Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Karyon    07/02/2019    3 recensioni
Sirius Black è un mago distrutto. Continuano a dire che è rimasto incastrato, anima e corpo, all'età di quindici anni - quando poteva ancora sorridere e c'era qualcosa di bello nel mondo. E forse è davvero così.
Hermione Granger è un'adolescente precoce. Continuano a dire che è una strega brillante, che è una donna adulta limitata nel corpo di una quindicenne. E forse è davvero così.
Possono due animi affini incontrarsi, nonostante tutto?
Una profezia da compiere e un'altra ancora da svelare, il mistero di due fratelli, un segreto da mantenere a ogni costo, una ricerca senza fine, antiche sette da conoscere... Su tutto, una guerra da combattere e la Morte - agognata, sfuggita, amata, odiata - che muove i suoi fili. Schiavi, tutti, del suo disegno.
[Più generi: guerra, mistero, romantico, angst, introspettivo, malinconico]
[Più pairing: SiriusxHermione, RemusxTonks, HarryxGinny, DracoxNuovo personaggio, RonxNuovo personaggio]
[Storia corale, molti personaggi]
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Il trio protagonista, Regulus Black, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Harry/Ginny, Hermione Granger/ Sirius Black, Remus/Ninfadora
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Da VI libro alternativo, Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Sirius guardò il gufo fulvo volare contro la notte tersa e senza stelle, chiedendosi se le parole che aveva scritto nella lettera non fossero troppo stupide. Non era mai stato bravo nelle scuse, ma il contegno di Hermione durante la sua chiacchierata con Harry gli era sembrato abbastanza rivelatore. Lo stupiva percepire l’ansia della sua risposta, avvertire il senso di colpa e il desiderio di preoccuparsi di un’altra persona. Erano passati davvero troppi anni dall’ultima volta che aveva provato sensazioni di quel tipo, si sentiva spaesato e incapace.
«Va bene…» mormorò a se stesso, pensando fosse ora di andarsene a letto.
Lanciò un’occhiata alla sveglia che segnava le tre di notte e si sfregò gli occhi; bruciavano dalla stanchezza, ma sapeva che come sempre avrebbe faticato ad addormentarsi. Da quando era finito a Azkaban, cioè ben quindici anni prima, non riusciva più a dormire decentemente e si svegliava almeno tre o quattro volte nel cuore della notte. A essere onesti, quello che faceva in prigione non poteva neanche essere chiamato “dormire”, visto che si trattava di passare da uno stato di deliquio all’altro. Forse era per quel motivo che il suo corpo rifiutava ancora di addormentarsi.
Con un sospiro prese la sua bacchetta e mormorò «Accio scatola».
Una piccola scatola color acquamarina si mosse verso di lui da un alto scaffale polveroso della libreria.
Sirius spalancò la finestra e si arrampicò sul davanzale, stando bene attento a non fare penzolare i piedi all’esterno, e respirò l’aria fredda della notte.
Aprì la scatola e ne tirò fuori dei fogli sottili, che cominciò ad appiattire, mentre in un contenitore tondo più piccolo c’erano delle foglie scure dal profumo molto intenso. Si trattava di un’erba magica che induceva distensione dei muscoli e anche un certo rilassamento mentale, cose che gli permettevano di staccare un attimo il cervello. Non era illegale ma costosa e difficile da reperire, tanto era vero che erano soprattutto i Purosangue a farne un uso ricreativo.
Non aveva mai capito il perché, ma quando Remus aveva scoperto che spesso la fumava aveva dato di matto e aveva cominciato a cianciare riguardo a una droga che si usava nel mondo Babbano e che creava dipendenza. Teoricamente la Queen Daisy non creava dipendenza a livello neurologico, ma lui ne era diventato dipendente perché era l’unica cosa che riuscisse davvero a farlo dormire. Infatti, solo quando aspirò la prima profonda boccata riuscì a rallentare i suoi pensieri quel poco perché potessero mettersi ordinatamente in fila, allentando al contempo anche i muscoli tesi.
Con un altro colpo di bacchetta fece partire il vecchio giradischi di suo zio Alphard, mentre l’inconfondibile voce di Neal Young in Harvest cominciava a risuonare per la stanza.
Aveva sempre avuto un debole per la classica e nostalgica musica Babbana, che considerava così ricca di sfumature ed emozioni.
Sirius appoggiò la testa alla cornice della finestra e cominciò a canticchiare, con voce un po’ stonata; era sempre stato Peter quello sorprendentemente intonato del gruppo, alle volte lo convincevano a cantare per il solo gusto di ascoltarlo. Remus a volte lo seguiva, ma solo se era sicuro che nessuno lo stesse ascoltando, mentre lui e James si limitavano a gracchiare.
Era talmente rilassato che un “BAM” forte al piano di sotto lo scosse tanto da rischiare di farlo cadere. 
«Che diavolo…?»
«Sirius! SIRIUS!» La voce di Tonks scosse le pareti stesse della casa e Sirius sentì il sangue defluirgli via dal corpo; gettò la cicca dalla finestra senza alcuna precauzione e scattò di sotto.
«Tonks!» Urlò, scendendo i quattro piani come un fulmine e fermandosi sugli ultimi gradini: nell’ingresso Tonks stava reggendo un ferito Remus per un braccio, mentre il sangue scorreva sui vestiti fino a inzuppare il costoso e sbiadito tappeto di casa Black.
Sirius corse verso di loro, afferrando Remus prima che cadessero entrambi.
«Cosa cazzo è successo?» Grugnì, mentre Remus gemeva dolorante.
Tonks scrollò la testa «Non lo so! Ha invitato il suo Patronus per avvisarmi che era successo qualcosa-»
«N-non d-vevi veni-re…» mormorò Remus, appendendosi quasi a peso morto su Sirius. Non riusciva a vedere cosa avesse, ma il sangue fuoriusciva copiosamente.
«Fa’ silenzio» lo redarguì Sirius, mentre cercava di fargli salire qualche scalino.
«Dobbiamo cercare di portarlo su così, ha perso troppo sangue per la smaterializzazione …» grugnì Sirius tra i denti. Remus stava perdendo colore ogni secondo che passava e sentiva la sua presa farsi debole.
Tonks gli si affiancò e insieme arrancarono fino al primo piano, verso la camera che era stata di Ginny ed Hermione; lo fecero sdraiare il più delicatamente possibile, ma anche se non era un Medimago era ovvio dalla sua espressione che stesse molto male. Sirius si mise in ginocchio accanto a lui e cercò di osservare da vicino le ferite in modo da saggiarne la gravità, mentre Tonks pestava il piede a terra con nervosismo. In verità lei aveva sicuramente più basi di lui in Medimagia e Guarigione, ma non gli sembrava abbastanza lucida da occuparsene.
«Mmh» mugugnò Sirius, afferrando la sua bacchetta dal retro dei pantaloni.
