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Autore: Carme93    07/02/2019    3 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo secondo
 
Diagon Alley
 


Teddy era ben deciso a godersi quell’estate prima che tutto cambiasse. Sua nonna gli aveva detto di essere troppo melodrammatico, ma il ragazzino era convinto che iniziare Hogwarts avrebbe tracciato una linea netta con il passato: cominciare la propria istruzione magica era qualcosa di serio. I cugini più piccoli – nonna Molly, la mamma di Ginny, l’aveva praticamente adottato e lo trattava come tutti gli altri nipoti – lo invidiavano e lo bombardavano di domande. Da una parte ne era molto lusingato, dall’altra aveva una paura assurda: sarebbe stato lontano da casa per la prima volta nella sua vita e avrebbe dovuto dimostrare di essere all’altezza della fama dei suoi genitori. Comunque aveva deciso di non pensarci più fino al primo settembre e, appunto, godersi quanto rimaneva delle vacanze.
Trascorse un paio di settimane alla Tana giocando e cacciando gnomi con gli altri nel giardino; saltuariamente Harry o lo zio George, proprietario di un fantastico negozio di scherzi, Tiri Vispi Weasley, permettevano a lui, Victoire, di nove anni, e a Domi –Dominique sorella minore di Victoire – di usare le loro scope e svolazzare, sempre bassi per non essere visti dai Babbani, in uno spiazzo coperto da alberi alti.
Nonna Molly si premurò di cucinare tutti i suoi piatti preferiti e Teddy non si fece pregare mangiando triple porzioni di tutto. La nonna, chissà perché, pensava sempre che fossero troppo magri e non solo loro bambini, ma anche gli zii! Per questo spesso si beccava occhiatacce più o meno amorevoli dalle nuore.
Quell’estate tornò in Inghilterra anche Charlie Weasley, secondogenito di Molly e Arthur Weasley, insieme alla famiglia e la confusione alla Tana fu completa. Charlie, come a tutti gli altri nipoti, regalò a Teddy una scatola di legno sul cui coperchio era inciso un ungaro spinato. Il suo padrino si ritrovò, probabilmente per la milionesima volta – era la storia preferita da tutti i ragazzi – a raccontare della volta in cui era stato costretto ad affrontare proprio quel drago.
Come ogni anno il compleanno di Harry fu festeggiato alla Tana, che a Teddy parve ancora più piccola del solito a causa di tutti gli invitati, ma i festeggiamenti furono sconvolti dalla zia Fleur che decise di partorire proprio quel giorno e dalla nascita del piccolo Louis.
All’inizio di agosto Teddy andò al mare con Harry, Ginny e i piccoli James, Albus e Lily rispettivamente di quattro, tre e un anno. Si divertì molto.
Alla fine, però, il momento di tornare a casa sua giunse, ma tutto sommato Teddy ne fu contento: la nonna gli era mancata terribilmente e Vic e Domi erano partiti per la Francia, nonostante zio Bill fosse molto contrario visto che Louis era ancora troppo piccolo. Teddy mantenne il suo proposito di divertirsi e coinvolse Laurence, sempre pronto, e Diana che aveva sempre centinaia di domande da far loro su Hogwarts e sul mondo magico.
La terza settimana di agosto, però, avvenne quello che i tre aspettavano con ansia dal momento in cui avevano ricevuto la lettera di Hogwarts – probabilmente Teddy e Laurence anche da prima -: andare a Diagon Alley.
Harry e Ginny, dopo aver lasciato i figli alla Tana, suonarono al campanello di casa Tonks e un Teddy sovraeccitato gli aprì.
«Sei pronto?» gli chiese Harry divertito.
«Prontissimo. Anche Laurence e Diana lo sono. Saranno qui a momenti» rispose il ragazzino lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
«Teddy!» lo richiamò la nonna mentre sfrecciava fuori per andare incontro agli amici. «Hai preso una felpa?».
«Si muore di caldo» replicò il ragazzino dopo aver abbracciato Diana e dato il cinque a Laurence, che nel frattempo erano sopraggiunti.
«È in piedi dall’alba» sbuffò Andromeda, ma solo Harry e Ginny colsero un luccichio strano, ma prima che potessero chiedere spiegazioni ella aggiunse a voce più bassa in modo che solo loro potessero sentire: «Dora fece anche così… Che assurdità».
Harry si scambiò un’occhiata con Ginny, ma nessuno dei due commentò.
«Allora andiamo?» li esortò Teddy.
Avevano deciso di andare a Londra con le macchine in modo da non traumatizzare eccessivamente i signori Webster, che gliene erano stati molto grati.
«Vai piano, per l’amor di Merlino» si raccomandò la mamma di Laurence con il marito, il quale sorrise in modo così malandrino che Harry distolse lo sguardo prima di scoppiare a ridere.
Il viaggio in macchina fu tranquillo e, fortunatamente, beccarono un po’ di fila solo per entrare a Londra. I ragazzi erano saliti tutti e tre sulla macchina dei Webster, per cui si erano evitati un interrogatorio in piena regola, ma Harry e Ginny furono molto più sollevati quando si riunirono e l’eccitazione dei ragazzi coinvolse anche loro. Sulla macchina Andromeda era stata molto silenziosa e persa nei suoi pensieri e i coniugi Potter non avevano avuto il coraggio di aprir bocca.
«Questo è il Paiolo Magico» spiegò Harry ai genitori di Diana. «Voi non potete vederlo, ma Diana, sì, vero?».
La bambina annuì parecchio tesa e agitata.
«Bene, allora prendi per mano i tuoi genitori e guidali all’interno, dopo non avranno problemi».
I signori Webster erano giustamente frastornati – e ancora non avevano visto nulla! - ma si lasciarono prendere per mano da Diana e la seguirono in silenzio. Dietro di loro entrarono anche Teddy, Andromeda, i Potter e i Landerson.
Da qualche anno Hannah Abbott, la moglie di Neville Paciock, aveva preso in gestione il pub e, appena li vide, li raggiunse raggiante salutandoli. È vero che da studenti, appartenendo a due Case diversi non si erano frequentati molto, ma da quando aveva sposato Neville si vedevano molto spesso.
«Come state?» chiese sorridente.
Harry e Ginny ricambiarono l’affettuoso sorriso e poi le presentarono gli amici. Teddy si lasciò abbracciare senza problemi visto che conosceva la donna da anni. Mentre si dirigevano sul retro del locale, Laurence ebbe la pessima idea di raccontare a Diana che la signora appena conosciuta era la moglie di un loro insegnante. Diana, già tesa, si agitò non poco alla scoperta. Teddy scosse la testa non comprendendo il perché Laurence mettesse tanto in mostra le sue conoscenze, naturalmente superiori, sul mondo magico. Gli diede una gomitata e lo tirò indietro.
«La lasci in pace?».
«Oh, per una volta che ne so più di lei! Lasciami divertire. Appena quella arriva a Hogwarts s’impara mezza biblioteca prima di Natale e io sarò il solito stupido della classe!».
Teddy sospirò e desistette anche perché Harry aveva aperto il passaggio e davanti ai loro occhi si apriva una Diagon Alley rumorosa e colorata. I suoi capelli, non incantati in nessun modo questa volta, virarono al rosa per quanto era emozionato. Era stato altre volte lì insieme a Harry o alla nonna, ma quella volta era diversa da tutte le altre.
I tre ragazzini corsero in avanti, nonostante gli ammonimenti degli adulti.
Harry fece cenno al signor Landerson di seguire i ragazzi e lui rimase indietro con Ginny: Andromeda si era bloccata appena aveva visto i capelli di Teddy cambiare colore.
«Andromeda» disse dolcemente, «tutto bene?».
«Dora aveva dei capelli rosa proprio come quelli di Teddy e… il giorno che comprò la sua prima bacchetta… io e Ted non riuscivamo a tenerla tranquilla… ero sicura che quel giorno l’avremmo persa nella folla… non voleva star ferma un secondo…».
«Nonna, che c’è? Perché non vi muovete?» chiese Teddy, tornato indietro quasi saltellando, e fissandoli con sospetto.
«Niente, andiamo Teddy» intervenne Ginny spingendolo avanti.
Ad Andromeda per un attimo era sembrato veramente di rivedere quella pestifera bambina di undici anni che si rifiutava di ascoltare lei e Ted e che continuava a blaterare qualcosa sullo smistamento. Harry le strinse il braccio e la costrinse a guardarlo, mostrandole un viso duro e gli occhi tristi.
«Va tutto bene» sospirò Andromeda. «Andiamo, prima che Teddy corra di nuovo qui».
La strada selciata curvò rivelando la via principale, di cui non si vedeva, però, la fine.
Anche Harry non poté fare a meno di pensare al passato: la prima volta che era stato lì sembrava appartenere a un’altra vita. Ginny gli strinse la mano.
«Mi salutavano tutti e mi stringevano la mano e io non sapevo chi fossero e non capivo» sussurrò certo che la moglie avrebbe compreso.
