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Autore: Dida77    02/02/2019    3 recensioni
"Doveva portare il corpo di Bucky via di lì. Si era ripromesso di portarlo a casa con sé e lo avrebbe fatto."
Post Captain America: The Winter Soldier
Personaggi: Steve, Bucky, Natasha, un po' tutti.
La storia è stata scritta come regalo di compleanno per Rossella, splendida l'amministratrice del gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart".
Un grazie infinito a Enid che ha betato questa storia rendendola mooooolto migliore. Se vi piace, è sicuramente anche merito suo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bucky parlò per ore, la sua memoria di super soldato gli permetteva di ricordare tutto, ogni faccia, ogni nome, ogni singolo episodio. Raccontò tutto a Steve, senza tralasciare niente, nemmeno i dettagli più macabri.

Raccontò di come si era risvegliato nel laboratorio dell'Hydra dopo la caduta dal treno, senza un braccio, da solo, tra gente che parlava una lingua che non capiva.
Raccontò del siero del super soldato e di come glielo avessero somministrato, legato a un maledetto letto con un'infinità di cinghie di cuoio.
Raccontò della macchina per l'elettroshock, del pezzo di gomma che gli mettevano in bocca perché non si spezzasse i denti. Poteva ancora ricordare il suo sapore sulla lingua.
Raccontò della capsula per l'ibernazione, dei dolori lancinanti al risveglio, degli esperimenti fatti solo per testare la sua resistenza al dolore e la sua potenza in combattimento.
Raccontò dei suoi ricordi, che svanivano uno dopo l'altro come foglie al vento, dopo ogni seduta di elettroshock, fino a non ricordare più il suo nome. James Buchanan Barnes veniva distrutto pezzo dopo pezzo. Rimaneva solo il soldato, la macchina da guerra.
E poi raccontò dei morti, delle persone che aveva ucciso. Ricordava i nomi dei suoi obiettivi, li ricordava tutti. Pronunciò tutti quei nomi, uno per uno, mentre tremava sempre di più tra le braccia di Steve per la tensione e la vergogna, mentre Steve rafforzava la presa attorno alle sue spalle, per essere sicuro che non finisse in mille pezzi.

Li pronunciò tutti quei nomi, mentre Steve ascoltava in lacrime ciò che l’amico era stato costretto a fare. Lo avevano trasformato in una macchina da guerra per colpa sua. Perché non era riuscito a impedire che cadesse da quel treno. Perché non era andato a cercarlo, sicuro che ormai fosse morto.

“Non è colpa tua. Non è colpa tua Bucky. Non è colpa tua.” Ripeteva come un mantra mentre l'altro continuava ad elencare i nomi di coloro che aveva ucciso. Una lista infinita…

“Robert Baker, Ian Walker, Howard Stark, Maria Stark, James Damon…”

“Howard? Hai ucciso Howard Stark e sua moglie, Bucky?” Steve era rimasto senza fiato all’udire quei nomi.

L’altro si fermò, cercando di farsi più piccolo tra le braccia di Steve, cercando di sparire. Un cenno di assenso fu l’unica cosa che riuscì a fare.

“Adoravi Howard. Siamo andati a vedere i suoi spettacoli tutte le volte che abbiamo potuto. Sei voluto andare a vederlo anche l’ultima sera prima di partire per il fronte… Guidava l’aereo con cui sono venuto a salvarti in Italia…” Non poteva crederci, era semplicemente una cosa senza senso.

“Lo so. Adesso ricordo. Ma allora era solo una missione. Niente di più. Non riuscivo nemmeno a ricordare che avessi avuto una vita prima di quell’inferno… Non mi ricordavo di lui. Te lo avevo detto che sono un mostro.”

“No. Non dire così. Hai fatto tutto questo perché ti hanno costretto. Non eri te stesso. Non ti ricordavi nemmeno il tuo nome, come potevi ricordarti di Howard…” Ma Bucky continuava a tenere la testa bassa e ad evitare il suo sguardo.