«Come sta?» Scattò Tonks, con voce acuta.
Remus sembrò reagire a quell’uscita e si mosse con nervosismo, mentre Sirius cercava di trattenerlo con una pressione leggera sul braccio «Moony, stattene buono o non riesco a capire cos’hai» sibilò, ma Remus continuò a divincolarsi fino a quando riuscì a sussurrargli «F-falla a-andare via».
Sirius batté le palpebre, mandando un’occhiata in tralice a Tonks «Che?»
«Via» mugugnò Remus a Tonks e lei sembrò trattenere bruscamente il respiro.
«Io non vado da nessuna parte!» Esclamò, offesa.
Remus chiuse gli occhi in una smorfia dolorosa e Sirius prese un’aria urgente «Vai» fece a Tonks, la quale lo guardò come se fosse un alieno.
«Giuro che ti farò sapere come sta, adesso vai» la interruppe Sirius, tornando a girarsi verso Remus.
Anche Tonks gli lanciò un’occhiata: era talmente pallido ed emaciato da sembrare sul punto di morte. Sospirò e annuì con aria sconfitta, smaterializzandosi.
Remus sembrò espirare come di sollievo, poi si scostò il mantello «Non volevo che vedesse…» mormorò.
Il tessuto sul petto era sbrindellato e la pelle talmente lacerata da lasciar quasi intravedere i muscoli; però c’era troppo sangue e Sirius non riusciva a vedere nulla di più.
«C’è troppo sangue… Evanesco» mormorò e buona parte del sangue già rappreso sulla pelle sparì.
La situazione però non migliorava, perché sotto c’erano inconfondibili segni di lotta: la pelle sembra essere stata lacerata via con violenza da un morso e c’erano parecchie ferite da taglio profonde.
«Per Morgana! Con chi ti sei battuto?» Sbottò, ma Remus non rispose.
Sirius scosse la testa pensando al fatto che avrebbero dovuto fare una bella chiacchierata, poi puntò la bacchetta sulla ferita e pronunciò «Epismendo».
Un getto di luce calda richiuse la ferita fermando l’epistassi, dopodiché Sirius si affrettò a ripulire la pelle circostante con un altro incantesimo e, solo allora, si permise di tornare a respirare.
Continuò a fissarlo per qualche secondo, mentre cercava di riflettere. Quando li aveva visti entrare in quello stato si era davvero spaventato, anche se sapeva benissimo che Remus se la sapeva cavare.
Ma ormai loro due erano gli ultimi che restavano, due vecchi baluardi di un passato meraviglioso. Non era solo questione di affetto, ma qualcosa di più profondo: l’idea che stessero beffando il destino, o quel che era, con la loro testarda decisione di rimanere comunque aggrappati alla vita.
Era come a dire: “Hai voluto distruggere la nostra adolescenza, uccidere i nostri amici, privarci della felicità? Ma noi siamo ancora vivi e vegeti e combattiamo! Aha!”
Un messaggio rivolto a una qualsiasi entità superiore che si prendeva gioco di loro da quando erano nati. Forse era un pensiero sciocco ma lui si sentiva spesso così: un ostinato difensore della vita, la sua, che meritava comunque di essere vissuta a prescindere da quanti colpi potessero darle.
Remus intanto tornò a muoversi in un sonno agitato, stringendo le coperte. Sirius lo fissò, chiedendosi se stesse rivivendo le ultime ore prima della battaglia, poi Remus si alzò a sedere e cacciò un urlo.
Sirius s’inginocchiò accanto a lui e gli appoggiò le mani sulle spalle «Moony, sei al sicuro…»
Remus si girò a guardarlo battendo le palpebre; sembrò quasi come se lo vedesse per la prima volta solo in quell’istante e sussurrò «Dove sono?»
Dopo aver richiuso la ferita il dolore era scemato, ma continuava a sentirsi molto debole.
«Sei a Grimmauld Place, ti ci ha portato Tonks» rispose Sirius. «Remus, ti ricordi cosa ti è successo?»
Lui si passò entrambe le mani sulla faccia sudata e sui capelli arruffati e sporchi; a guardarlo bene, era completamente ricoperto di sporco e sangue.
«Io non-» provò a dire a fatica, ma non riusciva a ricordare; la mente era piena di flash improvvisi, brandelli di una realtà terribile. Riusciva a ricordare denti aguzzi, respiri pesanti, dolore, sangue e licantropi.
Sirius scosse la testa con un sospiro e si alzò «Lascia stare, mettiti giù e riposati» disse, mentre si avviava verso il salotto sullo stesso piano.
Fortunatamente aveva una gran collezione di pozione calmante, visto che lui non riusciva a dormire più di due ore di seguito senza un qualche tipo di sedativo. La pozione aveva la leggera sfumatura violacea della varietà di valeriana utilizzata per prepararla e possedeva un gradevole odore di Elleboro; non era troppo potente, ma aveva terminato le sue scorte di Distillato Soporifero.
Tornò in camera e gliene fece bere un quantitativo più alto, in modo che si addormentasse quasi subito. Continuò a osservarlo a lungo per essere sicuro che facesse effetto, poi ritornò sui suoi passi e sprofondò nel divano in salotto. Non conosceva i dettagli delle missioni segrete che Silente aveva affidato a Remus, ma era sempre stato sicuro che c’entrassero i licantropi. Se la sua supposizione si fosse rivelata fondata non l’avrebbe certo aiutato ad avere una migliore opinione di Silente: mandare uno come Remus, che lottava da anni contro lo stigma della sua patologia, in mezzo ai licantropi voleva dire assicurargli una vita fatta di incubi, come se non ne avesse avuti già abbastanza.
Tutti pensavano che Silente lavorava per un bene più grande, lui pensava fosse fin troppo incurante delle vite altrui. Che mondo speri di lasciare se lo crei a scapito di sangue innocente?
Un fascio argenteo anticipò la materializzazione del Patronus di Tonks, un bradipo di media taglia.
«Come sta Remus?» Chiese l’animale con la voce di Tonks.
«Gli ho chiuso la ferita e gli ho fatto bere una pozione calmante. Dormirà per un po’, sta bene».
«Ti ha detto cosa è successo?» L’espressione del Patronus era molto seria e corrispondeva alla severità che Tonks provava in quel momento.
Sirius si accigliò «No, credevo che lo sapessi tu».
«Io ho solo ricevuto un avviso dal suo Patronus, chissà con quale forza è riuscito a inviarmelo…»
Sirius sospirò di nuovo «Vorrà dire che cercherò di farmi dire qualcosa quando starà un po’ meglio… c’era qualcuno vicino a lui quando sei arrivata sul posto?»
«No, nessuno ma ho dovuto comunque aspettare che la strada fosse sicura. Non volevo fargli saltare la copertura».
