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Autore: giambo    30/01/2019    5 recensioni
Crescere è una sfida difficile. Lo sa Naruto, lo sa Hinata così come lo sanno tutti i loro compagni ed amici di Konoha. Eppure, in un mondo che sta vivendo una pace con ancora troppi lati oscuri, essi dovranno imparare a diventare adulti, ad affrontare i propri demoni, le proprie paure, ed anche i propri fallimenti. Con la consapevolezza che una coppia non si costruisce in una notte di passione sfrenata, ma giorno dopo giorno, affrontando le sfide della vita, consci delle proprie forze e delle proprie debolezze.
Raccolta di One-Shot incentrata sulla coppia Naruto/Hinata, ma con ampi spazi dedicati alle altre coppie canoniche del manga, con in più qualche sorpresa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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The Biggest Challenge

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Perdono

parte terza

 

 

 

Hinata si sentiva strana, come sospesa in una bolla, distante da tutto. Vedere Naruto davanti alla porta di casa che le sorrideva, chiedendole di parlare, era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata. Parlare con lui era ciò che desiderava fare, ma non immaginava che ciò accadesse a mezzanotte passata nella loro cucina.

Invece erano lì, seduti uno di fronte all’altro, incapaci di guardarsi in faccia per l’imbarazzo, il silenzio rotto solo dal ronzio degli elettrodomestici.

“Scusa per l’orario.” esordì il biondo, alzando gli occhi per cercare quelli di lei. “Ma non volevo che i bambini fossero svegli. Sarebbe meglio evitare di…” usare la parola ‘discutere’ non gli sembrava una buona idea, quasi temesse di incanalare quell’incontro sui binari sbagliati, ma Hinata non sembrava ancora capace di spiccare parola, intenta com’era ad osservarsi le mani.

“Stanno bene?” a parlare fu nuovamente lui, spinto dal desiderio spasmodico di salire ad abbracciare i suoi figli, la cosa più preziosa che possedeva. “Boruto e… Himawari?”

Udire quel nome sembrò riscuotere la kunoichi, la quale alzò di scatto lo sguardo, irrigidendo l’espressione sul proprio volto.

“Stanno bene.” la voce di quest’ultima era bassa, quasi un sussurro. “Boruto ha chiesto molto di te. Ho dovuto dirgli che eri occupato con il lavoro.”

L’Uzumaki sentì una fitta allo stomaco al pensiero del suo primogenito che chiedeva di lui, obbligando la madre a mentirgli.

“Mi dispiace.” osservò. “Non era mia intenzione che questo acc…”

“Eppure è accaduto.” non c’era alcun tono accusatorio nella voce di Hinata, quanto più rassegnazione.

Cadde nuovamente un silenzio teso tra i due. Naruto non riusciva più a ricordarsi le parole che si era ripetuto fino alla nausea. Percepiva il proprio cervello come un lenzuolo bianco, piatto, incapace di ragionare, limitandosi a fissare Hinata con espressione imbarazzata.

Che figura di merda.

“E tu… tu come stai?” domandò d’impulso, sentendo il bisogno di rompere il silenzio che si era venuto a creare. Si pentì un istante dopo di averlo fatto: era ovvio che Hinata non avesse passato giorni sereni.

“Vorrei risponderti che sto bene, ma sarebbe una bugia.” lo sguardo chiaro della donna si tinse di tristezza, rivelando al marito un’enorme stanchezza. “Ultimamente ne ho dette troppe.”

“Hina-chan… io…”

“Naruto.” la kunoichi lo bloccò subito, proseguendo a guardarlo dritto negli occhi. “Sono felice che tu abbia deciso di venire qui, dico davvero.” il suo sguardo tornò duro, le labbra strette in una linea inespressiva sottile. “Ma prima che tu parli, devo dirti una cosa.”

Naruto sentì le proprie budella liquefarsi dal terrore. Nei secondi successivi, la sua mente fu bombardata dalle ipotesi peggiori: Hinata che lo lasciava, Hinata che era incinta di qualcun altro, Hinata che voleva sposarsi con Kurama. Era arrivato all’orribile momento in cui il demone gli chiedeva di fargli da testimone di nozze, quando la Hyuga parlò nuovamente, pronunciando una singola parola.

“Scusami.”

Naruto fu sicuro di non aver sentito bene. Si limitò a guardare con sguardo da pesce lesso la consorte, gli occhi grandi come piattini da tè, mentre il significato di quella singola parola lo frastornava come un cazzotto in faccia.

“C-come?”

Hinata fece un profondo respiro. Anche per lei non era facile affrontare quell’argomento. La sua mente volò indietro nel tempo, trasportata dall’amarezza e dal senso di colpa, trascinandola a quel giorno maledetto.

 

 

“Missione zero uno otto cinque: Controllo dei movimenti e delle azioni del Jinchuuriki Uzumaki Naruto.”

Hinata era certa di aver capito male. Rimase rigida, lo sguardo fisso sui Consiglieri che la fissavano con fare impassibile.

“Io… io temo di non aver compreso.” mormorò, muovendo appena le labbra. “Perché dovrei spiare Naruto-kun?”

Koharu le lanciò un’occhiata talmente fredda da causarle un brivido incontrollato lungo il filo della schiena.

“Si tratta di una missione estremamente importante per la sicurezza del Villaggio.” esordì l’anziana kunoichi. “Benché tutti noi riconosciamo i meriti del Jinchuuriki Uzumaki nella guerra appena conclusasi, non possiamo dimenticare ciò che vive dentro di lui.”

“Ma il Kyuubi non è un nemico… non più.” ribatté titubante la Hyuga. “E poi… Naruto-kun non ci farebbe mai del male.”

“Il Kyuubi è una creatura violenta, mentalmente instabile e piena di rancore contro la Foglia.” replicò seccamente Koharu. “Se venisse a sapere gli effetti che la guerra ha avuto su tutti noi… la sua pazzia potrebbe incanalarsi attraverso il dolore del suo Jinchuuriki.” la consigliera si sistemò gli occhiali, fissando con fermezza la ragazza. “Non possiamo correre questo rischio. Contro Pain siamo stati fortunati, sarebbe da sciocchi pensare di esserlo una seconda volta.”

Hinata volse lentamente lo sguardo, alla ricerca di un volto amico, di qualcuno che fosse d’accordo con lei sul fermare quella pazzia. Saltò il volto di Homura, il quale aveva fino a quel momento annuito alle parole della collega, cercando aiuto negli sguardi di Tsunade e Shikamaru. Il Quinto Hokage aveva un’espressione corrucciata sul viso, ma non sembrava decisa a dare battaglia su quel punto, mentre il Nara teneva gli occhi chiusi, quasi fosse addormentato.