Aveva deciso di raccontare tutto a Steve, tra loro non c’erano mai stati segreti, non potevano iniziare adesso. Aveva voluto raccontargli tutta la verità, senza risparmiargli niente. Mentre raccontava sapeva che a un certo punto Steve lo avrebbe visto per quello che era veramente. Un mostro, semplicemente un mostro.
Ma non poteva farci niente, non poteva cambiare ciò che era stato. Non poteva nasconderlo a Steve, non sarebbe stato onesto. E lui era una persona onesta, quindi aveva raccontato tutto per filo e per segno fino a quando non era successo. Fino a quando non aveva detto di aver ucciso Howard Stark e sua moglie. Allora il velo era caduto e Steve aveva iniziato a vederlo per ciò che era veramente. Un mostro.

Ma Steve stranamente non mollava la presa attorno alle sue spalle. Continuava a parlargli con la solita voce dolce, dicendogli che non era colpa sua, che non poteva rifiutarsi. Benedetto ragazzo, cosa ci voleva perché vedesse la verità?

“Guardami Bucky.” La voce perentoria di Steve riscosse Bucky dai suoi pensieri e lo costrinse ad alzare lo sguardo. “Ti ho detto di guardarmi.”

Una volta che Bucky ebbe alzato la testa, Steve lo guardò dolcemente negli occhi e continuò. “Ascoltami bene. Ti ho detto che non è colpa tua. Dovrai convivere per tutta la vita con il ricordo per ciò che ti hanno costretto a fare. Ma questo non cambia in alcun modo ciò che sei e quello che provo per te. Hai capito? Mi hai capito bene Bucky? Niente di quello che ti hanno costretto a fare cambierà mai ciò che c’è tra noi.”

Sostenere lo sguardo di Steve era diventato difficile e Bucky cercò di chinare lo sguardo. “No. Ti ho detto di guardarmi. Hai capito cosa ti ho detto?”

Niente, nemmeno un cenno da Bucky, che però continuava a guardare Steve negli occhi. “Sei sicuro Steve? Sei davvero sicuro?” Chiese incredulo.

“Fino alla fine Bucky. Me lo hai detto tu anni fa. Fino alla fine.”

Rimasero lì abbracciati per molto molto tempo. Sdraiati in due sul quel letto troppo piccolo, abbracciati in silenzio, guardando semplicemente la neve che continuava a cadere fuori dalla finestra. Un po’ di pace era tutto ciò che volevano. Dopo tutte quelle guerre e quelle battaglie, dopo tutto quel dolore e tutte le ferite, volevano solo un po’ di pace. Ma il mondo aspettava subito fuori da quella finestra e non avrebbero potuto ignorarlo a lungo, lo sapevano. Per il momento, però, il mondo era fuori da quella finestra e lì rimaneva. Almeno per un’altra sera ancora.

“Ci serve un piano.” Iniziò Steve.

“Un buon piano, direi. Se analizziamo la situazione siamo nella merda. Quelli dell’Hydra mi vogliono morto o peggio, di nuovo sotto il loro controllo, e sanno che sono qui a Bucarest, ferito. Quelli dello S.H.I.E.L.D. mi vogliono morto o in prigione, e sanno che sono qui a Bucarest, ferito. Da qualsiasi parte tu voglia guardare la situazione, siamo nella merda.”

Steve sbuffò. Sentir paragonare lo S.H.I.E.L.D. a quelli dell’Hydra gli fece venire la pelle d’oca. Ma non si poteva dire che l’analisi di Bucky fosse troppo lontana dalla realtà.
“Modera il linguaggio Bucky. E poi lo S.H.I.E.L.D. non è come l’Hydra. Loro pensano che tu sia una minaccia. Ma se li convinciamo che non lo sei, non vorranno più ucciderti.”

