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Autore: FantasyAlex    04/02/2019    2 recensioni
Un antico monastero, abbandonato e irraggiungibile al centro di una foresta, si trova sospeso nel tempo. Gli echi della storia si affacciano nel presente e dal presente può arrivare la svolta decisiva per spezzare l'antica maledizione che da secoli intrappola i suoi abitanti. Ma ci sono forze che giacciono in agguato, e attendono pazientemente che le porte del monastero vengano aperte per concludere ciò che hanno iniziato secoli prima.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3


Camminavano oramai da ore e il sole brillava alto nel cielo. Nonostante il fogliame degli alberi, che diventava sempre più fitto man mano che si addentravano nel cuore della foresta, i raggi riuscivano comunque a filtrare e dare una buona visibilità.
Albert camminava davanti, portandosi sulle spalle il pesante zaino mimetico che aveva preparato il giorno prima, tutto perfettamente stipato per occupare il minor spazio possibile. Luke, qualche passo indietro, aveva uno zainetto più piccolo, di un bel rosso acceso, che aveva dovuto preparare in fretta e furia dopo aver deciso improvvisamente di partecipare all'escursione.
Come avevano previsto la giornata era calda, quindi vestivano entrambi piuttosto leggeri, ma avevano portato degli abiti più pesanti per ogni evenienza e delle mantelline impermeabili, nel caso di acquazzoni improvvisi.
Albert aveva un paio di pantaloncini grigi, una maglia in pile blu e nera a scacchi ed un paio di scarponcini marroni. I calzoni di Luke erano beige, con un paio di ampie tasche sui lati, indossava una maglietta nera a maniche corte con sopra un gilet verde scuro anche quello pieno di tasche e degli scarponi da montagna neri.

«Ma da qui non eravamo già passati?»

Domandò all'improvviso Albert che si era fermato a studiare una particolare conformazione di rocce. Luke osservò nella medesima direzione e alla fine sollevo appena le spalle.

«Non saprei, forse, ma potrebbe essere anche una roccia simile a quelle giù superate. Abbiamo sempre proseguito in linea retta, almeno credo e poi...» il ragazzo si guardò un poco intorno, si avvicinò ad un albero per poggiare la mano sul tronco scuro e nodoso che ne tradiva l'età avanzata. «No, non siamo mai stati qui. Ho segnato la corteccia degli alberi con un gessetto bianco man mano che avanzavamo e qui non c'è niente.»

Albert sorrise all'intuizione dell'amico, lui non ci aveva pensato, ma era un'ottima idea. Purtroppo non potevano contare su un sentiero chiaro e visibile, perchè l'antico passaggio che portava al monastero era oramai stato inghiottito dalla vegetazione e, dopo appena una mezz'ora da quando si erano addentrati nella foresta, era stato impossibile seguirlo. Verso mezzogiorno si erano fermati a pranzare in una piccola radura che avevano incontrato, e il calore del sole, unito al sapore dei panini, era stato così piacevole che, per qualche istante, Luke aveva dimenticato le inquietudini di quella spedizione. Per quel breve istante gli era sembrato di star facendo una semplice scampagnata con il suo migliore amico, in un normale sabato pomeriggio.

«La bussola continua a non funzionare?» domandò Albert che, frattanto, aveva ripreso la marcia attraverso la vegetazione che ora cresceva rigogliosa e selvaggia. Non avevano particolari difficoltà a camminare, ma in alcuni punti il terreno si faceva più irregolare e scosceso, oppure c'erano cespugli di rovi e altri arbusti che li costringevano ad effettuare piccole deviazioni.

«Ancora nulla.» Replicò prontamente Luke, andando a dare una rapida occhiata allo strumento che portava legato al polso con un laccetto di corda. Intorno alle dieci, forse dieci e mezza, la bussola, che fino a quel momento aveva svolto egregiamente il proprio lavoro, aveva iniziato a comportarsi in modo strano. La lancetta ondeggiava da destra verso sinistra, poi tornava indietro verso destra. Talvolta faceva un paio di giri completi del quadrante, come se essa stessa provasse ad orientarsi e individuare il nord, ma senza successo.

«Le rocce in questa zona, devono essere magnetiche. Questa è l'unica spiegazione per il malfunzionamento della bussola.»

Al solito Albert era estremamente razionale, ma Luke era preparato anche a questa evenienza e gli rivolse un sorrisetto beffardo.

«Lo sai che è possibile trovare il nord anche solo con un orologio e il sole? Perchè pensi che abbia portato un orologio invece di guardare l'ora sul telefono? É molto semplice, basta orientare la lancetta delle ore verso il sole e il nord si troverà nella direzione dell'ora attuale diviso per due. Ad esempio, se fossero le dieci, il nord sarebbe nella direzione delle cinque. Se fosse mezzogiorno nella direzione delle sei, e così via.»