«Sai di preciso di che missione segreta si trattava?» Provò a chiedere Sirius, ma era sicuro che nessuno a parte Silente sapesse. Infatti il bradipo scosse la testa con aria sconfortata.
«Va bene, non ti preoccupare».
«Adesso devo andare, non potrò ritornare presto. Il Ministro ci tiene sotto stretto controllo».
«Me ne occupo io» la rassicurò Sirius poi, prima che il Patronus potesse sparire, disse «Tonks… Lui non voleva mandarti via, era solo preoccupato».
Il bradipo della ragazza rimase inespressivo, ma poté notare la sfumatura affettuosa nella voce quando disse «Sì, lo so. Grazie Sirius», per poi sparire in uno sbuffo di fumo argentato.
Sirius continuò a osservare il punto in cui era sparito il Patronus, ma la mente viaggiava lontano.
Il suono del vecchio orologio a pendolo di famiglia lo fece ritornare alla realtà, si rese conto che erano ormai le due di notte. L’anonimo allocco che aveva utilizzato per scrivere a Hermione sarebbe arrivato a destinazione solo il mattino seguente, probabilmente per la colazione, quindi non gli restava altro che andarsene a dormire.
Si alzò lentamente e aprì con cautela la camera in cui dormiva Remus, per controllare che non avesse bisogno di nulla: la pozione che gli aveva somministrato aveva funzionato, il respiro sembrava regolare e tranquillo, mentre non c’erano più tracce della terribile ferita con cui era arrivato. Tuttavia non se la sentiva di lasciarlo lì da solo: quella casa era così grande che non l’avrebbe mai sentito in caso di bisogno.
«Va bene, amico, ti faccio compagnia».
Si lasciò cadere sul letto che era stato di Ginny, vestito di tutto punto; di solito andava a dormire talmente tardi e si svegliava così spesso che cambiarsi non aveva senso. Rimase sdraiato per qualche minuto, non riuscì ad addormentarsi subito; rovistò un po’ a caso sotto al comodino e vi trovò una rivista di musica che doveva risalire quanto meno ai suoi quattordici o quindici anni.
La sfogliò distrattamente e fu stupito di trovarci alcuni appunti scritti a penna di qualcuno; doveva per forza essere di Ginny, perché non sembrava la scrittura di Hermione. Gli sembrava assurdo e pure un po’ patetico che ricordasse già la sua scrittura dopo averla vista solo un paio di volte quell’estate.
Eppure la mente tornò a lei e si addormentò con l’immagine di Hermione stampata sulla retina.
 
Sirius si svegliò qualche ora dopo, di scatto, con una strana sensazione nel petto.
Forse aveva sognato e aveva dimenticato come al solito, forse era stato un rumore improvviso, ma si ritrovò completamente sveglio madido di sudore.
Guardò l’orologio magico alla parete che segnava le cinque del mattino.
Si girò verso Remus che dormiva tranquillo… o almeno così sembrava. C’era qualcosa che non lo convinceva e riuscì ad afferrarlo solo dopo qualche secondo che lo fissava: Remus era bianco come un lenzuolo.
«Oh, merda» sibilò, scattando verso di lui e perdendo l'equilibrio sul pavimento scivoloso. «Che diav-» sbottò, prima di rendersi conto che si trattava di sangue.
«Moony… Moony!» Quella volta urlò e cominciò a scuoterlo: si rese conto che la ferita si era riaperta e che il sangue aveva continuato a scorrere fino a riversarsi sul pavimento, lasciandolo quasi dissanguato.
«Maledizione!» Sbottò, correndo a prendere la bacchetta.
Tornò a fermare l’epistassi e a curargli la ferita, ma sapeva già che tutto quello non avrebbe aiutato: se la ferita si era già riaperta dopo il suo incantesimo, voleva dire che c’era di mezzo qualcos’altro; un veleno, forse, o una qualche tipo di maledizione.
«Mmh» Remus si agitò nel sonno, poi aprì gli occhi di botto. «Sirius!»
«Sono qui, dimmi» si affrettò a dire lui, abbassandosi al livello dei suoi occhi.
«È… veleno, lo sento» mormorò, ma Sirius provò a calmarlo con un sorriso finto.
«Sono sicuro che non sia così, è solo la ferita che è più grave di quel che-»
«No, no. Io me lo ricordo… era una provetta con dentro un liquido scuro e denso… non lo so, ma non sono riuscito a rimarginare la ferita. E fa male…» riuscì a dirgli tra i denti, mentre si contorceva di un dolore fitto all’addome.
Sirius annuì a vuoto e si alzò in piedi, cercando di ragionare su quel che poteva fare.
«Senti, ti darò una doppia razione di pozione calmante e te ne darò un’altra per le ferite. Se le tempistiche sono le stesse, dovrebbe rimanere chiusa per qualche altra ora. Intanto penserò a cosa fare» spiegò.
Remus scosse la testa «Non voglio dormire!»
Non lo spaventava solo l’idea di morire dissanguato, ma anche il ricordo di tutte le immagini che vedeva appena chiudeva gli occhi… non voleva riviverle.
Sirius gli accarezzò i capelli «Mi spiace, ma è l’unico modo per darti un po’ di sollievo».
Remus strinse i denti per non farsi sfuggire dei versi e confermare la sua tesi «Posso sopportarlo…»
«Beh, io no. Ora stattene buono e fammi lavorare» ribatté caustico Sirius, sollevando la bacchetta.
«Prima di tutto, hai bisogno di una pulita. Non l’ho fatto prima perché ero occupato a ricucirti… Tergeo» mormorò e sia i vestiti, sia i capelli che la pelle di Remus tornarono puliti.
«Così almeno evitiamo possibile complicazioni con le infezioni. Ora, io devo capire che razza di maledizione o veleno ti hanno dato… prendi la pozione e non fare storie».
Remus non aveva le forze per contraddirlo e Sirius non aveva la pazienza per fargli capire la situazione con le buone. Gli portò una doppia se non tripla porzione della blanda pozione calmante che possedeva e Remus si addormentò, sfinito.
Sirius si passò una mano nei lunghi capelli scompigliati e se ne andò nella sua libreria; v vi si mise davanti a braccia incrociate e sguardo accigliato, come sperando che i libri stessi gli dicessero cosa fare.
Vagliando tutte le possibilità, c’erano: contattare in qualche modo Tonks per avvertirla e approfittare delle sue conoscenze da Auror, chiamare Severus Piton per una buona pozione anti-veleno o andare direttamente da Silente, semplicemente perché risolveva sempre tutto.
Lo sapeva che sarebbe bastato usare la Metropolvere per raggiungere Silente nel suo ufficio. Anche se il Preside era stato chiaro in proposito, era sicuro che per le emergenze non avrebbe avuto nulla da ridire (e poi lui aveva già infranto quella regola più di una volta per motivi ben più mondani).
