Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    30/01/2019    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Quel giorno Caterina voleva andare a Forlimpopoli per discutere con suo fratello Piero del da farsi.

Era già il sei maggio e il clima si stava facendo molto mite. Secondo alcuni quello era il preludio a un'estate molto torrida, secondo altri, invece, avrebbe portato una piacevole primavera e poi temperature ideali per i campi.

La Sforza non sapeva a chi credere, ma sapeva benissimo che, qualsiasi fosse stata la decisione del sole e della pioggia, lei avrebbe comunque dovuto assicurarsi buone provviste e un canale sicuro per richiederne altre in caso di necessità.

Ciò che voleva sapere da Piero era la situazione sua personale e della rocca di Forlimpopoli. Anche se avrebbe potuto scrivergli tutto quanto e ottenere libri contabili per far da sé le prospettive del caso, preferiva discutere con lui a quattrocchi. Sapeva che presto anche quel versante sarebbe stato in pericolo e voleva sincerarsi della buona disposizione del fratello.

Era ancora giovane, forse troppo, e non si sarebbe risentita se le avesse detto di non voler votarsi a una causa che pareva persa in partenza. Dunque doveva incontrarlo, per evitare fraintendimenti. E poi voleva anche vedere coi propri occhi lo stato in cui versava la rocca, per decidere se investire ancora nella sua manutenzione.

Infine non aspettava altro che un motivo per muoversi un po' da Forlì. Malgrado il voto fatto alla madonna di Loreto, non era ancora riuscita a sciogliere il dubbio sulla sua sospetta gravidanza. Il suo corpo non le stava dando segni né in un senso, né nell'altro e, col passare dei giorni anche il suo medico personale principiava a non essere più così sicuro di poter dare tutta la colpa alla fatica e alle pressioni esterne. Cambiare un po' aria, forse, l'avrebbe aiutata a non pensarci. Tanto, non poteva farci nulla, quale che fosse la sua reale condizione.

Prima di lasciare Ravaldino, però, la Tigre aveva voluto controllare un paio di cose e, arrivata ai resoconti della scuderia, si ricordò della partita di cavalli che aveva ordinato tramite Leonardo Strozzi in Spagna e di cui, ancora, non aveva avuto notizia.

“Strozzi ci ha mai più scritto, per quei cavalli spagnoli?” chiese, entrando nello studiolo del castellano senza annunciarsi.

Questi sollevò lo sguardo dalla corrispondenza che stava vagliando e scosse il capo: “Né da lui né da nessun altro.”

La Contessa sospirò. C'erano momenti, come quello, in cui si rendeva conto che in molti ancora la prendevano sottogamba. Era un po' come se, malgrado tutto quello che era riuscita a fare, nel bene e nel male, la ritenessero ancora solo una ragazzina che giocava a fare la potente.

Con un cenno al Feo, tornò un momento in camera, scrisse una breve missiva per Leonardo Strozzi, avendo cura di chiamarlo 'spectabilis vir et amice carissime', ma arrivando in fondo al messaggio con un chiaro e categorico: 'et quando per la via vostra non potessi essere servita, cercheria qualche altro megio per non restare cum questo scorno'.

Chiusa la lettera, tornò dal castellano e gli ordinò: “Fatela partire subito, per lo Strozzi. Mi sono stancata di aspettare i comodi di tutti. Quei cavalli ci servono e basta.”

Cesare annuì e prese il messaggio, per poi domandare: “Posso fare altro, per voi?”

La donna fece segno di no e poi, con un sospiro disse: “Sto andando a Forlimpopoli, devo vedere mio fratello Piero.”

“Tornerete per pranzo?” chiese il castellano, valutando come fosse ancora abbastanza presto da permetterle di andare e tornare per quell'ora.

La Contessa avrebbe voluto zittirlo, facendogli notare come quelli non fossero affari suoi. Si sentiva sempre come braccata, come se ogni sua mossa, ogni sua parola e ogni suo atteggiamento fosse costantemente controllato da tutti. Però capiva benissimo il motivo della domanda e così non diede mostra della propria irritazione.

