L’oscurità
dentro di noi
Non
aveva mai avuto così paura, in vita sua. Correva e tremava
mentre il dolore
alla guancia si faceva pulsante e un sapore metallico le invadeva la
bocca. Il
cunicolo buio dava accesso a una scala ripida, dagli antichi gradini di
pietra.
Sigyn incespicò incontrando il dislivello; solo per un caso
riuscì a parare la
caduta poggiando una mano sulla pietra ruvida della parete, ma la
superficie di
quest’ultima non era liscia e l’attrito dovette
provocarle un’abrasione
dolorosa sul palmo della mano. Continuò a scendere,
consapevole che la gonna
lunga le intralciava i movimenti e di avere Theoric alle calcagna. A
mano a
mano che s’inoltrava nel corridoio, avvertì sempre
più distintamente un rumore
di sottofondo basso e martellante, che le ricordò quello che
si sentiva nelle
fucine dei Nani. Gridare sarebbe servito? Se Loki fosse stato davvero in fondo
a quel
cunicolo, sarebbe riuscito a sentirla? La terra sotto di lei
sussultò e Sigyn
perse inevitabilmente l’equilibrio. Urlando, Theoric nel buio
avrebbe capito
esattamente dove lei fosse, se già non le era tragicamente
dietro, mentre il
marito, probabilmente, non l’avrebbe udita.
I
Nani. Sonje era andata con loro, durante quell’ambasceria[1];
adorava viaggiare con loro e i buffi e imbronciati fabbri le mettevano
addosso
una curiosità esagerata. L’avevano persa di vista
per non più che una manciata
d’istanti e la bambina, trascinandosi dietro
quell’enorme animale di pezza a
forma di gatto, si era intrufolata nell’armeria, dimostrando
tutta la cattiva
influenza che avevano su di lei le gesta del padre e dello zio. Loki
era
impallidito, quando finalmente l’aveva scovata nella piccola
e precaria tana in
cui Sonje si era nascosta senza rimediare nemmeno un graffio. Tirarla
fuori di
lì senza che si ferisse, prima che il fragile castello fatto
di armi affilatissime
le precipitasse contro, era stata una sfida che il dio
dell’inganno aveva vinto
solo grazie al sangue freddo che Sigyn non possedeva.
Ricordò che Thor l’aveva
allontanata intimandole di non mostrarsi spaventata, di lasciar fare a
Loki,
che se Sonje si fosse mossa, allora tutte quelle armi avrebbero potuto
crollarle addosso. Sonje. Sonje e il bambino che sarebbe nato, da un
rapido
calcolo, nel cuore dell’inverno.
Theoric
la strattonò per un braccio tappandole la bocca,
interrompendo il grido strozzato
e disperato che le era uscito dalle labbra. “Non ti
troverà. Non ti sentirà.”
Di
nuovo il suo fiato acre sul collo, il corpo gonfio premuto sul suo, una
mano a
ghermirle la vita. Aveva paura anche lui. Lo capì dal
bisogno che aveva di
zittirla, dalla necessità di convincerla che sarebbe morta
lì, in quel
corridoio, presumibilmente a pochi passi da Loki. Non sapeva che doveva
fare
con lei – di lei, e Sigyn ripensò al gesto
rapidissimo e deciso con cui suo
marito aveva tagliato la gola alla Sacerdotessa Sublime. Lei era
soffocata nel
suo sangue nel giro di pochi secondi, senza rendersi nemmeno conto di
cosa,
realmente, le stesse succedendo. Il pensiero che la sua morte non
sarebbe stata
altrettanto rapida e clemente le si insinuò nella testa.
Theoric l’avrebbe
fatta soffrire, perché non sapeva nemmeno dove infilare il
coltello per
ucciderla. Ucciderli. Le salirono
le
lacrime agli occhi e non riuscì a fermarle. Erano calde e
scivolarono sulle
gote sfiorando la mano larga e robusta di Theoric.
“Piangi,
piccola principessa?”
La
costrinse con il viso contro la parete e la pietra ruvida le
provocò un
bruciore sulla guancia. Nel buio, avvertì che la presa sulla
sua vita
s’allentava e lo sentì armeggiare con la fibbia
dei pantaloni. Tentò di
divincolarsi, di graffiare, di mordere e Theoric la agguantò
di nuovo per
sollevarle la gonna. Era impacciato e goffo e sudato e voleva
vendicarsi, ma
qualcosa s’era inceppato, nel suo piano. Allentò
la presa sulla sua bocca
mentre tentava di risolvere l’incresciosa situazione,
spostandola più in basso:
cercò di infilarle una mano sotto la scollatura del vestito,
le ghermì un seno.