«Questo non è cambiato» sbuffò Ginny dopo che diversi maghi li rallentarono per stringere la mano a entrambi. Qualcuno osò perfino fare qualche riferimento a Teddy chiedendosi chi fosse tra i due ragazzini che facevano parte del gruppo; altri invece riconobbero i poteri da Metamorphomagus che il bambino aveva ereditato dalla madre.
Harry fece una smorfia, ma intervenne deciso quando un uomo più ardito si avvicinò a stringere la mano a Teddy. Da quel momento rimase vicino a lui, sperando che questo fosse sufficiente ad allontanare simili attenzioni.
«Chi era quell’uomo?».
«Non lo so» bofonchiò Harry contrariato. «Non ci pensare. Da dove volete iniziare?».
«Dalla bacchetta» risposero in coro Teddy e Laurence. Diana annuì timidamente.
«Allora andiamo da Olivander» commentò Harry.
«Ma c’è il figlio adesso?» gli chiese il signor Landerson.
«Sì, ma che io sappia ancora lui va in negozio» replicò Harry.
Arrivati all’antico negozio furono i tre ragazzi a entrare per primi. Uno scampanellio attirò l’attenzione di un uomo anziano che, fino a quel momento, si trovava sul retro.
«Signor Potter» esclamò flebilmente il vecchio riconoscendo Harry, che, a sua volta, si avvicinò e gli strinse la mano calorosamente.
«Signor Olivander, le presento il mio figlioccio, Teddy Lupin». Teddy l’aveva raggiunto e diede la mano al fabbricante di bacchette di cui tanto aveva sentito parlare. Il ragazzino si sentiva molto orgoglioso quando il padrino lo presentava ai suoi amici e conoscenti.
«Oh, il figlio di Remus Lupin e Ninfadora Tonks» esclamò all’istante il signor Olivander scrutandolo per un attimo. Ecco questo citare all’improvviso i suoi genitori, non piaceva proprio a Teddy. «Mi ricordo quando sono venuti a comprare la loro prima bacchetta» continuò incurante il fabbricante di bacchette perso in un mondo di ricordi. «Suo padre ha scelto una bacchetta di tasso con crine di unicorno e sua madre una di agrifoglio e corda di cuore di drago… certo ho detto ‘ha scelto’, ma è la bacchetta a scegliere il mago». Un attacco di tosse lo costrinse a interrompersi e Harry e il signor Landerson gli consigliarono di sedersi.
«No, no tranquilli» biascicò Olivander dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua. «È la vecchiaia».
Teddy tirò una gomitata a Laurence che sembrava pronto a fare qualche stupida considerazione.
Harry, per conto suo, si era inquietato ripensando alla prima volta in cui era entrato in quel negozio e all’occasione in cui aveva salvato la vita al vecchio mago; perciò appena Olivander mostrò di sentirsi bene spinse avanti Diana per fargli cambiare argomento. «Lei è Diana Webster, è la prima strega della sua famiglia, signor Olivander, e non vede l’ora di avere la sua bacchetta».
«Naturalmente, naturalmente» sospirò Olivander con un tremolante sorriso. Diana osservò con ansia i gesti dell’uomo: le prese le misure con un metro che si muoveva da solo e nel frattempo iniziò, lentamente, a tirare fuori scatoline dagli scaffali. Dopo un paio di tentativi infruttuosi, la ragazzina non resistette e gli pose tutte le domande che aveva trattenuto fino a quel momento. Il fabbricante apparve quasi divertito e rispose; infine, a colpo sicuro, prese un’altra bacchetta e gliela porse:
«Acero, crine di unicorno, sufficientemente flessibile, quindici pollici». Diana sorrise nel stringerla con la destra e non vi fu alcun dubbio che fosse perfetta per lei. «Sono sicuro che lei, signorina, diventerà una grande strega».
La ragazzina arrossì, ma non perse il suo sorriso. Laurence, a un cenno di Teddy, prese il suo posto. Teddy sapeva che l’amico stava fremendo.
Laurence fu un osso duro, ma alla fine Olivander trovò la bacchetta perfetta per lui: abete, corda di cuore di drago, leggermente flessibile, quindici pollici e un quarto.
«Bene, signor Lupin, tocca a lei».
Teddy timoroso avanzò e si pose di fronte al vecchio. A differenza di Diana, non fu turbato dal metro magico, ma comunque sentì la preoccupazione salire: e se nessuna bacchetta l’avesse scelto? Oh, no, questa era un’ipotesi stupida: era stato ammesso a Hogwarts e gli toccava una bacchetta come ogni altro mago!
«Provi questa: acacia, cuore di corda di drago, rigida, nove pollici». Il signor Olivander lo riscosse dai suoi pensieri porgendogli una bacchetta corta e spessa. Teddy la prese ma percepiva che non era quella giusta. «Su, provi ad agitarla» lo esortò il vecchio. Il ragazzino, sentendo gli occhi di tutti su di lui, obbedì ma, avendo fatto scoppiare un vaso sul bancone, la restituì all’istante.
«No, no, decisamente no» bofonchiò Olivander più a sé stesso che a Teddy. Si diresse verso gli scaffali e tornò con un paio di scatole. «Allora provi abete, cuore di corda di drago, flessibile, dieci pollici».
Questa volta gli scaffali presero fuoco, Diana gridò spaventata e Olivander dovette intervenire prima che anche le altre bacchette finissero in cenere.
«Per favore, non le punti contro gli scaffali» lo supplicò Olivander detergendosi il sudore sulla fronte. Teddy annuì meccanicamente, sentendo una risatina in sottofondo. Laurence. Dopo un quarto d’ora, però, nessuna bacchetta lo aveva ancora scelto e il panico si stava impadronendo di Teddy, tanto quanto la noia di Laurence.
«Mi chiedo se possa andar bene questa» sospirò a un certo punto il signor Olivander pensieroso. «Sorbo, dodici pollici e tre quarti, piuma di fenice, molto flessibile».
Teddy la prese sempre più depresso, ma, appena la sfiorò, percepì un fiotto di calore espandersi nel suo petto e si ritrovò a sorridere.
«Perfetto» esclamò soddisfatto Olivander. «Quella bacchetta è rimasta invenduta per molti anni. Evidentemente aspettava lei, signor Lupin». Teddy lo fissò trasecolato a quel pensiero. «Il sorbo è un legno buono, se mai venisse piegato a compiere incantesimi oscuri si distruggerebbe».
Teddy fu molto orgoglioso nel sentire quelle parole: i suoi genitori erano morti combattendo un mago oscuro e lui, mai e poi mai, si sarebbe macchiato di un simile crimine. E la sua bacchetta, che da quel momento in poi sarebbe stata sua fedele compagna, la pensava allo stesso modo.
Harry gli strinse leggermente la spalla prima di andare a pagare.
La tappa successiva fu il Ghirigoro. Diana adorò la libreria magica e Teddy le mostrò ogni sezione, felice di poter condividere la sua passione con la lettura con una coetanea e non con la zia Hermione per una volta. Se fosse stato per loro sarebbero rimasti lì dentro in eterno, ma Laurence a un certo punto crollò e li minacciò di far saltare in aria il negozio con una magia involontaria. Naturalmente, né Teddy né Diana gli credettero, ma decisero di non volere l’incendio di qualche povero libro sulla coscienza. Alla cassa, però, i loro genitori non furono molto contenti visto che risultarono molti più libri di quanti ve ne fossero sulla lista. Andromeda costrinse Teddy a sceglierne solo uno, ma Harry intervenne e ci scapparono ben tre libri nuovi; i signori Webster, invece, sebbene perplessi accontentarono la figlia poiché anche loro volevano conoscere quel nuovo mondo. La signora Landerson si lamentò del contrario in quanto se fosse stato per il figlio non avrebbe acquistato neanche i manuali scolastici!
Se fosse dipeso da loro, nessuno dei tre avrebbe perso minimamente tempo da Madame McClan, ma le madri e nonna Andromeda vollero assicurarsi che la divisa calzasse loro a pennello, così come gli altri indumenti che ritennero basilare comperare.
Laurence non vedeva l’ora di andare al negozio di Quidditch e da Tiri Vispi Weasley, ma gli adulti per ovvi motivi li lasciarono per ultimi.
«Allora vuoi un gufo o un altro animale?» chiese Harry al figlioccio, mentre si dirigevano al Serraglio Stregato.
«Oh» Teddy non ci aveva pensato molto, visto che non nutriva un particolare interesse per gli animali.
«Direi un gufo, così potrà scriverci» intervenne nonna Andromeda.
Teddy fece spallucce poco interessato alla questione. Sì e no un quarto d’ora dopo uscì dal negozio tenendo in mano una gabbietta, al cui interno un gufetto, piccolo e dal piumato chiaro, dormicchiava.
«Potevi sceglierne uno più grande» borbottò la nonna leggermente contrariata.
«A me piace. E la signora ha detto che crescerà» ribatté Teddy, più contento di quanto avesse mai immaginato all’idea di possedere un animaletto di cui prendersi cura.
Laurence aveva comprato un gufo reale che, di certo, piaceva di più alla nonna; invece Diana, dopo averci pensato a lungo, aveva optato per una gattina.