Albert si era fermato di nuovo a guardare l'amico, con il fiato sospeso in attesa del responso. Ancora una volta era rimasto sorpreso di come si fosse preparato per quella spedizione, nonostante il poco preavviso. Molto meglio di lui, gli toccava ammettere.

«Sei il solito secchione!» Lo canzonò bonariamente. Ma in verità era piuttosto ammirato. Sapeva che Luke conosceva molto bene i racconti e le dicerie che circolavano intorno alla foresta, aveva studiato tutte le leggende e, probabilmente, conosceva a memoria la conformazione della foresta, senza il bisogno di guardare la cartina.

«Oh, ma che sfiga!» esclamò il ragazzo, mollando un calcio ad un sasso che rotolò via di qualche metro. «L'orologio si è fermato, così è del tutto inutile. Tu non ce l'hai, vero?»

Albert scosse il capo. «Mi dispiace, il mio è digitale, non penso possa servire.» Sollevò il braccio sinistro, ruotando il polso per mettere il quadrante nel proprio campo visivo e rimase a fissarlo per un paio di minuti, con gli occhi sgranati e senza proferire parola.

«Albert, tutto bene?»

Il ragazzo sollevò lo sguardo dal proprio polso e fissò Luke. «Si è fermato. Anche il mio.»

«Cosa vuol dire "fermato"?» domandò Luke un po' interdetto. «Un orologio digitale non si può fermare, forse intendi dire che si è spento.»

«Si è fermato, ti dico, è fisso su un'ora e non si schioda da lì. Guarda!»

Ruotò nuovamente il polso per mostrare l'ora all'amico e, non appena Luke vide che segnava le ventitre e diciannove, divenne paonazzo.

«Che ti succede?»

Ancora con la bocca aperta per lo stupore, fu il turno di Luke mostrare il suo di orologio ad Albert. Fermo anch'esso su un'ora ben precisa: le ventitre e diciannove.



*******



Il Capitano Bouchard, con sguardo duro e severo, era in sella al suo cavallo bardato per la guerra. Non era un uomo troppo serio, al contrario, amava scherzare e non disdegnava una buona bevuta anche con i suoi sottoposti, ma durante una battaglia non ammetteva distrazioni da parte di nessuno. C'erano in gioco vite umane, dopotutto.

Lo sguardo era fisso alla piana davanti a sè che, da lì a poco, avrebbe brulicato di soldati nemici pronti a stroncare le loro vite senza alcuna remora. La geografia della zona, però, era a loro favore. Sul lato sud c'era la foresta di Tuckstone che si estendeva fin quasi alle pendici della catena montuosa di Dorwine, da cui provenivano i nemici. Era fitta e difficile da attraversare, specialmente con armi e armature, al seguito. Sul lato opposto, a nord, c'erano le paludi Black Hive, anch'esse inaccessibili a meno che non si volesse correre il rischio di affondare con tutta la corazza sotto metri di fango e acqua. Ad est, invece, era ammassato il loro schieramento, nel punto in cui la pianura, si allargava, dopo l'ultimo declivio proveniente dalle montagne.

Bouchard era alla testa di circa trecento uomini, cento dei quali a cavallo, ed era schierato sul lato destro, a nord, con le paludi alle proprie spalle. Il suo ruolo era molto semplice: l'esercito nemico sarebbe arrivato attraverso i passi montuosi ma sarebbe stato bloccato tra foresta e paludi, quindi avrebbe proseguito verso est lungo la piana dove si trovava la loro armata, nel punto in cui si faceva più ampia. Avrebbe allora tentato di allargarsi ai lati e lui aveva il compito di fermarli e ricacciarli indietro, in modo che non potessero aggirare il grosso dell'esercito.
Un compito piuttosto secondario, gli scontri dal quel lato sarebbero stati minimi e anche le perdite, almeno era quello che sperava, sarebbero state contenute.

Voltò lo sguardo verso Hadray, il suo ufficiale in seconda. Era un biondino giovane e di buona famiglia, che aveva passato più tempo in accademia che sui campi di battaglia, ma era un tipo a posto. Un po' spavaldo come tutti i giovani, sicuramente, ma aveva ancora il senso dell'onore e lo spirito cavalleresco che si perde con l’avanzare dell’età.

«Tenga gli uomini nei ranghi, Hadray. E si prepari per la battaglia. Si sente già la terra tremare.»

Ed era proprio così. Se ci si prestava attenzione, se si restava in silenzio si potevano percepire le vibrazioni del suolo, causate dal passo di centinaia di uomini in armatura che avanzavano. Lentamente, ma inesorabilmente, il tremore si faceva sempre più intenso, segno che il momento dello scontro si stava avvicinando.

