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Autore: sakurahatsuki    02/02/2019    1 recensioni
LIBRO PRIMO DELLA DILOGIA LE CRONACHE DI TROEMS
L'alleanza della Lega dei Tre Regni è messa in pericolo dalle minacce esterne di un Impero troppo ingombrante, popoli nomadi e una minaccia che sembra essere mandata direttamente dagli déi..
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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Rav’jal sollevò gli occhi verso il sole oscurato, come stavano facendo tutti i sacerdoti del Colle di Hal, chi più intimorito, chi meno. 
Lei si sentì un lungo brivido percorrerle la spina dorsale, come se una goccia di acqua fredda la stesse percorrendo, ma ella sapeva bene non essere così: quegli eventi, che potevano accadere una volta ogni centinaia di anni, erano sempre fonte di pericolo, come dicevano sempre i poveri; e se solo le persone — che solitamente si muovevano per le stradine strette e buie di Hal come formiche operose — avessero saputo l’entità delle calamità che l’eclisse annunciava..
Lei e gli altri sacerdoti non conoscevano esattamente, ma le profezie fatte dalla pitia e dai veggenti del Sacro Fuoco avevano proclamato che quell’anno non sarebbe stato molto favorevole alla grande città libera. 
«Dovremmo andare a parlarne con il Console Foch..».
Rav’jal si girò verso il gran sacerdote, il cui doppio mento tremolava, e il volto gioviale era percorso da lievi gocce di sudore. Sicuramente il suo essere il nipote del vecchio Console aveva aiutato la sua elezione, e un po’ tutti lo sapevano, ma ostentavano comunque un formale rispetto per non rischiare di indispettirlo: il solo che aveva avuto da obiettare era morto di fame e sete nei cunicoli scavati nel tufo, nelle celle destinate ai traditori della fede.
Si morse la lingua, togliendo lo scialle di finissimo cotone giallo dal capo, nonostante la brezza fredda proveniente dal mare che si trovava proprio davanti a loro. 
«Il Console non è molto timoroso degli déi», sussurrò. La luna iniziò a spostarsi da davanti al sole, come testimoniava il cielo che rapidamente, da stellato, iniziò a riacquisire il più rassicurante colore azzurro.
«Tutti dovrebbero esserlo, specie con quello che vanno a dire i nostri veggenti e gli auspici». Su questo, il gran sacerdote Kas aveva ragione, ma spesso, come ben sapeva Rav’jal, gli uomini di potere, credendosi superiori, abbandonavano le antiche tradizioni, definendole delle attività da poveracci.
«Foch non ha mai prestato attenzione alla pitia», rispose la Vecchia, una donna anziana ma dai capelli folti e neri come l’ebano. Si diceva avesse oltre gli ottant’anni, eppure era ancora vigorosa come se ne avesse trenta. Rav stessa, che aveva appena compiuto ventisette primavere, delle volte faceva fatica a starle dietro. «Si dovrebbe parlare con il Magister».
Rav abbassò lo sguardo per osservare la città, così claustrofobica e piena di vita che, quando ci era arrivata per salire al tempio ed entrare come novizia, era rimasta a bocca aperta, e suo padre dovette trascinarla via quando si era bloccata a guardare un giocoliere proveniente da Troems ingoiare una torcia accesa, senza alcun lamento. ‘Sono passati tanti anni’, si disse, perdendosi nei propri pensieri. 
Ormai il cielo era completamente sgombro, il sole splendeva esattamente sopra il piazzale dei templi, e i pellegrini e alcuni sacerdoti avevano ripreso le loro attività quotidiane, e anche lei avrebbe dovuto tornarsene al tempio, come del resto anche la Vecchia, che ella aveva accompagnato fuori dal santuario dove custodivano il grande braciere della saggezza, che mai doveva spegnersi, pena il castigo delle divinità. 
Il colore giallo dei loro abiti, le designava come seguaci della Via della Saggezza, una delle più popolari, in particolare fra gli abitanti umili, che cercavano consigli e un modo per poter scampare alla loro misera situazione quotidiana. Il gran sacerdote Kas, invece, indossava la tunica porpora dell’Ordine del Mare, principalmente seguito dai mercanti o dai nobili in generale; ed era intento a riflettere su quanto avevano detto le donne, ancora scosso dall’eclisse totale che aveva fatto calare il mondo in un silenzio totale.
«Rav’jal, potresti andare tu a chiamare il Magister?».