Armeggiò nel tentativo di ottenere il vigore necessario per
proseguire e Sigyn
ebbe un conato, al pensiero di quello che Theoric stava facendo. Di
nuovo, si
sforzò di richiamare alla memoria i ricordi delle imprese di
Lingua d’Argento,
del suo affascinante e pericoloso marito forse a pochi metri da lei che
la
credeva al sicuro e non sarebbe corso a salvarla.
“Se
mi uccidi, Loki lo capirà, lo scoprirà e si
vendicherà. Lasciami andare: non
dirò niente, te lo giuro. Non hai ancora
fatto niente. Non è troppo tardi.” Aveva parlato
con calma, cercando di frenare
l’impulso di gridare ed esasperarlo, ma le tremavano le
labbra. Cos’avrebbe
fatto il dio degli inganni, al posto suo?
Loki
Laufeyson era davvero a pochi passi da lei. Alla fine del cunicolo, si
apriva
un’enorme grotta sotterranea dove, come nelle migliori e
più scontate delle
tradizioni, dimorava un mostro. Avrebbe scommesso qualsiasi somma sulla
presenza di un grosso drago, ma quando aveva fatto il suo ingresso
sotto la
volta di pietra, era rimasto piacevolmente stupito e sorpreso. Una
creatura di
ben altra natura, lo attendeva immersa in un lago sotterraneo.
“Avanti,
mostrami il tuo vero aspetto,” la blandì. In una
mano stringeva uno dei pugnali
con cui aveva ucciso le guardie del Tempio, nell’altra una
spada rimediata
quando i nobili Vanir erano entrati al seguito di Thor. La cosa
mostrò i denti
aguzzi e la terra vibrò, l’acqua in cui era
immersa ribollì creando una spuma
quasi luminosa.
Era
una donna o, perlomeno, ne aveva parzialmente l’aspetto.
C’era, in lei,
qualcosa di mostruoso e diverso. I denti aguzzi e le labbra
incredibilmente
vermiglie, per esempio, come la pelle d’un biancore inumano e
spettrale,
svelata e nuda. Quasi riluceva nella luce fioca della caverna.
“Mago,
moriresti se ti svelassi il mio vero volto,”
ghignò.
Loki
assottigliò le palpebre, feroce. “Mettimi alla
prova,” l’incalzò. “Potrei
stupirti.”
Si
avvicinò alla spuma ribollente che agitava la riva con un
sorriso perfido sulle
labbra, indugiando con lo sguardo sul corpo assolutamente statuario e
perfetto
dell’essere dalle forme femminee. Su un altro uomo, con tutta
probabilità, la
figura avrebbe sortito un qualche tipo di fascinazione, ma
l’ingannatore
riusciva a intuire e quasi a vedere la natura abilmente mascherata
della
creatura. Era lei che mangiava le povere recluse del Tempio; era per
saziare il
suo ventre, solo all’apparenza piatto, che le mura robuste
della sua tana erano
rimaste intatte per secoli. Era lì che sarebbe finita Sigyn
se, quasi cinque
anni prima, Loki non avesse deciso di raccontare una lunga storia a
Njord[2].
La ricordò com’era allora, con lo sguardo fiero e
il labbro spaccato da uno
schiaffo di Freyr, decisa a non rivelare il nome dell’uomo
che l’aveva messa
incinta – il suo – per ribadire il concetto
fondamentale che lei era l’unica
padrona del proprio corpo. Piccola, coraggiosa, indisponente Sigyn.
L’essere
lo scrutò quasi offeso con le sue pupille biancastre,
colpito dalla studiata
arroganza del principe degli Asi. Lo vide avanzare nell’acqua
bassa, immergere
gli stivali di pelle nell’acqua, sollevare appena le lame.
Buttò teatralmente
il capo indietro e rise, stupito da quel mago armato di tutto punto che
non
dimostrava di temerlo. Ma così erano gli Jotnar e gli Asi:
il mostro li
ricordava dall’alba dei tempi o, forse, la sua conoscenza
delle cose e del mondo
traeva origine dal brodo primordiale in cui era immerso, una sorgente
forse
collegata persino con la fonte di Mimir.