Però c’era quella vocina maligna… quella maligna ed egocentrica che assicurava che poteva cavarsela da solo e senza alcuna balia, che Remus dopoutto non era in pericolo di vita tale da giustificare il suo andarsene a frignare sotto le sottane di Silente o di Mocciosus. Se la immaginava già la sua brutta faccia che gongolava perché non era neanche capace di capire che veleno stesse infettando Remus
«D’accordo, cerchiamo qualcosa di utile» mugugnò irritato, mettendosi al lavoro.
Ironicamente pensò che cercare soluzioni nei libri ammuffiti di una biblioteca era sempre stata una prerogativa dello stesso Remus (e ora di Hermione), mentre lui e James, supponeva anche Ron e Harry, erano sempre stati i tipi da “cadere per caso” nelle soluzioni.
Peccato che la biblioteca di Hogwarts non fosse come la sua biblioteca casalinga: dubitava che tutta la sezione “classici-di-Remus” avrebbe potuto essergli utile. Alla fine dovette arrendersi e provare con le sue conoscenze base di guarigione che, doveva ammetterlo, erano alquanto scarse. La sua educazione si era interrotta con l’arresto e ormai doveva possedere delle lagune mostruose. Comunue dubitava che il suo futuro sarebbe stato nella Medimagia, non lui che provava una leggera avversione per ossa spezzate e tutto ciò che prevedesse cose del corpo ubicate in posti diversi da quelli naturali.
Sirius ritornò da Remus con le braccia colme di una decina di tomi polverosi e fu contento di vederlo dormire tranquillo e rilassato, con la ferita ancora ben chiusa.
«Beh amico, grazie per lo studio in più» mormorò, ributtandosi a letto.
In realtà aveva portato con sé anche uno dei fatidici classici, regalatogli nel lontanissimo 1973 e mai aperto, intitolato Jane Eyre. Lo aveva portato con sé nel caso avesse voluto staccare tra una lettura medica e l’altra, ma la verità fu che si addormentò a circa dieci righe dall’inizio del romanzo.
Si risvegliò chissà quante ore dopo, quando qualcuno lo scrollò così forte che il libro aperto sul suo stomaco scivolò a terra.
«Che cosa?» Mugugnò, guardandosi attorno con aria inebedita.
Remus sorrise e si chinò a prendere il libro, leggendo la copertina con un sopracciglio inarcato.
«Cercavo delle informazioni per aiutarti…» cominciò Sirius, quasi per giustificarsi.
«E speravi che Jane Eyre ti potesse aiutare?» Ironizzò Remus.
Sirius quasi arrossì.
«Era una pausa. Guarda là quanti ne ho» si lamentò, indicando la pila sul comodino.
Remus non li degnò di uno sguardo «C’era bisogno che mi facessi quasi uccidere perché ti decidessi finalmente a leggere qualche mio regalo?»
Sirius aprì bocca con aria indignata, poi sembrò rendersi conto solo in quell’istante del piccolo dettaglio di Remus in piedi sulle sue gambe nonostante qualche ora prima fosse sul letto di morte.  
Sirius si alzò di scattò «Che diavolo ci fai alzato? Torna a sdraiarti!» Urlò quasi, spingendolo verso il letto.
Remus si accigliò «Ma sto ben-»
«Me ne frega niente, fino a due ore fa il tuo sangue imbrattava il mio preziosissimo parquet di quercia» lo interruppe, stupendolo anche solo per il fatto che conoscesse il legno di cui era fatto il suo parquet, dettagli di cui gli era mai interessato nulla.
«Quanto sei premuroso» lo prese in giro, ma si fece rimboccare le coperte come un bravo bambino.
«Lì c’è la tua pozione anti-ferite. Devi prenderla ogni tre ore, lo sai. Io vado a cucinarti qualcosa, sarai affamato» fece Sirius, aprendo la finestra per cambiare l’aria. «Dopo ti prenderò qualche altro vestito, ti ho ripulito ma ti conviene cambiarti comunque».
Remus continuò a fissarlo con tanto di occhi, faticando a credere che fosse lo stesso Sirius che aveva quasi avvelenato James nel tentativo di “prendersi cura di lui” per una banale febbre.
«Cosa ne hai fatto del vero Sirius?» Chiese infatti.
«Va’ al diavolo, Moony» rispose Sirius, mentre usciva.
Negli ultimi mesi era stata Molly Weasley l’addetta della cucina e Sirius avebbe scommesso un galeone che gli aveva cambiato la disposizione dell’intera stanza. Non era un gran problema comunue, perché Remus non era abbastanza in forze per mangiare cose troppo elaborate e lui ormai non cucinava un piatto decente per sé da secoli.
Una cosa che ben pochi sapevano, anche perché si era curato di tenerlo il più nascosto possibile, era che lui aveva una certa passione – nonché propensione, a dettadi Lily – per la cucina Babbana. Senza magia era incapaca persino ad allacciarsi le scarpe, però sapeva cucinare.
Lui era un edonista, amava l’idea di vivere al massimo tutti i piaceri più basilari della vita e il cibo faceva parte di questi. Aveva avuto così pochi anni di vera vita che non era riuscito a esplorare quel dono fino in fondo, però una volta era riuscito a cucinare un ottimo piatto Babbano per Lily, anche se poi era arrivato James a spazzolarsi tutti senza sapere che l’aveva cucinato lui.
In quegli ultimi anni di libertà era stato semplicemente troppo depresso per godersi la vita.
«Non credo che Remus abbia voglia di un gratin dauphinois…» ironizzò.
La sua passione si piegò a una semplice omelette salva-frigo.
Era alle prese coi i fornelli, quando la testa di Tonks apparve dal camino a fargli venire un colpo «Sirius!»
«Oh per l’amor di- Tonks! Avverti quando arrivi alle spalle della gente!» Sbottò.
Tonks non sembrava aver voglia di scherzare e si accigliò «E Remus?»
«È abbastanza vivo da fare battute, si riprenderà» disse con tono sprezzante.
«Grazie a Morgana…»
Sirius le lanciò un’occhiata, poi cominciò a sbocconcellare del pane «Senti, tu devi stare tranquilla. A parte che qualcuno potrebbe scoprirti se continui a tornare così spesso…»
«Guarda che sono a casa mia, adesso. È più sicura di qualsiasi altro posto» fece lei, con tono sostenuto.
«Quando dici a “a casa tua” intendi-»
«Guarda un po’ chi si vede, il mio cugino preferito» li interruppe una donna, arrivando nel camino accanto a Tonks. Andromeda era la fotocopia sputata di Bellatrix, se non fosse stato per i capelli più chiari e gli occhi dalla forma diversa. Era bellissima come la sorella, ma meno modello “serial killer psicopatica”.
«Ciao, Dromeda» salutò quieto lui, prevedendo il peggio.