Disperata, la kunoichi indirizzò il proprio sguardo su quello del Sesto Hokage, il quale ricambiò con fare impassibile.

“Kakashi-Sensei… lei non può… non può essere d’accordo, vero?”

“Naruto ha sofferto molto, e non solo da un punto di vista fisico negli ultimi tempi.” rispose Kakashi con voce calma e profonda. “Non si è ancora ripreso del tutto, e credo che sia meglio per lui rimanere fuori da ciò che accadrà a Konoha nei prossimi mesi. Non possiamo chiedere altro a Naruto.”

Hinata si morse il labbro inferiore. Sentiva il bisogno spasmodico di parlare, di urlare che Naruto era forte, che non aveva bisogno di essere circondato da un mare di bugie, che tutto questo non avrebbe fatto altro che ferirlo, causandogli nuovo dolore. Eppure la voce le rimase incastrata in gola, bloccata dai muscoli contratti del collo, soffocata dalla logica implacabile dell’Hokage e dei suoi consiglieri.

“Se non lo farai tu, lo chiederemo a qualcun altro.” osservò con voce inflessibile Homura. “Ovviamente, dovrai giurare che non una parola di ciò che abbiamo detto uscirà da questa stanza.”

Era pronta a mentire per Naruto? A dare via la propria integrità morale per il ragazzo che amava? La mente di Hinata fu colpita dal ricordo di Neji in punto di morte, capace di dare la vita per salvarla. Lei era forse da meno? Avrebbe continuato a vivere nell’ombra di suo cugino anche ora che non c’era più?
Deglutì a vuoto, ripetendosi che tutto quello era solo per il suo bene, per proteggere il ragazzo che amava.

“Come desiderate.”

Le parole le uscirono in un roco sussurro, facendola sentire sporca, meschina, una persona indegna di poter rivolgere di nuovo la parola a Naruto, al quale chiese mentalmente perdono.

Non sarebbe stata la prima volta.

 

 

Tenne lo sguardo basso, mordendosi il labbro inferiore. Anche a distanza di così tanto tempo, il ricordo della sua vergogna più grande bruciava come un tizzone dentro di lei. L’aveva tenuta nascosta per anni, tentando di rimuoverla dalla mente, ma in quei giorni non aveva potuto fare a meno di pensarci. Quando Naruto aveva scoperto che era stato ingannato per sei anni non l’aveva accusata di nulla, non le aveva rinfacciato le sue colpe. Lei invece l’aveva fatto. Poteva davvero definirsi una persona migliore di lui?

“Quando io ti mentii… riguardo alla mia missione di spiarti, tu non hai mai osato accusarmi di ciò.” gli spiegò con voce bassa. “Mi hai perdonato subito, senza mai farmelo pesare.” strinse le mani, decisa a liberarsi di quelle parole. “In fondo, io non sono migliore di te… e per questo voglio chiederti scusa.”

“Sono cose completamente diverse! Come puoi pensare che…”

“Sono la stessa cosa invece!” lo bloccò la Hyuga. “Tu avevi fiducia in me, proprio come io ne avevo in te, ma la differenza è che tu sei stato capace di perdonarmi senza pensarci due volte.” si morse il labbro inferiore, faticando da morire nel tenere lo sguardo alto, fisso su di lui. “Io no.”

“No!” il monosillabo fu pronunciato con forza dal Jinchuuriki. “Non accetto queste scuse! Tu l’hai fatto per proteggermi, è stato un gesto altruista. Io invece… ho solo pensato a me, senza chiedermi se fosse giusto o meno, decidendo addirittura il nome di nostra figlia senza interpellarti!”

“Ma non capisci?! È proprio questo il punto!” ribatté Hinata. “Non è importante cosa abbiamo compiuto ai danni dell’altro, e neanche le motivazioni che vi stavano dietro. Mi piacerebbe sapere il motivo per il quale hai baciato questa donna, ma cosa cambierebbe nella nostra relazione? Sarebbe davvero così fondamentale che tu mi informassi di ciò? Modificherebbe forse il passato?”

“No, ma penso che…”

“Il punto è che abbiamo entrambi rotto il patto di fiducia che ci eravamo fatti.” proseguì la Hyuga, non permettendogli di finire. “La vera differenza che conta non è cosa ci ha portato a compiere quei gesti, ma la nostra reazione nello scoprirli. Tu sei stato capace di accettare l’idea che io ti abbia spiato per sei anni, mentre io ho trovato intollerabile che tu abbia avuto un momento di debolezza, nonostante in questi anni ti sia dimostrato un padre eccezionale, mostrandomi con i fatti il tuo desiderio di costruirti una famiglia assieme a me.”

Naruto fu costretto a richiamare tutto il proprio autocontrollo per non spalancare la bocca come un idiota, ancora una volta incredulo di quanto Hinata fosse incredibile. Aveva sempre saputo che era una donna intelligente e determinata, ma fare sfoggia di un simile ragionamento era sinonimo di qualcosa molto più profondo: saggezza.

“Io…” si passò la protesi tra i capelli, nel tentativo di riordinare i pensieri, spiazzato dalla piega che la conversazione aveva preso. “Posso capire quello che intendi… ma davvero possiamo liquidare così la mia colpa? Davvero non ti senti ferita dal mio comportamento? Ho infranto le nostre promesse di matrimonio, ho donato un nome a mia figlia che per te significa solo tradimento ed umiliazione. Come puoi passare sopra tutto questo, giustificandolo con ciò che hai commesso anni fa?”

“Perché le conseguenze del mio gesto furono molto più tragiche.” rispose con semplicità Hinata. “Hai forse dimenticato che andai in coma per oltre un mese? Quando ero già incinta di Boruto? Ho rischiato di non far venire mai alla luce nessuno dei nostri figli. Davvero credi che la mia decisione di tenerti all’oscuro di tutto ciò che accadeva attorno a te sia migliore della tua? Tu stavi lottando per la tua famiglia, io ho rischiato che quest’ultima non venisse mai creata.”

“Ma quello sarebbe accaduto lo stesso!”

Hinata sorrise, ma il suo fu un sorriso nostalgico, dettato dai ricordi.

“Dubito che mi avresti fatto partecipare a missioni così pericolose se ne fossi stato informato. Avresti fatto fuoco e fiamme per proteggermi.”