La giovane sacerdotessa annuì, il capo chino in un gesto di sottomissione verso Kas, il quale si girò subito sui tacchi degli stivali e fece ritorno al suo tempio, così come iniziò a fare la Vecchia.
«Va’, e fai attenzione per le strade», le si raccomandò, rivolgendole un sorriso. Un’altra cosa curiosa dell’anziana erano i denti, ancora bianchi e perfettamente sani. Si diceva non avesse mai avuto bisogno di una visita del cerusico. «Quando il popolo vede segni di una catastrofe imminente, diventa impudente, anche con coloro che indossano le nostre tonache».
Rav’jal era troppo giovane, ma sapeva, dai racconti di sacerdotesse più anziane, che quando ci fu un’innondazione, una decina di anni prima del suo arrivo a Hal, che quando la marea si ritirò, molti stuprarono e uccisero diverse sacerdotesse; altri rubarono, e ancora allora le loro teste mozzate, ormai ridotte a semplici teschi anonimi, facevano mostra di loro, con altri giustiziati più recenti, ai cancelli della città. L’idea di scendere la ripida scalinata di trecento gradini — cosa che solitamente faceva più che volentieri — non le piacque molto. Ma doveva farlo, visto che il gran sacerdote glielo aveva ordinato. Si riportò sulla testa il velo giallo, che ricoprì i suoi lunghi capelli biondi e le proteggeva la pelle chiara dal sole fin troppo caldo, e iniziò la lenta discesa per i gradini diseguali e ripidi. Scese veloce, con la sicurezza della gioventù. I sacerdoti più anziani non scendevano più in città proprio a causa di quei gradini che distruggevano le loro ginocchia indebolite, e mandavano i più giovani e veloci a fare le loro commissioni, al mercato o nel centro politico.
Rav era ormai a metà strada quando un rombo sommesso, proveniente dal cuore della terra, fece tremare il terreno sotto i suoi piedi. 
Il boato della terra la fece cadere, ma la giovane riuscì a tenersi alla ringhiera, evitando così di scivolare. La terra continuò a tremare per un tempo che pareva infinito, la gente terrorizzata si accalcava per le vie, gli edifici più poveri e fragili caddero, producendo un suono che alla sacerdotessa ricordò per un momento quanto si diceva sul mondo degli spiriti: un luogo primordiale, tetro, dove il dio della morte regnava incontrastato, sancendo il destino di tutti i peccatori grazie alla sua bilancia del cuore: coloro che avevano il cuore più pesante delal piuma, venivano inghiottiti dalle viscere della terra, e lo spirito sarebbe diventato uno schiavo, un lavoratore della grande fucina degli déi. Ecco, quel rumore le ricordò la terra che si apriva e inghiottiva chi si trovava davanti al Giudice. 
Gli déi dovevano essere molto arrabbiati, e appena la scossa si concluse, corse giù più velocemente che poté, dove in molti dovevano essere giunti alla medesima conclusione cui era giunta Rav, a giudicare dalle urla e i pianti delle donne e i bambini.
«Dovremmo andarcene!», gridava una donna magra e vestita di stracci che teneva stretto al seno un neonato magro e che piangeva con una voce che appariva disperata. Era chiaramente una mendicante, di quelle che nei giorni in cui si davano gli avanzi e l’elemosina ai poveri, saliva il colle.
«Gli déi ci hanno voltato le spalle!», le fece eco un uomo. «Prima l’odore di zolfo, poi il sole oscurato e un terremoto in un solo giorno, se questo non è un segno della fine dei tempi, non so proprio cosa sia!», continuò concitato, facendo anche un gesto verso Rav, appena entrata nella via ove stavano parlando. 
Alcune case sembravano aver subito danni, e c’erano pezzi di calcinacci sul terreno sporco. Almeno non sembravano esserci stati troppi morti, pensò, recitando comunque una muta preghiera, per poi iniziare a pensare ad una risposta.
«Dovete aver fiducia», disse stringendosi meglio il velo contro il corpo sottile, cercando anche di credere alle proprie parole: in quel momento, con il cuore che ancora batteva furiosamente, come un tamburo, nel petto, Rav’jal non credeva di poter apparire convincente; e doveva correre dal Magister. La situazione si stava decisamente facendo seria, come avevano detto gli oracoli nelle ultime giornate. 