Dopo la sua fuga da Azkaban le aveva scritto qualche riga per farle sapere cos’era accaduto e dove stesse andando, ma da quando l’avevano recluso a Grimmauld Place non aveva più provato a contattarla. Si era sentito così umiliato, che si era scollegato dal resto del mondo.   
«Allora sei vivo. Pensavo ti avessero rispedito a Azkaban» fece lei, serafica.
Anche in mezzo all’Apocalisse Andromeda Tonks avrebbe mantenuto quello stesso aplomb.
«Non cominciamo» borbottò lui, roteando lo sguardo in cielo.
Andromeda aprì bocca per replicare, ma un’arrabbiata Tonks quasi la spostò di peso «Le allegre riunioni di famiglia dopo, stavamo parlando di una cosa seria mi pare».
«Sta bene, gli stavo preparando qualcosa da mangiare…» fece, ignorando l’argomento ‘maledizione’.
Tonks non era solo una dipendente del Ministero della Magia – e come tale controllata a vista da un paranoico Caramell – ma anche la pupilla del vecchio Moody, il che la rendeva una sorvegliata speciale per quelli che sostenevano la campagna “Anti-Silente”.
Solo dopo un lungo attimo Tonks sembrò convincersi delle sue parole «D’accordo…»
Andromeda annunciò con delicatezza che andava a cucinare, probabilmente per lasciarli da soli, ma Sirius aveva già capito cosa intendesse dirgli.
«Non ti preoccupare, glielo dirò».
«Grazie, state attenti» soffiò raddolcita, prima di sparire tra le fiamme.
Sirius sospirò e tornò a fornelli «Puoi uscire adesso».
Remus spuntò dalla soglia con un’espressione di scusa sul viso.
«Non ce la facevo ad affrontarla» disse a mo’ di discolpa, mentre si sedeva al tavolo.
Sirius gli lanciò un’occhiata «Non hai bisogno di giustificarti con me…»
«Io invece credo di sì… cos’è quest’odore, stai cercando di avvelenarmi anche tu?»
«Hai anche il coraggio di lamentarti mentre ti accudisco?» Sbottò Sirius lanciandogli il piatto.
«Mi lamento delle tue abilità culinarie. James ha vomitato per un giorno intero con il tuo speciale pasticcio fatto in casa» gli rammentò, mentre punzecchiava l’omelette con la forchetta; comunque cominciò a mangiarla perché stava morendo di fame.
«Veramente quel pasticcio era opera di Peter. Lily concordava sul fatto che cucino benissimo, quindi non rompere» disse, come se il giudizio positivo di Lily sistemasse ogni cosa.
«Già, il pasticcio di Peter… avevate inventato anche una canzone in proposito, se mi ricordo bene…» cominciò, ma allo sguardo duro di Sirius giudicò più saggio starsene a testa bassa a mangiare. Sapeva che in quanto a pazienza Sirius era alquanto scarso.
«Vogliamo giocare ancora a lungo?» Provò a chiedergli, infatti, dopo qualche minuto.
Remus scosse la testa «Non cominciare, non ricordo quasi nulla. E comunque non posso parlare delle mie missioni. Ho ordini tassativi in merito» replicò e Sirius si accigliò, cercando di contare fino a dieci per non infuriarsi.
«Moony… sei precipitato a casa mia nel cuore della notte, con il fianco e una parte del petto squarciati e perdevi sangue a litri. Credo di averti visto anche i muscoli, non sono mai stato così intimo con qualcuno» frecciò sarcasticamente. «Non credi che una spiegazione me la meriti?»
«Non mi sono precipitato, sono stato portato contro la mia volontà. Il mio Patronus doveva avvisare Tonks di portarmi in un posto sicuro, non di precipitarsi da te» lo corresse Remus.
«E cosa avresti fatto, sentiamo?»
«Avrei aspettato di stare meglio e poi mi sarei guarito le ferite da solo…» cominciò, ma Sirius sbuffò così forte che si interruppe e lo guardò male.
«Andiamo, non eri messo in condizioni di guarire da solo!»
Remus terminò di mangiare e scostò il piatto da sé «Devo ricordarti come ogni volta che il processo di guarigione dei licantropi non è lo stesso degli esseri umani?»
«Sì, sì, lo so è più veloce eccetera, ma comunque ci avresti messo giorni o magari settimane! Cosa intendevi fare nel frattempo, morire di stenti?»
«Non sarebbe mai successo, gli altri licantropi non lo avrebbero permesso. Loro hanno certe regole per-» sbottò, ma poi si fermò e si passò le mani sulla faccia stanca. «Senti, ho un compito delicato ed è di essenziale importanza che stia lì, sul campo… devo integrarmi, non dare l’idea di-di… un tizio che alla prima occasione corre dai medimaghi» cercò di spiegargli.
Sirius scattò in piedi «È umano!» Sbottò.
«Loro non sono umani!» scoppiò stizzito Remus, alzandosi e buttando la sedia a terra.
Rimasero a fissarsi in cagnesco per un po’, poi Remus sollevò la sedia e continuò a voce bassissima.
«Non sono più umani, Sirius. Alcuni di loro hanno… hanno abbracciato totalmente il lupo, la loro natura più oscura e incontrollabile. Molti non hanno neanche più casa, né vestiti, vivono nel lupanare in modo selvaggio… è qualcosa che non si può capire» spiegò, mentre sentiva formicolare per tutto il corpo.
Il malessere che provava non era solo fisico, ma anche psicologico, anche morale, anche umano. Vedere tanti licantropi come lui dissolversi nel mostro, perdere ciò che li rendeva umani… nessuno di loro poteva capire, neanche Silente. Nessuno poteva capire quanto potesse essere difficile stare a stretto contatto col proprio riflesso, con coloro che rappresentavano ciò che lui avrebbe potuto, o poteva ancora, essere.
«Non parlare come se fossi uno di loro» fece brusco Sirius, interrompendo i suoi pensieri.
«Io sono uno di loro. Lo so che voi cercavate di trattarmi come un Animagus, lo so che lo facevate perché mi volevate bene, ma la Licantropia è un’altra cosa».
«Lo so. Intendevo dire: non fare come se fossi come loro. Tu non sei così, non sarai mai così».
Remus deglutì e abbassò la testa, sentendo che cominciava a girare; strinse così forte lo schienale della sedia da farsi sbiancare le nocche e da far scricchiolare il legno.
Sirius fece il giro del tavolo e lo scrollò «Tu non diventerai mai così, dovessi stare in quel posto per anni. Lupo o no, la tua natura è troppo diversa… sei uno degli esseri umani più… umani che conosca».
Remus sorrise.
«E poi, se pure ci provassi, sarò pronto a combattere e recuperarti L’ho già fatto, ricordi?»
Remus scosse la testa con un sorrisino triste «Non avresti la minima speranza…»
«Sei uno spaccone! Ma tanto non ce ne sarà bisogno».
Rimasero un attimo in un silenzio disagiato, ognuno perso nei propri pensieri, poi Sirius cominciò.