Naruto non osò ribattere, punto nel vivo. Era vero, non avrebbe mai acconsentito che Hinata rischiasse la vita in quel modo.

“Io…” per l’ennesima volta, l’Uzumaki non fu capace di riordinare la propria mente, sconvolto dall’atteggiamento della moglie. Era quasi ridicolo che ora fosse lui ad accusarsi e lei a scagionarlo, ma aveva imparato da tempo ad aspettarsi di tutto da sua moglie, anche che gli perdonasse senza battere ciglio il suo inqualificabile comportamento.

“Cosa ti aspetti da me, Hinata?” mormorò infine. “Vuoi davvero chiudere questa faccenda così? Tornare alla normalità come se niente fosse accaduto?”

“Non ho mai detto questo.” rispose la Hyuga. “Sono ancora molto arrabbiata, e sicuramente non sarà facile per me accettare l’idea che mia figlia porti il nome della donna che ti ha indotto ad infrangere la nostra promessa di matrimonio.” Naruto sembrò sul punto di parlare, ma preferì rimanere in silenzio. “Quello che intendo dire è che non avrei mai dovuto cacciarti di casa in quel modo.”

“Quindi cosa proponi?”

Hinata chiuse per un istante gli occhi, indecisa per la prima volta da quando aveva cominciato quella discussione. Era davvero convinta di quello che stava per proporre? Il suo matrimonio con Naruto-kun era così forte da superare anche quella prova?

Sì.  Aprì di scatto gli occhi, decisa ad andare fino in fondo. Ne sono convinta.

“Io credo… che la soluzione migliore sia che torni qui, con la tua famiglia.” le parole uscirono pesanti come macigni dentro la cucina, colpendo con la violenza di uno tsunami l’Uzumaki. “Non sono ancora sicura di volerti perdonare, ma credo che l’unico modo per scoprirlo sia tentare di ricostruire… la nostra quotidianità.”

Naruto non rispose. Ritornare a casa dalla sua famiglia, con la possibilità di ripartire da zero era magnifico, ciò che neanche nei suoi sogni più intimi avrebbe sperato. Sarebbe bastato dire di sì, annuire, e tutto sarebbe tornato alla normalità. Hinata avrebbe ricominciato ad essere sua moglie, sarebbe tornato a passare le serate con Boruto e Himawari e la notte con la donna che amava. Gli ultimi cinque giorni sarebbero svaniti nell’oblio dei brutti ricordi, qualcosa che non sarebbe mai più emerso.

Allora perché non parlava? Perché non riusciva a trovare la forza di pronunciare quel semplice monosillabo?

No. inspirò lentamente, accettando l’idea di non poter rispondere affermativamente alla moglie. Non potremo mai tornare alla normalità in questo modo. Rimarrà sempre questo ricordo a perseguitarci, ed alla fine ci distruggerà.

Scosse la testa, tenendo lo sguardo fisso sulla compagna. Quest’ultima rimase stupita da quella risposta, spalancando i propri occhi.

“Non posso accettare, Hinata.” mormorò. “Non posso tornare qui senza aver fatto prima ammenda dei miei errori.”

“Ti ho già detto che non mi importa!”

“Importa a me.” replicò con voce amara l’Uzumaki. “So che stai mentendo. Potrai sforzarti quanto vuoi, ma alla fine il dubbio ti corroderà, fino a distruggere definitivamente la nostra famiglia.” sorrise, un sorriso freddo, privo di gioia. “E non è quello che voglio.”

“Cosa proponi, allora?”

Naruto tacque, alla ricerca delle parole giuste. Alla fine, era riuscito a portare la discussione dove voleva. Doveva solo tirare fuori il coraggio e chiudere quella faccenda definitivamente.

“Voglio raccontarti di Himawari.” dichiarò con voce bassa ma convinta di ciò che diceva. “Ti dirò ogni cosa, ogni sensazione che ho vissuto, tutto quello che è accaduto. Non ti nasconderò nulla, te lo prometto.” non vide nessuna reazione nel volto della moglie, e non seppe se esserne preoccupato o felice. “Se alla fine del mio racconto… mi vorrai ancora nella tua vita, non muoverò più alcuna obiezione.”

Cadde il silenzio. Hinata teneva lo sguardo fisso sul volto dello shinobi, quasi cercasse di capire se le sue parole fossero sincere. Quest’ultimo accettò quel contatto quasi con gioia, perdendosi nelle iridi pallide della moglie, desiderando ardentemente rimanere così per ore, a guardarla in faccia, lasciandosi alle spalle tutte le preoccupazioni che gli avvelenavano la mente.

“Ti ascolto.” le parole uscirono flebili dalle labbra della Hyuga, quasi un sospiro. Naruto comprese che era il momento di dire quella verità che aveva tenuto nascosto per tre anni.

Era destino che finisse così.

Le parlò di Himawari. Le raccontò dei suoi ideali, del suo passato difficile, di come si fosse sentito compreso dalle sue parole, dal suo desiderio di aiutare coloro che avevano perso così tanto a causa della Grande Guerra. Non nascose nulla, elencandole i dubbi che lo avevano afferrato in quella lunga estate passata tra i ribelli, di come sentisse il rispetto e l’affetto per loro crescere giorno dopo giorno, fino a spaccarlo in due, rendendolo incapace di prendere una decisione.

Quando fu il momento di narrare del bacio, Naruto non cercò scuse. Fu sincero, quasi brutale nel dire come in quegli istanti era stata una sua scelta quella di baciarla, così come lo fu quella di tradirli tutti, per il bene del Villaggio e della sua famiglia.

“Non è stato bello.” concluse dopo aver parlato di come Himawari fosse spirata tra le sue braccia. “Non ne vado fiero e non mi considero un eroe, o un uomo che ha fatto solo il suo dovere.” contrasse le labbra. Con l’avanzare della sua storia si era reso conto che gli ci era voluta molta più forza di quanto si era immaginato. Desiderava solo qualcosa che gli facesse passare la nausea ed un letto dove dimenticare i suoi problemi per qualche ora. “In questi anni, mi sono sempre ripetuto che è stato per Boruto che ho trovato la forza di fare quello che ho fatto. Con quale coraggio potevo dire di averlo fatto per te, dopo aver tradito in questo modo la tua fiducia? Sarebbe stato da ipocriti affermare una cosa simile.”

