di
Connor
incupirsi. “Will! Le uova stanno bruciando!”
Il ragazzo rise e tornò
davanti alla
padella. “Ma no, lo fa sempre, è giusto
così, guarda” E così dicendo,
sistemò
in un piatto ciò che era in padella e lo mise a tavola.
“Prego.”
Lei lo guardò alzando un
sopracciglio.
“Per me?”
“Non hai fame?”
Oh, sì che Jasmine
aveva fame! Si sedette al tavolo e iniziò a mangiare.
“Grazie. Sono buonissime!”
disse, con la bocca piena.
Connor prese altre uova dal
frigorifero e poi si sedette davanti a lei. Il suo sguardo non era del
tutto
rilassato. “Mi avevi fregato. Pensavo che Will stesse con
Lucy” disse ancora,
indicandolo con la forchetta mentre lo sgridava bonariamente.
Connor sorrise. “Sei di
nuovo saltata
alle conclusioni facili”.
Jasmine rise.
“Già. Sembra che mi
capiti spesso!” Jasmine ridacchiò.
Lui sospirò pesantemente
e guardò
verso Will che gli fece un cenno con il capo e ritornò a
guardare la ragazza.
“È un problema per te? Will dice che devo
chiedervelo. Se fosse per me non vi
chiederei un accidente, ma lui…”
“Cucina meglio di te. Ed
è meno
scontroso. Se vi lasciate, teniamo lui. Per il resto, va bene tutto.
Grazie,
Will erano buonissime”. Si alzò, mise il piatto
nel lavello e uscì dalla
cucina. Quando si infilò il cappotto, Connor le
andò dietro.
“Sicura che non sia un
problema?” Stavolta
la sua voce tremava un pochino ed era molto meno spavalda di prima.
“Sicura. Però
è vero, potevi dirlo.
Non ci sarebbero stati problemi neanche prima.”
Connor si grattò il
collo con un dito
e quando se ne rese conto mise le mani nelle tasche dei Jeans e
sospirò. “Non è
una cosa che racconti quando entri in una casa famiglia, o in una
famiglia in
affido. Sai cosa succede al piccoletto che annuncia di essere
gay?” Il suo
sguardo vagò, senza volere, in tondo e Jasmine fu sicura di
leggergli dentro lo
stesso dolore che aveva provato lei quando i suoi vecchi amici si erano
dileguati velocemente subito dopo la morte della madre.
Sospirò silenziosamente
e sorrise. “In questa famiglia
non ci
sono problemi” disse e, senza averlo premeditato,
l’abbracciò.
Quando uscì di casa,
sorridente e
soddisfatta, il sole brillava nel cielo. Le giornate si stavano facendo
più
lunghe e la vita sembrava migliore.
***
“Così uscirai
con Gabe, sabato?” Lucy
era eccitatissima, neanche avesse dovuto lei uscire per un primo
appuntamento.
“Non gli ho ancora detto
di sì”
rispose Jasmine, come se parlasse con un bambino iperattivo.
Lucy saltellò sistemando
le confezioni
di cereali. “Secondo me dovresti. Potresti dargli una
risposta quando verrà a
prenderci”. Jasmine sbuffò sorridendo da davanti
il bancone della cassa. Voleva
uscire con Gabe. Davvero. Ma il pensiero di come era finita con Lenny
la
lasciava ancora titubante.
“Io non sono mai uscita
con nessuno…”
La piccola biondina si chinò a sistemare delle scatole
cadute.
“Spencer che fa chimica
con noi ti
guarda sempre. Secondo me gli piaci.”
Jasmine le sorrise mentre sistemava
i
dolci. Lucy era una brava ragazza e lei ci teneva davvero alla loro
amicizia.