“No, no... Credo di tornare per cena, o al massimo in tarda serata.” spiegò: “Se dovessi decidere di fermarmi a Forlimpopoli per la notte vi manderò un messaggio.”

Il castellano chinò un po' il capo e la lasciò andare senza fare altre domande.

“Ah, mentre sono via fate in modo che nessuno dei miei figli esca da Ravaldino, nemmeno Ottaviano o Cesare.” soggiunse la Tigre, già sulla porta: “Meglio essere prudenti, non vorrei mai che...”

“Non abbiate paura. Darò ordine di non farli uscire.” assicurò il castellano, che pure vedeva quella presa di posizione della sua signora, per quanto motivata dall'ancora recentissima morte di Ottaviano Manfredi, come eccessiva.

 

Pandolfo si infilò uno stivale e poi l'altro con un'espressione tanto cupa dipinta in volto che sua moglie quasi non osava guardarlo.

Rimini quel giorno era battuta da un vento fortissimo e l'aria sapeva di mare, di sale, di umidità, di tutto quello che Violante non sopportava più di quella città. Rimpiangeva Bologna, le colline che la circondavano, il suono cadenzato e familiare della pronuncia della sua gente. Le mancava tutto, della sua terra, quel giorno più che in altri momenti.

“Non fare quella richiesta, lo sai che è un errore.” provò a dire, ma il marito non sollevò nemmeno gli occhi verso di lei.

Era pomeriggio, ma le giornate di stavano allungando molto e quindi, anche se non era più tanto presto, dalle finestre entrava un sole ancora molto luminoso.

“Non ne capisci nulla. Il papa vuole solo i soldi e Venezia può darmeli.” ribatté lui, dopo qualche minuto, alzandosi dal letto e andando verso la cassapanca su cui aveva appoggiato il mantello di colore scuro: “Cosa credi, che il papa voglia Rimini? Sciocca donna che non sei altro, ti ammazzerei di botte, se non fosse che...”

La voce dell'uomo si era spenta, mentre la sua mano indicava significativamente il ventre della Bentivoglio.

Violante non era certa di essere incinta di nuovo, ma ne aveva il sospetto e gliel'aveva detto. Non aveva avuto, in un primo momento, intenzione di parlargli dei suoi dubbi, per evitare una sua scenata, nel caso in cui si fossero rivelati infondati – com'era già successo in passato – ma si era vista costretta a farlo.

Era entrato nella sua camera come una furia, forse perché troppo teso per l'incontro con il messo veneziano che l'attendeva di lì a un paio d'ore, e aveva subito cercato di imporsi su di lei con la violenza, malgrado il patto che la donna credeva di aver stretto con lui.

Quando si era vista quasi sopraffare, appena prima che il Malatesta consumasse per l'ennesima volta un sopruso così grave nei suoi confronti, gli aveva detto di essere incinta. L'effetto era stato immediato e l'aveva spento come un secchio d'acqua su un cerino. Come vittima di un incantesimo, il Pandolfaccio dopo aver sentito quelle parole non sarebbe più stato in grado di farle nulla, nemmeno se l'avesse voluto.

Quello smacco alla sua virilità, che s'era smorzata nell'istante medesimo in cui aveva capito le parole della moglie, l'aveva reso ancora più intrattabile del solito.

“Venezia magari ti darà anche i soldi – tentò di fargli capire la moglie – ma al papa non basteranno per lasciarci in pace. La Sforza di Forlì sta comprando armi, cavalli e armature! Ci stiamo avvicinando a una guerra, non a una riscossione di debiti!”

“Ma che ne vuoi sapere tu...” ripeté Pandolfo, scuotendo il capo, ma non accennando ad andarsene.

“Quella non sbaglia, lo sai anche tu. Ci vede bene, in queste cose. Tu stesso, in passato, hai detto che ha la testa più fina di te e di tutti i...” prese a dire Violante, ma prima che potesse concludere la frase, il Malatesta la mise a tacere con un forte schiaffo.

“Bada bene – la mise in guardia – sarai anche incinta, ma come ti ho fatto avere un figlio dopo averne perso uno, posso farlo di nuovo. Se non mi porti rispetto..!”