Hinata non replicò. Da quando Naruto aveva iniziato a parlare non aveva mosso un muscolo, osservando in silenzio suo marito confessarle il proprio tradimento. All’inizio lo shinobi si era trovato a disagio di fronte ad una simile assenza di emozioni, ma alla fine aveva deciso che non gliene importava nulla. Sarebbe arrivato alla fine, liberandosi di quel dannato macigno.

“Mi piacerebbe dire che mi dispiace, che tutto questo è stato un errore, che ti amo e non succederà mai più.” ora la voce del Jinchuuriki era talmente carica di amarezza da fare spavento. “Ma ti mentirei. Non ho mai rinnegato ciò che c’è stato tra me ed Himawari, non ho mai smesso di rispettarla e non mi sono mai pentito di quel bacio. Potrai chiamarmi folle, idiota, imbecille che pensa solo con il suo pene; ma la cosa più assurda è che in tutti questi anni, io non ho mai smesso di amarti. Ecco, ora sai chi è veramente tuo marito: uno schifoso doppiogiochista, talmente ipocrita da non essere capace di capire ciò che gli passa per la testa, così vigliacco che si è ben guardato dal dirti tutto ciò tre anni fa, ingannandoti come un vero stronzo.”

Di nuovo silenzio. Naruto si chiese se sua moglie non avesse per caso perso la voce. Si ripromise di portarsi un tamburo la prossima volta che avesse dovuto affrontare Hinata in una discussione. Trovava intollerabile che l’unico rumore nella stanza fosse il ronzio degli elettrodomestici, impegnato com’era a fare in modo che il suo matrimonio non finisse a rotoli.

“Era bella?”

L’Uzumaki ci mise qualche istante a capire che era stata la kunoichi a parlare.

“Sì.” non indorò la pillola. “Aveva i capelli dorati, gli occhi azzurri ed un sorriso magnetico.”

L’aveva sparata grossa, ne era consapevole. Si aspettava che Hinata lo cacciasse di casa a calci, che gli urlasse addosso che non voleva più avere nulla a che fare con un porco come lui, che poteva scordarsi di rivedere i suoi figli. Lo trovava anche corretto. In fondo, lui le aveva appena detto che suo marito era una merda, perché mai lei avrebbe dovuto essere felice di aver sposato un simile individuo?

Tuttavia, la Hyuga non fece nulla di tutto ciò. Si limitò a sospirare, massaggiandosi le tempie, un’espressione di stanchezza a tracciarle i tratti del viso.

“Perché deve essere tutto così difficile, Naruto?” mormorò. “Per quale motivo hai dovuto complicare le cose in questo modo?”

Non rispose. Probabilmente, trovava quasi normale che la sua vita fosse perennemente complicata da cose di questo genere, se considerava che nel suo primo giorno di vita gli avevano impiantato un demone assassino dentro di sé.

“Tu capisci quello che hai appena fatto, non è vero?” riprese a parlare la kunoichi, sul viso un’espressione combattuta tra rabbia e stanchezza. “Mi hai appena detto che ho sposato un fallito.”

“Hinata, se non mi vuoi più vedere lo capisco. Anzi, posso già cominciare a prendere le mie cose e…”

“No, non stai capendo nulla, stupido!”

Naruto richiuse la bocca, sconvolto. Era la prima volta che sentiva parlare la moglie in quel modo.

“Perché devi sempre giustificarti, per quale motivo vuoi sempre apparire perfetto ai miei occhi?! Lo vuoi capire che non mi interessa che tu sia un eroe?! Quello che voglio al mio fianco è un uomo ed un padre, non un manichino da vetrina!” Hinata sembrava aver perso il controllo. Teneva gli occhi contratti per la rabbia, mentre le parole fluivano libere, come un torrente in piena. “Non mi importa nulla che tu sia un traditore, un assassino, oppure un porco. Io non sono da meno: sono la vergogna della mia famiglia, ho passato anni su anni a piangermi addosso, non sono mai stata capace di uscire dall’ombra di mio cugino e ho rischiato di morire per non aver avuto il coraggio di rivelarti che ti stavo spiando! Cosa vuoi che me ne faccia di un eroe?! Io voglio un uomo che mi ami e che ami i suoi figli, che si impegni sempre per migliorarsi ogni giorno. Il resto non mi interessa!”

Smise di colpo di parlare, facendo un profondo respiro, come se cercasse di riprendere il proprio autocontrollo. Naruto rimase immobile, attonito. Aveva sempre pensato ad Hinata come ad una persona determinata, gentile e profondamente controllata, incapace di lasciarsi andare in quel modo. Ora aveva appena visto sua moglie vomitargli addosso un fiume di parole cariche di amarezza e sollievo, come se non avesse desiderato altro per anni.

E lui cosa desiderava? Forse non lo sapeva più. Sentiva il bisogno di dormire per giorni, di svegliarsi finalmente senza occhiaie e vedere la sua famiglia che lo accoglieva con gioia. Era stanco di litigi, di dubbi, di preoccupazioni; era stanco di una vita che lo prosciugava lentamente, lasciandolo arido e vuoto, come un guscio abbandonato sulla battigia.

“Cosa vuoi, Hinata?” mormorò, passandosi la protesi tra i capelli. “Vuoi che torni a stare con te ed i bambini?”

La kunoichi annuì.

“Sì, voglio questo.” gli afferrò la mano sana, stringendola con forza. “Voglio riprovarci. Voglio potermi alzare la mattina e vedere che al mio fianco c’è un uomo, qualcuno consapevole di dover migliorare ogni giorno. E voglio che tu la smetta di farti del male con certi pensieri.”

C’erano molte cose che Naruto avrebbe voluto dire in quel preciso istante: che amava Hinata, che le sarebbe stato sempre grato per quell’amore incondizionato, che non si sarebbe risparmiato per migliorare ancora come compagno e come genitore. Tutto quello che riuscì a fare fu un sorriso, ricambiando la stretta. In quel preciso istante, dopo più di dieci anni, finalmente capì perché si era innamorato di Hinata Hyuga. Non era per la sua bellezza, e neanche per la bontà e la gentilezza che la caratterizzavano. L’amava perché era come lui: tremendamente imperfetta, una persona con alle spalle più errori di quanti volesse ammettere, ma costantemente decisa a migliorarsi per raggiungere finalmente un equilibrio con le persone che amava. Si chiese se sarebbe stato ancora a sognare di diventare Hokage senza di lei, comprendendo quale fosse la risposta con un guizzo di amara consapevolezza nelle iridi celesti.

“D’accordo.” sospirò, grattandosi la nuca. “Proviamoci.”