«Lo chiamerò Leone!» annunciò fiero Laurence oscillando la gabbia.
«Se non stai fermo, lo ucciderai prima del tempo» intervenne sua madre esasperata.
«La mia gattina si chiama Clarisse» decise Diana, accarezzando il cucciolo ogni due secondi e costringendo tutti a fermarsi per aspettarla.
«Che razza di nome è Clarisse?!» sbottò Laurence.
«È un nome» ribatté la ragazzina punta sul vivo.
«È un nome di persona, non di animale» s’intestardì il ragazzino.
«Oh, adesso c’è differenza?».
«Tu come lo chiami il tuo gufetto?».
Teddy si voltò verso Harry, mentre gli amici continuavano a litigare. «Ramoso» rispose dopo averci pensato su un attimo.
Questa volta fu Andromeda a stringere il braccio di Harry e ad ammonirlo a non lasciarsi andare ai ricordi, mentre Ginny annuiva mestamente.
Finalmente per la felicità di Laurence si recarono da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch e poi da Tiri Vispi Weasley. I ragazzini si divertirono molto, ma anche gli adulti si rilassarono e si lasciarono coinvolgere dalla loro spensieratezza e allegria.
 
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Charis si nascose dietro lo zio, mentre questi salutava dei conoscenti. Non le piaceva avere a che fare con degli estranei, però lo zio era molto conosciuto nel mondo magico.
«E lei è la figlia di tuo fratello?».
Alla fine gli domandavano sempre questo. E Charis tentava di ignorarli fingendo di non aver sentito e che se ne andassero in fretta. Lo zio Adam, però, alle volte la tirava fuori dal suo nascondiglio e la presentava; altre, probabilmente non gradendo l’interlocutore annuiva e glissava velocemente sull’argomento. Fortunatamente, fu una di quelle volte.
«Già, ora scusami, ma dobbiamo andare a fare spese per la Scuola». Charis si tranquillizzò appena si allontanarono. «Dammi la mano e non ti allontanare» le raccomandò lo zio, come ogni volta che uscivano insieme. «Allora, hai portato la lista vero?».
«Certo» sorrise Charis, tirandola fuori dalla tasca e sventolandogliela davanti.
«Bene, cominciamo dal primo punto allora».
«La divisa» rispose prontamente la ragazzina.
«Allora andiamo da Madame McClan».
Charis fece una smorfia: odiava andare nel negozio di abbigliamento. «Non possiamo andare prima a comprare i libri o la bacchetta?».
«Seguiamo l’ordine, per favore o finirà che ci dimenticheremo qualcosa» bofonchiò suo zio, tirando fuori un foglietto dalla tasca del suo mantello. «Sambi mi ha elencato un sacco di roba che ti serve». Sambi era la loro elfa domestica.
«Non mi piace Madame McClan» s’imputò la ragazzina, sperando di convincere lo zio.
«Perché mai? È la miglior sarta di Diagon Alley» ribatté l’uomo nervosamente: per quel genere di cose era necessaria una donna, per Merlino come avrebbe fatto a sopravvivere a quella giornata? Forse avrebbe dovuto mettere da parte l’orgoglio e chiedere aiuto a miss Shafiq o a qualche collega. Ah, ma ormai era fatta.
«Perché ogni volta ti convince a comprarmi quei vestiti tutto fiocchi e merletti» rispose quasi piagnucolando Charis. Non si sentiva per nulla a suo agio con quelle vesti, per quanto miss Shafiq ritenesse che fossero perfette per una signorina come lei.
«Ti prometto che potrai scegliere tu, ok?».
«Davvero?» si assicurò Charis.
«Sì, ma ora andiamo» borbottò l’uomo.
Tutto sommato da Madame McClan andò meglio di quanto zio e nipote avessero temuto: la divisa di Hogwarts naturalmente era uguale per tutti gli studenti, perciò Charis non ebbe nulla di cui lamentarsi. La bambina si lasciò prendere mitemente le misure. Adam la fissò orgoglioso e leggermente commosso nella veste nera che, un tempo, anche lui aveva indossato e che conservava gelosamente.
«Zio, sulla cravatta c’è solo lo stemma di Hogwarts» lo richiamò Charis. «Perché non sono stata ancora smistata?».
«Sì, infatti».
«Sarò una Corvonero come te?» chiese ancora la ragazzina, mentre Madame McClan le stringeva la manica.
«Può darsi» replicò Adam. «Sarà il Cappello Parlante a decidere, lo sai».
La questione smistamento cadde lì per il momento, ma Charis aveva ancora parecchi dubbi e lo zio se ne accorse.
La seconda parte degli acquisti fu leggermente più complicata per Adam che si limitò a consegnare la lista di Sambi a Madame McClan in una silenziosa richiesta di aiuto. Un momento di tensione si creò nel momento in cui la donna tirò fuori alcune capi d’intimo pieni di merletti. Il viso contrariato e arrossato di Charis, però, fu un avvertimento sufficiente per lo zio che intervenne chiedendo qualcosa di più semplice sebbene comunque di qualità.
«Non è andata tanto male» sospirò Adam sollevato, uscendo dal negozio.
«Grazie di avermi fatto scegliere il pigiama con le fatine» rispose Charis più che contenta.
Adam ridacchiò e si diede dello stupido: Charis aveva undici anni e iniziava a essere perfettamente in grado di scegliere per sé, non doveva dimenticarlo.
«Ora andiamo in libreria» dichiarò la ragazzina scorrendo la lista della Scuola. «Posso prendere qualche romanzo di Ombrosus che mi manca?».
«Sì, naturalmente» concesse Adam senza neanche soffermarsi a riflettere sulla richiesta della nipote. Nonostante fosse sollevato per aver archiviato la parte riguardante il guardaroba della bambina, una sensazione fastidiosa si stava facendo strada in lui.
Comprarono i libri della Scuola e Charis impiegò molto tempo per scegliersi tre romanzi. Infine si diressero alla farmacia per comprare un kit di pozioni adatto a uno studente del primo anno e poi ad acquistare il calderone.
«Zio, che c’è?» domandò all’improvviso Charis, mentre si avviavano verso il negozio di bacchette.
«Eh? Nulla» borbottò Adam riscuotendosi dai suoi pensieri. Quella sensazione fastidiosa era aumentata.
«Sei arrabbiato con me per qualcosa?» si preoccupò Charis.
Ma che espressione aveva in viso? Si sforzò di sorridere, ma Charis non sembrò molto convinta. Per non rovinarle la giornata, si decise a dirle la verità. «Scusa, è che mi è venuta in mente la volta in cui tuo padre ha comprato la sua prima bacchetta». Charis lo fissò e non disse nulla. La bambina sembrava soffrirci ogni volta che i genitori venivano nominati, ma Adam, sebbene impedisse agli estranei di toccare la questione, si costringeva a farlo lui stesso, ritenendo fondamentale che la nipotina conoscesse i qualche modo i propri genitori.
«Era molto eccitato e, nonostante i tuoi nonni gli dicessero di non allontanarsi, lui correva da ogni parte. Merlino, quanto era vivace».
Charis sorrise leggermente. «Anche tu però» commentò ricordandosi altri racconti dello zio.
«Oh, sì. Era… era il mio complice migliore…» sospirò tentando di mantenere ferma la voce. 
«È bello avere un fratello» mormorò Charis pensierosa. Nelle ultime settimane si era divertita molto con i bambini babbani del quartiere e quasi le dispiaceva di dover partire per Hogwarts. In modo particolare le stava simpatico Shawn, nonostante stesse sempre sulle sue, visto che era il più grande del gruppo.
«Molto» confermò Adam. «Vedrai, sono sicuro che troverai degli amici fantastici a Scuola, che diventeranno come fratelli».
«Potrò invitarli a casa durante le vacanze?» domandò felice la ragazzina. I suoi nuovi amici l’avevano invitata più volta a fare merenda da loro, ma ella non aveva potuto ricambiare visto che la villa era piena di artefatti magici, senza contare Sambi.
«Certamente» rispose all’istante Adam. «Avanti, compriamo la bacchetta. È quasi ora di pranzo».
Charis rimase delusa nel vedere l’uomo che gli accolse nel negozio: non aveva nulla a che fare con il vecchio fabbricante di bacchette di cui tanto gli aveva narrato lo zio.
«Buongiorno» disse distaccato l’uomo.
Suo zio gli strinse la mano e gli chiese del padre.
«Oh, ormai è vecchio. Si ostina a venir in negozio…» borbottò contrariato Olivander.
Charis s’imbronciò leggermente: che sfortuna, proprio lei non l’aveva beccato.
«Allora, signorina quando sei nata?».
«Il 3 maggio 1998» rispose prontamente, chiedendosi che cosa c’entrasse. Cercò lo zio con gli occhi, che replicò con un’alzata di spalle silenziosa. Che delusione! Niente metro che la misurava autonomamente!
L’uomo le fece provare diverse bacchette, ma Charis rischiò più volte di distruggere il negozio e si spaventò parecchio, specialmente quando diede fuoco alle tendine di una finestrella che dava su una via laterale. Lo zio appariva infastidito, ma rimase in un ostinato silenzio.