A quel punto la Bentivoglio abbassò lo sguardo, la guancia rossa, che già si gonfiava e l'occhio che lacrimava. Non gli diede la soddisfazione di poter continuare, ma si chiuse in un mutismo sordo, che non si sciolse nemmeno quando lui provò a provocarla.

“Io lo so che tu vuoi mettermi i bastoni tra le ruote solo perché è tuo padre che ti imbecca e vuole la mia rovina. Ma a tuo padre, di te, non è mai importato nulla. Sei proprio una stupida, se pensi che ti sarà riconoscente, se fai il suo gioco...” sibilò Pandolfo.

Ma Violante, pur ribattendo nella sua mente con un doloroso: 'hai ragione, a lui, di me, non gliene è mai importato nulla, o non mi avrebbe dato in sposa a un mostro come te', restò in silenzio e così l'uomo uscì schiumante di rabbia e frustrazione, diretto a suo incontro con il messo veneziano.

 

Caterina era rimasta molto ben impressionata da come suo fratello Piero stesse tenendo in vita la rocca di Forlimpopoli. Era efficiente, ordinata, pulita e molto attiva. In più, e la donna se ne rese conto con mal celato orgoglio, i soldati che vi militavano sembravano adorare il Landriani.

Arrivata la sera, la Contessa decise di restare per cena, anche se appena finito il pasto voleva tornare a Ravaldino.

Così, mentre imbruniva, lei e il fratello si andarono a sistemare per un po' in una stanzetta tranquilla, bevendo del prunello caldo e mangiando qualche pezzo di carne salata, per preparare lo stomaco alla cena e parlare in tranquillità.

“Hai ancora quella donna di cui mi hai parlato l'ultima volta?” chiese la Sforza, versandosi da bere e osservando un momento la saletta.

Pur essendo in una rocca militare, era ben arredata, con gusto, ricordando un po' lo stile che sua madre Lucrezia aveva cercato di dare alla rocca di Imola, quando viveva là con il marito.

Piero si grattò la nuca, gli occhi chiari che si illuminavano in modo inequivocabile, e poi rispose, arrossendo un po': “Sì, lei c'è sempre. Non può venire alla rocca troppo spesso, ma suo marito lascia la città per lavoro abbastanza di frequente, e quando lui non c'è, lei viene qui da me.”

La Tigre fece un sorriso un po' tirato. Era contenta di sapere che suo fratello non fosse del tutto solo, ma una donna sposata non era certo la sistemazione ideale. Era comunque una vita a metà, anche se, forse, il suo ruolo di castellano non gli avrebbe permesso di meglio.

“E...” la donna si schiarì la voce, un po' a disagio, ma decisa a capire il più possibile quanto suo fratello fosse legato a Forlimpopoli e all'amante: “Avete... Avete figli?”

Il Landriani scosse il capo: “No, no, cerchiamo di... Di non averne, insomma, di starci attenti. E suo marito, per fortuna, non la cerca più di tanto, quindi per il momento no, non ci sono bambini.”

“Meglio così.” soffiò la Contessa, lasciando scivolare in gola una sorsata generosa di liquore.

Il castellano non seppe come interpretare di preciso quella considerazione, ma si trovò comunque d'accordo: “Sì, meglio così.”

Seguì qualche minuto di tregua, che i due passarono mangiucchiando qualcosa e scambiandosi qualche breve commento di circostanza.

Poi fu Piero a riprendere la parola: “Come stanno i tuoi figli?”

“Bene, bene...” rispose di reazione la donna, salvo poi accigliarsi e scendere nel dettaglio: “Il mio primogenito Ottaviano, che ha vent'anni ormai, passa le sue giornate a non fare nulla. Al massimo corre dietro le gonne di qualche ragazza, anche se da che è morto Manfredi pare si sia dato una calmata.”

Il Landriani aveva sentito cose orribili su quel ragazzo, ma non voleva alimentare il fuoco che intuiva ci fosse sotto la cenere. Era lampante che sua sorella stesse minimizzando su di lui e, che se avesse parlato più liberamente, si sarebbe lasciata andare in sproloqui e accuse. In fondo, tutti sapevano che era stato proprio il giovane Riario la causa principale della morte di Giacomo Feo.