“Forse…”
Lucy si bloccò quando entrò
un cliente. Jasmine alzò lo sguardo dal dispenser delle
caramelle, per vedere
perché avesse reagito così, quando vide
l’uomo che era entrato. Il tipo aveva i
jeans logori e deformi e una a giacca vento, nonostante fosse quasi
maggio. Poi
il suo sguardo vagò verso il viso e lo riconobbe.
”Bill…”
Suo padre sorrise e Jasmine
notò che
gli mancava un dente. Oddio. Ma avrebbe dovuto essere in prigione, cosa
ci
faceva lì al Blue Market?
“Ciao, tesoro. Come
stai?” La sua voce
era ancora melliflua come la ricordava.
“Cosa ci fai qui?
Perché non sei in
prigione?” Jasmine sperò che la sua voce non
tremasse veramente come la sentiva
tremare lei.
Lui rise. “Sono
uscito”.
Jasmine non riuscì
più a pensare a
cosa dire. L’uomo che l’aveva quasi uccisa e che
all’anagrafe risultava suo
padre, era lì davanti a lei, a pochissima distanza.
Tremò.
“Non puoi essere fuori.
Mi hai sparato!”
Lui scosse le spalle. “Ti
ha sparato
lo spacciatore…”
NO! “Non è
vero. Mi hai sparato tu!”
Lui ghignò.
“Sì. Ma nessuno ha creduto
a lui. Sai, era uno spacciatore e io sono tuo padre. Era strano a
tutti. Hanno
creduto a me. E poi, dai, non l’ho fatto apposta!”
Jasmine sentì il sangue
colargli via dal viso. Non poteva essere vero.
“Fuori di qui!”
Lucy aveva fatto
qualche passo verso di loro, ma non era troppo vicina.
Bill si voltò verso di
lei e ghignò.
“So chi sei. Sei la puttanella tossica che vive con mia
figlia. Senti, fatti un
giro”.
Se Lucy fu colpita dal suo
linguaggio,
non lo diede a vedere e Jasmine pensò che doveva averne
passate anche di
peggio, per farsi scivolare addosso un insulto così.
“Io non vado da nessuna
parte, mentre tu ora vai fuori”. Jasmine non aveva mai
sentito Lucy parlare
così. Sembrava… Forte, forte come aveva sostenuto
Connor.
Bill però sorrise ancora
sprezzante e
tirò fuori un coltello dalla tasca della giacca. Jasmine
fece cadere una
scatola di caramelle e rimase immobile. Bill… Suo
padre… voleva ancora farle
del male? Tremò alla vista della lama. Quella cosa sporca
avrebbe fatto male? E
dove l’avrebbe colpita questa volta?
Ma l’uomo era ancora
rivolto verso
Lucy. “Senti, perché non ci lasci soli? Io e mia
figlia dobbiamo parlare di
questioni importanti”. Lucy sparì dietro uno
scaffale, fuori dalla vista di
Jasmine. Oddio. Era sola. Di nuovo.
Poi Bill tornò a
guardarla e fece di
nuovo quello spaventoso sorriso. “Bene. Pensavo di doverle
dare qualche
spicciolo, e invece…” Ridacchiò
avvicinandosi, tenendo sempre il coltello
davanti a sé.
“Cosa vuoi da
me?” chiese Jasmine a
bassa voce, mentre faceva un passo indietro.
“Ho bisogno di
soldi.”
Jasmine si bloccò e si
passò una mano
fra i capelli per il nervosismo. “Io non ho soldi. Hai rubato
tu tutti i miei
soldi!”
Lui scosse le spalle.
“Ora ne hai”.
Eh no! Jasmine sentì un
po’ di rabbia
ravvivarle l’organismo. Aveva messo via poche centinaia di
dollari. Ma le
servivano per il futuro. “Sono miei. Stavolta non te li
lascerò!”
L’uomo allungò
il coltello verso di
lei e disse indicando il bancone: “Dammi i soldi della cassa.
Quelli non sono
tuoi”.