“Bella consolazione.” Sbuffò esasperato. Come risultato una fitta lancinante lo percorse lungo il fianco destro.

“Ehi ehi! Fai attenzione. La ferita è ancora fresca.”

“Mph. Comunque, per tua informazione, sono ancora una minaccia. Ne ho uccisi cinque a mani nude nel giro di un minuto. Sono ancora una minaccia, Steve.”

“Anche io posso uccidere a mani nude, ma non per questo lo S.H.I.E.L.D. tenta di arrestarmi… Dovremmo solo trovare il modo di fargli sapere cosa ti ha fatto l’Hydra in questi settanta anni. Se solo sapessero tutto ciò che mi hai raccontato beh… sono sicuro che la penserebbero come me.”

“Il mio cavaliere senza macchia e senza paura. Grazie al cielo certe cose non sono cambiate.” Una tenerezza infinita invase il petto di Bucky, che si mosse per cercare di farsi ancora più vicino. Poi continuò… “Steve?”

“Dimmi.”

“Pensi che il fascicolo che l’Hydra aveva su di me potrebbe aiutare?”

Steve scattò a sedere sul letto come una molla lasciando andare la presa attorno alle spalle di Bucky. “Certo che potrebbe aiutare. Sarebbe la prova di tutto ciò che ti hanno fatto. Perché me lo chiedi?”

“Perché è a casa mia, nel mio appartamento. Sotto una trave del pavimento. O almeno c’era una settimana fa...”

“O mio Dio, Bucky. È una notizia fantastica! Ma perché lo hai te? Com’è possibile?”

“Quando mi sono ricordato chi eri ho deciso di scappare via. Nei giorni successivi, piano piano, i ricordi hanno iniziato a riaffiorare. Prima erano solo sprazzi di noi, poi ne sono arrivati altri. Ma erano solo sprazzi, come se mancasse la visione d’insieme. Allora ho pensato che loro dovevano aver qualcosa su di me. Dovevano avere un fascicolo in cui c’era scritto tutto ciò che sapevano. L’idea che loro sapessero di me più di quanto ne sapessi io stesso mi mandava su tutte le furie. Mano a mano che i giorni passavano quel fascicolo era diventato sempre più un chiodo fisso, e allora semplicemente decisi di tornare alla base e riprendermelo.”

“È stata una mossa stupida. Lo sai vero?”

“Non avevo niente da perdere. L’unico vero rischio era che mi catturassero di nuovo. In tal caso avevo con me la pistola. Se mi fossi trovato in difficoltà l’avrei semplicemente usata e avrei messo fine a tutto.”

Un brivido percorse rapido la schiena di Steve, che per reazione tornò ad abbracciare Bucky, stringendolo a sé come per proteggerlo, anche a distanza di mesi, da ciò che sarebbe potuto accadere.

“Una volta recuperato il fascicolo l’ho letto così tante volte che sono arrivato a conoscerlo a memoria. E sono un sacco di pagine, Steve, veramente un sacco. Volevo distruggerlo… ma poi non ce l’ho fatta. Era l’unica cosa che mi rimanesse di me, in un modo o nell’altro, e non ci sono riuscito.”

“Dobbiamo recuperarlo e dobbiamo farlo avere allo S.H.I.E.L.D.  È la nostra unica via di uscita da questa situazione…”

“Ok, se la pensi così allora andiamo.” Rispose cercando di sciogliersi dall’abbraccio di Steve per alzarsi.

“Tu non vai da nessuna parte. Hai ancora la febbre e non sei in grado di reggerti nemmeno in piedi.”

“Non posso permetterti di andare là fuori da solo Steve. Sei matto?” alzò la voce Bucky.

“Non è questo che avevo in mente…”

“Allora cosa?”

Steve non rispose. Recuperò rapidamente il cellulare, fece un numero di telefono ed iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza come un leone in gabbia.
   
 
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