“Cesare sta aspettando il mio permesso di andare a Roma. Non vorrei lasciarlo partire, in un momento così, ma devo fidarmi. In fondo è mio figlio, devo fidarmi. Devo e basta.” deglutì la Sforza: “Bianca è brava. Studia, sa fare tante cose e se la caverà, comunque vada.”

“Hai trovato un modo per non mandarla a Faenza?” chiese il castellano, mandando giù un pezzetto di carne.

Quello era un nervo scoperto, per la Contessa. Dopo la morte di Manfredi, il suo piano di sganciare la figlia in modo definitivo da Astorre era momentaneamente naufragato e non ne aveva ancora trovato uno di riserva.

“Per ora no – ammise – ma confido che la guerra che sta per scoppiare metta in secondo piano questa storia. Mi piacerebbe che Bianca trovasse qualcuno che le piace, qualcuno che ama, tutto qua.”

Il Landriani non avrebbe voluto essere troppo indaginoso, ma i pettegolezzi arrivavano anche nel mondo chiuso della sua rocca e così, un po' sciolto dal liquore, domandò: “Che tu sappia ha già qualcuno?”

La Leonessa trovò quella domanda particolare. Forse era anche la sua storia personale che faceva parlare in quel modo suo fratello. Aveva da parecchio tempo una relazione con una donna sposata, quindi forse non avrebbe trovato troppo scandaloso pensare che anche la nipote, per quanto formalmente impegnata, cercasse sollievo in un amante.

“Non lo so, ma non credo. Certo, non ho idea di quanta esperienza abbia di preciso mia figlia, né quanto si sia spinta in là... Ma so per certo che ha una discreta dimestichezza ad avvicinare gli uomini.” constatò Caterina, ricordandosi con una strana stretta allo stomaco di tutte le volte in cui l'aveva trovata nascosta in qualche anfratto della rocca con un ragazzo, e, soprattutto, di quando l'aveva vista sul pianerottolo delle scale con un soldato, impegnata in uno scambio di effusioni molto meno innocente del solito: “Quindi immagino che se qualcuno le piacesse davvero, non avrebbe problemi a...”

Piero non commentò, interrogandosi silenziosamente su cosa passasse nella testa della sorella in quel momento, ma la Contessa riprese quasi subito a parlare, non dandogli altro tempo per pensarci.

“Galeazzo invece è già un signore.” fece la donna: “È un ragazzino, ma ha le doti che servono a un uomo di comando e, se Dio vuole, non avrà addosso l'irrequietezza che ho io e che ho passato a Ottaviano.”

'E forse anche a Bianca' soggiunse solo nella sua testa.

“Sforzino studia con profitto, è molto appassionato di teologia e confido nel fatto che, quando sarà un po' più alto, i suoi parenti in Vaticano gli trovino un posto che gli consenta di vivere bene e tranquillo.” continuò il suo elenco la Sforza: “Giovannino, invece, ha da poco compiuto un anno, ma è molto sveglio. Temo non abbia un carattere facile, ma... Confido che crescendo somigli più a suo padre che non a me.”

“E Bernardino?” chiese il castellano, sistemandosi un po' sulla sedia, accorgendosi con un po' di sorpresa di come la sorella l'avesse saltato a piè pari.

Caterina sospirò e disse solo: “Vorrei essere capace di stargli più vicino, ma assomiglia così tanto a Giacomo da rendermi difficile farlo. Ogni volta che l'ho vicino, non riesco a non ricordare suo padre e il modo in cui me l'hanno ucciso.”

Facendo un collegamento forse un po' azzardato, il giovane chiese: “E come stai, adesso, dopo quello che è successo a Manfredi? Avrei voluto scriverti qualcosa per consolarti, ma non sono bravo con le parole...”

La Tigre si morse il labbro un paio di volte, prima di liquidare la questione rispondendo: “Ha fatto una fine orribile e io sono rimasta di nuovo sola, ma non posso fermarmi di nuovo a piangere, devo andare avanti, o di questo passo non farei altro che disperarmi dall'alba al tramonto. Quindi cerco anche io consolazione, se è questo che vuoi sapere. Le voci che di certo hai sentito su di me sono vere. Non mi piace passare la notte da sola.”