«Non so se te lo ricordi, ma ho avuto difficoltà a guarire la tua ferita…»
«Davvero?» Chiese cautamente Remus.
Sirius annuì «Te l’ho guarita appena siete arrivati, ma durante la notte si è riaperta… conosci una magia che possa provocare una cosa del genere?»
Remus si grattò la fronte «Io non… non avverto nulla su di me».
Arrivarono in salotto e Remus si lasciò cadere sul divano, con aria pensierosa. Sirius lo fissò a lungo, come a chiedersi se stesse mentendo: sapeva che c’erano molte cose di cui Remus non poteva, o voleva, parlargli e si ricordava che gi aveva parlsto di un veleno in una boccetta.
Lo conosceva fin troppo bene, era quasi sicuro si trattasse di un rituale di cui si vergognava. Roba da Licantropi di cui non voleva ricordare.
Sirius si sedette di fronte a lui e si massaggiò le mani, cercando le parole adatte per iniziare cautamente a tastare il terreno.  
«Prima di svenire hai detto qualcosa… hai parlato di un liquido denso…»
Remus lo fissò come se fosse la prima volta che sentiva quelle parole «Davvero?»
Sirius sbuffò e Remus si acigliò «Mi spiace non ricordo…»
«Va bene» si arrese l’altro, ancora indeciso se fidarsi o meno. «Continuerò a cercare».
Remus corniuò a guardare diritto di fronte a sé «Io credo tornerò a riposare… resto in quella stanza?»
«Sì, è è la più comoda e vicina nel caso avessi dei problemi» replicò Sirius, guardandolo uscire.
Avrebbe voluto chiedergli molte altre cose, ma probabilmente avrebbero avuto tutto il tempo del mondo.
Sirius sapeva che Remus non avrebbe potuto tornare in missione prima di fare rapporto a Silente e il preside non passava spesso dall’Ordine.
Sirius andò a spalancare le tende per fare entrare il luminoso sole di mezzogiorno, ma comunque avvicinò la lampada al divano in cui si lasciò cadere. All’uscita da Azkaban aveva capito che la sua vista non sarebbe stata più la stessa dopo il buio forzato della prigione. Un eterno Peter Pan come lui si rifiutava di concedere quel ulteriore terreno alla vecchiaia, non intendeva cedere nemmeno di un passo. Il risultato era che cercava di sforzare i suoi poveri occhi, ignorando gli occhiali da vista che Remus aveva osato costringerlo a prendersi. Tanti secoli di magia e i maghi non erano ancora in grado di risolvere il problema.
Almeno in pubblico, perché in privato la sua vanità non aveva sguardi di cui alimentarsi.
«Va bene» sibilò, inforcando i maledetti occhiali e sistemandosi una pila infinita di libri al suo fianco.
Ovviamente non aveva idea di cosa cercare, perché il repertorio di maledizioni era infinito e quello di pozioni ancora peggio. Era in quelle situazioni che Lily gli veniva prepotentemente alla mente.
Un’ora dopo non era riuscito a fare alcun passo avanti e stava per gettare la spugna con aria stizzita.
Un ‘toc toc’ attutito alla finestra gli fece capire che il gufo era di ritorno da Hogwarts e si alzò di scatto per farlo entrare, riempiendo di acqua la piccola ciotola del trespolo d’argento di famiglia.
In passato i Black avevano posseduto una vera guferia con una decina di gufi comuni più un paio di rapaci nobili per le comunicazioni ufficiali, ma con la morte dei suoi genitori erano stati tutti venduti o liberati.
Solo con la promessa di non utilizzarli in modo avventato, Silente gli aveva concesso di tenerne qualcuno. Non che si sentisse così in colpa, visto che mandare gufi era l’unica cosa che gli fosse rimasta da fare.
La lettera di Hermione era breve, ma scritta con una bella calligrafia ordinata.
 
Sig. Krum,
Sono oltremodo stupita dall’arrivo di questa lettera, credevo avesse completamente dimenticato il mio indirizzo!
 
Sirius poté quasi sentire il suo tono sarcastico. Per evitare di scrivere in codice, aveva deciso di “prendere in prestito” il nome di quel tale bulgaro con cui Hermione era andata al Ballo del Ceppo: era abbastanza conosciuto da non destare sospetti, ma anche abbastanza lontano da non causare problemi.
In quel modo non dovevano lambiccarsi il cervello alla ricerca di codici che non sembrassero codici. Era un’opzione temporanea mentre cercava una soluzione migliore. Hermione, che dopotutto era brillante, aveva tutto al volo senza che ci fosse bisogno di avvisarla. Persino il suo gufo aveva disposizioni particolari rispetto al tragitto che doveva fare. Quella volta aveva cercato di non tralasciare nulla.
 
… Comunque qui tutto bene. Anche se sono un po’ offesa per il lungo tempo trascorso prima che ti decidessi a scrivermi, sono contenta che tu l’abbia fatto: abbiamo tante cose di cui parlare! Ricordo ancora l’ultima notte accanto al camino, quando hai parlato sia a me che ai nostri amici di tutte quelle cose interessanti. Stiamo aspettando che torni di nuovo in Inghilterra, ma nel frattempo concentrati sul Quidditch: facciamo tutti il tifo per te, anche se gli allenamenti sono duri e deconcentrarsi e pericoloso! Per incoraggiarti ti ho spedito dei biscotti al cioccolato, spero ti piacciano. 
Intanto ti parlo un po’ della vita qui a Hogwarts: come saprai, l’anno dei G.U.F.O. è difficile e siamo tutti carichi di compiti da fare, ma non demordiamo. Basta organizzarsi e tutto è possibile!
Tu cosa mi racconti? Il clima in Bulgaria è migliore dell’ultima volta che ci sono stata?
Mi raccomando, continua a scrivermi.
Con affetto, Hermione
 
Sirius la lesse più volte per essere certo di aver intuito tutti i doppi sensi: nonostante le sue numerose precauzioni, Hermione aveva comunque optato per una lettera ambigua, quasi in codice.
Ragazza intelligente.
Ovviamente i loro amici erano Harry e Ron e il Quidditch si riferiva all’Ordine della Fenice, così come per Bulgaria intendeva Grimmauld Place numero 12. La lettera voleva in qualche modo confortarlo, ma anche ricordargli che era pericoloso fare di testa sua e uscire comunque da casa per andare da loro.
Sirius scosse la testa, pensando nuovamente a quanto fosse molto più matura di lui, poi diede un’occhiata al sacchettino di biscotti che il gufo aveva lasciato sul tavolo e sorrise come un idiota.
«Ahia, io lo conosco quel sorriso» fece la voce di Remus dalla soglia, mentre Sirius sbuffava e gli faceva segno di entrare «Non dovresti riposarti?»
«Ho realizzato che il riposo è per vecchi decrepiti» ironizzò, buttandosi nella poltrona di fronte a lui.