La ragazza strabuzzò gli
occhi. Aveva
dei limiti quell’uomo? “No!” Lui fece un
altro passo verso di lei e Jasmine,
meccanicamente, ne fece un altro indietro. Dannazione! Non doveva avere
paura
di lui.
Poi, fu tutto velocissimo. Bill che
allungava il braccio verso di lei, la ragazza che si portava le braccia
al viso
per proteggersi e poi un rumore forte e grintoso seguito da un urlo.
Jasmine tolse le mani dal viso e
riaprì gli occhi: una Lucy affannata e sorridente aveva in
mano la mazza da
baseball che Mike teneva sotto il frigorifero e Bill era piegato in due
per terra,
il suo coltello sul pavimento. Lucy ci mise sopra il piede e lo
spostò più
lontano. Sorrise mentre diceva: “L’ho visto fare in
film”.
“Cosa hai
fatto?” chiese Jasmine,
incredula, all’amica.
“Ho chiamato la polizia.
Ho detto che
ci stavano rapinando.”
Ma Jasmine scosse la testa.
“No...
Intendevo… L’hai colpito?”
Lei sorrise.
“Già. Non sai che
soddisfazione!” La ragazzina continuò a sorridere.
Jasmine era un po’ sotto
shock, forse.
Dopo poco si sentirono le sirene
della
polizia. Entrarono due poliziotti e Bill venne portato via, sotto gli
occhi di
Lucy e di Mike, che era arrivato da poco, avvisato da una Lucy
particolarmente
attiva. Jasmine non riuscì a seguire bene tutto quello che
stava succedendo, ma
stava parlando con una donna poliziotto, che le aveva dato una tazza di
tè
caldo e una coperta, quando vide entrare Gabe.
Il ragazzo la vide con gli occhi
spalancati e il volto pallido e si affrettò ad andarle
vicino.
“Ehi, ho sentito quello
che è
successo, come stai?” Lei annuì inconsapevolmente
e lui l’abbracciò. “Ok, non
preoccuparti. Ci sono qua io”. Il calore del ragazzo
l’avvolse e lei si
tranquillizzò. Di nuovo, si sentì meno sola e
appoggiò la testa sul braccio di
Gabe.
“Mio padre mi ha sparato,
l’anno
scorso…”
Lui la cullò un pochino.
“Non c’è
bisogno che me lo racconti, se non vuoi”.
Lei alzò la testa e lo
guardò. “No, voglio
davvero raccontartelo”.
Lui annuì. “Va
bene”. Non aveva detto
a nessuno com’era finita in ospedale.
“Quando sono andata a
vivere da mio
padre, lui ha speso tutta la mia eredità in droga e quando
l’ha finita ha detto
al suo spacciatore di prendersi me…”, Gabe la
strinse un po’ di più e lei
continuò “Ma lui non voleva. Disse qualcosa sui
servizi sociali e discusse con
Bill sul fatto di voler essere pagato. Poi mio padre tirò
fuori una pistola e
la puntò su di me, mi ordinò di andarmene con lui
e disse allo spacciatore che
erano pari. È stato bruttissimo. Quando il tipo
cercò di disarmare Bill ci fu
uno sparo e io svenni. Non so cosa è successo dopo. Io ero
ancora minorenne e
nessuno voleva prendersi la responsabilità di informarmi. So
solo che mi sono
trovata in ospedale, circondata da dottori e da assistenti sociali.
Quando sono
stata dimessa, dopo sei mesi, sono stata data in affido. Non
è stato
bruttissimo, ma neanche bello. E l’unica cosa che mi faceva
andare avanti era
il fatto che lui fosse in prigione. Credevo davvero che ci sarebbe
rimasto per
un bel po’. E invece…”
Gabe le posò un bacio
sui capelli e le
accarezzò la testa. “Adesso andrà tutto
bene. Ti aiuterò io”. Jasmine sentì le
lacrime bruciarle gli occhi. O cavolo, stava piangendo! Stava piangendo
sì, ma
si sentiva bene.
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