“Tu
sei pazzo, mago.”
Un
ghigno. “Possibile, probabile. Mostrami la tua vera faccia,
non costringermi ad
avvicinarmi ancora. Sono il re straniero che attendevi, quello della
profezia
che vai blaterando.”
Fu
allora che la terra iniziò a tremare, a sussultare.
L’essere femmineo lanciò un
grido acuto e mutò pelle e sembianze, tramutandosi in una
creatura che non era
né un drago né un grifone né nulla di
conosciuto. Somigliava, piuttosto, a un
enorme insetto, uno di quelli che Loki e Thor catturavano da bambini
quando
giocavano nella radura adiacente al bosco, colorati e terribili. Il dio
degli
inganni sorrise di fronte al disgustoso cambiamento e pensò
al palese
disappunto che avrebbe tentato invano di mascherare Thor, quando gli
avrebbe
raccontato come aveva ucciso l’orrendo mostro.
“A
mio fratello saresti piaciuta moltissimo,”
confessò leccandosi le labbra.
“Invidierà il nostro appuntamento per almeno un
secolo.”
La
cosa rimase interdetta per una frazione di secondo, stupita
dall’atteggiamento
irriverente e sfrontato di quel guerriero che pareva non temerla. Lo
smarrimento,
tuttavia, durò meno d’un attimo. Si
lanciò contro Loki decisa a farlo a pezzi,
a cibarsene e a uscire incontro al destino che le era stato
profetizzato prima
che esistessero il Tempo e lo Spazio, forse.
Il
corpo, divenuto ormai d’una orrenda grandezza, si protese nel
tentativo di
afferrare il dio dell’inganno e ci sarebbe riuscito, se solo
l’Ase fosse stato davvero
lì. Uno degli artigli affilati
della creatura si abbatté con violenza sulla superficie del
lago, smuovendola e
creando onde e spruzzi che subito si congelarono, imprigionandola
irrimediabilmente.
Loki
ghignò. La sua illusione aveva decisamente funzionato. Era
decisamente più
spostato sulla destra rispetto a dove avrebbe dovuto essere.
“Sorpresa, cara?
Credevi forse che sarei rimasto a fissarti immobile mentre mi
attaccavi?”
Cosa
avrebbe fatto il dio degli inganni, al posto suo?
Sigyn
non ne aveva idea ed era troppo spaventata per fermarsi a ragionare, ma
pensò a
una cosa che, una volta, Thor aveva detto sul fratello durante
l’indimenticabile ambasceria ad Asgard[3].
“Oh, ma il suo essere
insopportabilmente
pedante è una strategia, mio buon Njord. Provoca i nemici
per distrarli e
approfittarne”. Lo aveva detto fissando Loki negli
occhi e l’Ase si era
limitato ad accennare un ghigno soddisfatto.
Il
suo aguzzino era nervoso, incapace e il coltello non era
l’unica arma che non
sapeva usare, a quanto pareva. Deglutì e parlò
con una voce falsamente ironica
e sicura.
“Ti
spavento così tanto? Non riesci nemmeno a essere uomo,
Theoric? A Loki faresti
una gran pena.”
“Sta’
zitta! Zitta!” La voce dell’uomo suonò
esasperata. Era in una situazione
incresciosa e svilente. L’ansia di doverla uccidere,
lì e ora, paralizzava il
resto, inibendolo, e il fatto che Sigyn scalciasse e si divincolasse,
graffiasse e tentasse continuamente di liberarsi, non gli rendeva certo
il
compito più facile. Era a braghe calate, in un cunicolo da
cui in ogni momento poteva
uscire fuori qualsiasi cosa e anche toccandole il seno piccolo e
morbido o i
fianchi che aveva sempre considerato invitanti, non riusciva a
eccitarsi al
punto di riuscire a possederla. Troppa ansia, troppo rumore –
quello che
proveniva dal fondo lontano dello stretto corridoio e la voce di lei,
che,
mentre si divincolava e blaterava inutilità, lo distraeva
con quel fottuto,
spaventoso nome: Loki.
Insistette,
ma in testa presero a risuonargli le parole aspre di suo padre, che lo
accusava
di essersi lasciato sfuggire il trono di Vanheim per un soffio,
consegnandolo a
uno straniero.