Forse era quello sapere perdonare: accettare di dover sacrificare qualcosa per l’altro. Hinata aveva sacrificato parte del proprio orgoglio di donna per lui, capendo di non essere migliore. Aveva accettato di avere un marito imperfetto, così come aveva riconosciuto di essere imperfetta come moglie. Naruto non sapeva se questo avrebbe permesso loro di andare avanti come coppia o se ciò invece avrebbe causato la fine della loro relazione. Aveva deciso di ingoiare il proprio onore di uomo, di togliersi quella maledetta maschera da eroe, stanco di giocare ad essere quello capace di salvare il mondo con uno schiocco di dita. Era molto più simile a Sasuke ed ormai l’aveva capito. Sapere che tutto ciò era stato compreso anche da Hinata era un sollievo, perché gli permetteva di essere di nuovo umano. Potevano riprovarci, tornare a sostenersi come due vecchie stampelle imperfette, vedere come sarebbe andata a finire questa loro imperfetta, sciocca, stupida storia.

Proviamoci ancora una volta.

 

 

Guardava quegli occhi chiari, simili ai suoi, chiedendosi cosa pensasse di lei, se avesse mai provato amore, affetto, odio, disprezzo, disgusto. Un sentimento che testimoniasse che per lei era stata qualcuno.

Ne sfiorò l’immagine con l’indice destro, desiderando potersi immergere dentro, lasciandosi ogni cosa alle spalle. Aveva tante domande da rivolgerle, oltre ad un vuoto che solo quella figura era in grado di riempire.

Mamma…

Si era sempre chiesta che persona fosse. Con suo padre il rapporto era ormai cessato da anni, ed anche Ichigo con gli anni si era allontanato, impegnato a prepararsi a ricevere la propria eredità. La disperata ricerca di un legame famigliare puro, incontaminato dall’arroganza della sua famiglia, l’aveva fatta cadere in una spirale di nostalgia e rimpianto, chiedendosi se le cose sarebbero potute andare diversamente con la genitrice viva al suo fianco.

Forse la sto idealizzando. Fissava il soffitto affrescato della sua stanza, indifferente all’avanzare dell’oscurità, le iridi color zaffiro perse nel magma dei propri pensieri. Non riesco proprio a vedere papà che sposa una persona gentile. Forse era anche lei una nobile arrogante.

Stava diventando pericolosamente facile per lei cadere preda di quelle domande, di quei dubbi. Era a conoscenza che sapere che persona fosse sua madre non avrebbe significato nulla di concreto, ma l’assenza di un vero legame famigliare era così forte da portarla ad arrovellarsi in simili quesiti. Della genitrice sapeva solo che era originaria del Paese del Fulmine, dove aveva dei parenti ancora in vita, ma suo padre non menzionava mai la famiglia della defunta moglie e per lei quegli individui erano al pari di qualsiasi sconosciuto.

E la domanda tornava, ciclica e maligna: che persona era sua madre? Era una brava persona? Una buona madre? Un’altezzosa snob? Chi era veramente Koi Yogonuchi?

Avrebbe dato qualsiasi cosa per saperlo. Ricordava ancora quando da piccola tempestava di domande Ichigo, ma quest’ultimo le aveva sempre risposto che non voleva parlare della genitrice.

Forse era una persona magnifica, e il ricordo gli costava troppo dolore. Smosse con un calcetto un cuscino, la stanza ormai preda della totale oscurità. Oppure era un genitore orribile, ed il ricordo lo sconvolge ancora oggi.

Quel dubbio la tormentava. Era a conoscenza che non sarebbe mai riuscita a risolverlo, ma lei voleva sapere. Voleva sapere chi era sua madre perché l’idea di essere figlia di due persone miserabili l’annientava. Avrebbe significato che tutto quello che aveva fatto in quegli anni era stato solo uno spreco di tempo, una futile rincorsa vuota. Sarebbe stata la fine di ogni cosa, la prova che entrare in Accademia non era servito a niente.

Il pensiero dell’Accademia le deturpò i lineamenti del viso, facendo nascere un sorriso amaro. Ricordava benissimo cosa l’aveva spinta a quella scelta, andando contro il volere di suo padre. Per Katashi era umiliante che sua figlia si abbassasse a fare il ninja, nient’altro che carne da macello in mano ai Kage. Lei l’ha pensava diversamente in merito. Era giovane, ma sapeva che quello non era il suo mondo. Era stanca di vivere in mezzo a gente altezzosa ed arrogante, di dover vedere le persone fissarla con timore reverenziale. Non voleva essere una nobile, non voleva passare la vita in una gabbia dorata. Diventare un ninja era la chiave per aprirla.

E il coraggio per fare quella scelta, per andare contro il volere di suo padre, era nato solamente grazie al ricordo della madre che non aveva mai potuto incontrare. Pensare a lei che scappava dalla Terra dei Fulmini, per sposare il suo vero amore, le faceva venire il desiderio di emularla, indipendentemente che quella storia fosse vera o solo frutto della sua fantasia.

Ma ora non era più sicura di poter aprire quella gabbia. Nessuno della sua famiglia era mai stato un ninja, e la mancanza di secoli di conoscenza alle spalle la metteva in una condizione di inferiorità. Aveva studiato febbrilmente ogni libro che le era capitato tra le mani, cercando in quella marea di carta la conoscenza necessaria a colmare quella distanza. Ma più passava il tempo, e più si rendeva conto che non sarebbe bastata l’intera conoscenza dell’universo a farle raggiungere il livello dei suoi compagni, gente nelle cui vene scorreva il sangue di ninja vissuti centinaia di anni prima. Come poteva lei competere con Mirai o Shigeru?

Si girò di scatto, affondando la faccia dentro un cuscino. Non voleva pensare ai suoi compagni. Non si sentiva pronta a farlo, così come non riusciva a pensare alla proposta ricevuta poche ore prima da Hanabi-Sensei. Era semplicemente troppo pensare che potesse diventare allieva di una kunoichi del livello di Sakura Haruno. Aveva letto molto di lei, imparandosi praticamente a memoria tutte le sue imprese durante la Grande Guerra, e questo non faceva che crearle una stretta allo stomaco, causandole nausea ed una bruciante paura. Lei non possedeva alcuna abilità particolare, nessun talento ereditario. Cosa poteva mai trovarci in lei una combattente leggendaria? No, avrebbe rifiutato. Non desiderava ricoprirsi di ridicolo, e presentarsi davanti a Sakura Haruno, chiedendole di prenderla come allieva, era un buon metodo per farlo.