Il Landriani evitò di mettere il dito nella piaga e tacque. Gli piaceva, poter parlare liberamente con sua sorella. Dopo tanti mesi passati in una rocca piena di soldati, con solo la sua amante come confidente vera e propria, gli mancava una voce femminile con cui confrontarsi.

“Ti ricordi nostra sorella Chiara?” chiese Caterina, deglutendo e cambiando discorso di colpo.

Il giovane si fece serio e annuì: “Certo che me la ricordo. Non ho più avuto sue notizie, però...”

“Mi ha scritto. Vuole che le dia ospitalità. Credo stia scappando da qualcosa o qualcuno, o abbia problemi di qualche tipo, ma non mi ha anticipato nulla.” sollevò le spalle lei: “Le ho fatto sapere che le darò asilo, ma sinceramente spero che non mi crei problemi.”

“Perché sei qui, Caterina?” domandò a sorpresa Piero, accigliandosi.

Era fin dall'arrivo della sorella che si poneva quella domanda. Sì, aveva voluto ispezionare la rocca, controllare l'arsenale, contare personalmente i sacchi di grano nella dispensa e le botti di vino, passare in rassegna i soldati... Ma quel controllo estemporaneo al Landriani suonava stonato. Era come se sentisse che la Leonessa fosse lì per un motivo preciso, ma che non trovasse il modo di arrivare al punto.

Sentendosi scoperta, la donna annuì e, con un sospiro, si apprestò ad affrontare il quesito che l'aveva portata a Forlimpopoli: “Sta per scoppiare una guerra, ne sono più che certa, e ci schiacceranno. Non ci sarà alcuna via di salvezza, se non riesco a far sollevare gli altri signori di Romagna tutti assieme come un sol uomo. Possiamo solo prendere tempo e cercare di salvare l'onore e il nostro nome. Chi resta, è votato alla disfatta.”

Piero restò in silenzio, le mani che iniziavano a sudare e la gola che si seccava. Cercò sollievo nel prunello, ma la voce della sorella lo aveva messo in agitazione. Si era quasi aspettato qualcosa del genere, ma sentirle usare quel tono gli metteva i brividi.

“Ho deciso di sostituire tuo padre, a Imola, non appena l'uomo che ho scelto avrà portato a termine una missione molto delicata che gli ho appena affidato. Voglio che nelle mie rocche ci siano castellano pronti a tutto e tuo padre, con la sua età e i suoi dispiaceri, non riuscirebbe a resistere.” si mise a dire Caterina: “E sono qui per sapere se devo sostituire anche te.”

“Io... Io sono bravo nel mio lavoro. Posso resistere.” fece subito il giovane, gonfiando un po' il petto, sentendosi accusato senza motivo di incapacità.

“Non voglio sapere se puoi resistere, ma se vuoi resistere. È una cosa diversa.” continuò la Sforza, le iridi verdi che cercavano quelle chiare del fratello: “Non ti giudicherei un vile, se dovessi dirmi di no. Anzi, se potessi dirti io che fare, ti direi di prendere la donna che ami e portarla lontana da qui, prima che si scateni l'inferno.”

“Mi stai ordinando di lasciare il mio posto?” chiese lui, sulla difensiva, appoggiando il bicchiere di prunello e stringendo le mani l'una nell'altra per non mostrare il loro lieve tremore.

“No, non ti sto ordinando nulla. Ti sto solo chiedendo cosa intendi fare.” mise in chiaro la Tigre, sistemandosi una ciocca di capelli bianchi dietro l'orecchio: “Perché devo saperlo. Se volessi andartene, e come sorella lo preferirei, perché vorrei averti al sicuro, devo avere il tempo di trovare un buon sostituto. Se invece vuoi rimanere, e come capo dell'esercito ne sarei felice, devo saperlo allo stesso modo, perché allora devo cominciare a coinvolgerti più strettamente nelle operazioni di preparazione alla difesa.”