«Che cos’è?» Gli chiese poi, indicando la lettera con un movimento del mento.
Sirius gli lanciò un’occhiata circospetta «Una lettera».
«Sua?» Chiese con un solo soffio acido.
Sirius sospirò, pensando che tanto ormai era inutile tenere il segreto, così si preparò alla guerra.
«Sì, è di Hermione».
«Sirius…»
«Remus» ribatté tranquillamente lui, senza distogliere lo sguardo. «Non cominciamo».
«È minorenne» replicò Remus con freddezza. «È illegale e amorale».
Sirius fece un ghigno «Siamo un Animagus non registrato e un licantropo, facciamo parte di un’associazione segreta anti-Ministero, io sono ricercato e tu sei una spia… l’illegalità è una faccenda alquanto relativa direi. E sulla moralità… chi decide cos’è morale e cosa no, la religione? Ma per favore» fece con sarcasmo tagliente, poi sembrò pensarci un attimo. «Se vuoi, possiamo parlare di giustizia».
«D’accordo: allora, non è giusto che incoraggi una minorenne nei suoi sentimenti adolescenziali».
«Io non incoraggio nessuno!» Gli venne da sbottare in propria difesa, anche se sapeva di star mentendo. Dopotutto era stato lui a scriverle per primo, era stato lui a baciarla e a scriverle una seconda volta.
Si sentiva come un ladro beccato con le mani nel sacco.
Remus lo guardò così intensamente che si ritrovò a ritrattare da solo «D’accordo, ci sto mettendo del mio, ma non la sto… costringendo a fare niente» continuò a dire, quasi disgustato all’idea.
«Non sto dicendo che tu la stia costringendo, ma una ragazzina di quindici anni non è realmente consapevole di quello che vuole. È un’adolescente e tu sei più grande, sei dotato di un certo fascino e di una maggiore maturità rispetto ai suoi compagni, tutte cose che attirerebbero qualsiasi adolescente».
Remus stava ricalcando le parole di Tonks, che in effetti capiva di quelle cose molto meglio di lui. Notò che Sirius sembrava a disagio, ma non aveva intenzione di demordere su quell’argomento. Non più.
«Sei proprio la classica persona che, crescendo, comincia a ragionare come i propri genitori» frecciò Sirius.
Remus sapeva che quando veniva attaccato Sirius reagiva con aggressività; proprio come il suo Animagus.
«Sarebbe a dire?» Chiese con tono irritato.
«Sarebbe a dire che tu sei stato il primo a urlare che “ormai ho quindici anni, posso decidere da solo della mia vita” ai tuoi tempi o te lo sei dimenticato?»
Approfittando del suo silenzio, Sirius continuò «E quando ti parlavano del tuo piccolo problemino peloso e tu non volevi sentire ragione? “Il problema è mio e faccio come voglio io!”, urlavi nell’ufficio di Silente, vero? Comodo dimenticarsi certi eventi».
«Era un altro contesto. Il mio… problema peloso è una condizione che mi appartiene, solo io posso sapere come mi fa sentire» replicò Remus a denti stretti.
«Già. E Hermione probabilmente è la sola a sapere come questa situazione la fa sentire» ribatté Sirius.
Remus tossì «Stai paragonando la Licantropia a… una cotta adolescenziale?»
«Andiamo, sei più intelligente di così. La verità è che noi adulti dimentichiamo di essere stati giovani e i nostri discorsi sono spesso incoerenti e incosistenti. Ammettilo».
«Solo se tu ammetterai di ragionare con la testa di un quindicenne» replicò Remus, facendolo ghignare.
«Lo ammetto. Sarà stato Azkaban, sarà stata la mia infanzia, sarà il mio spirito… ma io mi sento giovane».
«Allora concorderai pure che non è… sano avere una mente da quindicenne in un corpo da trentacinquenne» sentenziò Remus, facendogli roteare lo sguardo.
«Ancora con questa storia… sano, normale, giusto… da quando sei l’uomo degli estremi? Quello non ero io? È forse meglio avere il corpo di un trentacinquenne e l’animo di un sessantenne?»
Remus sbuffò, mentre si alzava «Sei impossibile. E comunque non sei così coerente come ti piacerebbe essere, la maggior parte delle volte si tratta solo di incoscienza».
«Beh, tu hai la prudenza, la cautela, la lugimiranza… quanto ti stanno aiutando? Cosa ne dice Tonks?»
Remus si girò di scatto, ma ghignava pure lui «Colpo basso, Padfoot».
Lui fece un sorrisino che voleva essere angelico «Già che parliamo…»
«Ci sto andando…» cominciò Remus ma si bloccò, guardandolo male.
Siriu rise «… con prudenza?» concluse per lui.
Stallo.
«E che non voglio ferirla. Tu sei sicuro di non farlo col tuo metodo “da giovane”?»
Sirius si incupì «Non si sta ferendo nessuno».
«Questo è quello che manca a voi giovani: la lungimiranza» fece, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Ricordati che Hermione, per quanto matura e brillante, è pur sempre un’adolescente alle prese con sentimenti che non conosce ancora bene. E per quanto lucida è pur sempre un’adolescente in fase ormonale. Quanto capitò a me, la prima cotta, persi il controllo del lupo. E non si torna pù indietro».
Sirius rimase ancora a lungo nel salone quando Remus se ne fu andato, rigirandosi la lettera tra le mani.
Cercava di analizzarsi alla luce di quanto detto, senza però riuscire ad approdare a quacosa di definitivo. Non voleva prendere in giro nessuno, non voleva divertirsi.
Aveva solo intuito qualcosa che ndava oltre ciò che si vedeva, una sensibilità particolare che si accordava al suo spirito. Lo sapeva di non avere una visione “comune” delle donne e delle relazioni, non poteva dopo tutto quello che aveva passato e ai tempi di Hogwarts non gli interessavano nemmeno. Solo una ragazza aveva fatto breccia nella sua vita tutta amici&Quidditch e anche lì non si era mai trattato di una relazione che avrebbe potuto definire normale.
Si chiese, di convesso, come Hermione avrebbe potuto ricercare in uno come lui e quello per lui era un campo minato nella sua autostima devastata: era un uomo dal passato distrutto e dal futuro inesistente, con un fisico provato, una vita noiosa e una psiche che avrebbe definito precaria.
Cosa poteva offrire a una ragazza nel fiore della vita?
Fu quasi con vergogna che si alzò per osservarsi al grosso specchio d’epoca. Probabilmente non si guardava allo specchio da giorni e sicuramente non si osservava con attenzione da anni.