Chiuse gli occhi, desiderando il sonno, di immergersi nell’oblio e dimenticare tutto e tutti.

Un colpo secco ruppe il silenzio nella stanza con la violenza di uno scoppio. Aimi si alzò di scatto, le iridi chiare che guizzavano da una parte all’altra della stanza, il cuore che batteva all’impazzata. Non sapeva neanche lei il perché di quella reazione spropositata. Poteva essere caduto un libro mal posto su una mensola, oppure una gruccia penzolante dentro l’armadio, ma la genin aveva ben appreso i martellanti insegnamenti di Hanabi sul non abbassare mai la guardia e quel rumore sospetto glieli aveva fatti ricordare.

Cosa… non fece in tempo a formulare il pensiero che udì il rumore di prima provenire dalla finestra. Si voltò di scatto, solo per ritrovarsi la figura sorridente di Mirai dietro il vetro.

“Mirai?! Cosa diavolo…” La Sarutobi la interruppe, facendole il cenno di aprire. Aimi obbedì prontamente.

 “Sei impazzita?!” esclamò la Yogonuchi. “Cosa ci fai qui?!”

“Ti cercavo.” Mirai sorrise. “Perché non mi hai mai detto che vivi in una reggia?”

“Che cosa vuoi? Se gli addetti alla sicurezza di mio padre ti beccassero finiresti in guai seri!”

“Ti devo parlare.”

“E vieni a farlo nel cuore della notte?!”

“Che alternative avevo? Negli ultimi giorni sei scomparsa.”

“Io…” Aimi sospirò, indecisa se sentirsi sollevata o arrabbiata nel vedere la compagna di Team. “D’accordo, ma non qui. Andiamo nel giardino.”

Poco dopo, le due ragazze erano sedute su una panchina adiacente ad un piccolo laghetto immoto, dove ninfee e altre piante acquatiche galleggiavano pigramente. Mirai sembrava incantata dalla visuale, ma Aimi la richiamò bruscamente.

“Che cosa vuoi?”

la Sarutobi sembrò per un attimo perdere la sua baldanza, ma successivamente riprese a sorridere.

“Non posso avere il desiderio di vedere una compagna?”

“Non girare intorno alle cose, Mirai.” replicò la Yogonuchi. “Dimmi cosa vuoi dirmi e sbrigati! Se ci beccano, passeresti guai seri.”

“Non importa.” la kunoichi bruna alzò lo sguardo scarlatto al cielo, il sorriso di prima sempre impresso nei lineamenti del viso. “Sono venuta perché voglio che tu ritorni ad allenarti come me e Shigeru.”

“Non vi servo. Potete cavarvela benissimo anche senza di me.”

Mirai abbassò le iridi, fissando in volto Aimi.

“Non posso raggiungere i miei obbiettivi senza di te.” il sorriso divenne più accentuato. “Siamo una squadra, ricordi? Dobbiamo affrontare assieme le difficoltà della vita, proprio come dice sempre Hanabi-Sensei.”

Aimi tacque. La menzione ad Hanabi-Sensei le aveva fatto tornare in mente la proposta di quest’ultima. Nel giro di poche ore, due persone a cui era convinta non interessasse nulla di lei le avevano mostrato il contrario.

Forse… mi sono sbagliata.

“Io… ti ho sempre invidiato.” il sussurro della Yogonuchi fu udibile solo grazie al silenzio che vigeva nel parco. “          Quando eravamo all’Accademia… tu eri sempre piena di vita, di gioia, pronta a giocare ed a scherzare su ogni cosa. E mi chiedevo… come fosse possibile. Quale fosse il tuo segreto.”

Mirai non parlò, lasciando alla compagna il tempo di radunare il coraggio necessario a proseguire. Era sorpresa che Aimi avesse deciso di parlarle in questo modo. La vide turbata, come se ci fosse altro oltre alla sua visita improvvisa a preoccuparla.

“Sai, anche io… sono cresciuta senza un genitore.” le parole uscivano dalla sua bocca lente, una dopo l’altra, soppesate. “Ma ogni volta che ti guardavo… non sembravi soffrire di questo. Avevi un’energia che non avevo mai provato, qualcosa che mi mancava.” sbuffò, soffocando a stento una risata amara. “Forse è per questo che ti ho preso in antipatia. Non trovavo giusto che tu riuscissi a coesistere con questo dolore tanto facilmente. Ero invidiosa della tua voglia di vivere.”

“E’ per questo motivo che mi hai offeso e denigrato per tutti questi anni?”

La Yogonuchi scoppiò in una risata amara.

“Ho sempre odiato essere una nobile.” smise di ridere, le labbra incurvate in una smorfia carica di amarezza. “Eppure… trovavo più insopportabile vederti sempre così ottimista, piena di vita e di gioia. Non sapevo se invidiarti od odiarti. Offenderti era diventata la mia arma contro di te, l’unico modo che avevo per evitare di vedere quanto miserabile ero.” abbassò lo sguardo, portandolo sullo specchio d’acqua di fronte. “Dopotutto… non sono tanto diversa da mio padre. Troppo orgogliosa ed arrogante per ammettere il mio essere una debole.”

Mirai non rispose. Rimase in silenzio, a riflettere su ciò che aveva appena sentito. Negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere Aimi, passando dal detestarla ad un riluttante rispetto, per infine giungere all’amicizia che le univa. Ora, tuttavia, si rese conto che lei, di Aimi, sapeva ben poco e che quelle parole confessate a fatica le conferivano una persona diversa da quella che credeva, molto più tormentata di ciò che si fosse aspettato. La tragedia che le univa, l’assenza fin dalla nascita di un genitore, aveva preso due vie diverse con il passare degli anni; Mirai aveva avuto sua madre, Shikamaru, Temari, Kiba, Shino, Shikadai. Persone capaci di riempire quel vuoto dentro il suo cuore. Aimi non aveva avuto la stessa fortuna, eppure ora era quest’ultima a scusarsi, quasi fosse colpa sua se non era stata capace da sola di vincere quel vuoto dentro di sé.

“Io non credo che tu sia debole.” la Sarutobi mormorò quelle parole d’impulso, senza pensarci. “Non importa cosa hai detto, o pensato, fino ad ora. Siamo arrivate fin qui insieme, no?” le sorrise, un sorriso sincero, scevro da rancore o derisione. “Possiamo andare avanti, e diventare più forti! Come… amiche.”