Evidentemente il giovane Olivander non era bravo quanto il padre; ma quando sbuffò grattandosi la testa, Charis disperò di aver mai una bacchetta tutta sua. Si rivolse allo zio supplicandolo con gli occhi.
Adam, per conto suo, era sempre più irritato: che quell’uomo fosse un incapace, l’aveva capito molto prima della nipotina; ma egli non aveva alcuna idea sul modo in cui una bacchetta scegliesse il mago, per cui non sapeva come comportarsi.
«Impossibile» borbottò l’uomo per darsi un contegno, ma il risultato fu decisamente il contrario. «È nata a maggio per cui il ciliegio dovrebbe essere il legno adatto a lei».
«Cambi legno, evidentemente si sta sbagliando» sbottò Adam non riuscendo a trattenersi.
Olivander lo guardò malissimo. «Bene, allora proveremo un po’ tutti i legni, se è quello che crede!».
Charis vide lo zio rabbuiarsi, segno che si stava arrabbiando sul serio e desiderò trovare la bacchetta al più presto, così avrebbero potuto continuare a divertirsi insieme. Aveva persino promesso che l’avrebbe portata a pranzare al Paiolo Magico.
Purtroppo nonostante i suoi buoni propositi, trascorse più di un’ora prima che una bacchetta di salice, crine di unicorno, flessibile, dodici pollici e mezzo, la scegliesse.
«Mi dispiace» mormorò Charis, quando uscirono dal negozio.
Adam sorrise e scosse la testa. «Non è colpa tua. Vedi, quando ti dico che è importante impegnarsi e far bene i propri compiti? In caso contrario si finisce come quell’uomo. E non ci ha fatto proprio una bella figura».
La ragazzina annuì distrattamente e gli prese la mano mentre si avviavano nuovamente lungo la via affollata. Diagon Alley pullulava di studenti di Hogwarts come ogni fine agosto; che fossero studenti lo si capiva da parole mormorate o strillate con divertimento, alcuni indossavano mantelli con il simbolo della propria Casa, altri sventolavano le liste dei libri. Per un po’ Charis ne sbirciò i volti, specialmente dei più piccoli, chiedendosi se qualcuno di loro sarebbe stato suo compagno. Se sarebbe stato suo amico.
«Ecco, il Serraglio Stregato. Vieni».
«Non lo voglio un gufo» lo contraddisse ella riscuotendosi dai suoi pensieri.
«I gufi sono utili» ribatté lo zio.
«Ma non mi piacciono!».
«Non devi giocarci, devi spedirci la posta».
«Non lo voglio» ribatté la ragazzina testardamente.
Adam sospirò, chiedendosi perché sua nipote doveva rendere difficile anche qualcosa di così semplice. «Tutti vogliono un gufo. Io e tuo padre non vedevamo l’ora di possederne uno tutto nostro».
«Io invece non lo voglio».
Adam si fermò e la fissò infastidito. «Ho deciso che ti comprerò un gufo. Punto» sbottò. «Se non vuoi vederlo, non lo guardare. A Hogwarts starà nella Guferia e non ti darà alcuna noia. E smettila di fare i capricci per ogni cosa o comincerò a pensare che forse miss Shafiq ha ragione».
Charis lo fissò a occhi sgranati per un attimo, poi, mentre si riempivano di lacrime, gli abbassò in modo da non farsi vedere dallo zio. «Scusa» mormorò. Adam annuì e insieme entrarono nel negozio. La ragazzina a quel punto tentò di essere collaborativa e, alla richiesta di sceglierne lei uno, s’interessò il minimo per non fare innervosire ancora di più lo zio.
«Quello?» provò incerta indicandoli un gufetto dal piumato chiaro e gli occhi grandi come palline.
«È una civetta» le disse lo zio. «Ma va bene. Possiamo prenderla».
La ragazzina assentì immediatamente pur di uscire da lì: probabilmente non aveva familiarità con gli animali, ma si sentiva fissare da un’infinità di occhi, gabbie con creature a volte sconosciute erano accatastate in tutta, apparentemente, piccola area e si rischiava di urtarle passando; alcune lucertole grosse – come si chiamavano? -schioccavano la lingua più lunga del normale. E come se non bastasse l’odore la soffocava, perciò fu ben felice quando tornarono all’esterno.
«Abbiamo preso tutto quello che c’è sulla lista, mi sembra» disse Adam ricontrollandola per l’ennesima volta. «C’è qualche negozio che vuoi vedere? Non so, magari quello di Quidditch o Tiri Vispi Weasley?».
«No, grazie» mormorò Charis giochicchiando con alcuni sassolini.
«Ok, allora andiamo a mangiare qualcosa al Paiolo Magico? Dopo prenderemo il gelato da Fortebraccio come ti avevo promesso».
«Va bene» rispose la ragazzina.
Adam sospirò e le sorrise, chiedendosi in cuor suo se non avesse sbagliato qualcosa: perché si era impuntato su uno stupido animale? Era un Auror, per Merlino, e aveva deciso decenni prima di non sposarsi e tutto quello che ne conseguiva. Poi, però, era arrivata Charis. Dopo più di dieci anni continuava a non avere la minima idea su come comportassi con lei, ma non l’avrebbe mai affidata a nessun altro: era sua nipote e, per quanto fosse totalmente incapace nel ruolo di genitore, suo fratello si aspettava quello da lui e non l’avrebbe deluso, indipendentemente da quanti errori potesse compiere nel farlo. Discutere con un undicenne per un gufo a Diagon Alley! Se solo l’avessero visto i suoi uomini o, peggio ancora, le reclute dell’Accademia l’avrebbero scambiato per qualcun altro: non permetteva a nessuno di contraddirlo.
«Zio» lo chiamò dolcemente Charis, quando giunsero sul retro del Paiolo Magico.
«Che c’è?».
«Perdonami, non volevo fare i capricci».
Adam ricambiò l’abbracciò della bambina e sorrise, dandole un bacio sulla fronte.
 
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«E quindi con la magia può cambiarmi anche il colore del vestito?» domandò Zoey, tirando leggermente il fiocco che teneva alla vita. «Avrei voluto comprarlo rosso, ma non c’era la taglia e mi sono dovuta accontentare del blu… È più elegante, naturalmente, ma trovo che mi spegne un po’…». Neville si passò una mano tra i capelli di fronte a quella parlantina. «L’ho comprato in un negozio bellissimo di Piccadilly Circus. Lo conosce? Se ha figlie femmine dovrebbe» insisté la ragazzina.
«Zoey, smettila» la riprese il padre, per poi rivolgersi all’insegnante. «Professore, mi scusi. È una chiacchierona».
«Non si preoccupi. È normale che sia emozionata nello scoprire un nuovo mondo» replicò gentilmente Neville.
«Oh, non s’illuda. Fa sempre così» borbottò la signora Turner.
«Allora, si può cambiare il colore del vestito?».
«Zoey!» dissero in coro i signori Turner.
«Sì, si può fare, ma lo imparerai al momento giusto» rispose, invece, Neville pazientemente. «E sì, ho due figlie femmine, ma sono ancora troppo piccole». Diede un’occhiata d’incoraggiamento ai signori Turner: dopotutto fino a poche settimane prima credevano di essere una normalissima famiglia borghese con un’unica figlia fin troppo socievole e già fiondata nell’adolescenza. «Adesso, è meglio che andiamo» soggiunse guidandoli all’interno del Paiolo Magico.
«È incredibile» bofonchiò il signor Turner. «Sono passato di qui infinite volte e non ho mai visto questo locale».
«È protetto dalla magia in modo che solo i maghi possano averne accesso» spiegò Neville.
«Senta» iniziò il signor Turner incerto, «alla scuola elementare io e mia moglie venivamo convocati… non dico tutti i giorni… ma spesso, molto spesso…».
«L’insegnante di Zoey a un certo punto ha minacciato di farci pagare le aspirine per il mal di testa» soggiunse la moglie.
«Insomma, noi riteniamo fondamentali i rapporti scuola-famiglia, ma se questa Hogwarts è in Scozia… può comprendere che per noi sarebbe quanto mai difficoltoso…».
«Oh, non si preoccupi» rispose all’istante Neville con un sorriso. «Solitamente i genitori vengono convocati a seguito di azioni molto gravi. Normalmente la Preside o i Direttori delle Case si limitano a tenere informati i genitori degli allievi che non rispettano le regole».
I coniugi Turner non sembrarono pienamente convinti, ma per il momento preferirono non insistere.
«Ma come sono vestiti? Ho già dovuto litigare con le mie amiche, se mi devo vestire come un pagliaccio, non ci vengo a imparare la magia!».
Le parole di Zoey attirarono l’attenzione degli adulti sugli avventori del locale. Erano circa le nove del mattino, ma era già molto affollato.
«Zoey, non cominciare!» sbottò il padre rimproverandola.
«Ma che ho detto!» replicò la ragazzina. «Avete visto che anche gli uomini indossano i vestiti? Come le donne!» soggiunse abbassando la voce.
