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Autore: _Destinyan_    06/02/2019    2 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Marzo, 1959
Italia


“Lovino, vuoi stare fermo con quella testa?” Antonio lo aveva fatto sedere ad una sedia, davanti al tavolo, lo aveva circondato e coperto con un grande asciugamano e aveva piazzato un vecchio specchio (anche un po’ macchiato di sporcizia) di fronte ad entrambi. 
“Te lo sogni.” Spostò ancora una volta la testa non appena vide le forbici di Antonio avvicinarsi.
“Santo cielo.” Antonio vide la figura del nonno apparire nel riflesso dello specchio dietro di loro “Dirò io ad Antonio dove tagliare, dovrà pur imparare in qualche modo.”
“Perché proprio con me?” Si lamentò “Fanculo!” sibilò alla fine.
“Controlla quella lingua, Lovino.” Il nonno disse seccato e si posizionò davanti a loro. Antonio stava sudando dalla fronte, si sentiva giudicato dallo sguardo di Roma. Aveva anche paura di tagliare effettivamente male i capelli a Lovino. Quest’ultimo nel frattempo, con la testa sgocciolante, aveva smesso di dimenarsi. I suoi capelli erano in effetti cresciuti, sembravano formare un casco attorno alla sua testa, non li tagliava da troppo tempo. Antonio invece continuava a far crescere i suoi, ma avevano bisogno anche quelli di una sistematina, per quanto fossero impossibili da domare.
“Come vuoi i capelli?” Gli chiese Antonio gentilmente, nel frattempo glieli aveva separati a metà.
“Li voglio come sempre. La riga al lato.” Gli fece un segno con la mano “Con al riga al centro avrò i capelli uguali a Feliciano, lo sai che ho da sempre la riga al lato.”
“Oh, sì, scusa.” Rifece con il pettine e in effetti il ciuffo di Lovino era tornato come prima. Lo guardò attentamente. Il sudore sulla sua fronte aveva creato una patina perlata. “Non ho idea da dove dovrei partire.” E rise da solo.
“Dio Santo, Antonio!” Lovino sbraitò contro l’altro. Il nonno si fece una risata e si avvicinò per aiutarlo. Roma gli spiegò tutto quello che doveva fare e in quale ordine, qualcosa lo fece lui stesso.
“Vi giuro, se i miei capelli non saranno come prima… siete morti.” Lovino continuava a dire con fare aspro.
Antonio corse a prendere l’asciugacapelli, lo attaccò alla presa più vicina. Si gustò i minuti spesi ad affondare le mani nei capelli soffici per asciugarli. Tolse l’asciugamano da Lovino, lo sbatté per far cadere i capelli tagliati sul pavimento e poi osservò il riflesso nello specchio. Lovino mosse un po’ la testa a destra e sinistra per guardarsi, Antonio lo stava osservando con cura.
“Come sono?” gli stava sorridendo dallo specchio.
Lovino pensò bene a quello che avrebbe dovuto dire “Poteva andare peggio.”
“Hai ancora un  sacco da imparare, non credere di aver finito qui.” Roma disse subito. Antonio scattò e lo guardò serio. “Lo so. Inizialmente potrei farti da aiutante.”
“Vuoi che torni io a prendere il negozio?” scosse la testa “Ma…”
“Imparerò prima di aprirlo, ma non posso gestirlo da solo, non sarò mai così bravo.” Continuò lui sinceramente. Roma ci pensò un attimo. Fece per aprire la bocca, poi la richiuse.
“Roma?”
“Va bene.” Disse infine “Non sarà tutto pronto prima di maggio, hai comunque tempo per imparare qualcosa.” Poi però aggiunse “Io dovrei essere in pensione però.”
Antonio alzò le spalle “Tranquillo, non penso che a qualcuno importi sul serio.”
“E chi si occuperà dell’orto e del resto?” Lovino aggiunse, quasi fosse la voce della coscienza in quel momento. Roma e Antonio si guardarono e si capirono al volo, tornarono a guardare entrambi Lovino, ancora seduto. Alzò gli occhi al cielo e li roteò “Io, vero?” 
Il nonno rise. Ad Antonio dispiaceva dover lasciare Lovino da solo a casa, ma non avevano altra scelta, il nonno vendeva alcune delle sue verdure a persone che le avrebbero poi vendute al mercato, qualcuno doveva pur farlo al posto suo.

***

Aprile, 1959

Da molto tempo ormai ogni giorno Lovino insegnava l’italiano ad Antonio, per almeno due ore. Roma si procurò un gran quantità di parrucche, l’unico modo per aiutare Antonio. Roma inoltre gli fece la barba per fargli capire, Antonio se la fece da solo poi come Roma aveva fatto con lui. Quando a Roma crebbe di nuovo, fu il turno di Antonio di fargliela. Lovino non fu di nessun aiuto quella volta, sulla sua faccia continuava a non esserci nemmeno un pelo.

Emma una volte si propose come cavia, ma Roma disse che non era possibile, le donne non si facevano tagliare i capelli dal barbiere. Lei, quindi, costrinse Tim a farlo al post suo, gli promise dei soldi se lo avesse fatto. Arrivò in casa con la sigaretta accesa in bocca, alto quanto la porta, con la solita espressione si sedette sulla sedia e fece fare ad Antonio. Non si erano mai parlati seriamente, ma ad Antonio non era particolarmente simpatico. Gli fece anche la barba, a Tim.

***

Maggio, 1959

Era la metà di Maggio quando finalmente riuscirono a completare definitivamente il locale. Antonio, Lovino e Roma gli diedero un’occhiata da fuori. Era stato ridipinto di un celeste chiaro, dalle finestre poi si riusciva ad intravedere l’interno. Antonio e Lovino si guardarono sorridendo.
Entrarono dentro.
I mobili erano stati tutti aggiustati, c’era un bancone e poi due sedie di fronte agli specchi. Un divanetto abbastanza grande per far sedere qualcuno in caso di attesa. Due o tre piante giusto per abbellire la stanza. Antonio chiese a Lovino di appendere un suo disegno, poi misero vari poster sulle pareti, altrimenti sarebbe sembrato troppo spoglio.
“Perfetto.” Antonio disse, con le mani sui fianchi guardando tutto soddisfatto quello che avevano fatto. Si voltò per guardare Roma, stava sorridendo mostrando tutti i denti. Uscirono tutti, Antonio guardò ancora una volta quello che lo circondava “A domani!” disse alla sala e spense le luci.

***

Luglio, 1959

Intorno alle tre Lovino era di nuovo solo in casa. Antonio e il nonno uscivano la mattina presto, tornavano per pranzo, e andavano di nuovo via alle tre di solito. Era contento, anche se lo nascondeva, che il lavoro di Antonio stesse funzionando, ma dannazione se odiava doversi occupare della casa.
Dopo la colazione stendeva i panni, a volte doveva raggiungere il lavatoio per lavarli la mattina, puliva, andava nell’orto, preparava il pranzo prima che tornassero gli altri in modo che fosse già pronto quando erano a casa. Antonio lo aiutava a lavare i piatti, insisteva per passare del tempo insieme prima che uscisse di nuovo.