L’uomo che prima aveva parlato, scoppiò a ridere. Nonostante fosse relativamente giovane, gli mancavano già un paio di denti, e i restanti erano di un colore giallastro. Non disse altro, semplicemente le sputò ai piedi, e la gente le voltò le spalle, tornando a dedicarsi alle loro faccende. Tentò di non apparire troppo sconvolta da un simile atto di disprezzo, e con un profondo respiro, il suo labbro inferiore smise di tremare, e riprese la propria strada. 
La zona appena sotto i templi era una delle più povere della città, il puzzo di escrementi e spezie era molto forte, tanto che rimaneva per molto nelle narici di chi vi passava e non ne era abituato. Era abitato da mendicanti e persone che comunemente vivevano alla giornata, con furti o lavoretti di poco conto; la povertà vi si stagnava come una palude con sabbie mobili, e sembrava impossibile pensare che qualcuno di quei poveracci potesse in qualche modo rialzarsi e avere una vita quantomeno dignitosa, dato che quelli che elemosinavano, sia che avessero una famiglia o meno, lo andavano a spendere nelle squallide bettole della zona in donne e vino, incuranti del resto.
Arrivata un po’ a fatica a destinazione, fra molti cittadini che, radunate le proprie cose e le persone loro care, cercavano, presi dalla paura, di lasciare la città, Rav si appoggiò alla parete del solidissimo palazzo dalle pareti spesse quanto la lunghezza del suo braccio, così per riprendere fiato una volta varcato l’ingresso, godendosi la quiete e la frescura dell’ombra. 
Le ci volle poco. Appena si fu ripresa, si risistemò i suoi abiti gialli, indicatori del suo stato, e chiamò un servo per farsi accompagnare dal suo padrone. Passarono attraverso un grazioso giardino interno, con siepi e una fontana zampillante, tornarono nel porticato e salirono le scale, fino a giungere al solarium del Magister. Il servo, un anziano giardiniere, li lasciò con un inchino, e Rav’jal chinò lievemente la testa al profondo inchino dell’uomo. I servi degli déi erano trattati con molto rispetto, in genere, un netto contrasto coi poveri che aveva incrociato appena scesa dai templi. A occidente, lontano dal porto e dai mendicanti, erano gli affari a farla da padrone, affari che potevano avere effetti sulla politica cittadina per l’anno successivo. Sempre se ci sarebbe stato, un anno successivo, ovviamente. 
«Vedo che questo terremoto vi ha portati da me più in fretta di quanto pensassi..», esordì il Magister Hugo Mophys, avvolto da sete preziose e decorate. Era calvo, ma si portava in su i radi capelli rimasti in un tentativo di coprire le stempiature, con effetti piuttosto grossolani. In molti lo prendevano in giro per questa cosa.
«A dire il vero, mi hanno mandata a chiamarvi giusto all’eclisse appena stata, mio signore». Rav chinò nuovamente il capo, ricordandosi di quanto piacesse a quell’uomo essere adulato. Era uno dei più anziani del Consiglio, un mercante di tessuti piuttosto celebre e ricco, e che come tale, ormai, si credeva superiore a chiunque altro.
«Abbiamo saputo di quei presagi negativi», continuò lui, alzandosi dalla sedia con un gran rumore del legno sulla pietra del pavimento, e andò con lenti passi alla finestra, da cui si godeva di una visione del golfo che costituiva il porto. «Come mai preoccuparsi tanto, sacerdotessa? Gli déi sorridono sempre a questa città».
«Non oggi, mio signore». Le parole le uscirono d’istinto, gravi come un avvertimento proveniente dal mondo dei morti. Probabilmente avrebbe dovuto mordersi la lingua, prima di dire una cosa del genere. L’uomo infatti si voltò di scatto, con uno sguardo che non lasciava dubbi su quanto le parole della sacerdotessa lo avessero indispettito. «Intendevo dire che..».
«So bene cosa intendevi, donna..», l’uomo si sfiorò la guancia ruvida. 
«Il Gran Sacerdote desidera vedervi, ora. Per questo sono qui. E dubito che questa città abbia mai affrontato pericoli del genere».




Note dell'autrice:
Piccolo prologo, che spero possa piacere, visto che sono una scrittrice ancora in erba. Qui si potranno notare similitudini fra le stirie di Pompei e la civiltà minoica, ma dal prossimo capitolo ci sposteremo verso il vero fulcro del racconto, la tragedia è solo all'inizio!
   
 
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