Si
distrasse per quello e per il sussulto improvviso della terra sotto di
loro e
mollò ulteriormente la presa; Sigyn ne approfittò
per assestargli una gomitata
e sgusciò via, incespicando nel buio e sui gradini scoscesi,
invocando aiuto. Theoric
tentò di afferrarla per i capelli e per poco non
riuscì a ghermirla, ma il
taglio corto si rivelò provvidenziale per la donna e,
impedito com’era dagli
abiti in disordine, non poté inseguirla, regalandole
così preziosi, ma flebili,
secondi di vantaggio. Era riuscita a sfuggirgli ben due volte, ma non
sarebbe
sopravvissuta a una terza. Non dopo averlo provocato a quel modo.
Desiderava
punirla e ucciderla e, presto, ci sarebbe riuscito. Gridò
ancora, nella vana
speranza che Loki o qualcun altro degli Asi o dei Vanir a lei fedeli,
potesse
udirla.
Il
dio degli inganni camminò lentamente nell’acqua
bassa e spumosa, ammirando
soddisfatto la statua di ghiaccio e carne che aveva creato. In pochi
minuti il
mostro si sarebbe liberato, riversandogli contro tutto il suo rancore
folle: doveva
agire in fretta. Lanciò in aria il lungo pugnale affilato
riprendendo al volo:
lo avrebbe colpito a un occhio, facendo ben attenzione a non rimanere
ferito
lui stesso a seguito degli spasmi incontrollati dell’essere.
Nel mezzo di
questo ragionamento, lo sorprese il grido, non troppo distante,
d’una donna,
forse. L’eco attutita di una violenza o di un incidente di
cui l’Ase non poteva
certo occuparsi, perché c’erano cose
più urgenti, da risolvere. Aveva fatto,
per le donne rinchiuse nel Tempio, più di quanto fosse nei
suoi progetti fare:
salvarle tutte non era possibile e l’unica di cui gli
importasse qualcosa ormai
era al sicuro, all’accampamento con Freya e Njord.
Valutò scientemente che quel
grido non poteva distrarlo e scagliò il pugnale, che
andò a segno. Il resto, lo
aveva previsto fin troppo bene: il ghiaccio si frantumò,
spezzato dal dolore e
dal rancore del mostro. Subito dopo, l’intero sotterraneo
tremò e vibrò
orrendamente. Il dio degli inganni evitò i colpi ciechi e
furiosi del mostro e
si diresse, rapido, sotto la sua pancia esposta, dove il carapace
lucente
mostrava qualche punto debole. Era da lungo tempo che non gli capitava
d’affrontare un simile abominio e fu contento di non avere
sempre quella piaga
dell’inopportuno fratello alle calcagna. Avrebbero litigato
su chi dei due avesse
il merito dell’uccisione del mostro per decenni, almeno.
Infilò la spada tra
una delle zampe della creatura e il corpo, intuendo che il colpo
avrebbe potuto
debilitarla: una strategia assolutamente perfetta, solo
che[4].
Solo
che il grido
lontano si fece
improvvisamente vicino e aumentò in intensità e
volume assumendo una nota conosciuta,
familiare. Le zampe del mostro mulinavano rabbiose nel tentativo
d’infilzarlo e
Loki trafiggeva, parava, scansava, mormorava rune, ma non
poté fare a meno spendere
una frazione di secondo per voltarsi e vedere chi cazzo aveva deciso di
venire
a crepare in quel sotterraneo.
La
terra sussultava, l’acqua ribolliva, il mostro lo cercava,
accecato dalla lama
del pugnale e dal rancore. Il dio degli inganni vide Sigyn incespicare
sugli
ultimi gradini crepati e parzialmente distrutti che congiungevano il
cunicolo
alla dimora della creatura, venire afferrata da uno stravolto Theoric,
rotolare
assieme a lui. Lo fulminò il pensiero che una simile caduta
le avrebbe fatto
perdere il figlio maschio che aspettava, a cui lui non aveva fatto
nemmeno in
tempo ad abituarsi.
Allora
era lei, che gridava. Lei.