Quel pomeriggio, dopo aver finito prima del dovuto tutto quello che aveva da fare, intorno le cinque, prese la sua bicicletta e pedalò fino al paese. Lasciò che il vento gli entrasse da sotto la maglietta, era una sensazione piacevole, era stata una giornata afosa. Arrivato in paese dovette pedalare per altri 10 minuti, prima una salita, poi una piccola scorciatoia e arrivò davanti al negozio, lasciò la bicicletta poggiata fuori, un uomo uscì dalla porta e Lovino entrò.
Antonio stava spazzando a terra un cumulo di capelli, il nonno nel frattempo si era seduto su una delle sedie. “Lovi!” Antonio alzò lo sguardo e sorrise.
“Ciao.” Disse solo “Non avevo nulla da fare.” Guardò in basso e notò che aveva ancora i calzoni sporchi di terra perché era stato nell’orto quella mattina. Mise una mano sul sedere e cacciò un pacchetto di sigarette dalla tasca. Se ne accese una e si andò a sedere sul divano. Antonio poggiò la scopa e si accomodò accanto a lui. “Me ne dai una?”
Lovino gli offrì il pacco e lasciò a l’altro scegliere la sigaretta. Lo guardò accendersela e poi inalare. Ancora gli faceva uno strano effetto stare lì con Antonio, ancora adesso ogni minima cosa di Antonio gli faceva uno strano effetto nello stomaco, lo faceva bloccare, smetteva di respirare. Anche dopo quello che erano diventati, Lovino non riusciva a spiegarsi perché proprio lui. Ogni volta che lo guardava non riusciva a spiegarsi perché una persona come Antonio avesse scelto uno come lui. Non sapeva nemmeno se effettivamente meritava tutto quello. Probabilmente se lo sarebbe chiesto per altri mesi, anni, decenni.
“Che hai?”
“Eh?” Lovino fece e scosse la testa “Niente.” Guardò il cielo attraverso la finestra sotto la quale erano seduti. Gli venne da pensare per qualche momento a suo fratello, da qualche parte in Germania, a fare chissà che cosa. Antonio gli poggiò una mano sulla gamba, nel punto in cui il nonno non avrebbe potuto vedere in ogni caso, ma Lovino si voltò di scattò e gli fece spostare la mano. Antonio rise un pochino. Dalla finestra notarono un’ombra. “Sta arrivando qualcuno.” Disse Lovino. Antonio si alzò in piedi, con la sigaretta fra i denti, e un ragazzo entrò. Era quello che gestiva il supermercato con sua madre e suo padre, Lovino lo riconobbe subito. Sicuramente non fu un giorno affollato, dopo lui e un altro signore (che conosceva Roma), non andò più nessun altro. Si godettero il pomeriggio estivo all’interno del negozio. Per passare il tempo Lovino e Antonio si misero a prendere in giro i passanti che vedevano dalla finestra. Il nonno ridacchiava ogni tanto e scuoteva il capo ascoltandoli, mentre fumava una sigaretta.

Quando arrivò l’ora di chiudere il negozio era il tramonto. Il cielo era viola e sfumava in un rosa pesca, le nuvole praticamente non c’erano. Antonio chiuse a chiave e fece canticchiare i portachiavi che si colpirono fra di loro.
“Possiamo andare.” Disse Antonio in uno sbadiglio. Il nonno si stiracchiò la schiena. Lovino alzò la sua bicicletta. “Aspetta!” esclamò all’improvviso Antonio e Lovino si voltò di colpo.
“Cosa?” allarmato.
Antonio si avvicinò e saltò sul sellino “Vai dietro.”
Lovino sbatté le palpebre e osservo il ragazzo tutto sorridente, con la sua pelle scura alla luce del sole. “Cosa? No!” non tolse nemmeno per un momento le mani dal manubrio “La bici è mia.”
“Ti prego, Lovi!”
“Sembra divertente.” Roma notò “Ci andrò io se non lo farai tu, Lovino.” Lo disse quasi come una minaccia e Antonio rise a quelle parole.
“Dai!” continuò. Lovino arrossì.
“Va bene.” Disse alla fine. Tolse le mani e lasciò il manubrio ad Antonio. Salì dietro, dove c’era il portapacchi.  La bici si lamentò al peso di Lovino. “Se ci romperemo il collo per colpa tua io…” cominciò lui. Antonio spinse con il piede destro il pedale e partirono di colpo. Lovino si strinse alla vita dell’altro. L’idea di andare sulla bici mentre guidava qualcun altro lo terrorizzava, non si sentiva affatto al sicuro, soprattutto se quella persona era Antonio.
“ANTONIO!” Urlò lui “NON CORREREEEEEEEEEEE” sentì da lontano la risata potente di suo nonno che gli urlò “Ci vediamo a casa!”
“IO TI AMMAZZO, ANTONIO, TI AMMAZZO!” Si strinse ancora di più, con la guancia schiacciata contro la schiena di Antonio. L’altro se la stava spassando, rideva a crepapelle. Antonio ce la stava mettendo davvero tutta per pedalare il più veloce possibile. Intorno a sé Lovino vedeva soltanto colori che si fondevano, le case non avevano più una forma, le macchine che sorpassarono non riuscì nemmeno a distinguerle. Era abituato quando era lui a guidare, ma così sembrava tutto più spaventoso. Eppure si ritrovò a ridere ad un certo punto, mentre imprecava contro Antonio. Quello nel frattempo era salito sul marciapiede, aveva fatto urlare una signora di paura “Mi scusi” gli aveva detto Antonio in una risata. Lovino nel frattempo era in lacrime per le risate, e non riusciva a fermarsi, era come se il vento gli stesse facendo il solletico allo stomaco. “BASTA, ANTONIO!” Rise ancora più forte quando un’altra persona dovette spostarsi con un urletto. Poi realizzò, Antonio non aveva preso la scorciatoia, anche se ci aveva messo la metà del tempo lo stesso, quindi ora arrivava quella che prima per Lovino era stata una salita. Si mise dritto con la testa per guardare davanti a sé e vide la discesa avvicinarsi, non era ripida, ma lunga. Chiuse la bocca e trattenne il respiro, gli veniva difficile con tutto quel vento. “Sei pronto?” Antonio gli disse. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, doveva essere la persona più felice del mondo in quel momento. Lovino guardò attentamente la discesa, poi si mosse. “Cosa stai facendo?” Antonio spostò di poco la testa per guardare dietro di lui. Lovino aveva creduto che sarebbe stato più divertente così. Aveva alzato il sedere e aveva spostato le mani alle spalle di Antonio. Sulla sua faccia comparì un ghigno strano, sapeva di star facendo un’espressione del genere. Era spaventato, continuava a non fidarsi di quello che sarebbe potuto succedere, ma lasciò andare tutto. Antonio aveva di poco abbassato la schiena per darsi una spinta maggiore, arrivarono alla discesa e urlarono tutti e due. I capelli di Lovino andarono completamente indietro. Rise un’altra volta e notò che anche Antonio stava facendo lo stesso. La fine della discesa sarebbe stata molto brusca a quella velocità.
“Antonio, rallenta!” urlò “RALLENTA!” Urlò ancora una volta. I freni della bicicletta non erano dei migliori e Lovino lo sapeva. Per fortuna Antonio riuscì a rallentare gradualmente, andavano comunque veloci, ma almeno non sarebbero caduti rompendosi entrambi il naso. Lovino tornò a sedersi, la presa sulla vita di Antonio era diventata meno forte. “Non hai più paura?”
“Non avevo paura nemmeno all’inizio.” Affermò con vergogna.
Antonio rise “Ma certo.”
Arrivarono in un battito di ciglia alla campagna, dovevano fare la solita strada per tornare a casa. Antonio fermò la bici e riprese fiato. Era completamente a pezzi, la gamba che teneva poggiata a terra tremava un pochino, Lovino si sentiva la faccia fredda a causa del vento. Antonio riprese a pedalare, ma più lentamente, lasciando a Lovino il tempo di godersi quel momento. Mandò indietro la schiena e la testa in modo svogliato e guardò il cielo. Non c’era nessun rumore se non quello della catena della bicicletta, non c’era nessuno nei dintorni, solo loro due. Realizzò di sentirsi particolarmente felice.
“Vorrei che questo durasse per sempre.” Antonio disse sovrappensiero. Lovino rimase a guardare il cielo. “Io e te da soli, in una giornata di sole.” Lovino si tirò su e osservò la schiena di Antonio, che si muoveva ad ogni pedalata. Si voltò, oltre di lui il sole del tramonto era fortissimo, Lovino non riusciva a vedere bene se non la sagoma del profilo di Antonio.
Sembrava che il mondo si fosse fermato in quel momento.