Neville ridacchiò. «Non sono vestiti, o almeno non come li intendi tu. Sono vestiti tradizionali da mago, ma, se ti guardi ben intorno, vedrai che sono tutte persone anziane. Ormai i giovani indossano tutti vestiti più moderni e di foggia babbana».
«Sono comunque brutti» borbottò la ragazzina a mezza voce, ignorando le occhiatacce dei genitori.
Il professore li condusse nel cortile sul retro e poi, estraendo la bacchetta, colpì alcuni mattoni sul muro.
«Oh» sospirò Zoey vedendo il muro aprirsi e formare un arco. Almeno era rimasta senza parole. E sorprendentemente lo rimase mentre compivano i primi passi lungo l’affollata strada di Diagon Alley.
«Ora non posso non crederci» bofonchiò il signor Turner non si sa bene se a sé stesso o alla moglie, che si limitò ad annuire altrettanto attonita. Passeggiarono per un po’ osservando tutte le vetrine con sguardi incantati, Neville non disse nulla permettendo loro di ambientarsi in quel nuovo mondo.
«Forse dovremmo iniziare a comprare il materiale» disse a un certo punto il signor Turner.
«Sì» assentì Neville. «Prima però dovrebbe cambiare i soldi. Le sterline non servono qui».
«I maghi hanno una valuta diversa?» replicò perplesso il signor Turner.
«Esattamente, vi accompagno alla banca, la Gringott» rispose Neville indicando un edificio imponente e bianchissimo in fondo alla via.
«Quello cos’è?» strillò inorridita Zoey.
«Shhh, per l’amor di Merlino» borbottò frettolosamente Neville. «Quello è un folletto. I folletti custodiscono la banca e non sono per nulla amichevoli. Ti prego, qualunque domanda tu abbia, trattieniti finché non saremo fuori, ok?».
«Ok» assentì Zoey. «E questa?» chiese indicando una scritta sulla porta d’argento che immetteva all’interno. «Che c’è?» aggiunse in risposta all’occhiataccia dei tre adulti. «Non siamo ancora dentro».
«Straniero, entra, ma tieni in gran conto
quel che ti aspetta se sarai ingordo
perché chi prende ma non guadagna
pagherà cara la magagna.
Quindi se cerchi nel sotterraneo
un tesoro che ti è estraneo
ladro avvisato mezzo salvato:
più del tesoro non va cercato».
 
Lesse il signor Turner a bassa voce, non riuscendo a rimproverare la figlia per la sua curiosità. Dove stavano entrando?
 
«Sotterranei?» soggiunse preoccupata la signora Turner.
«Non preoccupatevi» replicò Neville. «Rimarremo nella sala principale. Nei sotterranei ci sono le camere blindate». Fortunatamente per fare i cambi non vi era una fila lunga e si sbrigarono abbastanza velocemente. «Le monete d’oro sono galeoni. Diciassette falci, quelle d’argento, fanno un galeone; ventinove zellini, quelle di bronzo, formano un falci» spiegò ai Turner; suggerendo ai due coniugi più o meno quanto li sarebbe servito per tutte le spese.
«Sono inquietanti questi folletti» dichiarò Zoey appena furono nuovamente in mezzo alla folla e ben lontani dall’ingresso della banca.
«Abbastanza» concordò Neville. «Da quale negozio iniziamo?».
«Voglio la bacchetta» trillò Zoey eccitata.
«Allora il negozio migliore è senz’altro quello di Olivander».
Pochi minuti dopo giunsero al negozio dalla vetrina più sobria e molto meno colorata delle altre che si affacciavano sulla via principale.
«Veramente dal 382 a.C.? Il proprietario è così vecchio?» sbottò Zoey incredula.
«L’attività viene tramandata di padre in figlio e, sì, effettivamente è molto antica. Il proprietario è anziano, ma lo affianca il figlio» replicò Neville.
«Uh, quanta polvere» si lamentò la ragazzina mettendo piede nella bottega e arricciando il naso infastidita.
«È allergica?» domandò Neville ai signori Turner.
«No, ma a lungo andare la irrita e inizia a starnutire» rispose la signora.
«Buongiorno» li accolse un uomo ben vestito e leggermente stempiato. Doveva avere più di cinquant’anni. «Sono Gervaise Olivander e sono a vostra disposizione. Allora, immagino che la signorina sia qui per la sua prima bacchetta, dico bene?».
«Sì» rispose prontamente Zoey, per nulla intimidita.
A Neville la cordialità di Gervaise Olivander apparve falsa, ma non disse nulla sperando di non impiegare troppo tempo.
«Allora, signorina, quando sei nata?».
«Il dieci gennaio 1998» rispose prontamente Zoey. «Perché?».
«Perché secondo l’oroscopo celtico ogni periodo dell’anno è associato a un albero, così spesso il legno della bacchetta è scelto proprio in associazione alla data di nascita del futuro possessore» spiegò Olivander iniziando a tirare fuori dagli scaffali alcune custodie dalla forma allungata.
«Suo padre non credeva in questa teoria. Diceva sempre che è la bacchetta a scegliere il mago» non riuscì a trattenersi Neville.
«Io non sono mio padre» rispose freddamente Olivander, sebbene mantenesse il sorriso falso con cui li aveva accolti. «Bene, il suo legno è…» tirò un foglietto dalla tasca per verificare probabilmente la correttezza delle sue parole. «Il frassino». Neville si grattò la nuca imbarazzato: Gervaise Olivander in quel momento sembrava proprio uno studente intento a sbirciare la risposta giusta su un bigliettino. «Prova questa. Agitala» continuò Olivander porgendo la prima bacchetta alla ragazzina.
Zoey non se lo fece ripetere due volte e l’agitò con foga. Il vetro della vetrina andò in frantumi sotto gli occhi scioccati dei signori Turner. Olivander l’aggiustò con un movimento secco della propria bacchetta e ne passò un’altra alla ragazzina. Questa volta a farne le spese fu una vecchia sedia in un angolo.
Dopo vari tentativi, Neville non si trattenne più. «Si fermi, per favore. O vuole distruggere l’intero negozio? Non si rende conto che il frassino non può andare bene per una ragazzina come Zoey?».
«E lei chi crede di essere per insegnarmi il mio mestiere?» sbottò Olivander perdendo tutta la sua falsa cortesia.
«Uno studioso di erbologia» ribatté Neville a tono. «E le dico che la sua teoria celtica fa acqua da tutte le parti. Non sono un esperto di bacchette, ma di fronte all’evidenza dovrebbe ammettere di star sbagliando. O faremo notte».
«Che succede?». Nella stanza fece il suo lento e faticoso ingresso un signore molto anziano con gli occhi lucidi e deboli. Zoey non avrebbe saputo stabilirne l’età, ma sperò di cuore che risolvesse la questione perché si stava spazientendo.
«Signor Olivander» salutò Neville con deferenza.
«Padre» disse Gervaise Olivander a denti stretti.
«Oh, Neville Paciock» disse il più anziano stringendogli la mano. «Scusate, non riesco più a stare all’in piedi troppo a lungo» mormorò flebilmente cercando con lo sguardo la sedia che Zoey aveva distrutto durante i primi tentativi. Neville si fece avanti all’istante, riparò la sedia e lo aiutò a sedersi. «Grazie, grazie» quasi sussurrò il vecchio. «Mi ricordo ancora quando lei venne a comprare la sua bacchetta… era già grande, dico bene? Prima ha ereditato quella di suo padre…». Neville annuì. «Di solito non è un bene ereditare le bacchette… non funzionano bene… dev’essere la bacchetta a scegliere il mago…».
«Infatti ho avuto molte meno difficoltà con questa» mormorò Neville scrutando la sua bacchetta di ciliegio e rigirandosela tra le mani.
«I signori, però, non me li ricordo… Non sono maghi, vero? Prego sempre che la vecchiaia mi lasci intatta almeno la memoria» riprese l’anziano Olivander.
«Oh, sì non si preoccupi. I signori Turner sono Babbani, accompagnano la figlia, Zoey, a comprare la sua prima bacchetta».
Il più vecchio annuì e con la magia attirò a sé un metro e iniziò a prendere le misure della ragazzina, mentre il figlio sbuffava palesemente; dopo averci riflettuto si rivolse a quest’ultimo: «Prendi quella di corniolo, crine di unicorno, flessibile, tredici pollici».
«Lei sa a memoria tutta le bacchette che si trovano in negozio?» esclamò meravigliata la bambina.
«E quelle che ho venduto» assentì l’anziano. «Prova questa».
Zoey obbedì, fissandolo ancora stupita. Appena impugnò la bacchetta sorrise. «È tipo calda!».
«Ottimo» sospirò sollevato Neville.
Pagarono e ringraziarono calorosamente il signor Olivander.
«Potremmo prendere la divisa?» chiese la signora Turner.
«Oh, che noia» sbuffò Zoey.
«Prima o poi dovrai farlo» le disse Neville gentilmente. «A meno che tu non voglia andare a comprare i libri».
«No, no, niente libri. Vada per la divisa».
Il signor Turner alzò gli occhi al cielo, ma nessuno dei tre adulti commentò.