Il Landriani appariva confuso. Era spaventato e indeciso. Era ragionevole, il suo tentennamento, e Caterina sperava con tutta se stessa che prendesse una decisione dettata dal cervello e non da altro.

“Prenditi pure qualche giorno per pensarci, non c'è fretta.” provò a dirgli, allungando una mano e posandola su quelle di lui, avvertendone la leggera scossa che le attraversava: “Basta che tu me lo faccia sapere entro la metà del mese.”

Piero fece un paio di respiri fondi. Sentiva il calore della mano della sorella, salda e decisa, molto più delle sue, e fu quel dettaglio a dargli la forza di dire subito quel che in fondo aveva deciso già in partenza.

“Io resto.” soffiò: “Sono un soldato, sono al tuo servizio e sono tuo fratello. Io resto.”

La Sforza si sentì commossa dalla voce accorata del Landriani e così, sollevando l'angolo delle labbra, ribatté: “Grazie.”

“Solo una cosa...” soggiunse lui, mentre la sorella ritirava la mano: “Quando la guerra arriverà davvero, ti prego, fammi sapere in anticipo quando il pericolo sarà alle porte. Voglio che la donna che amo si salvi e quindi per allora voglio trovarle un posto sicuro, ma voglio anche poterla tenere accanto a me fino all'ultimo momento possibile.”

“Non preoccuparti, ti scriverò o ti farò scrivere per ogni novità rilevante. Da oggi ti terrò informato su tutto.” promise Caterina e, versando da bere a entrambi, sollevò il calice, felice di vedere come nel risponderle con il medesimo gesto, il braccio di Piero non tremasse più.

 

“Parlate così solo perché Vincenzo Naldi è stato lodato al Consiglio dei Pregadi da Giacomo Venier, e Melchiorre Ramazzotto è stato osannato sia da Venier sia Lorenzo Giustiniani. Ma loro, in questa guerra, non hanno fatto né più né meno di quello che ho fatto io, eppure a loro concedete tutto, mentre a me fate le pulci per mille ducati che vi chiedo!” sbottò il Pandolfaccio, esausto dopo un pomeriggio di contrattazioni che, arrivata la sera, non erano ancora state portate a termine.

“Voi chiedete mille ducati del vostro stipendio, ma la guerra con Firenze è finita e il Doga non ha interesse a stipendiarvi ancora.” ribadì il messo veneziano, almeno per la quindicesima volta.

“Ascoltate bene o mi fate perdere la pazienza...” riprese il Malatesta, alzandosi di scatto, i lunghi e unti capelli neri che gli coprivano in parte il volto, rendendolo ancora più minaccioso: “Il papa mi ha già mandato una bolla con cui si dice che il mio Stato ha troppi debiti con il Vaticano e se io non trovo i soldi per il pagamento arretrato del censo allo Stato della Chiesa, allora verrò scomunicato e mi verrà tolta Rimini e Barbarigo dovrà dire addio al suo scudo contro la risalita dei fiorentini!”

“Il papa non vi scomunicherà per qualche tassa non pagata...” sogghignò il Serenissimo, che si chiedeva come potesse quel Pandolfo essere tanto ingenuo: “E Venezia non perderà nessuno scudo.”

“Ma... Ma io...” il signore di Rimini sentì la voce morirgli nel petto, quando incrociò lo sguardo del suo interlocutore.

Le sue pupille erano fonde e derisorie, le sue labbra sottili incrinate in modo beffardo, perfino il suo modo di stare seduto denunciava tutta la sua ilarità nel continuare quella trattativa.

Il veneziano sapeva molto bene quanto il Doge stesse brigando con la Francia e aveva capito che le intenzioni del papa erano molto ben delineate, che i debiti venissero saldati o meno. Il Malatesta gli pareva tanto un pesce che si dibatteva in una rete, avviluppandosi sempre di più nella trappola che l'avrebbe asfissiato.

“Comunque – concluse il Serenissimo, con un sonoro sbadiglio – si è fatto troppo tardi, per me. Vi prometto che farò avere al Doge la vostra richiesta, ma mi permetto di dirvi che difficilmente verrà accolta.”