***

Ottobre, 1959

La mamma era lì, con i suoi capelli biondi tenuti in una treccia. Feliciano si stava divertendo a mettere dei fiori nei capelli intrecciati. Ma quelle che Lovino vedeva non erano mani di bambino. Guardò suo fratello, avevano 19 anni. La mamma e Feliciano stavano cantando.

“Tutte le sere sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò, e tutto il mondo scorderò
con te Lili Marleen, con te Lili Marleen.”

Lovino li guardò sbattendo le palpebre velocemente, si voltò e vide suo padre avvicinarsi e sedersi dietro i due fratelli.


“O trombettier stasera non suonar,
una volta ancora la voglio salutar.”


Il padre cantò stringendo i due ragazzi, guardò negli occhi prima uno e poi l’altro. Per la prima volta Lovino poté notarlo, assomigliava davvero a suo padre, ancora giovane, e non invecchiato anche se Feliciano e Lovino erano grandi adesso. La mamma nel frattempo si era voltata, Lovino riuscì a vederla chiaramente per poco perché poi iniziò a piangere.

“Addio piccina, dolce amor, ti porterò per sempre in cor
con te Lili Marleen, con te Lili Marleen.”


La mamma cantò. Le sue mani delicate si poggiarono sulle guance dei suoi figli. Lovino guardò Feliciano, piangeva anche lui, ma sorrideva.

“Prendi una rosa da tener sul cuor
legala col filo dei tuoi capelli d'or.”


La mamma prese una rosa dal terreno, la diede a Feliciano. Il padre li teneva ancora stretti in silenzio.

“Forse domani piangerai, ma dopo tu sorriderai.
A chi Lili Marleen? A chi Lili Marleen?”


Questo lo disse voltandosi verso Lovino, gli asciugò le lacrime con il pollice.
 
“…vino…Lovino?”
Il ragazzo aprì gli occhi di colpo.
“Mi hai spaventato, stavi piangendo nel sonno.” La voce era quella di Antonio, che ormai dormiva in camera con Roma e suo nipote, così da risparmiare spazio in casa. Si era svegliato anche lui da poco, si poteva capire dalla faccia. Lovino si poggiò le mani sugli occhi e li strofinò, poi tolse le lacrime dalle sue guance. “Hai fatto un altro dei tuoi sogni?” chiese Antonio quando vide che si fu calmato.
“Sì.” Disse in un singhiozzo, sentendosi alquanto patetico, era troppo grande per piangere per dei sogni. “I miei genitori.”
“Capisco.” Rispose semplicemente. “Vuoi raccontarmi?” Lovino scosse la testa. Antonio si alzò “Ti aspetto di là.”
“Sì…” disse con una voce tenue.

***

Gennaio, 1960

Carissimo Arthur,
Scusa se invio una lettera, ma ho pensato a te ultimamente. Non mi sono fatto sentire e effettivamente, non sai assolutamente nulla di quello che mi è capitato. O forse te ne avrà parlato Francis, se sei ancora in contatto con lui. (Si sarà sposato con Jeanne adesso immagino)
Sono arrivato in Italia, e ora resto ad abitare qui. È un paesino in campagna nel centro Italia, completamente diverso da dove abitavo prima con te, o dove abita Gilbert.
Ora abito con Lovino e suo nonno, lavoro come barbiere, ho imparato l’italiano.

Mi piacerebbe sapere come stai.
Buon anno,
Antonio.

Rilesse la lettera un’ultima volta prima di spedirla, sperando che Arthur avesse apprezzato. Aveva ripensato a lui mentre parlava con Lovino e così decise di scrivergli. Gli sarebbe piaciuto prima o poi rivedere lui, anche Francis e Gilbert.

***

Agosto, 1960

L’inverno passò, così come la primavera, l’estate fu caldissima anche quell’anno. In agosto Antonio e Roma chiusero il negozio. Metà dei soldi andava ad Antonio, l’altra metà andava al nonno, che li teneva fra i vari risparmi. In quel mese sarebbero arrivati anche Feliciano e Ludwig. Lovino non lo dava a vedere, ma come al solito Antonio riusciva a capire tutto solo guardandolo negli occhi, ed era eccitato all’idea di rivedere suo fratello. Si poteva anche intuire dal fatto che fu più scontroso del solito per tutta la mattinata, e fumò tre sigarette tutte di seguito.
Roma si era deciso a comprare un divano-letto, abbastanza spazioso da far entrare tre persone, quindi per quella volta non avrebbero dovuto preparare nulla.
“Dovrebbero essere già qui.” Aveva detto Lovino agitando il piede, era quasi ora di pranzo. Lui era in cucina e dava la schiena ai fornelli, mentre fumava la quarta sigaretta.
“Lovi, sta calmo, saranno quasi arrivati.” Antonio nel frattempo stava preparando la tavola, aveva preparato per cinque posti.
“Sono calmissimo, io.” Gli aveva risposto dalla cucina. Antonio rise debolmente. “E aggiungi un altro posto.”
Antonio si allontanò dalla tavola e contò con il dito “Siamo in cinque.” Alzò le spalle e guardò confuso l’altro. Lovino ciccò in un posacenere sul mobile della cucina e rimise la sigaretta in bocca “Aggiungi un altro posto.” Semplicemente.
Antonio forse aveva capito “Viene qualcun altro oggi?” si avvicinò verso Lovino tutto contento e curioso. “Dai, Lovino, chi viene?”
“Sta zitto.” Si era voltato e si era messo a girare la pasta. Antonio mise il broncio e prese quello che serviva, una volta messo a tavola ricominciò a supplicare Lovino. E a fare domande, ma le uniche risposte che riuscì ad ottenere furono “No.” e “Chiudi il becco”. Il nonno aveva assistito alla scena, dato che era entrato dalla porta che c’era in cucina perché era in giardino, e rise. Doveva sapere anche lui chi era il sesto.
Il campanello finalmente suonò, Lovino finì la sua sigaretta e disse in un sospirò “Finalmente.” Mentre Antonio corse alla porta, saltellando. Aprì.
“Antonio!” Davanti a tutti c’era Gilbert, che lanciò la sua borsa a terra e si lanciò sull’amico.
“Gil!” Gli aveva urlato in risposta mentre lo abbracciava. Era un po’ sudato e appiccicoso, probabilmente a causa del treno e della camminata. Sentì i passi di Lovino dietro di lui. Quando si staccò dall’abbraccio si voltò verso Lovino “Volevi farmi una sorpresa?” l’altro alzò solo le spalle, anche perché era stato attaccato da Feliciano, mentre urlava un “Fratello!”. Antonio notò che Lovino stava sorridendo, lo trovò più bello del solito.
“Lud, che stai facendo lì impalato?” Gilbert aveva gracchiato contro il fratello che si stava occupando di prendere le borse che gli altri due avevano buttato a terra.
“Sto prendendo le borse.” Aveva risposto seriamente.
“Ci penso io a quelle, entra dentro tu.” Roma apparve fra tutti e si diresse verso la porta. Gilbert ne sembrò intimorito, lo seguì attentamente con lo sguardò e poi disse all’orecchio ad Antonio “Quello sarebbe il nonno di Feliciano e Lovino?” Antonio rise. La porta si chiuse e Roma parlò.
“Sì, sono il nonno, ma non sono certo sordo.” Lasciò cadere una borsa e allungò la mano a Gilbert “Julius Vargas, chiamami Roma, mi chiamano tutti così da una vita ormai.”
Gilbert si mise ritto e deglutì, Roma lo guardò con uno sguardo duro.
“Ah… mi scusi. Piacere, sono Gilbert, il nonno…” poi scosse la testa “Voglio dire, il fratello maggiore di Ludwig.” Afferrò la mano, Roma strizzò gli occhi e lo guardò ancora per un po’con fare truce. Antonio non era spaventato, sapeva già come sarebbe andata a finire.
“Sto scherzando!” Fece la sua risata fragorosa e diede uno spintone a Gilbert. “Lovino, va a controllare la pasta penso che ormai sia pronta. Spero apprezzerai la cucina italiana, Gilbert!” quello iniziò a respirare di nuovo e rise nervosamente.
“Avevo capito che era uno scherzo.”
Quando Roma andò via, per posare i bagagli degli altri, seguito da Ludwig, Gilbert fece ad Antonio “Oddio, mi sono spaventato a morte.” Antonio rise di gusto “Dai, vieni di là. Ho un sacco di cose da raccontarti.”