«Il miglior negozio è sicuramente quello di Madame McClan» disse Neville.
Zoey, però, non aveva intenzione di lasciar chiacchierare gli adulti in pace per tutto il tragitto e diede voce a molte domande, che non si esaurivano mai.
«Eccoci» annunciò Neville.
«Forse è meglio che noi aspettiamo fuori» propose il signor Turner alla moglie.
«Sì, me ne occupo io» concordò ella.
«Vendete anche vestiti normali o solo divise?» chiese immediatamente Zoey alla commessa che si era avvicinata per servirla.
«Sì, ma soprattutto li cuciamo su misura» rispose la giovane.
«No» disse con fermezza la signora Turner.
«No cosa?» si lamentò Zoey. «Non ti ho ancora chiesto nulla!».
«Compreremo solo quello che serve per Hogwarts stamattina. Ti prego, è già abbastanza difficile così. Ti prometto che andremo a fare shopping insieme prima che tu parta, ma per oggi no».
«Promesso?» replicò Zoey con gli occhi luccicanti.
«Promesso».
«Signorina, venga. Indossi questa» disse la commessa che le aveva portato una tunica nera.
Zoey con una smorfia obbedì.
«Salga sullo sgabellino, così posso sistemarla» riprese la commessa.
«Neanche a te piace, vero?».
Zoey si voltò e vide una coetanea e la raggiunse tutta contenta. «Ciao, mi chiamo Zoey. E no, di solito indosso vestiti diversi».
«Piacere, io sono Charlie Krueger» replicò l’altra porgendole la mano.
«Charlotte, stai tirando tutto! Lascia lavorare le signore!» la rimproverò una signora che attendeva in disparte. Probabilmente la madre. La signora Turner dovette pensarla allo stesso modo perché si presentò.
«Charlie» sibilò la ragazzina, lanciando un’occhiataccia alla madre.
«Sei anche tu del primo anno?» le chiese emozionata Zoey. Finalmente avrebbe conosciuto qualche altra ragazza come lei! Ancora non sapeva come far pace con le amiche che l’avevano accusato di averle tradite, ma sperava almeno di far amicizia in quel nuovo mondo.
«Sì. Non vedo l’ora!» trillò Charlie.
«Signorina, la prego» disse in tono esasperato la ragazza che le stava stringendo la manica.
Poco dopo furono raggiunti da un’altra ragazzina in compagnia della madre.
«Gould» sibilò Charlie riconoscendola.
«Krueger» replicò l’altra in modo altrettanto aspro.
«Ragazze, un po’ di educazione» le esortò la signora Krueger sbuffando prima di salutare con trasporto l’altra signora.
«Tu chi sei?» indagò la nuova arrivata fissando Zoey.
«Zoey».
«Zoey e poi? Non ce l’hai un cognome?».
«Sta zitta, Gould. Non cominciare» sbottò Charlie minacciandola con un dito e facendo sbuffare la commessa.
«Voglio solo sapere se è all’altezza di parlare con me».
«Che?» sbottò Zoey: quella ragazzina le stava già antipatica.
«Non hai diritto di giudicare, Gould» sibilò invece Charlie. «Il tuo sangue è più sporco di non so cosa! La tua famiglia è andata a rintanarsi in America come tanti sorci codardi appena è scoppiata la guerra».
«Charlotte Krueger, come osi parlare così!» esclamò la madre fulminandola con lo sguardo.
«Come osi?!» sibilò la Gould. «La mia famiglia è Purosangue da generazioni!».
Charlie si liberò dalle mani della commessa con uno strattone e saltò addosso alla Gould, che cadde all’indietro strillando. Zoey le fissò per un attimo e poi intervenne dando manforte alla prima.
Le donne strillarono, ma solo la signora Turner fece qualche tentativo concreto di separarle. Le urla attirarono Neville e il signor Turner che entrarono di corsa e divisero le tre litiganti.
Zoey e Charlie esibivano i visi graffiati come se fossero state appena aggredite da un gatto, mentre la Gould aveva un bell’occhio nero e piangeva disperata.
«Ma si può sapere che cosa vi è preso?» sbottò Neville trasecolato.
«Quella lì parla troppo» sibilò Charlie.
«E tu sei un animale! Mi sei saltata addosso!» ribatté la Gould tra le lacrime. «E lei, chi si crede di essere per intromettersi?» aggiunse stizzita fissando Neville.
«Direttore di Grifondoro e professore di Erbologia. In sintesi da settembre sarò un tuo insegnante» rispose Neville contrariato.
«Io sarò una Grifondoro, proprio come mio padre» strillò Charlie, dimenticandosi della lite.
«Se tuo padre avesse evitato di fare l’eroe, adesso si troverebbe qui con te» buttò lì la Gould.
Gli occhi di Charlie lampeggiarono, ma Neville, fin troppo abituato, fu lesto a trattenerla. A quel punto, però, anche le madri, seppur amiche, iniziarono a litigare.
Neville invitò silenziosamente Madame McClan, accorsa per verificare che cosa stesse accadendo, e le sue ragazze a muoversi e concludere il loro lavoro.
«Ma che è successo?» sospirò la signora Turner, fuori dal negozio.
«Le avevo detto che mia figlia è irrequieta. Intendevo questo» sbottò invece il signor Turner, arrabbiato.
«Che colpa ne ho io? E quella lì che ci ha provocate».
«In realtà non ha provocato te» la contraddisse la madre.
«Non importa. So che saremo ottime amiche. Che cos’è Grifondoro, professore?».
Neville si passò una mano sulla fronte sudata e sospirò: «Non si preoccupi signor Turner, come potrà immaginare, non è anomalo aver a che vedere con litigi tra i ragazzi per cui, se fosse accaduto a Hogwarts, ci saremmo limitati ad avvertirvi». Dopodiché raccontò la storia della Scuola alla ragazzina, che apparve ancor più eccitata all’idea dello Smistamento.
«Sarò senz’altro una Grifondoro! Sono sicura che io e Charlie saremo amiche per la pelle».
«Sarà meraviglioso avervi entrambe nella mia Casa» sospirò ironicamente Neville, suscitando persino delle risatine nervose da parte dei signori Turner.
Al Ghirigoro persero pochissimo tempo e ne giro di un’oretta e mezza avevano concluso le spese.
«Un attimo» li fermò Zoey rileggendo la lista. «Qui c’è scritto che possiamo portare un animale».
Neville annuì.
«Voglio una gattina» dichiarò la ragazzina. Ne nacque una discussione animata: i genitori - come darli torto, non ritenevano che la bambina se ne sarebbe occupata e che insieme avrebbe definitivamente distrutto la casa - ma infine cedettero perché Zoey si mise a piangere affermando che volevano mandarla in una Scuola in Scozia sola soletta senza neanche un piccolissimo cucciolo. Quanto alla veridicità delle lacrime, Neville ebbe parecchi dubbi.
 
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«Enan, non ti allontanare» lo richiamò la madre.
Il ragazzino ritornò sui suoi passi e le sorrise, non volendo farsi sgridare proprio quel giorno. Era emozionatissimo: per la prima volta in undici anni si era allontanato dall’isola di Jura. Ancora incredulo, osservava ogni minimo dettaglio dell’affollatissima Diagon Alley.
«Voglio comprare anch’io la bacchetta!» sbottò sua cugina Bonny, pestando i piedi.
Lo zio Aiden le lanciò un’occhiataccia. «Sei troppo piccola. Ti ho portato con noi, ma non fare i capricci».
Bonny mise il broncio ma non si azzardò a insistere. Enan le rivolse un sorrisino incoraggiante, ma non servì a molto, perciò decise di lasciarla perdere: alle volte era proprio capricciosa, dopotutto pochi di loro potevano vantarsi di essere andati a Londra prima della lettera di Hogwarts ed ella era stata accontentata quando la sera prima aveva fatto una scenata. Il nonno non ne era stato per nulla felice, ma lo zio Aiden aveva ceduto. A Enan, però, non interessava, ma piuttosto lo infastidiva l’idea che ci fosse anche Donel, il quale aveva convinto –almeno apparentemente – il nonno di voler mettere la testa a posto e perciò si era proposto di accompagnare i cugini a far compere. Era un gran bugiardo: appena arrivati al Paiolo Magico, aveva raggiunto una ragazza e si era dileguato con lei, nonostante i richiami dello zio Aiden. Poco male, la sua assenza non turbava nessuno.
Sua madre e lo zio avevano dato il permesso a Fagan e Artek, fratello minore di Donel, di girare da soli; mentre Enan, Blair, Bonny e Mary, sorella di Donel e Artek, erano rimasti tutti insieme.
«Ecco Olivander» disse sua madre Lilias ed Enan, fino a quel momento intento a fissare dei maghi dall’aria strana, si volse verso di lei e sorrise.
«Enan, vuoi entrare da solo con tua madre?» gli chiese lo zio.
Il ragazzino colse la richiesta silenziosa di Blair e rispose: «No, no, possono venire anche loro».
«Bene» assentì lo zio, prima di rivolgersi alla figlia: «Bonny, non una sola lamentala, chiaro?».