«Agli ordini, Capitano!» Rispose Hadray, fiero e marziale sul suo bianco cavallo, acquistato sicuramente dai facoltosi genitori. Colpì, con i talloni, un paio di volte l’animale ai fianchi e passò dinanzi a tutte le truppe, controllando che i soldati fossero in linea con una cura fin troppo maniacale. "Un giorno imparerà ad occuparsi meno della forma e più della sostanza". Pensò Bouchard mentre lo osservava.

I minuti passavano inesorabili e il sole alto nel cielo non dava tregua, rendendo le corazze e le cotte di maglia dei soldati veri e propri forni; fortunatamente ogni tanto spirava una lieve brezza da nord, che alleviava un po' la calura della giornata. Poi, all'improvviso, quello che era solo un lieve tremore sul terreno, divenne un vero e proprio boato e una massa feroce e urlante apparve dinanzi a loro. Un'unica lunga linea nera gli stava letteralmente calando addosso, a passo sostenuto, come se non vedesse l'ora di buttarsi a capofitto nella lotta. Erano più di quanto si aspettava, ma comunque non tanti quanto loro.

«Eccoli, stanno arrivando.» Urlò Hadray, con un ardore tale che, per un attimo, Bouchard temette volesse lanciarsi alla carica.

«Tutti fermi e in attesa di ordini!» Tuonò il Capitano con la sua profonda voce, che sovrastò non solo Hadray, ma anche il brusio che si era levato dai soldati alla vista del nemico così arrembante. «Il nostro compito è fare da scudo, quindi non marceremo, non caricheremo, non attaccheremo per nessun motivo. Se qualcuno arriverà nella nostra direzione, lo rispediremo indietro da dove è venuto.»

Il Generale Burroughs, dall'alto della collinetta dove era stata posizionata la sua tenda, osservava la scena e ordinò l'avanzata. Dapprima lentamente e poi sempre più in fretta, i due eserciti si diressero l'uno verso l'altro fino ad arrivare in contatto e aprire così le ostilità.
Il rumore di metallo contro metallo, le grida di dolore si levarono alte in cielo e si mescolarono in un solo grande frastuono, mentre i soldati combattevano. La battaglia era incredibilmente cruenta, perfino per l'esperienza di Bouchard: i nemici sembravano preda di qualche furore sacro e avanzavano a testa bassa, incuranti del dolore e della fatica, ma erano in inferiorità numerica e alla fine cadevano in gran numero, senza riuscire a sfondare. L'odore del sangue imperniava l'aria e il terreno, ancora una volta, si colorava di rosso. Ma c'era qualcosa di sbagliato.
Bouchard scrutava la battaglia imperversare dalla sua postazione, senza muoversi come gli era stato ordinato, ma nessun nemico ancora si era diretto verso il loro fronte. Era ovviamente ben consapevole che pochi gruppi disuniti mai avrebbero potuto sfondare dal quel lato eppure, non riuscendo a passare oltre, qualcuno, anche solo per disperazione, si sarebbe dovuto inevitabilmente avvicinare. Era sempre stato così, in ogni battaglia a cui aveva partecipato. Tranne quella volta.

Bouchard non era affatto tranquillo poi, come colto da un'ispirazione improvvisa, girò il suo cavallo, in direzione della palude e fu allora che li vide. Tante piccole figure nere si stavano facendo strada attraverso la zona fangosa e stavano per piombare alle loro spalle. Era esterrefatto, non riusciva a spiegarsi come avessero potuto passare da lì o quanto tempo prima dovevano essere partiti per giungere proprio in contemporanea all'attacco. Una coordinazione notevole. Ma non c'era tempo da perdere in quei pensieri, bisognava agire o sarebbero stati ben presto schiacciati in una morsa letale. D'altro canto non poteva nemmeno ordinare ai suoi uomini di dirigersi verso le paludi o avrebbe lasciato sguarnito quel fronte e gli avversari avrebbero potuto accerchiare il resto dell'esercito.

C'era solo una soluzione logica e Bouchard lo sapeva. Diresse lo sguardo verso Hadray, il quale forse aveva già intuito.

«Le lascio il comando della formazione. Mantenga la posizione come ordinato, costi quello che costi.»

Il giovane ufficiali annuì al suo comandante con espressione funerea sul volto.

«É stato un onore servire sotto di lei, signore.»

Un’affermazione che sapeva di condanna, ma Bouchard non aveva tempo da perdere in futili preoccupazioni. Spronò il cavallo e aggirò i soldati, ordinando all'ultima fila, una cinquantina di uomini, di seguirlo. Quindi lanciò il cavallo al galoppo sulla pianura, diretto verso la palude.
Non appena sentì il terreno farsi più morbido sotto gli zoccoli della cavalcatura, smontò di sella e, con una pacca sul posteriore dell'animale, lo rimandò indietro. Era inutile sacrificare la vita del cavallo, facendolo impantanare nella palude.