Ovviamente non fu un pranzo silenzioso. Gilbert faceva sempre ridere Antonio e Feliciano, e anche il nonno dava il suo contributo. Il nonno a capotavola, Lovino era fra Feliciano e Antonio, lui invece era difronte a Gilbert, seduto accanto a suo fratello.
Feliciano disse di aver trovato lavoro da un fruttivendolo e al contempo lavorava al bar dove aveva lavorato anche Antonio per un breve periodo. Gilbert lo aveva mandato lì, questa volta assicurando che sarebbe stato per parecchio tempo. “Per avere soldi extra, altrimenti non ce la farò mai ad aprire il mio negozio.” Il nonno gli mise una mano in testa e gli scombinò i capelli, sorridendo. E Feliciano rise.
“Invece il tuo libro?” Chiese Antonio. Ludwig trasalì.
“Ah, è finito.” Rispose solo così e intervenne Feliciano.
“Sta cercando di farlo pubblicare” tutto eccitato e ansioso.
Gilbert dall’altra parte aveva dato un colpo sulla schiena di Ludwig “Sono così contento per lui!”
Antonio invece aveva raccontato tutto quello che aveva fatto in Italia a Gilbert che ascoltò tutto con attenzione. Nel frattempo finirono anche il secondo, la frutta e finalmente si alzarono da tavola.
“Andate a fare qualcosa in giro. Ci penserò io ai piatti.” Il nonno iniziò a ripulire la tavola. Lovino esultò a bassa voce e Antonio rise.
“Volete fare qualcosa?” Antonio lo chiese rivolgendosi a tutti, poi guardò l’orologio e si accorse che erano le tre. Erano stati un bel po’ a tavola. Gilbert stava per parlare quando sentirono bussare dalla finestra. Si voltarono tutti contemporaneamente e videro Emma agitare la mano contenta.
“Emma?!” Antonio e Lovino parlarono all’unisono. Con il sole che c’era a quell’ora i suoi capelli sembrarono più chiari, teneva nastro verde, si vedevano i due fili uscire ai lati del collo. Antonio notò che il sole le aveva fatto comparire un po’ di lentiggini sul piccolo naso. Sparì e andò alla porta ad aspettare che aprissero. “Ci penso io!” l’italiano si diresse lì. Gilbert era rimasto imbambolato, sentirono la porta aprirsi, Emma era entrata e stava parlando con Lovino.
“Chi è quella?” Gilbert chiese sotto voce ad Antonio, in piedi accanto a lui.
“Emma, una nostra amica.”
Nel frattempo era entrata nella stanza, fece svolazzare la gonna quando andò incontro a Feliciano “Ciao, Feli!” lui l’aveva salutata gentilmente. Il giorno prima Lovino era andato a trovarla, probabilmente le aveva detto che sarebbe tornato Feliciano.
Gilbert aveva tirato per il braccio Antonio “Beh, è carina!” esclamò, sempre tenendo la voce bassa.
“Non ci provare nemmeno, Gil.” Gli rispose subito.
Gilbert incrociò le braccia “Ho capito.” Poi aggiunse “Piace a te.”
Antonio si strozzò e poi scoppiò in una risata. “Che diavolo c’è da ridere?!” Gilbert disse allarmato. “Ho ragione?” Antonio stava ridendo e guardò verso Lovino, poi di nuovo a Gilbert. “Sei proprio fuori strada!” rise ancora più forte e dovette allontanarsi un attimo per riprendersi.

Andarono a fare tutti insieme una passeggiata. Volevano far vedere a Gilbert la campagna, il paesino e il negozio di Antonio. Emma scoprirono che era andata lì senza dire nulla a suo padre, l’avrebbe uccisa se avesse saputo che era andata da sola con tanti ragazzi e adesso ci stava anche passeggiando insieme.
Lovino stava camminando avanti, era stato trasportato da Emma e Feliciano, Ludwig li affiancava. Ad una moderata distanza c’erano Gilbert e Antonio.
“Credo che mio fratello e Feliciano vogliano prendere una casa.” Gli disse l’albino.
“Cosa te lo fa pensare?”
Gilbert ridacchiò “Li ho sentiti.” Dopo una piccola pausa riprese a parlare “Feliciano ha abbozzato il discorso, erano nell’altra stanza insieme, io ero in cucina.”
Antonio rispose incerto “Non sei contento?” non aveva ben capito dove Gilbert stesse andando a parare.
“Sì, certo. Mi fa piacere che Ludwig diventi più autonomo… ma…” smise di camminare e guardò Antonio in modo serio. “Tu ne sai più di me, non è vero?”
Anche Antonio aveva smesso di camminare. Si guardarono per un eterno momento. Non c’era un filo di vento, Antonio sentiva i capelli appiccicarsi alla sua fronte per via del sudore, c’era un caldo fastidioso. Sentì il lontananza Feliciano canticchiare e Lovino che gli rispondeva male. Erano rimasti indietro perché Gilbert non voleva sentissero.
“Riguardo che cosa?” la bocca era diventata secca. Come avrebbe fatto a nascondere la verità? Detestava dover mentire a Gilbert.
“Ludwig e Feliciano….” Poi spostò lo sguardo verso i quattro in lontananza “Io non lo so.” Scosse la testa e rise brevemente “Nulla, lascia stare, forse sono troppo paranoico.”
Antonio rise anche lui, il suo respiro tornò regolare, non sapeva davvero mentire . “Forse sì.” E gli diede un colpo sulla schiena.
“Ehi, voi due!” Feliciano li stava chiamando “Cosa state facendo? Muovetevi, abbiamo voglia di gelato noi!”
“Arriviamo!” Antonio urlò in risposta. Poi si voltò verso Gilbert “Facciamo a chi arriva prima?” voleva davvero dimenticasse del discorso.
Gilbert disse in modo svogliato, intanto aveva fatto qualche passo in avanti, lasciando Antonio dietro “Mah, non lo so, ormai siamo troppo grandi per queste cose.” Antonio stava per rispondere quando Gilbert urlò “L’ultimo paga per tutti!” tolse le mani dalle tasche e iniziò a correre.
“Gilbert! Brutto stronzo, non vale così!” Antonio rise, protese il petto in avanti e corse più che poteva, anche se Gilbert era in vantaggio rispetto a lui e non ce l’avrebbe mai fatta.

Emma tornò a casa dopo il gelato, altrimenti avrebbe fatto troppo tardi. Dopo un’oretta andarono via anche loro. Fecero vedere il negozio a Gilbert, in realtà nemmeno Feliciano e Ludwig lo avevano visto finito. Inutile dire che Gilbert e Feliciano iniziarono a gironzolare da tutte le parti e a toccare tutto quello che c’era in giro.
Andarono verso la campagna sul tardi, intorno alle sei. Si stesero in un prato, presero dei frutti da un frutteto più lontano e corsero tutti via con i loro bottini fra le mani. Antonio guardò Lovino ridacchiare con suo fratello mentre gli faceva vedere che era riuscito a prenderne molti più di lui. Ludwig era evidentemente preoccupato e Gilbert, incapace di fare qualcosa in silenzio, stava ridendo a crepapelle perché Ludwig ne aveva presi davvero pochi. Per un momento gli sembrò di vedere i bambini che aveva conosciuto che correvano per tornare all’orfanotrofio.

Tornarono a casa per la cena, dopo di che restarono svegli tutta la notte. La frescura delle serate estive sembrava aver ridato la carica a Gilbert, Feliciano e Antonio. Presero un vecchio pallone da calcio del nonno e giocarono con quello, anche Lovino e Ludwig si unirono. Quella sarebbe rimasta per sempre una delle giornate estive più belle di tutta la vita di Antonio, lo sapeva con sicurezza.