Sebbene non avesse troppi riferimenti della sua età, era sicuro che nessun trentacinquenne normale assomigliasse a lui: troppi segni di usura sulla pelle e negli occhi; le occhiaie violacee e il livore gli ricordavano un vampiro che aveva conosciuto anni addietro alla Testa di porco, tutto ben lontano dal pallore aristrocratico dei Black. Molte delle cicatrici che aveva disseminato su tutto il corpo se l’era procurate da solo durante gli anni di deliquio sotto l’influenza dei Dissennatori, altre erano ricordi più spensierati di Hogwarts e dei tiri di James. In ogni caso erano molte, troppe.
Poi c’erano gli occhi.
Ironico pensare che, anche con tutti gli anni di Grifondoro, di Azkaban e di Ordine, fosse riuscito a renderli identici a quelli di suo padre. Orion Black, l’uomo più sfuggente che avesse mai conosciuto.
I suoi possedevano non solo lo stesso colore cangiante, ma la stessa irrequeitezza lenta che l’aveva tanto irritato da piccolo.
«Tanti anni e sei riuscito comunque a diventare come tuo padre» sputò allo specchio.
Non vedeva nulla che potesse interessare chicchesia. Remus non doveva preoccuparsi: sarebbe bastato attendere che Hermione Granger rientrasse nelle sue piene facoltà mentali e mettesse gli occhi su qualche compagno di classe.
Si legò i gli scarmigliati capelli e tornò al divano e alla sua lettera. Pregò che Hermione avesse sbbastanza lugimiranza per entrambi. Intinse la piuma nell’inchiostro, guardò la punta per un attimo, scrisse:
 
Cara Hermione,
grazie per avermi risposto. Hai ragione: ho atteso troppo prima di scriverti, ma non riuscivo a trovare le parole adatte. Prometto di scriverti più spesso da questo momento in poi.
Mi piacerebbe tornare in Inghilterra, anche per rivedere i nostri amici ma soprattutto per rivedere te, ma devo concentrarmi sul Quidditch. Questo è un anno duro anche per me, molte cose stanno cambiando.
A proposito di Quidditch, un mio compagno di squadra è venuto improvvisamente a trovarmi! Facciamo lunghe chiacchierate, ci alleniamo e giriamo per la Bulgaria, anche se il clima è molto strano: a volte nebbioso o piovoso, a volte molto più disteso. In generale poco sole.
Non so quanto tempo starà da me, probabilmente non lo sa neanche lui o il resto della squadra.
I biscotti che mi hai inviato sono perfetti e credo di averli anche già finiti… dovrò cercare un negozio in Bulgaria che ne faccia di altrettanto buoni, altrimenti non so come farò. Tu puoi aiutarmi per caso?
So che l’anno dei G.U.F.O. a Hogwarts è piuttosto difficile, ma sono d’accordo con te: organizzandoci possiamo raggiungere qualunque risultato. Tu impegnati, anche se non credo di aver bisogno di dirtelo: resti la ragazza più intelligente che conosca.
 
In attesa di una risposta,
con affetto,
Krum
 
Sirius la rilesse e la giudicò abbastanza naturale. Sperò che Hermione capisse il riferimento a Remus, ma avrebbe cercato modi più chiari  nelle lettere successive. Intanto era un buon modo per tenersi in contatto senza rischiare troppo, anche se si chiese quanto fosse realistico che il bulgaro Krum scrivesse così bene in inglese; dubitava comunque che qualcuno si sarebbe dato così tanta pena per scoprirlo.
Sigillò la lettera e richiamò il gufo fulvo di prima, che arrivò schioccando il becco.
Sirius lo accarezzò. «Uhm, dovrei darti un nome prima o poi.. ti piace Pen?»
Il gufo emise uno stridio che giudicò di apprezzamento.
«Ok, Pen. Senti: questa lettera va a Hogwarts. Sempre Hermione Granger, la ragazza di Grifondoro con i capelli crespi e sicuramente un giornale in mano. Devi continuare a seguire l’altra strada, ok?»
Il gufo rispose con due versi affermativi, bevve un’ultima volta dal contenitore pieno d’acqua sul davanzale e volò via nel cielo del pomeriggio inoltrato.
Sirius lo guardò andare via poi, mentre stava per ributtarsi sul divano, sentì Remus urlare talmente forte che scattò in piedi all’istante.
«Moony! Che succede?!» Urlò, correndo in camera.
Lo trovò a terra che si contorceva come in preda come alla Maledizione Cruciatus, mentre il sangue defluiva dalla ferita, nuovamente aperta, su un fianco.
«Cazzo, di nuovo» sibilò Sirius, sguainando la bacchetta.
Si abbassò cercando di evitare il sangue, ma era così vischioso che scivolò comunque, inzuppandosi. Ne perdeva troppo e troppo velocemente, doveva richiudere la ferita all’istante o sarebbe morto dissanguato.
«Sono qui, Remus mi senti?» Provò a chiamare, ma aveva perso i sensi.
Con il solito incantesimo cominciò a richiudere la ferita, poi si allungò per stringergli il polso e riportarlo sul letto. Nell’istante stesso in cui lo toccò accaddero più cose contemporaneamente: Remus spalancò gli occhi e urlò, inarcandosi come in preda a spasimi atroci, Sirius invece sentì una fitta dolorosa al polso, mentre una voce gli sussurrò qualcosa che non capì nell’orecchio.
«Cosa diav-» sbottò, abbassando lo sguardo: il polso era squarciato da quella che sembrava una ferita di pugnale e il suo sangue cominciò a colare insieme a quello di Remus.
Sirius rimase a guardarla come ipnotizzato, chiedendosi cosa diavolo fosse successo. Un nuovo grido di Remus lo riscosse, così si richiuse la ferita da solo e si alzò di scatto, ignorando il pizzicore al braccio.
«Tergeo» mormorò, ripulendo la stanza dalla inverosimile quantità di sangue.
Tornò a soministrare a Remus la solita prassi. La ferita era di nuovo chiusa ma al quel punto non sapeva più cosa fare; gli controllò la febbre e lo fece per tutta l’ora successiva, senza che nulla cambiasse.
Nel frattempo il suo polso continuava a pulsare e ad arrossarsi, oltre che ha riempirsi di vescicole; il taglio sembrava essersi trasformato in un’ustione di secondo grado e la cosa era assurda.
Sirius riuscì a resistere per un’altra ora, coprendo le vesciche con una pozione anti-scottatura, ma quando l’avambraccio cominciò a essere percorso da fitte capì cominciò a preoccuparsi davvero.
«Ma cosa diavolo sta succedendo?» Sibilò, piegandosi per osservare da vicino il polso: al di sotto delle escoriazioni c’era qualcosa che non riusciva a definire, un disegno che affiorava dalla pelle spaccata.
Non riuscì osservarlo meglio perché, proprio in quel momento il suo campo visivo cominciò a oscurarsi e le gambe cedettero sotto il suo stesso peso. Svenne battendo la testa, mentre una piccola spiga nera appariva sul polso e la pelle ritornava intatta e liscia come se nulla fosse accaduto.  
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Karyon