Pandolfo lo guardò uscire dalla sala, senza avere la forza di trattenerlo o di aggiungere altro. Gli pareva, all'improvviso, di aver parlato per ore con un muro. Si era illuso di averlo convinto, di averlo spaventato, addirittura, ma, rimasto solo, si rese conto di aver preso parte a una pantomima che lo vedeva nel ruolo del turlupinato.

Si prese qualche momento per sbollire dalla rabbia e poi, uscendo, ringhiò a uno dei soldati che stava sulla porta di fargli preparare subito qualcosa di mangiare e di servirglielo in camera: “E devi dire ai servi di fare in fretta, perché ho fame e perché poi devo andare da mia moglie.” precisò.

 

“No, no, preferisco tornare a Ravaldino...” disse Caterina, quando lei e suo fratello erano già nelle stalle della rocca di Forlimpopoli: “Ho lasciato detto che sarei tornata in serata.”

La cena era stata abbastanza frugale, ma la donna l'aveva apprezzata in modo particolare. Piero l'aveva fatta servire direttamente nel suo alloggio, e così i due avevano rifuggito un po' la confusione della truppa.

Era già abbastanza tardi e il cielo era scurissimo, senza nemmeno un stella. La Sforza annusò l'aria, e le parve che ci fosse una sfumatura che promettesse pioggia.

“Come preferisci.” fece il Landriani, un po' deluso.

Avrebbe voluto tenersi vicina la sorella ancora per un po', almeno fino al mattino dopo, anche se non avessero passato la notte a chiacchierare. Gli sarebbe bastato saperla sotto il suo stesso tetto. A volte si sentiva malinconico e solo. La vita del castellano, costretto a restare nella rocca sempre, senza mai uscirne, in momento come quello gli pesava molto.

Caterina gli sorrise e gli diede un buffetto sulla guancia. Era giovane, bello e intelligente. Se la loro madre fosse stata ancora viva, sarebbe stata fiera di vederlo e in un certo senso, come sorella maggiore – più vecchia di non pochi anni – la Contessa si sentiva in qualche modo responsabile per lui.

Stava quasi per dirgli di rifiutare, di cambiare idea, di lasciare il suo posto e mettersi al sicuro, di evitare di sacrificarsi in nome dell'onore o del loro legame di sangue, quando lo stalliere arrivò a dire: “Il vostro cavallo è pronto, mia signora.”

Distratta dalla voce profonda del ragazzo, la Tigre si ridestò dai suoi pensieri. Voltandosi verso di lui, restò colpita dal suo profilo deciso e dal suo fisico prestante.

Piero, schiarendosi la voce, riconobbe il modo in cui la sorella stava guardando lo stalliere e così, nella speranza di poterla trattenere fino al mattino dopo, per poter condividere con lei anche la colazione, si chinò verso di lei e le sussurrò: “Ti assicuro che se lo vuoi, non si tirerà indietro.”

La Leonessa lanciò un'occhiata di sguincio al fratello, indecisa se essere offesa o contenta di quella complice dritta, e poi, guardando di nuovo lo stalliere, che le stava sorridendo, visibilmente interessato, disse al Landriani: “Manda un messaggio a Ravaldino, dicendo che passerò qui la notte.”

Il castellano batté le mani, felice e poi sussurrò qualcosa nell'orecchio anche al ragazzo, che la Sforza vide, malgrado la luce incerta delle torce, arrossì violentemente, per poi annuire con una certa baldanza.

“Vado a scrivere il messaggio!” esclamò Piero: “Vi lascio soli... Ah, Caterina, va bene la stanza dell'ultima volta? Se vuoi la faccio rinfrescare un momento...”

La donna annuì e poi, mentre il fratello si allontanava, si rivolse allo stalliere: “Non voglio sapere cosa ti ha detto, ma sappi che se non sei d'accordo, io non insisto.”

Il ragazzo fece una risata bassa e ribatté: “Lasciatemi solo il tempo di togliere i finimenti al vostro stallone e sarò da voi...”

“Con calma.” soffiò la Contessa, accorgendosi con un strana soddisfazione, di non essere minimamente in imbarazzo per quella strana situazione: “Tanto dobbiamo aspettare che ci rinfreschino la stanza...”

 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas