Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    10/02/2019    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 02
 
Ormai la felicità si era impossessata di tutti, la confusione era scomparsa, per lasciare spazio ad una nuova consapevolezza, ad un'euforia che, comunque, in qualche modo, anch'essa confondeva. Li faceva sentire un po' fuori dal mondo, dalla realtà.
Per questo a nessuno importò della gente intorno quando Ryo e Shu si precipitarono fuori dalla metro, correndo come due piccoli selvaggi, gareggiando tra loro nel superare le bassissime arcate della stazione di Ueno, rischiando più di una testata.
Contrariamente a quel che avrebbero fatto di solito, né Shin né Seiji se la sentirono di spingerli a controllarsi.
“Se li lasciate senza redini, chissà che combinano quei due!” esclamò Touma, ghignetto divertito in viso e naso puntato più al cielo che ai propri piedi.
“Io faccio semplicemente finta di non conoscerli” borbottò Seiji, avvicinandosi ad una di quelle bizzarre strutture sotto le quali era necessario passare. Posò una mano sul bordo di un'arcata e contemplò l'assurda architettura.
“Hanno sbagliato le misure o avevano un gran senso dell'ironia coloro che hanno costruito qui?”.
“Calcoli imprecisi?” ipotizzò Touma guardandoli con aria perplessa, poi sempre più pensierosa. “Però è meglio che non mi distragga qui... è una trappola per persone molto alte”.
Che fosse ironico o meno, non si riusciva a capire: il suo sguardo era drammaticamente serio.
“Credo che se lo sia chiesto chiunque abbia messo piede qui per la prima volta” osservò Shin, visibilmente divertito dalla loro perplessità e dagli altri due nakama che, nel rincorrersi, avevano finito per incastrarsi l'uno con l'altro sotto ad un passaggio. Nel vederli che bisticciavano su chi dovesse sbrogliare per primo la matassa, non poté trattenere una risata.
Era così bello ridere guardando i suoi nakama. Non si ricordava più come si facesse a ridere così, con sincerità, non si ricordava che bastava guardare loro, felici, perché il suo cuore sentisse il bisogno di ridere.
Touma lo scrutò con la coda dell'occhio, sorridendo, ma non poté esimersi da una battutina.
“Oh, guarda, mammina Shin, i bimbi han bisogno di un tuo intervento!”.
Il ragazzo di Hagi si imbronciò immediatamente, con la sua espressione buffa di un tempo, quella che portava allegria, non rabbia o tristezza, il tutto condito dal suo solito, tenero rossore.
“Spero che tu non intenda chiamarmi così ogni volta che ti rivolgi a me, da questo momento in poi” borbottò in un mugugno appena udibile.
“Ma è ovvio!” rispose Touma, iniziando a trotterellare davanti ai due compagni. “Tanto lo sappiamo che ti fanno piacere i miei nomignoli!”. Sull’ultima parola il ragazzo spiccò una corsa, dettata da un ancestrale timore per la propria incolumità.
Quello che fece Shin fu talmente imprevedibile da lasciare scandalizzato Seiji: rincorse il nakama tra la gente, gridando il nome di Touma con la sua più argentina risata, meritandosi anche qualche occhiata seccata dai passanti.
Persino Ryo si fermò a guardarsi alle spalle, in tempo per vedere Shin che saltava sulle spalle di Touma, aggrappandosi alla sua schiena, continuando a ridere, mentre gli si arrampicava letteralmente addosso.
Touma, che nel frattempo aveva corso il rischio di rovinare faccia a terra, aveva afferrato le gambe di Shin, ritrovando con non poca difficoltà l'equilibrio: certo che Shin era un affarino leggero, ma... con quella rinnovata furia sarebbe riuscito a destabilizzare chiunque.
“P-pesciolino!”.
Senza smettere di ridere, Shin si avvinghiò a lui ancora di più; si stava così bene lì sopra, non avrebbe mai voluto scendere, era bello, era come tornare bambini, quando i genitori ti portavano in spalla.
“Dai, Panda, porta a casa la mammina” cantilenò, ancora preda di quella strana, inebriante euforia.
“Oh!” esclamò l'altro scoppiando poi in una risata. “Ma allora sono autorizzato?”.
Shin era sul punto di dare una rispostaccia ma, quando la calma tornò, finì per affondare il naso nei capelli di Touma, assaporandone la fragranza.
“Si sta... così bene”.
Touma sentì il tocco del suo nasino freddo sul collo, percepì chiaramente la fiducia che si irradiava da tutto il suo essere attraverso la schiena, fin sopra al cuore.
“È proprio un bel complimento...” sussurrò il ragazzo di Osaka, arrossendo imbarazzato. “... davvero...”.
L'altro sospirò, sembrava in estasi, ma giunse la voce della ragione:
“Non bastavano una scimmia e un gatto a dare spettacolo; ci si mettono anche il panda e la foca”.
Shin sobbalzò, reggendosi a stento, ma Seiji era già passato avanti; poté puntare gli occhi solo sulla sua schiena, mentre tutti i colori dell'arcobaleno si alternavano sul suo viso.
“È solo che vorresti esserci tu al posto di Shin, ma non me lo chiederesti mai!”.
Già, pena una tortura innominabile e molto, molto lunga.
“Io vorrei essere al posto tuo, veramente”.
Shu, dimenticata la baruffa con Ryo, si fece avanti, con espressione seria e, al contempo, bizzarramente infantile: in quei pochi mesi non sembrava essere rimpicciolito solo nel fisico.
Alle sue spalle giunse Ryo, che gli diede un buffetto sulla nuca.
“Non vorrei che persino Shin fosse diventato troppo pesante per te, scimmietta”.
Lo sguardo che Shu riservò al leader ritrovato fu a dir poco fiammeggiante.
“Io riuscirei a portare ogni mio nakama sulle spalle! Anche tutti assieme se volessi!”.
Innegabile che fosse stato punto sul vivo. Forse forse, così in forma non lo era del tutto.
Allora Shin scivolò giù con leggerezza dalle spalle di Touma, camminò verso Shu, sollevò le mani a catturargli le guance, spingendo le dita sotto le ciocche di capelli scuri che gli carezzavano il viso, poi poggiò la fronte contro la sua e sussurrò, piano:
“Tu sarai sempre il più forte, per me”.
Il mondo si fermò, perdendo ogni connotato reale: nella visione di Shu c'era Shin e nessun altro. E sorrideva, ed era caldo, morbido, dolce e reale. Terribilmente reale da far male.
Shu si ritrovò a piangere, così, dal nulla, senza nemmeno un singhiozzo. Era come se fosse crollata una diga e non ci fosse modo di fermare la potenza delle sue acque.
Non poteva, ovviamente, non mettere in panico tutti quanti quella reazione, oltre ad attirare le occhiate di parecchie persone che transitavano intorno a loro. Ma per i ragazzi non c'era nessun altro che loro, loro cinque e il loro compagno che versava lacrime; gli altri li vedevano, ma loro non vedevano gli altri, erano chiusi in una loro personale dimensione.
Impressionato, Shin sgranò gli occhi e gli gettò le braccia intorno al collo, attirandolo contro di sé. Lo stesso fece Ryo.
Erano reali. Erano vivi, erano vicini a lui. Non esisteva più la distanza tra di loro, ancora non se ne era reso conto? Eppure era stato così duro passare quei mesi, quei giorni senza di loro, senza nemmeno sentire le loro voci, col terrore di dimenticarne il suono, prima o poi.
“S-scusate-mi... n-non volevo...”.
A Shin era di nuovo facile, troppo, leggere nel pensiero di tutti loro, era così naturale... era tornato ad essere naturale ed era bastato così poco, solo accettare quello che c'era, l'unica certezza della loro esistenza, ovvero il reciproco amore che li teneva avvinti gli uni agli altri... l'unica cosa bella.
Ora lo sapeva anche lui e quanti mesi inutili avrebbe potuto cancellare se l'avesse compreso prima.
“Anche a me sembra tutto troppo bello per essere vero, sai scimmietta? Eppure... eppure... è vero... è proprio vero”.
Anche lui ora piangeva, stretto a Shu, il viso affondato sulla sua spalla.
Qualche lacrima spuntò anche negli occhi di Ryo.
Alle spalle di Shin, Seiji e Touma si erano fermati a guardarli, con un misto di tenerezza e malinconia negli sguardi: erano passati pochi mesi, ma sembravano anni. Tutto tra loro era tornato come prima, anche se... dovevano risanare tutta quella tristezza.
Touma pensò che il primo passo da fare fosse molto, molto semplice. Forse stupido, ma non tanto, considerato Shu. E poi Shin sarebbe stato della sua stessa idea, assolutamente.
Ed era risaputo che lo zucchero provocasse euforia. E in quel momento c'era bisogno di MOLTA euforia.
“FERMI QUI! TORNO SUBITO!”.
Con uno scatto degno di un bimbo che sta per combinarne una, si infilò nel primo supermarket lì vicino.
La sua voce era riuscita a raccogliere l'attenzione dei tre ragazzi avvinghiati l'uno all'altro che, con tanto di occhi lucidi, lo videro sparire dietro le vetrate del negozio.
“Che... fa Touma?” borbottò Shu con un mezzo singhiozzo.
“Se lo conosco bene” gli rispose Seiji con il suo sorriso più gioviale, “lo vedremo tornare con una sorpresa”.
Shu ingollò un altro singhiozzo, sospirò e si volse a guardare, senza una parola, i due nakama ancora avvinghiati a lui: in uno strano modo, era come se quel gesto risultasse tutto nuovo al suo corpo. Eppure non era la prima volta. Sospirò ancora: forse una nuova vita significava anche nuove sensazioni.
Shin si asciugò i residui di lacrime con l'avambraccio e, con un sorriso tenero, si allontanò di qualche passo.
“Vado... a vedere che combina, lasciarlo solo... è un danno”.
Fece un occhiolino un po' timido ai nakama e spiccò una corsetta sulle tracce di Touma.
Lo trovò indaffarato tra gli scaffali, a riempire un cestino con... troppa roba.
Gli occhi di Shin si sgranarono, si fermò alle sue spalle e gli sibilò, non visto, in un orecchio:
“Ma sei pazzo?!”.
Touma sobbalzò, tanto era sovrappensiero: quando si trattava di cibo riusciva a trovare un'incredibile concentrazione.
“Shin, mi hai spaventato!”.
E infilò il decimo dorayaki nel cestino.
“Siamo in cinque più un gattone, non devi comprare rifornimenti per l'esercito dell'imperatore!”.
Tutto stava tornando, davvero, ad una normalità che rendeva straniti; tutto si svolgeva con una naturalezza che, mentre era lì a rimproverare Touma come ai vecchi tempi, quasi lo terrorizzava, lo rendeva sempre più incredulo.
“Quando c'è gente felice la fame aumenta sempre!” sentenziò Touma, voltandosi verso di lui e puntando il proprio naso contro il suo. “Me l'hai detto tu stesso una volta”.
“Ma... ma...” balbettò Shin alla ricerca di qualche parola utile a ribattere, poi, come in un flash, gli si presentò alla mente la figura di Shu, il suo dimagrimento, eccessivo per essere lui, troppo.
Sbatté le palpebre, arricciò le labbra e ordinò:
“Prendine ancora qualcuno”.
Intanto si girò verso un altro scaffale, da cui prelevò alcuni pacchetti di biscottini con gocce di cioccolato... e lì vicino anche qualche manciata di merendine dall'aspetto morbido.
Non si sa mai... rifletté tra sé.
Touma colse il suo pensiero.
“Vero, la scimmietta ne ha bisogno. Ma anche tu, Ryo e Seiji” e il ragazzo saltellò avanti, verso le casse. “Magari è la volta buona che io e Shu vi ammorbidiamo un pochino”.
Shin fece una piccola smorfia.
“Io sono già morbido, tu mi sembri più magro di me!”.
Gli fu dietro in rapidi passetti.
“Aspetta, che prendo da bere!”.
“Ma la mia è costituzione!” disse a gran voce Touma, guadagnandosi un'occhiataccia da Shin. “La vostra assolutamente no!”.
“E io non ho assolutamente intenzione di mettermi all'ingrasso” ribatté Shin riversando nel cestello succhi di varia natura. “Ho esaurito le scorte a casa” borbottò infine, come riflettendo tra sé.
Un sopracciglio di Touma si alzò, perplesso.
“Non devi giustificarti con me, pesciolino”.
Tanto avrebbe provato lo stesso a ingozzare qualcuno di loro, volente o nolente. Mangiare era sintomo di salute, in fondo.
Si avvicinarono insieme alle casse e Shin adocchiò delle patate ancora fumanti nella vetrina accanto. Così, mentre Touma si accingeva a mostrare il contenuto del cestino al cassiere, Shin si intromise indicandole:
“Vorremmo anche quelle!”.
Non c'era modo di fermare le risate che proruppero dalla bocca di Touma.
“Ma vuoi rimetterlo in forma proprio oggi?”.
Shin arrossì e distolse lo sguardo, facendolo vagare su e giù.
“È che non ho fatto la spesa e non saprei che darvi a casa”.
Certo, Mori Shin che non aveva a casa qualcosa da mangiare. Proprio da crederci.
“Uhm... cerca di non soffocare Shu mentre gli dai tutto assieme”.
Touma prese i due sacchetti affidatigli dal commesso e lasciò uno Shin impacciato e con sguardo fulminante a pagare.
“Vado avanti a cominciare la tua missione!”. E Touma uscì lesto dal supermarket.
 
***
 
La casa di Shin era una villetta che dava sulla strada, in una zona abbastanza tranquilla, poco distante dal parco di Ueno. Non spiccava rispetto a quelle che la circondavano, dallo stile abbastanza uniforme, i muri bianchi e i tetti marroni, così come il terrazzino che, in quella di Shin, era al secondo piano, sulla facciata laterale a sinistra dell'entrata.
Ryo si guardava intorno, mentre Shin tirava fuori la chiave e li guidava lungo la scalinata esterna, oltre un piccolo cancello.
“È bello tornare qui” sospirò Rekka e un brivido corse lungo la schiena di Shin. Lui era felice che fossero tornati lì.
Erano tornati per non andarsene? Sul serio?
Fece per infilare la chiave nella serratura, ma il tremito della mano fu tale che il mazzo gli scivolò e, nel tentativo di raccoglierlo al volo, inciampò, immediatamente raccolto dai nakama.
“Attenzione” ridacchiò Seiji che, per sorreggerlo, aveva dovuto posare velocemente uno dei sacchetti della spesa.
“Il pesciolino non vede l'ora di entrare con noi” disse Touma con un sorriso decisamente tenero sulle labbra. “E anche io non vedo l'ora...”.
“N-non è che... ecco...” cominciò Shu con un pensiero assurdo. Poi si diede dello scemo e non volle continuare la frase. Disturbarlo? Ma se Shin non vedeva l'ora di stare con loro? Shu si perdeva in formalità? Era così nervoso, accidenti!
Nel riassestarsi, Shin si portò una mano alle labbra, balbettò poche parole e si affrettò ad aprire e ad entrare, perché improvvisamente sentiva la voglia di piangere.
Non disse una parola, lasciò semplicemente aperto.
La testa bruna di Ryo si sporse un po' oltre la soglia.
“Possiamo?”.
Che razza di domande.
Shin si voltò di scatto.
“Ma perché chiedi il permesso per entrare in casa tua?!”.
Non avrebbe voluto parlare con quel tono, il fatto era che parlare significava, per lui, scoppiare a piangere.
“Shin! Ho fatto qualcosa che non va?” esclamò Ryo, allarmato.
Shu gli fu subito dietro, abbracciando Shin senza una sola parola, come prima avevano fatto Shin e Ryo con lui: lo strinse forte, lasciò un bacio leggero su una tempia e continuò ad abbracciarlo, respirando il suo profumo.
Seiji e Touma entrarono per ultimi, chiudendosi la porta alle spalle: si guardarono in silenzio, poi posarono lo sguardo sui due nakama abbracciati e sospirarono.
“Abbiamo bisogno di una cioccolata calda... la cioccolata porta sempre un sorriso” borbottò Touma, prendendo il sacchetto abbandonato da Seiji e dirigendosi sicuro in cucina.
“Glielo spieghi tu agli altri, Touma, che non devono considerarsi ospiti qui? Io... io non ce la... non ce la faccio...”.
Tra un singhiozzo e l'altro, Shin cercava di asciugarsi nervosamente le lacrime, tremando tra le braccia di Shu, mentre Ryo era rimasto immobile e colpevole a guardarlo.
Touma si fermò sulla soglia della cucina, si girò su se stesso ed esclamò, sacchetti e pugni sui fianchi.
“Se non siamo stati chiari sulla spiaggia, vedrò di esserlo ancora di più qui!” e, nonostante la posa buffa, l'espressione era del tutto seria. “Siamo assieme e ora lo saremo sempre! E Shin, lui, ha pensato a noi assieme con questa casa... e se lui dice che è casa nostra, allora è casa nostra!”.
Gli occhi di Touma volarono a terra, senza più sapere che dire.
Shu l'aveva guardato per tutto quel discorso, poi era tornato a contemplare il bel viso di Shin tutto bagnato e, alzata una mano, cercò di levare tutta quell'acqua salata da lui.
“Scusami pesciolino, noi... siamo tornati a casa... a casa nostra... giusto?”.
La testa di Shin si piegò in avanti, la sua fronte si appoggiò contro quella di Shu.
“Sì... scusate... ho solo paura... tantissima paura”.
Ryo non riuscì più a sentire quella vocina arrendevole e indifesa senza fare nulla. Si precipitò accanto a lui e lo sfiorò gentilmente.
“Paura di cosa, Shin-chan? Non c'è nulla di cui avere paura”.
“Non lo so... non so spiegarlo, ma... mi sembra tutto così irreale...”.
“Non è un sogno, se è quello che pensi... ci siamo e rimarremo... qui, assieme... sempre”.
Shu cercava gli occhi di Shin, sorridendo con aria un po’ imbranata, un po’ malinconica. Voleva che sorridesse, subito. Era stufo di vedere lacrime, voleva solo sorrisi.
 
Shu aveva ragione, la parte razionale di lui lo sapeva che era reale, sapeva anche che non avrebbe più messo in dubbio nulla, eppure... eppure...
Il terrore che aveva di un futuro sempre incognito era stato messo dolorosamente allo scoperto da Suzunagi; adesso sapeva che avrebbe affrontato questa paura, ma la paura non se ne andava: paura della fine, paura... di perdere... di perderli ancora... magari non per colpa loro.
La materializzazione di nuove yoroi, per quanto purificate, era percepita dal ragazzo in maniera sinistra.
Ancora tremante, si ricompose.
“Scusatemi, scusatemi davvero, non volevo rovinare questo momento”.
“Koi...” sussurrò Shu.
“Rovinare?” Touma uscì dalla cucina come una furia, cucchiaio sporco in mano. “Non dirlo nemmeno per scherzo! Diteglielo anche voi, invece di fare i pesciolini muti!”.
Ryo e Seiji servivano molto più energetici di così, se Shin era... così...
Seiji sembrò leggerli nel pensiero, non solo in quello di Touma, anche in quello di Shin. Per questo si avvicinò a lui e gli scostò una ciocca dalla tempia, in una gentile carezza e un sussurro nell'orecchio:
“Andrà tutto bene, te lo prometto”.
Quel gesto, il tono di voce, le parole, il sorriso con il quale le pronunciò spinsero Shin a sorridere a propria volta e ad annuire con un leggero cenno del capo.
E grazie alla magia di Seiji.
Touma passò un sorriso di nuovo speranzoso su tutti i ragazzi.
“E fra dieci minuti la cioccolata sarà pronta! Quindi mettetevi comodi, soprattutto Shin, e attendetemi!”.
Fece dietrofront per tornare, lesto, sui propri passi.
E Shin sembrò risvegliarsi di colpo.
Partì come un fulmine verso la cucina.
“Aspetta aspetta aspetta, la cucina... la cucina...”.
La cucina la considerava un po' off limits, anche quella di Nasty era praticamente riservata solo a lui e alla padrona di casa, non poteva consentire che un luogo così sacro fosse ridotto…
In cosa? In cosa avrebbero ridotto la sua cucina i nuovi coinquilini?
“Toumaaaa!”.
Quando entrò... beh, non trovò niente di troppo fuori posto.
Touma, ai fornelli, si girò un poco verso di lui e lo guardò con espressione accigliata.
“Non dovresti essere in sala tu? Ce la faccio con una cioccolata!”.
Shin si erse a testa alta, naso all'insù, espressione saputella, una mano su un fianco, l'altra sollevata, con l'indice alzato verso il soffitto.
“Prima regola di questa casa: la cucina può essere frequentata solo in mia presenza”.
Un sospiro e il ragazzo di Osaka tornò a mescolare il composto dolce.
“Beh, ora che ci sei siediti, no? Non vorrai rimanere lì in piedi come un pesciolino lesso”.
“Non mi piacciono i pesciolini lessi” sentenziò Shin, appoggiandosi ad un mobiletto della parete laterale, in piedi con le gambe accavallate e l'espressione sempre saccente, prelevando una patatina da un vassoio per sgranocchiarla con aria... aristocratica.
“Nemmeno a me” bofonchiò Touma togliendo la pentola dal fuoco. “È pronta. Dov'è che erano le tazze?”.
“Ma non sapevi tutto, tu?”. Ancora quell'aria, quella... faccia da schiaffi grazie alla quale rivaleggiava spesso con Touma. “Pensa un po', mi hai detto di restare di là e adesso mi avresti comunque disturbato per le tazze; non ha molto senso, sai?”.
Il ragazzo alzò le spalle, sogghignò.
“Beh, le avrei cercate se tu non ci fossi stato, ma visto che ci sei... me le dai?”.