«Avanti uomini, non facciamoli avanzare!»

Esortò i suoi ad attaccare e lui stesso si scagliò verso gli avversari. Ma quando giunse al limitare della palude e finalmente li vide bene, fu sopraffatto dal disgusto. Non erano umani o, almeno, non completamente. I corpi delle creature che aveva dinanzi erano deformi, con braccia e gambe innaturalmente lunghe. I volti sfigurati e sfregiati. Emergevano dal fango con armature fatte appena di placche di cuoio disordinate che lasciavano intravvedere un fisico estremamente muscoloso. Brandivano spadoni, asce o martelli estremamente tozzi e grossolani, ma dall'aria decisamente pericolosa.
Esitò per un istante, ma alla fine il senso del dovere superò lo sgomento per quelle forme grottesche e si avventò su quello più vicino. L'essere, alto intorno ai due metri, sollevò un possente martello, ma era lento, nonostante la quasi assenza di armatura. Bouchard si scontò di lato, schivando il violento colpo e non appena la testa del maglio affondò nel terreno molle e fangoso, lui gli affondò la spada nel ventre. Una sostanza densa e nera, molto dissimile dal sangue, fuoriuscì dalla ferita e un odore nauseabondo si diffuse nell'aria. Il Capitano trattenne il respiro, estrasse la lama e la affondò una seconda volta, nel petto, all'altezza del cuore.
Ma quell'essere non voleva saperne di morire. Sollevò di nuovo il martello per calarlo su Bouchard, ma ancora una volta fu più lesto di lui, fece un balzo indietro, tirandogli via la spada dal corpo e poi si abbassò, mirando al ginocchio, che gli tranciò di netto con un preciso fendente. L'essere cadde sul fianco, sbilanciato anche dal peso dell’arma che brandiva, e lui lo finì affondando la lama nella carne tenera del collo.
Solo allora si rese conto che i suoi soldati erano incerti, disorientati dall'aspetto innaturale di quelle creature.

«Non fatevi intimidire, non esitate, non sono altro che grotteschi e ripugnanti esperimenti di qualche stregone folle.»

Ancora una volta cercò di ispirare i suoi uomini per non farli cedere alla paura e, come a voler dare il buon esempio, attaccò l’avversario successivo, questa volta armato di spadone a due mani. Finse un attacco alla destra, poi cambiò direzione all'ultimo momento e mollò un colpo di taglio a sinistra, ma l'avversario lo deviò con l'imponente lama. Questo appariva più agile e la forza sovrumana che dimostrava gli consentiva di muovere la pesante arma con molta più destrezza di quella che avrebbe avuto un normale soldato.
Tentò un nuovo affondo al petto, ancora una volta parato.

«Pensi di impaurirmi? Ora basta giocare.»

L'essere rispose con una sorta di grugnito. Bouchard si abbassò per colpire il nemico alle gambe, ma questi fece scendere lo spadone dall'alto verso il basso. Il Capitano se l'aspettava, anzi, ci contava. Brandendo la spada con entrambe le mani bloccò il fendente quindi, da quella posizione, mollò l'elsa con la destra, reggendola la spada solo più con la sinistra ed estrasse il coltello che aveva alla cintura. La guardia era scoperta e, rapido come un felino, gli conficcò il pugnale nell'addome.
Bouchard rivolse un ghigno beffardo al suo avversario, ma fu un solo istante perchè una smorfia di dolore si sostituì sul volto subito dopo. Il fianco sinistro gli bruciava terribilmente. Abbassò lo sguardo e vide che quella creatura gli aveva affondato le unghie lunghe e affilate come artigli nelle carni. Era stato in grado di forare persino la corazza con la sola mano.

Bouchard fece un salto indietro, sulla difensiva, stordito e dolorante. L'avversario, invece, non pareva aver subito conseguenza dalla ferita riportata. Il Capitano strinse i denti, barcollando un poco, mentre già sentiva le forze venirgli meno e il sapore del sangue inondargli la gola.

«Forse è arrivata la mia ora, ma non sarai tu a portarmi nella tomba.»

Con un grido più animalesco che umano si lanciò di nuovo contro l'avversario, ma non era una carica furiosa e incontrollata. Quando vide la lama dello spadone arrivare verso di lui, usò tutte le energie che gli erano rimaste per spostarsi di lato ed evitarla, poi mirò ai polsi e, con un potente fendente, calò dall'altro tranciando le mani di netto, facendo cadere anche lo spadone a terra con esse. Era disarmato. Bouchard sollevò la spada un'ultima volta per dargli il colpo di grazie e fu allora che un forte dolore lo raggiunse alla testa. Dopo tutto fu buio.
   
 
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