Fu
raggiunto da una delle zampe del mostro che non riuscì a
parare né a evitare –
aveva commesso l’errore di perdere la concentrazione
– e si ritrovò in acqua,
quasi senza respiro. L’arto dell’abominevole
creatura ruppe le protezioni
robuste dell’armatura d’Ase di Loki, perforando il
metallo e incuneandosi,
sebbene di poco, nella carne. Tentò di sollevarsi, ma la
zampa dell’essere
continuava a bloccarlo in quei pochi centimetri d’acqua che
gli arrivavano alle
ginocchia. Affogare così era svilente, ma certo non
impossibile, se non fosse
riuscito a rialzarsi in fretta. E poi c’era lei, per le
Norne, lei. Loro,
forse.
“Loki!”
Il grido di Sigyn fu qualcosa di terribile, straziante.
Non
poteva averlo visto davvero. Doveva trattarsi di un incubo o
un’allucinazione.
Il dio degli inganni era un Ase addestrato da Asi – anzi, uno
Jotunn. Gente
fiera, forte, abile e potente, tanto da essere considerata quasi
invincibile.
Invece Lingua d’Argento s’era voltato giusto il
tempo per riconoscerla e poi
era caduto sotto il fendente, implacabile, del mostro inferocito.
L’acqua si
tinse di rosso. Sigyn, ancora a terra, tentò di strisciare
verso il bordo
dell’acqua e di liberarsi del peso di Theoric. Anche
l’uomo era sconvolto.
Improvvisamente, la sua vendetta nei confronti della principessa dei
Vanir
aveva perso parte della sua attrattiva. Urlò, cercando di
fuggire nuovamente
verso il cunicolo, ma l’ultimo movimento tellurico aveva
parzialmente coperto l’imbocco
del cunicolo. Si rese conto con orrore che era intrappolato;
l’unica sua
fortuna era che, con tutta probabilità, il dio degli inganni
sarebbe morto.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Cari Lettori che
siete
arrivati fin qua,
Non
mi ammazzate. Ho aggiornato
questa
storia dopo mesi e ho fatto finire il capitolo in maniera crudelissima,
lo so,
ma il prossimo episodio è già mezzo scritto e a
stretto giro saprete come andrà
a finire la storia. Il capitolo presenta numerose scene di violenza, me
ne
rendo conto, ma poiché non vi è alcuna
descrizione né c’è niente di gratuito,
ho
lasciato il rating arancione. Se lo riterrete opportuno,
provvederò ad alzare
il rating a rosso.
Perdonatemi per
questa
botta di realismo che ho voluto regalarvi col personaggio di Theoric, che è negativo
(voi direte: c’è
bisogno della specifica? Purtroppo, non sapete quanto).
Rappresenta la banalità del male,
l’uomo della porta
accanto che di fronte ai nostri “no” cerca
vendette, che attribuisce l’infelicità
del suo destino al fatto che Sigyn ha scelto Loki. Sigyn fu, in Tutte
le tue
bugie, sempre estremamente chiara nei confronti di Theoric,
confessandogli
immediatamente di amare un’altra persona.
Voglio
ringraziare tutti coloro che hanno recensito,
preferito, ricordato e seguito questa storia dal primo capitolo
a… ora.
Grazie davvero, ogni riga è per voi. Mi commuovo
♥. Parafrasando l’infinita
Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo
chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il
cielo non
è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno.”
Se la storia vi
ha
colpito, utilizzate le liste: farete felice un’Autrice
♥ (Fa anche rima). La
Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure
per poter spandere i
suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Ricordo che Vanheim,
con questo ordinamento sociale,
politico e culturale è una mia idea
e il
Tempio eccetera è una mia idea: vi pregherei di non
utilizzarla o, se proprio
vi sentite ispirati, di inserire un disclaimer apposito
in cui
dichiarate i credits ♥. Anche
il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla
voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A prestissimo,
Shilyss
[1]
Come ricorderete negli scorsi capitoli. È
l’episodio delle lame visto dal PoV di
Sigyn.
[2]
È la storia di Tutte le tue bugie,
la prima long, come sempre.
[3]
Sempre in Tutte le tue bugie, Sigyn
finisce per accompagnare Loki e Njord in un’ambasceria ad
Asgard.
[4]
Ogni volta che incontrate l’uso
ridondante di Solo che/Solo che
riferito a Loki e a Sigyn il pensiero va alla
minilong in 2 capitoli che ha fatto di questo espediente narrativo la
sua
forza: è la mia
“Sposami, Sigyn.”