***

31 Dicembre, 1961

Germania

Lovino era seduto sul divano nel salotto di Gilbert e Ludwig. Una domenica pomeriggio pigra e noiosa. Gilbert stava lavorando, Ludwig e Feliciano erano usciti a comperare le ultime cose che sarebbero servite per il cenone, Antonio invece era in cucina, non sapeva nemmeno lui a fare cosa. Guardò dalla finestra la neve cadere lenta e leggera. Sembrava che l’inverno rendesse tutto più lento, o forse erano le domeniche pomeriggio che andavano troppo lente, tanto da far morire di noia l’italiano. L’albero era addobbato all’angolo della stanza, era molto più grande di quello che facevano loro in Italia. Anche i mobili erano sicuramente migliori. Dopo la pubblicazione del suo libro Ludwig aveva guadagnato molto. La sua mente andò a suo nonno, sperava non si stesse annoiando da solo, ora che era abituato ad avere tutti intorno. Antonio lo aveva pregato di seguirli, non ne volle sapere.
“Ehi.” Una voce lo chiamò, si voltò e vide Antonio in piedi, indossava un maglione nero a collo alto infilato nel jeans, con due tazze fumanti in mano “Ti ho portato una cioccolata calda.” Si avvicinò e Lovino la prese stando attento a non scottarsi.
“Stavi facendo questo in cucina?” L’altro si abbassò e diede un bacio sulla testa a Lovino, che si scansò.
“Già.” Antonio si era avviato verso la radio. Avevano uno degli ultimi modelli usciti in realtà. Girò le due manopole.

“…outside is frightful
But the fire is so delightful
Since we've no place to go
Let it snow, let it snow, let it snow”


“No, no, toglila ti prego!” nel frattempo Frank Sinastra stava continuando a cantare la sua canzone natalizia. Lovino l’aveva ascoltata almeno cinque volte negli ultimi tre giorni “Non hanno altro da mettere durante il periodo natalizio?”
Antonio rise un pochino e cercò un’altra frequenza.

“I ought to say, no, no, no sir (mind if I move in closer?)
At least I'm gonna say that I tried (what's the sense in hurtin' my pride?)”

Lovino tirò la testa all’indietro e sospirò rumorosamente. “Non sopporto più queste canzoni!”
Antonio rise di più, lo raggiunse sul divano e lasciò che la radio continuasse.

“I really can't stay (oh baby don't hold out)
But baby, it's cold outside”


Lo sentì canticchiare a bassa voce e roteò gli occhi. Teneva la sua tazza ancora fra le mani, soffiò e prese un sorso dalla sua cioccolata. Troppo dolce per i suoi gusti. Antonio nel frattempo si era avvicinato, le loro spalle erano praticamente attaccate.
“Mi sento un po’ in colpa.” Disse lui.
“Mh?” Lovino stava mandando giù un sorso.
“Per tuo nonno.” Si massaggiò il collo “Speriamo sia stato bene. Anche se da una parte è meglio così. Se lo avessi portato non avremmo avuto del tempo per noi.”
Lovino divenne rosso “Smettila di dire queste stronzate.”
Antonio gli stampò un baciò sulla guancia, poi sull’occhio, sulla fronte e poi scese alle labbra. Mentre ridacchiava fra sé e sé. Lovino ricambiò il bacio, al momento Antonio sapeva di cioccolato. Nel frattempo la radio continuava:

“My sister will be suspicious (gosh your lips look delicious)
My brother will be there at the door (waves upon the tropical shore)

My maiden aunts mind is vicious (gosh your lips are delicious)
But maybe just a cigarette more (never such a blizzard before)”


Bussarono alla porta “Siamo tornati!” Feliciano li stava informando. Antonio si staccò, Lovino aveva ancora gli occhi chiusi, non voleva finisse così presto.
“Come non detto.” Antonio rise di nuovo. Si alzò e aprì la porta Feliciano, che aveva un sacco di buste della spesa fra le mani.
“Abbiamo comprato tantissime cose, abbiamo intenzione di mangiare parecchio stasera.” Feliciano iniziò a parlare veloce, Lovino li vide sparire tutti in cucina. Sentì un po’ di baccano. Poi Antonio comparve di nuovo.
“Prima la nostra cioccolata calda, poi penseremo agli altri.” Si accomodò di nuovo e sorrise. Lovino, tutto rosso e imbarazzato, si gustò la sua ultima cioccolata dell’anno.

“…Baby, it's cold outside”