La bambina non rispose, ma Enan fu sicuro che avesse colto eccome il messaggio e non avrebbe dato fastidio.
«Grazie» gli sussurrò Blair, mentre entravano. Enan annuì: sapeva quanto il cugino si annoiasse ad attendere e non aveva motivo per non farlo assistere.
«Quanto ci hai messo tu?» gli chiese mordicchiandosi un labbro. Per fortuna, Donel non era presente e non avrebbe rischiato di fare figuracce di fronte a lui, ma Mary, chiacchierona com’era, l’avrebbe sicuramente raccontato a tutti.
«Un po’» ammise Blair. «Stai tranquillo, però».
«Vieni, Enan» lo chiamò la madre, mettendogli una braccio sulle spalle e spingendolo avanti.
«È lui che deve comprare la prima bacchetta» disse lo zio Aiden a un signore molto anziano, che sorrideva benevolo.
«Bene, bene, vediamo un po’ ragazzo».
Enan rimase immobile mentre un metro magico prendeva le misure del suo braccio sinistro, ma sobbalzò quando, provando una bacchetta, diede fuoco a un registro sul bancone. Mary e Bonny ridacchiarono, al contrario Blair assisteva con la solita concentrazione di quando tentava di comprendere qualcosa.
«Tieni, prova questa» gli disse il fabbricante di bacchette.
Il ragazzino appena la prese, comprese che fosse quella giusta per lui.
«Ottimo, ottimo» commentò il signor Olivander, particolarmente soddisfatto. «Castagno, mediamente flessibile, quindici pollici, piuma di fwooper».
«Fwooper?» ripeté stupito Blair non riuscendo a trattenersi.
Enan osservò il legno scuro con le sue eleganti venature e alzò il capo sull’uomo.
«Non è un nucleo che utilizzo di solito» sospirò questi. «Ma molti anni fa un amico mi portò delle piume e decisi di fare qualche esperimento. Due bacchette, entrambe di castagno, riuscirono bene. La tua e un’altra. E sai a chi appartiene?».
«No, signore» rispose perplesso il ragazzino.
«A mio padre». Tutti i ragazzi si voltarono verso lo zio Aiden, che appariva turbato.
«Esattamente!» trillò il signor Olivander con gli occhi luccicanti. «Oh, sono passati moltissimi anni, ma me lo ricordo ancora!». Infine si rivolse nuovamente a Enan. «Sono sicuro che renderai tuo nonno molto orgoglioso. Sarai il suo degno erede!».
Quelle parole furono come un fulmine a ciel sereno ed Enan pensò che la terra si sarebbe aperta e l’avrebbe inghiottito. Il che sarebbe stato meglio, ma naturalmente non accadde. Incrociò lo sguardo della madre ed ella si sforzò di sorridergli.
Quando Donel avesse sentito quella storia… Enan ispirò forte appena furono fuori dal polveroso negozio. Suo cugino sarebbe diventato ancora più insopportabile: era lui l’erede, lui era destinato a divenire l’erede della famiglia. Non Enan.
Blair e Mary lo fissavano straniti, ma nessuno, men che meno gli adulti commentarono. Così si recarono prima da Madame McClan e poi in libreria. I suoi cugini più grandi, entrambi Corvonero, persero molto tempo, ma il ragazzino evitò di lamentarsi anche perché trovò un bellissimo libro illustrato sui cavalli alati. Adorava i cavalli alati!
«Se vuoi puoi prenderlo». Enan sobbalzò, non essendosi accorto della presenza dello zio alle sue spalle. «Però vieni, Lilias è riuscita a convincere quei due a darsi una mossa».
«Grazie» mormorò euforico.
«Enan, avresti potuto anche interessarti dei tuoi libri» lo accolse la madre con una punta di rimprovero nella voce. Il ragazzino rispose con una smorfia, specialmente al pensiero che quei libri avrebbe dovuto studiarli. Non gli piaceva proprio per nulla studiare! «Vedi di usarli quando sarai a Scuola» borbottò la madre.
«Vedrai non ti darà pensieri» intervenne a sorpresa lo zio, dandogli una pacca sulla spalla. Enan annuì e si dileguò raggiungendo i cugini.
«Che libro hai comprato?» gli domandò subito Blair.
Enan glielo mostrò, ma l’altro, non amando le creature magiche, storse la bocca.
Dopo un’oretta conclusero tutte le spese ed era quasi il momento di riunirsi con Artek e Fagan. Avevano in programma di cenare al Paiolo Magico con gli zii Akira, Callen e Lyla che non vedevano quasi mai.
«Manca solo una cosa» disse Aiden.
«Cosa?» replicò all’istante Blair che aveva controllato minimo un migliaio di volte di non aver dimenticato nulla di quello che lo zio Alistair gli aveva chiesto di comprare.
«Un animale per Enan, naturalmente» rispose Lilias.
Il ragazzino la fissò sorpreso, non credendo alle sue orecchie.
«Beh, perché quella faccia? Lo sai come la pensa tuo nonno» esclamò lo zio Aiden con una scrollata di spalle.
Sì, lo sapeva, ma gli era passato completamente di mente: suo nonno a ogni nipote che iniziava Hogwarts regalava un animale a loro scelta, in tal modo, secondo lui, non avrebbero perso le abitudini acquisite in precedenza sebbene fossero lontani dalla riserva.
«Andiamo al Serraglio Stregato?» domandò allora, non stando più nella pelle. Aveva notato il negozio ore prima, ma sua madre gli aveva detto che dovevano sbrigare altre commissioni.
«Naturalmente, è sicuramente il migliore di Diagon Alley» dichiarò Aiden.
«Sai già cosa vuoi?» gli chiese Bonny palesemente invidiosa. «Io prenderei un topo».
«Che schifo» borbottò Mary che, quando era toccato a lei, aveva scelto un bellissimo gufo reale.
«Non lo so» ammise Enan. «Posso dare un’occhiata?» replicò rivolto alla madre e allo zio.
«Purché non tu ci metta una vita» rispose sua madre con un sorriso.
«Anche perché ci aspettano per cena» soggiunse Aiden.
«Ricordati che puoi portare soltanto un gufo, un rospo o un gatto a Scuola» gli disse Blair.
Per Enan la limitazione non era un gran problema: se suo cugino odiava gli animali, a lui sarebbero andati bene anche una manciata di vermicoli.
«Entriamo?» disse non stando più nella pelle appena furono fuori dal negozio.
«Non è il caso che entriamo tutti» rispose Aiden, probabilmente prevedendo un capriccio da parte di Bonny e ben deciso a evitarlo. «Entra con lui Lilias. Blair se tu vuoi qualche animale va’ con loro».
Enan per poco non scoppiò a ridere di fronte all’espressione del cugino.
«Io? Ma non sono al primo anno».
«Non ne hai mai preso uno».
«No, no, grazie» borbottò il ragazzino.
«Posso dare un’occhiata, zio, per favore?» gli chiese Mary.
«Va bene, ma obbedisci a zia Lilias» concesse Aiden, ignorando le lamentele di Bonny.
«Io rimango qui» disse subito Blair prima che qualcuno glielo chiedesse.
E così finalmente entrarono. Enan quasi si mise a saltellare per la felicità: era pieno di creature magiche. Una più bella dell’altra.
«Posso fare qualcosa per voi?» chiese gentilmente la commessa.
«La ringrazio, ma mio figlio vorrebbe prima dare un’occhiata» rispose Lilias.
Enan era estasiato e sarebbe rimasto volentieri lì dentro anche più di quanto Blair e Mary si erano trattenuti al Ghirigoro. Lo zio e la madre, però, erano stati chiari: non doveva metterci troppo. Blair aveva detto che poteva scegliere tra un gatto, un gufo e un rospo, perciò decise di concentrarsi solo su questi animali. Scartò immediatamente i rospi, perché non gli andavano particolarmente a genio e comunque avrebbe potuto benissimo catturarne a volontà nello stagno vicino alla fattoria; ignorò anche il reparto dedicato ai gatti, poiché preferiva di gran lunga cani e crup. A quel punto rimaneva solo l’opzione gufo. Il Serraglio Stregato proponeva decisamente un ventaglio di scelta sufficientemente ampio, ma appena vide una candida civetta se ne innamorò all’istante e non ebbe alcun dubbio.
«Questa» comunicò alla madre.
«Sei un vero intenditore» lo elogiò sorpresa la commessa. «Per lei va bene, signora?».
«Sì, certo» confermò Lilias notando l’euforia crescente del figlio.
«Grazie, grazie» trillò il ragazzino uscendo dal negozio. «È bellissima!».
«Se non ci fossero zio Alistair e zio Akira, penserei di essere stato adottato» bofonchiò Blair vedendo la civetta. «Tienimela lontano!».
Zio Aiden rise e poi si congratulò con Enan per la bella scelta. «Sai già come chiamarla?».
«No, devo pensarci» rispose Enan. I nomi nella loro famiglia non venivano mai scelti a caso. Per esempio Fagan in gaelico significava ‘gioioso’, Alistair ‘protettore degli uomini’ oppure Donel ‘dominatore assoluto’. Tutti i Macfusty fin da bambini imparavano il gaelico oltre che l’inglese.