La Yogonuchi non disse nulla. Rimase imbambolata a fissare la ragazza bruna, il cervello inceppato. Era la prima volta che qualcuno le parlava in maniera così spontanea, priva di referenza per il sangue che le scorreva nelle vene. Mirai era stata sincera, lo percepiva, e voleva essere amica di Aimi, ninja di Konoha, perché lo desiderava e non per reverenza verso il suo cognome.

Era una sensazione magnifica.

Digrignò i denti, sentendo le lacrime premere per uscire. Improvvisamente, tutti i quesiti che si era posta su sua madre le sembrarono futili, nient’altro che una sciocchezza. Che importanza aveva se sua madre l’aveva amata o meno? Aveva un’amica, una persona che voleva che lei vivesse la sua vita libera, al suo fianco. Qualcuno desiderava la sua esistenza.

“Non ti metterai mica a piangere, eh?” la prese in giro Mirai, osservando la Yogonuchi voltarsi di scatto.

“Non dire assurdità!” replicò quest’ultima, tirando su pesantemente con il naso. “Io non sto piangendo.”

“In effetti… sarebbe strano piangere quando uno ti definisce suo amico.” esordì una voce bassa alle loro spalle.

“Shigeru!” la Sarutobi sobbalzò, strillando quando vide l’amico sbucare all’improvviso dalle tenebre della notte. “Volevi farmi morire di paura?!”

L’Aburame scese da un albero vicino, le lenti scure a coprire il volto nonostante fosse notte fonda ormai.

“Ti ho vista muoverti di notte ed volevo sincerarmi che non ti fossi cacciata nei guai.” spiegò lo shinobi a Mirai.

“Oppure eri preoccupato per Aimi ed anche tu eri venuto per convincerla a tornare?” azzardò quest’ultima, sorridendo nel vedere il volto dell’amico tingersi di un bel rosso porpora.

“Ti sbagli… io…”

“Eri davvero preoccupato per me, Shigeru?” la Yogonuchi sorrise dolcemente quando vide il compagno di squadra balbettare nel tentativo di giustificare la sua presenza.

“Ecco… io, veramente…”

“Urra!” Con uno scatto, Mirai mise le braccia al collo dei compagni, strozzandoli in un abbraccio spaccaossa. “Finalmente Aimi è tornata!”

“Non urlare! Se vi scoprono, siete nei guai!”

Ma Mirai non ascoltò il consiglio dell’amica. Cosa importava se venivano scoperti? Aveva trovato due amici, Aimi avrebbe nuovamente fatto parte della sua vita e stavolta nessuno gliela avrebbe portata via.

Rimarremo insieme per sempre.

Nel frattempo, nascosti nell’ombra della notte, due figure osservavano dal muro di cinta quello strambo trio.

“Hai visto? E’ solo andata a trovare un’amica.” esordì la prima, in equilibrio sulle proprie mani. “A volte sei troppo apprensivo, Kakashi!”

Il Sesto Hokage non spostò gli occhi dalla figlia del suo defunto amico, ma le sue labbra si distesero in un sorriso, ben nascoste dalla maschera.

“Forse hai ragione tu, Gai.” mormorò il Copia Ninja. “Ma sai… ora che sono l’Hokage, mi piace ancorarmi ai ricordi quando mi concedo una pausa.” nell’aria si udì il suono argentino della risata di Mirai. “E lei ne riporta di dolci.”

Gai non replicò, sentendosi in dovere di rispettare quel silenzio, per non oltraggiare la memoria di Asuma.

“Ehi, Kakashi!” la Bestia Verde di Konoha si illuminò in viso, come colto da un’idea geniale. “Visto che ci siamo… che ne dici di una sfida? In ricordo dei vecchi tempi!”

Kakashi non rispose subito, quasi non avesse prestato ascolto all’amico, ma quest’ultimo lo conosceva bene e sapeva che stava solo riflettendo su quale risposta dare.

“Avanti!” insistette il Jonin infermo. “Siamo rivali, no?! Non crederai mica di essere avvantaggiato per via della mia gamba?!”

L’Hatake proseguì nel suo silenzio, gli occhi persi nel vuoto, immersi in un ricordo assai più amaro di quelli riguardanti l’amico Asuma. Era una memoria che sapeva di polvere, di sangue, di lacrime e di impotenza. E poi c’era lui, il suo sorriso, che svettava sopra tutto, anche quando scelse di morire per salvare tutti loro.

 

“Io Madara, ti proclamo il più forte di tutti!”

 

Gai…

“Non posso più essere il tuo rivale, Gai.” mormorò il Copia Ninja. “Per poter ambire a quel titolo, dovrei prima diventare l’Hokage più grande della storia di Konoha, e non lo sono.”

Gai rimase sorpreso da quella frase. Con un’abile spinta, si mise a sedere, tenendo la gamba inferma rigida davanti a sé, gli occhi piantati sul volto del suo rivale.

“Kakashi.” il suo volto era stranamente serio. “Non dirlo più, per favore.”

“Cosa? Che sei più forte di me?”

“No.” la Bestia Verde tornò a rivolgere lo sguardo ai tre giovani sotto di loro, ignari di essere osservati. “Non dire più che non puoi essere il mio rivale.” sfoderò il suo sorriso abbagliante. “Noi siamo rivali, Kakashi! E questo non cambierà mai, chiaro?!”

Il Sesto si mise le mani in tasca, non modificando minimamente la sua espressione facciale. Era abituato alle esagerazioni melodrammatiche dell’amico, e gli andava bene così, che gli mostrasse apertamente quanto tenesse a lui. Era il suo ultimo amico, l’unico che era sopravvissuto a ben due Guerre Mondiali come lui. Gai gli stava chiedendo di non lasciarlo solo con i ricordi, come se in due reggere quel peso fosse più semplice.

Sto invecchiando. Non c’era amarezza in quella constatazione, quanto più rassegnazione. Aveva trascorso gli ultimi dodici anni chiuso in un ufficio, a ricostruire un continente raso al suolo, con Anko e Gai come ultimi, veri compagni. Gli unici che potevano comprendere come si sentisse. Eppure, solo dopo più di dieci anni di onorato servizio, cominciava a pensare a se stesso come un vecchio, e capì che presto avrebbe dovuto lasciare il testimone.

“D’accordo Gai.” rispose, dando le spalle alla nuova generazione, a coloro che erano cresciuti tra le macerie dell’ultima guerra. “Ma niente sfide.” le labbra gli si distesero sotto la maschera. “Sto diventando vecchio per queste cose.”