***

Giugno, 1962

Stavano camminando già da una ventina di minuti, si era inoltrati verso la campagna. Lovino non aveva ben capito che cosa il nonno avesse in mente. Aveva detto a lui e Antonio, mentre facevano colazione, che voleva portarli in un posto. Ovviamente non diede nessuna spiegazione, Antonio disse a Lovino che era la stessa situazione di quando lo portò a vedere il negozio, ma non aveva idea di cosa avesse in mente Roma. “Sarà una bella camminata.” Il nonno li avvertì.
“Quanta altra strada dobbiamo fare?” fu Lovino a parlare. Soprattutto si domandava dove li stava portando. Erano circondati da frutteti, c’era qualche casa e qualche fattoria ogni tanto, Lovino sentì la puzza di letame venire poco più distante di lì.
“Altri dieci minuti, Lovino, tranquillo.”
Lovino sbuffò. La cosa che lo infastidiva di più era il non riuscire a capire cosa stava succedendo. Camminarono ancora un po’, tutti e tre in silenzio. Antonio si guardava attorno e commentava ogni tanto qualcosa che vedeva in lontananza. A Lovino la zona cominciava a sembrare familiare, come se l’avesse vista in qualche sogno. “Questo posto l’ho già visto.” Informò gli altri
“Lo credo bene.” Fu l’unica cosa che il nonno rispose. Antonio si guardò ancora una volta intorno “Non siamo mai venuti fino qui. Come…”
Lovino lo ignorò e accelerò il passo per trovarsi di fianco a Roma “Dove stiamo andando?” gli mise una mano in testa, gli sorrise e lo spinse indietro. Lovino si imbronciò, odiava essere trattato così. Ormai aveva 22 anni, aveva il diritto di non essere più trattato come un bambino. Gli era inoltre finalmente spuntata la peluria sul viso, che ovviamente toglieva perché la trovava davvero brutta, e poi con un filo di barba sotto il mento assomigliava troppo a suo nonno.
“Dobbiamo andare da questa parte.” Annunciò Roma. Lo seguirono senza fare troppe storie, svoltarono in un angolo e finirono lungo uno stretto vialetto, in lontananza si vedeva un piccolo gruppo di case, e ora tutto questo a Lovino sembrava maledettamente familiare.
“Nonno…” iniziò a dire poi smise di parlare quando si avvicinarono alla prima casa. La osservò a bocca aperta. Antonio forse disse qualcosa, ma lui non lo sentì. La ricordava molto più grande, ma era lei, era casa sua. Andò verso il cancello, che era socchiuso, lo spinse e produsse un cigolio. Il giardino non era come lo ricordava, non era più curato come quando c’era sua mamma. Immaginò i fiori e la siepe, il prato verde, immaginò sua madre intenta a piantare qualcosa, mentre lui e Feliciano correvano e giocavano. Gli sembrò di sentire il profumo delle rose. Si girò attorno, Antonio e Roma erano dietro di lui, ne era convinto, ma non gli diede attenzione. Guardò la porta di casa, non c’era nessun portico, era diversa dalla casa del nonno, solo l’ingresso. Non pensava potesse essere in così buone condizioni, erano 17 anni che nessuno metteva piede in quella casa. Le chiavi erano appese al portone, pensò che le avesse messe suo nonno lì. Entrò dentro. L’ingresso e il salotto erano un’unica cosa, il camino era di fronte ad un divanetto. I mobili erano diversi, solo alcuni li ricordava chiaramente. Di fronte l’ingresso una piccola porta dava sulla cucina, accanto c’era il corridoio che portava al bagno e alla camera dove dormivano tutti insieme nello stesso letto. Nei suoi sogni non era proprio così, non sempre, sembrava sempre più grande, a volte sembrava un’altra casa perché la sua mente gli giocava dei brutti scherzi probabilmente, ma quella era reale, ogni muro che vedeva riusciva a ricordarlo in modo perfetto nella sua mente. Lovino tornò dal corridoio, ancora a bocca aperta, passò una mano sul muro.
“Lovino.” Suo nonno lo chiamò e lui ricambiò il suo sguardo.
“Che significa?” Lovino gli disse con la voce un po’ spezzata. Al lato c’era una finestra che dava sul giardino. “Come fa ad essere così…intatta?”
“L’ho fatto io. È un regalo.” Il nonno rispose, gli si avvicinò “Ho usato i soldi che avevo risparmiato dal lavoro con Antonio e altri risparmi che un vecchio come me non aveva bisogno di avere.” Poi aggiunse “Ho anche chiesto una mano ad Emma per alcune cose, consigli per lo più, ma lei invece ha insistito per aiutarmi a portare i mobili delle volte.” Iniziò a guardarsi in giro.
Lovino lo guardò ad occhi spalancati, voleva parlare, voleva dirgli che non era necessario, non c’era motivo, ma quando aprì la bocca uscì solo un lamento e non riuscì a trattenere le lacrime.
“Ehi, ehi!” il nonno si voltò allarmato, Antonio si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
“Lovino…” gli aveva detto gentilmente.
Scostò la spalla “Ma che cazzo mi prende?” cominciò a singhiozzare, non capiva cosa stava facendo, non sapeva nemmeno lui per cosa stava piangendo. Il nonno gli prese il volto e lo tirò su per guardarlo.
“Ehi, sta calmo.” Lovino lo guardò negli occhi scuri con attenzione, anche il nonno sembrava commosso. Aveva fatto tutto quello per lui, aveva usato tutti i suoi soldi, aveva sforzato la sua gamba. Tirò su con il naso rumorosamente. Tirò indietro la testa, si sentiva proprio uno stupido. Antonio lo guardò preoccupato.
“Almeno fatemi finire di parlare.” Si schiarì la gola “In realtà la casa è un regalo per entrambi.”
“Cosa?” Antonio passò da Lovino a Roma in lampo. L’altro alzò lo sguardo da terra.
Il nonno prese un bel respiro “L’ho aggiustata, e messa in ordine, per voi due.” Sorrise “La casa è vostra.”
Antonio rimase senza parole, Lovino sentiva di star riprendendo a piangere. “Ma… cosa?” disse.
“Per quanto tempo ancora vorresti vivere con tuo nonno?” scherzò e allargò le braccia, strinse Lovino in un abbraccio “Tranquillo, è tutto ok.” Gli abbracci del nonno erano sempre troppo stretti e lui era così piccolo, ogni volta si sentiva schiacciato, ma poggiò la testa sulla sua spalla e rimase lì. Non sapeva come spiegare la scelta di suo nonno, non sapeva nemmeno come spiegare a se stesso di essere tornato a vivere nella casa dove aveva vissuto quando era ancora con i suoi genitori, e ora sarebbe rimasto lì con Antonio.
Antonio dall’altra parte era ancora senza parole, però sembrava stesse sorridendo. Il nonno si stava staccando, così fece anche Lovino. “Vi lasciò qui per un po’. Così potete abituarvi. Oggi pomeriggio porteremo le vostre cose.” Disse andando verso la porta. “Vi aspetto a casa. La strada la conoscete, no?”
“Sì…” Antonio però si avviò con lui alla porta, Lovino andò di nuovo verso il corridoio e si poggiò al muro.
“Roma, aspetta.” Antonio disse. La testa di Lovino girava, probabilmente dopo aver pianto. “Perché?” chiese dopo aver esitato. Lovino fece capolino e guardò la scena.
Il nonno prese una fotografia in bianco e nero all’ingresso, li riconobbe, erano i suoi genitori con Feliciano e Lovino in braccio. “Voglio rimediare agli sbagli fatti in passato.” Sorrise di nuovo al ragazzo e posò la foto. Gli diede le spalle e aprì la porta. Lovino trattenne il respiro quando Antonio lo fermò di nuovo.
“A-aspetta.” Gli poggiò una mano sulla spalla. La faccia di suo nonno comparve un’altra volta, era un po’ confuso. “Perché la casa per me e Lovino?” poi esitò di nuovo “Intendo… io e…”
Roma gli mise una mano vicino alle labbra e lo zittì “Non sono nato ieri.” Poi rise “Poi non mi interessa quello che voi ragazzi combinate, detto francamente.” E gli fece l’occhiolino. Chiuse la porta e sparì. Lovino si voltò dall’altra parte si copriva la bocca con le mani e aveva smesso di respirare. Quindi il nonno lo aveva sempre saputo? Fin dall’inizio? Arrossì di colpo e guardò a terra. Vide le scarpe di Antonio apparire. Lo guardava confuso, contento e iniziò a ridere.
“Lovino noi…” e rise ancora di più, lo alzò da terra. “Lo aveva capito e gli va bene così. Abbiamo una casa tutta per noi!” girò intorno e a Lovino girò ancora di più la testa.
“Mettimi giù!” non riusciva a credere a quello che era successo. Fecero il giro della casa più e più volte, Antonio si lanciò sul divano per provarlo, controllarono la cucina. Era una casa molto piccola, ma per due persone sarebbe andata bene. Tornarono nel salotto, Antonio si guardava attorno sorridente, si passò una mano fra i capelli e lo guardò negli occhi. Lovino sentì come un brivido lungo la schiena. “Dovremmo proprio provare il letto.” Non era sicuro che Antonio avesse afferrato il messaggio. Infatti inarcò il sopracciglio.
“Ora?” poi sbatté le palpebre “Oh….” Sorrise “Oh.” Disse di nuovo, l’altro nel frattempo era diventato rosso. “Mi sembra una buona idea.” Gli prese la mano e lo portò nell’altra stanza “Adoro quando prendi l’iniziativa.” Ammise imbarazzato. Lovino arrossì ancora di più. “È solo la seconda volta che succede, sta zitto.”
Lovino stava iniziando ad abituarsi, sicuramente adesso era anche diventati più coordinati e non faceva più male come le prime volte. In quei tre anni lo avevano fatto solo quando il nonno non era in casa, oppure dovevano mettersi in posizioni scomode e posti altrettanto scomodi per non farsi sentire durante la notte, almeno speravano di non essere stati sentiti.
Antonio era sopra di lui, erano ancora entrambi vestiti. La luce dalla finestra filtrò e illuminò la stanza. I capelli gli cadevano avanti agli occhi smeraldo che sembravano stessero luccicando mentre lo guardava. Se lo avesse saputo molto prima non lo avrebbe mandato via quella volta all’orfanotrofio, si sarebbe risparmiato anni di solitudine, ma che almeno era riuscito a compensare con il tempo che avevano e il tempo che avrebbero trascorso insieme.

***

Italia, 1965

Tre anni più tardi Lovino e Antonio continuavano a vivere lì, e finalmente i vicini smisero di fare tante domande. Appena trasferiti il figlio di una signora che abitava lì vicino andò con un gruppetto di ragazzi verso Antonio, che stava andando a lavoro in bicicletta e gli tirarono delle pietre gridando “finocchio!”, quello lo ferì più dei sassi. Non lo disse mai a Lovino, ma riuscì a risolvere la situazione smentendo le voci e parlando con la madre dal ragazzino.
Lovino scoprì che uno dei vicini era amico con suo padre, gli parlò della resistenza, dei partigiani, delle camicie nere e di tutto quello che gli interessava di più riguardo i suoi genitori. Avrebbe voluto sognarli altre volte, ma confidò ad Antonio l’ultimo sogno che fece, la mamma che cantava Lili Marleen a lui e Feliciano ormai grandi.