Enan significava ‘di significato sconosciuto’ e tutti erano convinti, compreso lui, che il nonno l’avesse scelto perché non si conosceva l’identità di suo padre. Lilias si era sempre rifiutata di dirlo.
«Ehi, sveglia, parlo con te». Fagan gli stava sventolando una mano davanti agli occhi. «Com’è andato il pomeriggio?».
«Fantastico!» rispose Enan, raccontandogli ogni cosa, mentre si avviavano verso il Paiolo Magico.
«Ti ho preso questo» gli sussurrò Fagan, porgendogli una busta. Enan l’aprì e vide uno zaino. «Ma…».
«Ma, niente» lo zittì Fagan. «Si usano molto ultimamente. Ho sentito dire a Donel che ti avrebbe dato il suo vecchio. Fidati, meglio senza, che accettare qualcosa da lui».
«Siamo in ritardo, avanti muovetevi e siate educati» li ammonì zio Aiden richiamandoli. «Voi quattro aspettate».
Fagan gli rivolse un’occhiata interrogativa, ma Enan non seppe rispondergli. Mary, Bonny e Blair sembravano altrettanto perplessi di essere stati trattenuti.
«Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, zio?» chiese Blair.
«No» rispose Aiden. «Ascoltatemi bene, però: non una sola parola su quello che ha detto Olivander a Enan. È meglio che rimanga fra di noi».
Blair e Bonny assentirono all’istante, probabilmente perché il primo aveva già compreso più di quanto lo zio avesse detto; mentre la bambina sapeva bene che era meglio non disobbedire al padre.
«Non mi puoi obbligare» disse, invece, Mary. «Lo racconterò a mio padre e non puoi impedirmelo».
Lo zio la fulminò con lo sguardo. «Fai come vuoi, ma mi aspetto che non una sola parola in merito uscirà dalla tua bocca durante la cena. Ricordati che, finché non torneremo a casa, sei sotto la mia responsabilità e devi obbedirmi».
Mary annuì a malincuore.
Enan non disse nulla. Il resto della serata fu tranquillo e persino lui dimenticò la conversazione. Non vedeva gli zii dalle vacanze pasquali e fu molto contento, specialmente per le attenzioni dello zio Akira, visto che le zie non lo consideravano per nulla.
 
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«È un po’ larga» tentò timorosamente Mark.
«Per chi mi hai preso? Per una sarta?» ribatté sua sorella Alexis.
«Non la puoi stringere un po’ con la magia?».
«Non lo so fare» replicò la ragazza. «Potrei strapparla».
Mark non le credette, ma ormai aveva imparato che contraddirla non portava mai a nulla di buono. «Papà» chiamò giocandosi la sua ultima carta.
L’uomo alzò lo sguardo dal giornale che sfogliava distrattamente e grugnì. «Se si strappa, non avrai nulla da indossare».
Mark abbassò lo sguardò su di sé e osservò la divisa di Hogwarts che stava provando: era appartenuta a Jay e, proprio per questo, era di almeno due taglie in più del necessario. Sentì un groppo in gola al pensiero che avrebbero riso tutti di lui.
«Se mettessi su un po’ di carne, non sarebbe male» lo derise Alexis. «Ora toglila, o la rovinerai, imbranato come sei».
Il ragazzino sospirò e obbedì. Se ne andò in camera sua e si cambiò lentamente, tentando di scacciare dalla mente l’idea che i suoi nuovi compagni l’avrebbero preso in giro e allontanato proprio come alla scuola babbana. Ogni sua speranza, che Hogwarts sarebbe stata una svolta positiva, stava scemando velocemente. Sprofondò mestamente sulla sedia della scrivania e diede un’occhiata ai libri che Jay gli aveva consegnato quel pomeriggio. Erano stati comprati anni prima, quando Alexis aveva iniziato la Scuola. I libri di seconda, o meglio terza mano, non avrebbero dovuto essere un problema, se solo i suoi fratelli li avessero tenuti bene! Li aveva già visionati tutti. Alexis aveva l’abitudine di conversare con le amiche scrivendo sui bordi dei manuali e gli aveva detto chiaramente che non doveva neanche pensare di cancellarli. Magnifico. Certo è che li aveva tenuti meglio di Jay. A quanto pare suo fratello, non avendo altro da fare durante le lezioni – seguire evidentemente non era stata una sua priorità – aveva praticamente divelto tutte le copertine.
Mark sospirò, ben sapendo che le recriminazioni fossero inutili e si sarebbero potute ritorcere contro di lui, così, di buona lena e armato di magiscotch, si ingegnò per sistemarli al meglio.
I suoi fratelli non parlavano molto con lui, meno che mai della Scuola, ma dalle condizioni di quei libri il ragazzino comprese che suo fratello dovesse odiare la storia profondamente. Infatti quel libro in particolare era quasi inutilizzabile: mancavano pagine, alcune erano strappate e altre erano state ricoperte di inchiostro colorato. Gemette. Come avrebbe fatto a studiare?
Suo padre gli aveva già ripetuto numerose volte che non avrebbe accettato risultati scarsi come quelli della scuola elementare, ma come avrebbe potuto fare? Non gli aveva neanche comprato il calderone, il telescopio, la bilancia e le provette di vetro presenti nella lista, asserendo che gliele avrebbero passate i fratelli al momento giusto perché tanto non avrebbero potuto mai avere Pozioni o Astronomia alla stessa ora. Probabilmente no, ma Mark sapeva che Alexis avrebbe approfittato della situazione per farlo finire nei guai con i professori.
«Mark, vieni qua!» lo chiamò suo padre.
Il ragazzino obbedì all’istante e trovò il padre e i fratelli in cucina. Alexis lo fissava con uno strano ghigno, che l’avesse messo nei guai in qualche modo? Jay, invece, mangiava apparentemente incurante di quanto accadeva intorno a lui.
«Tieni, era di tuo nonno».
Il ragazzino perplesso prese la custodia dalla forma allungata e l’aprì: era una bacchetta magica. La fissò senza comprendere.
«È tua, provala» lo esortò suo padre.
Quelle parole gli fecero più male di un pugno nello stomaco: sua? Perché? Gli occhi gli si inumidirono, ma si costrinse a concentrarsi e impugnò la bacchetta, scuotendola senza molta convinzione. La sedia di fronte a lui prese fuoco. Mark strillò e per lo spavento cadde seduto all’indietro. Alexis si affrettò a spegnere il piccolo incendio e a riparare la sedia. Jay lo fissava stralunato.
Mark osò incrociare lo sguardo paterno e si rese conto che il padre era furioso.
«Non l’ho fatto apposta» mormorò.
«Rimettila nella custodia e posala nel baule. Guai a te se la tocchi prima di aver messo piede in classe e su richiesta esplicita di un insegnante» ringhiò suo padre. Mark lo osservò alzarsi dalla sedia, recuperare una birra e dirigersi verso il salotto.
«Aspetta». Non aveva idea da dove fosse venuto fuori tutto quel coraggio, ma quando il padre si voltò verso di lui accigliato, tremò non sapendo che dire. Alla fine mormorò: «È ostile, non puoi comprarmene una?».
«No, non posso. Per quest’anno devi avere pazienza».
Mark lo sbirciò incredulo. «Ma hai comprato la scopa da corsa ad Alexis». Le parole gli scapparono e ne fu inorridito. Indietreggiò spaventato, ma suo padre non mosse un passo verso di lui.
«Tua sorella è diventata Capitano di Grifondoro, non poteva continuare a usare le scope della Scuola».
«Non è giusto». Che cavolo gli era preso? Perché non riusciva a tenere la lingua a freno quella sera? Di sfuggita colse l’espressione scioccata di Jay e quella furiosa di Alexis. Non osò nemmeno guardare il padre.
«Vai in camera tua Mark. Non voglio sentire altre polemiche per stasera».
Il ragazzino tremante non se lo fece ripetere. Corse nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si era sbagliato: non sarebbe stato come alla scuola babbana, sarebbe stato peggio.
Si buttò sul letto e pianse finché il sonno e la stanchezza non ebbero la meglio. Tuttavia, quella notte, si svegliò di soprassalto. Aveva la sensazione di aver fatto un brutto sogno, ma non ricordava nulla. Il suo cuore, però, batteva all’impazzata. Non era la prima volta che succedeva. Si alzò e, passeggiando per la stanza, tentò di tranquillizzarsi, ma i pensieri e le amarezze della giornata gli erano tornate tutte alla mente e, unite alla paura di non sapere perché il suo cuore sembrasse improvvisamente volergli saltare via dal petto, non lo aiutavano. Tentò di concentrarsi su qualcosa di bello, su qualche storia che aveva letto in biblioteca, cercò persino di illudersi che avrebbe potuto trovare delle valide soluzioni ai suoi problemi una volta giunto a Hogwarts. Impiegò diverso tempo a calmarsi. Solo quando si sentì più tranquillo, si sdraiò di nuovo, sperando nella clemenza del sonno.
   
 
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