“Che discorsi sarebbero, Kakashi?! Noi siamo nel pieno della nostra estate! Abbiamo ancora moltissime energie da spendere!”

“Chissà, forse hai ragione.” lo shinobi albino sospirò. “Ma personalmente, credo che presto mi prenderò una vacanza.”

“Potremmo farne una. Stavo giusto pensando a qualcosa del genere!”

“Dubito che mi riposerei molto se mi accompagnassi.” replicò il Copia Ninja, scoppiando in una delle sue rare risate, subito seguito dall’amico.

Perché in fondo, era quello che facevano gli amici.

Si perdonavano a vicenda le colpe del passato.

 

 

Entrare alla luce del giorno in casa sua fu magnifico, una sensazione così abituale che rimase sorpreso di scoprire quanto gli fosse mancata.

“Papà!” con un urlo, Boruto si lanciò addosso al padre, aggrappandosi a lui con tutta la forza che aveva. Intenerito, Naruto fece per accarezzarlo, quando quest’ultimo gli tirò una scarica di pugni.

“Sei stato via per cinque giorni!” lo accusò il piccolo Uzumaki, le iridi cerulee ricolme di rabbia e risentimento. “Avevi promesso che giocavamo insieme!”

Lo shinobi tacque, rendendosi pienamente conto per la prima volta del dolore causato ai suoi figli. Si ripromise di migliorare in futuro, per loro e per Hinata.

Sono la mia famiglia… non posso farli soffrire così.

“Hai ragione.” mise a terra il figlio, inginocchiandosi per poterlo guardare negli occhi. “E ti prometto che mi farò perdonare.”

Boruto sembrò sul punto di scoppiare di gioia. Il sorriso sul suo faccino paffuto fece per allargarsi, ma poi si trattenne, quasi non volesse mostrarsi troppo soddisfatto di quella risposta.

“D’accordo…” borbottò, cercando di darsi un’aria di importanza.

Ridacchiando, Naruto scompigliò i capelli del primogenito, solo per accorgersi che, nel frattempo, Hinata era giunta nell’ingresso, con in braccio la piccola Himawari. Lo shinobi si perse per alcuni istanti negli occhi chiari della moglie. Ci lesse rabbia, ma anche tanta determinazione: la convinzione che avrebbero superato anche quella sfida.

Hinata…

Non fece nulla. Non la ringraziò, né fece promesse che erano state già pronunciate. Si limitò ad abbassare lo sguardo sul volto paffuto di Himawari, la quale lo guardava con i suoi occhi chiari, limpidi come la superficie di un lago, facendolo commuovere. Rivedeva Lei in ogni gioco di luce, ma era un ricordo dolce, non più ottenebrato dal dolore o dal senso di colpa.

“Sono tornato.”

Hinata sorrise, ma il suo non fu un sorriso gioioso, quanto più di fredda determinazione. Naruto comprendeva come si sentiva, perché anche lui provava le stesse emozioni. Sapeva che quella riunificazione non sarebbe stata semplice, ma aveva tutte le intenzioni di vincere anche questa volta. Per se stesso, e per i suoi figli.

“Visto che sei tornato, puoi cominciare con il pulire i piatti della colazione.”

Naruto sospirò, tuttavia invece di sentirsi triste percepì una sensazione diversa. Era… felice. Felice di poter lavare i piatti nella sua cucina, in mezzo alla sua famiglia. Felice di poter finalmente accettato i propri errori, di averli compresi e lasciati alle spalle.

Ma soprattutto, era felice della donna che aveva sposato.

La migliore al mondo.

 

 

Non era sicura di quello che stava per fare, affatto. Eppure non si fermò. Proseguiva, muovendo un piede davanti all’altro, chiedendosi però se non fosse diventata semplicemente pazza.

Eppure il ricordo dell’altra sera era ancora così vivido dentro di lei, così dolce. Capace di cancellare ogni dubbio, ogni titubanza. Era ebbra di incoscienza, e non era ancora sicura se tutta quella sicurezza la galvanizzasse oppure la terrorizzasse.

Se avessi un minimo di cervello, me ne tornerei a casa.

I suoi passi non smisero di muoversi verso la destinazione prefissata. Era stanca. Stanca di litigi, di domande a cui non poteva rispondere, di non piacersi. Voleva cambiare, voleva spiccare il volo, voleva potersi guardare in uno specchio e vedere ciò che desiderava: Aimi Yogonuchi, kunoichi di Konoha.

E per farlo doveva andare avanti.

Vide l’ospedale di Konoha stagliarsi davanti a lei, imponente e immenso. La sua spavalderia ebbe un fremito, bloccandola di colpo. Si chiese se davvero avesse le capacità di diventare allieva di uno dei Ninja Leggendari, un ruolo per il quale moltissime persone avrebbero dato qualsiasi cosa. Cosa aveva lei di più di tutti gli altri? Determinazione? Forse, ma non era convinta che fosse sufficiente.

E poi li vide.

Vide Hanabi-Sensei aspettarla davanti all’ingresso, il volto rilassato e l’espressione sicura. Era convinta che la sua allieva sarebbe giunta, aveva piena fiducia in lei.

Fiducia…

Non riuscì a trattenere il sorriso che le piegò le labbra quando vide al suo fianco Mirai e Shigeru, anche loro convinti che sarebbe venuta, che avrebbe afferrato il suo destino a piene mani assieme a loro.

Ora sapeva cosa aveva più degli altri.

I suoi piedi ripresero a muoversi, animati da una nuova sensazione calda, che le riscaldava il petto come l’abbraccio di qualcuno giunto dopo tanto, troppo tempo.

Aimi ne era sicura: fino a quando fosse rimasta con la sua nuova famiglia, quel calore non sarebbe mai scomparso.

Grazie.

Era pronta a spiccare il volo.

 

 

Angolo dell’Autore:

 

 

Ehm… salve! Qualcuno si ricorda di me? Nessuno? Proprio nessuno? Ah beh, pace xD Diciamo che è comprensibile, dato che sono sparito da questo sito per circa un anno, causato da lavoro, studio e crisi del foglio bianco. Tuttavia, negli ultimi 2 mesi sembrerebbe che tale crisi sia passata, e posso riprendere questa storia/raccolta (per chi vuole ancora leggerla xD).

Detto questo, ringrazio in anticipo chiunque mi darà una chance dopo questo lunghissimo lasso di tempo, e chiunque vorrà scrivere un parere, positivo o meno, sul capitolo.

Un saluto!

 

Giambo

  
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