Emma e Roma andavano a fare spesso delle visite, anche se preferivano andare loro dal nonno. Emma invece portava sempre qualcosa da mangiare. Inoltre si era fidanzata da almeno un anno e un giorno si presentò a casa di Lovino e Antonio e annunciò la data del matrimonio. Antonio la abbracciò con tutta la forza che aveva. Suo padre reputava che fosse troppo vecchia (aveva 27 anni) per sposarsi. Non stava più nella pelle all’idea di non dover più abitare con suo padre, ora che anche suo fratello maggiore si era sposato, solo il più piccolo era ancora in casa con i genitori. Sperava di viaggiare parecchio d’ora in poi. Nello stesso anno rimase anche incinta, quando lo venne a sapere Antonio sentiva che si sarebbe messo a piangere, ne parlò con Lovino la sera a letto e lui gli rispose “Io e Feliciano saremo gli ultimi Vargas a quanto pare.” Si voltò dall’altro lato “Mi sento un po’ in colpa.” Non parlò più. Antonio lo abbracciò da dietro e si addormentarono in quella posizione.

***

Italia, 1966

Quando Feliciano, Gilbert e Ludwig andarono a trovare gli altri in Italia quell’anno portarono anche la fidanzata di Gilbert, finalmente. Si erano conosciuti e fidanzati subito nel ’64, e avevano intenzione di sposarsi. Chiese ad Antonio di fargli da testimone, era andato in Italia per chiederglielo appositamente. Antonio era contentissimo, anche se non aveva idea di come funzionasse, al matrimonio di Emma non aveva dovuto fare nulla. La ragazza di Gilbert era adorabile, con i capelli lunghi, mossi e castani, purtroppo non parlava inglese bene come loro, e spesso dovevano tradurle quello che dicevano in tedesco. Gilbert sembrava veramente contento. Si sarebbero sposati l’anno dopo e non stava più nella pelle.

Italia, 1968

Lovino andò a trovare Emma al negozio, che iniziò a parlare del movimento femminista. Stava partecipando in prima persona alle rivoluzioni del periodo e suo marito l’appoggiava pienamente, si reputava particolarmente fortunata sotto questo aspetto.

Da quando non abitavano più con il nonno era Lovino ad aiutare Antonio al negozio, non sarebbe assolutamente rimasto a casa senza far nulla. Antonio era diventato bravo in quello che faceva e lui lo aiutava come meglio poteva.

Feliciano, Ludwig e a volte anche Gilbert andavano a trovarli una volta l’anno, di solito durante il periodo delle festività natalizie per passarle tutte insieme. Era grazie a Feliciano se il giardino era tornato come una volta, aveva spiegato a Lovino tutto quello che doveva fare per renderlo di nuovo come quello della mamma.
In quella l’anno inoltre finalmente riuscirono a comprare una lavatrice (erano in pochi ad averla nel paese), così da non dover più lavare i panni a mano o andare al lavatoio comunale. Inutile dire che Lovino la prese a calci varie volte quando che provò ad usarla, perché non aveva idea di come farla funzionare, Antonio sbagliò tutto. Lovino si ritrovò le sue camicie bianche tutte colorate e si arrabbiò un’altra volta.

***

Italia, 1978

“Dovresti tornare.” Lovino stava parlando a telefono, Antonio si era invece appena svegliato. Era nel letto a guardare il soffitto e la prima cosa che sentì fu la voce di Lovino nell’altra stanza. “Sì.” Continuò “Va bene, oggi vado io da lui.” poi sbuffò “No!”. Antonio aveva forse intuito di cosa stava parlando. Il nonno, ormai ottantenne, aveva bisogno di una mano. Lovino aveva paura a lasciarlo solo, la sua gamba faceva sempre più male e ormai sembrava davvero invecchiato. La sua faccia era diventata molto più rugosa, i capelli erano diventati tutti bianchi. “Va bene. Quando pensate di arrivare?”
Stava probabilmente parlando con Feliciano per farlo tornare in Italia, in modo da stare con il nonno quando Lovino non poteva. “Quindi domani?” aveva chiesto un po’ seccato “Ok, chiamami quando arrivate lì.” Mugugnò qualcosa “Va bene, Feliciano, porta chi ti pare, basta che la pianti adesso.” Poi sbuffò “Lo so che Gilbert non verrà per via dei bambini… Feliciano, ho capito, vai a dire a Ludwig che dovete venire qui. Sì, ok. Che succede? Un cliente?” una pausa “Allora ciao, chiamami quando arrivi domani.” Poi continuo “Sì, ciao.” E attaccò. Antonio sentì la cornetta sbattere e l’altro sbuffare.
“Hai chiamato Feliciano?” gli urlò ancora nel letto.
“Sì.” L’altro aprì la porta e apparve nella stanza. “Questa telefonata ci costerà più del previsto, non sta mai zitto quello lì. Loro mica badano a spese. Non solo Feliciano è un fioraio, Ludwig ha venduto tantissime copie dell’ultimo libro che ha scritto.” Lovino portava i capelli molto più corti e i suoi lineamenti erano diventati più duri. Antonio si voltò e guardò lo specchio di fronte al loro letto, nel suo riflesso poteva vedere le rughe che gli erano iniziate a spuntare sotto gli occhi, si stava facendo crescere una leggera barbetta, simile a quella che aveva Francis, anche se Lovino la odiava.
“Stai andando già adesso?” gli chiese ancora mezzo addormentato mentre lo guardava prepararsi.
L’altro rispose solo “Sì.” Poi aggiunse “Tu hai intenzione di muoverti? Devi andare a lavoro.”
L’altro annuì, in effetti avrebbe dovuto essere in piedi già da un pezzo.
“Vi raggiungo a pranzo allora.” Antonio si era alzato con i gomiti, si protese in avanti mentre Lovino passava e gli fece cenno di abbassarsi. Gli stampò un bacio veloce sulla guancia “Ci vediamo dopo.” Lovino era un po’ arrossito, come un ragazzino. Uscì dalla stanza e Antonio sentì che prendeva il suo mazzo di chiavi nella ciotola accanto la porta. “Ciao!” lo salutò e sbatté la porta.

***

Italia, 1980

A casa del nonno ormai c’era praticamente sempre la televisione accesa, in qualche modo doveva pur passare il suo tempo. Feliciano tornava raramente in Germania, voleva restare con suo fratello e suo nonno, lasciò a Ludwig il negozio. Lovino gliene era grato per questo.
“Antonio mi ha detto che voleva un videoregistratore.” Il nonno gli mostrò una scatola. Ancora se ne andava in giro quando voleva, era ancora bello arzillo, solo aveva bisogno di una mano. I suoi movimenti erano più lenti, la sua voce era diventata un po’ più roca, ma comunque forte, e sotto le rughe si nascondeva ancora un bell’uomo.
Lovino esaminò la esaminò “Perché glielo hai preso?” aveva lui la scatola fra le mani adesso.
“Fra poco è il suo compleanno, no?” alzò le spalle.
“Sì… ma… sei andato dall’altra parte del paese senza dirmi nulla!” Lovino lo stava sgridando mentre lui andava verso il divano “E poi io non so nemmeno come si monta questo coso.”
“Il regalo è per Antonio, mica per te.” Ridacchiò fra sé e sé Roma. La casa era rimasta la stessa, aveva solo comprato una nuova televisione e un telefono fisso. Il mobilio era lo stesso che aveva probabilmente anche quarant’anni prima. Sentì la porta della cucina aprirsi “Ho raccolto i panni.” Feliciano aveva annunciato “Sembra che voglia piovere, non conviene tenerli fuori.” In effetti era anche inutile tenerli fuori, tanto avrebbe fatto buio fra un’oretta.
“Io torno a casa per cena comunque.” Disse a Feliciano, che gli passo accanto con la cesta fra le mani. Il suo faccino dolce era quasi sparito, ora sembrava anche lui una persona differente, Lovino non riusciva a credere che fra un mese avrebbero avuto quarant’anni.
“Sicuro?”
“Sì, chiamo Antonio e gli dico di andare direttamente lì quando torna dal negozio.”
“Va bene!” Feliciano aveva risposto cantilenando mentre si allontanava per portare i panni nell’altra stanza.
Lovino andò verso il telefono, ma prima si voltò a guardare suo nonno “Come stai oggi?”
Roma aveva tossito “Alla grande.” E Lovino abbassò gli occhi. Aveva visto persone sparire dalla sua vita in continuazione, sperava non sarebbe successo più, ma quando vedeva suo nonno non poteva fare a meno di pensarci. Non che stesse malissimo, se la cavava… ma per quanto ancora avrebbe potuto?
Il nonno lo chiamò e lo fece tornare alla realtà “Lovino.”
“Mh?”
“Lo so che ormai sei un adulto e probabilmente ti lamenterai, ma è troppo se chiedo a mio nipote di sedersi accanto a me e darmi un abbraccio?”
Lovino non rispose, si avvicinò in silenzio e si sedette accanto a lui. Il nonno lo tirò con un braccio e chiamò Feliciano per unirsi. “Pensavo fossimo troppo vecchi per queste cose.” Feliciano aveva scherzato mentre si univa all’abbraccio.
“Oh, ma state zitti, siete ancora due ragazzini per me!” il nonno rise di gusto e li tenne stretti per un paio di minuti.

***

Italia, 2015

Non si erano più mossi da quel paesino di campagna da quando erano arrivati in Italia. Le strade erano cambiate, rimodernate, il registratore che tanti anni fa Roma gli aveva regalato era diventato vecchio e inutile ormai, ma Antonio continuava a tenerlo come ricordo del nonno di Lovino, e poi le sue videocassette erano ancora buone. Roma era una delle persone a cui era più grato.
Ormai erano anni che Antonio non lavorava più come barbiere, ovviamente troppo vecchio. Lovino e Feliciano iniziarono a vedersi sempre di meno, ma comunque si telefonavano almeno tre volte a settimana.
Si alzò dal letto e guardò nell’angolo della stanza, c’era la chitarra di Lovino, non la toccava da almeno 20 anni e gli tornò in mente la prima volta in cui suonò e cantò per lui. Uscì fuori con le pantofole ai piedi, Lovino era di là, in cucina, con due tazzine di caffè in mano, le poggiò sul tavolo. Fuori il tempo era dei migliori, una giornata primaverile come non ne vedeva da tanto. “Potremmo fare una passeggiata oggi.” Gli propose. Lovino alzò solo le spalle. Erano completamente diversi ormai, guardava Lovino e pensava al bambino di cinque anni che vide entrare nella stanza dell’orfanotrofio dove dormivano tutti.
“Dopo pranzo magari.” Gli aveva risposto alla fine, dopo aver controllato lui stesso la finestra. La casa era silenziosa e per quanto ci provassero, ora sembrava proprio una casa da vecchi. Quando Emma portò i suoi nipoti a casa loro rimasero a guardare le foto in bianco e nero per almeno 20 minuti. Emma era una nonna. Erano proprio diventati vecchi.
“Vado di fuori, vieni con me?” Antonio era in piedi e stava andando verso la porta, voleva sedersi in giardino. Lovino lo seguì. Avevano messo tanti anni prima una panchina giusto fuori la porta, nel giardino. A Lovino piaceva stare lì a disegnare e di notte si scambiarono parecchi baci lì sopra. Erano seduti, Antonio gli prese la mano e Lovino sorrise. Lo guardò attentamente, anche se ora aveva parecchie rughe sotto gli occhi e agli angoli della bocca, era ancora bello. Rimasero a chiacchierare.

C’erano momenti in cui Antonio si domandasse se tutto fosse andato diversamente, se avesse rinunciato a rivedere Lovino quando andò via sotto la pioggia. Si soffermava a pensare a sua madre, una donna di cui non sapeva nulla, se non che gli avesse dato un nome “Antonio Fernandez Carriedo” e che lo avesse lasciato sulla porta di quell’orfanotrofio in un paesino probabilmente lontano da dove abitava lei, durante la seconda guerra mondiale, e chissà per quale ragione lo lasciò lì. Pensava alla signorina Braginskaya, ormai morta probabilmente, e il solo pensarci lo faceva stare male, l’unica donna in cui avesse mai rivisto una mamma. Pensava spesso anche a Francis, che non vedeva da quando andarono insieme in Germania, probabilmente si era sposato con Jeanne e adesso era nonno anche lui. Gilbert, Ludwig e Feliciano erano quelli di cui era costantemente aggiornato e con cui era in contatto, fortunatamente. La sua mente andava anche ad Arthur, che probabilmente ormai aveva chiuso anche lui la libreria, non sapeva nemmeno dove abitasse adesso, cosa avesse fatto in tutti quegli anni.

Se sua madre non lo avesse lasciato lì probabilmente in quel momento non si sarebbe trovato mano nella mano con Lovino, vecchio, su una panchina che avevano costruito loro due insieme. Lovino era l’unica persona che avesse mai amato, l’unica persona che avesse mai baciato. Quando lo teneva per mano ricordava ancora come erano le loro mani morbide quando erano piccoli e le stringevano senza pensarci.

Guardò il loro giardino, poi scrutò il cielo e le nuvole che si muovevano.
Se avesse mai dovuto immaginare che aspetto avesse la felicità avrebbe visto quello: Lui e Lovino, in una giornata di sole.








----Angolo dell'autrice----

Sì, avevo detto che avrei postato entro la fine del mese scorso, ma ho avuto da fare e il capitolo è venuto più lungo di quanto avessi immaginato. Inoltre è stato difficilissimo da scrivere aaa.
Non posso credere di aver finito questa fanfiction, oddio. I'm emotional.
Ringrazio tutti quelli che l'anno seguita dall'inizio alla fine e che hanno recensito, spero via sia piaciuta come è piaciuto a me scriverla! Aspetto le vostre recensioni.

Ora inizia la parte importante: Non sono sicura se continuerò questa "serie" di fanfiction.
Di "Like a flower" quella dedicata alla Gerita, parallela a questa, ho pubblicato solo il primo capitolo, avrei voluto pubblicarle insieme, ma non riuscivo ad occuparmi di due fanficiton contemporeamente (tanto di cappello a chi ci riesce). Quella UsUk devo ancora scriverla e non ha ancora un titolo, ho solo scritto gli appunti di tutto quello che dovrebbe succedere. A tutte e tre le storie tenevo particolarmente, in quella Gerita avrei spiegato alcune incompresioni sulla storia di Ludwig e Feliciano, in quella UsUk volevo affrontare temi come il bullismo (per quanto riguarda Arthur). Chiesto scusa se qualcuno stava aspettando queste storie, ma... mi dispiace ammetterlo, non sono più nel fandom di Hetalia come lo ero una volta, già da tempo. (In realtà proprio l'altro giorno la mia migliore amica si è messa a fare il rewatch e mi hanno tornare la nostalgia) Sono entrata nel fandom nel 2012/2013 quindi rendetevi conto. Inoltre mi rendo conto che anche il resto del fandom sta morendo.
Non posso dire con sicurezza che non le aggiornerò mai più, ma è più probabile di no. 
Fun fact: Mi sono appassionata a voltron nell'ultimo periodo, da due anni in realtà, volevo dedicarmi ad una fanfiction (anche molto complessa) a cui stavo lavorando, ma dopo l'ottava stagione mi è passata la voglia.... quindi non so se tornerò a scrivere per un po'. 

Grazie mille in ogni caso a tutti!! Scusate questo monologo infinito.
In caso qualcuno di voi volesse informazioni su qualcosa (Anche sull'usuk che non è stata quasi per niente affrontata e la gerita) chieda pure!

Alla prossima,
Lau  
   
 
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