Ed ecco la vecchia faccia da schiaffi. Quella non era cambiata.
“Alla tua sinistra in alto”.
Un'altra patatina che sgranocchiò con ostentata delizia.
Touma poggiò la pentola, andò alla credenza, l'aprì ed estrasse cinque tazze; mentre versava il liquido in esse, riprese a parlare.
“Sarà in arrivo anche Byakuen... cosa vogliamo dargli da mangiare?”.
Il volto di Shin si illuminò.
“C'è tutto quello di cui avrà bisogno!”
Erano davvero tutti lì, sarebbero stati una famiglia... con tanto di gatto di casa. Era un po' come tornare indietro nel tempo, anche in casa Mori c'erano stati gatti in passato.
“Ma guarda” ironizzò il compagno. “Per Byakuen c'era tutto l'indispensabile e per noi no?” e concluse il tutto con una plateale linguaccia diretta al ragazzo dell'Acqua.
“Forse perché Byakuen sa accontentarsi più di voi”.
Shin rispose a sua volta con una linguaccia e prese l’ennesima patatina che infilò dritta nella bocca di Touma.
Il ragazzo la sgranocchiò veloce, per poter tornare a parlare con aria fintamente contrita.
“Non sono una fogna! Non fino a questo punto! E poi, pesciolino, se vogliamo mischiare dolce e salato, allora serve qualcosa di più blando di una patatina”.
Touma, come al solito, cambiava discorso nel giro di due parole.
“E allora me le mangio tutte io!”.
Altra linguaccia e Shin prelevò dal vassoio un'intera manciata per infilarsela in bocca.
“E le altre le saprà gradire Shu!” aggiunse a bocca piena.
Era strano vedere Shin così poco attento alle finezze, segno che la situazione lo rendeva come ubriaco.
Touma girò sui tacchi e andò sicuro alla credenza da cui, con sicurezza, estrasse dei biscotti al cocco.
“Questi si sposano bene con la cioccolata...” bofonchiò tra sé, uscendo vittorioso dalla cucina.
Shin si affrettò a correre verso la medesima credenza dalla quale estrasse un altro pacchetto ancora chiuso, poi si lanciò al suo inseguimento.
“Aspetta, che magari non bastano!”.
Touma alzò gli occhi al cielo, andando a poggiare tutto sul tavolino del soggiorno; quindi si lasciò cadere sul divano, stretto tra due silenziosi ma sorridenti Ryo e Shu.
“Shin non aveva la cucina completamente sfornita, tranquilli!”.
“Il pesciolino ci sa fare... in cucina” commentò Shu, socchiudendo gli occhi e afferrando uno dei biscotti serviti.
Il complimento accarezzò le orecchie e l'anima dell'interessato che, presa una tazza, la tenne tra le mani a coppa e si inginocchiò proprio davanti a Shu, porgendogliela senza dire nulla, semplicemente con il sorriso dell'adorazione.
Shu fece tanto d’occhi, raccogliendo quella tazza a lui porta con uno strano calore al cuore che sapeva tanto di casa: guardò Shin e si ritrovò incapace di distogliere lo sguardo da quell'adorazione, la stessa che si poteva leggere nei suoi occhi.
Le mani di Shin si riabbassarono e lui rimase lì, con il medesimo sorriso, carponi davanti a Shu, contemplandolo dal basso in alto e sussurrò in tono carezzevole:
“Bevila tutta... poi te ne faccio ancora se vuoi. E ci sono tante cose di là. E ci sono anche tutte le cose che abbiamo comprato. E io... io mi metto subito a preparare la cena... sarà abbondante, te lo prometto...”.
Tutto quel fiume di parole per dire semplicemente: sarò il tuo nutrimento, mi prenderò cura di te... perché il senso delle parole di Shin era proprio quello.
Shu annuì semplicemente, arrossendo, troppo centro di attenzione, amore, affetto... centro di tutto quello che c'era di importante.
Era facile essere felici. Bastava davvero poco.
“Pesciolino, ci stai cuocendo la scimmietta così”.
Ovviamente la linguaccia del panda doveva sopraggiungere a turbare il momento.
Shin arrossì, si accoccolò sul pavimento, gambe incrociate e mani tra esse, imbronciato.
Ryo, che ancora non aveva toccato né cioccolata né biscotti, era troppo preso ad osservare tutto come in estasi e il suo sguardo correva, senza sosta, di qua e di là.
“Noi... vivremo proprio qui?”.
Touma guardò Shin, poi guardò Seiji e alzò gli occhi al cielo.
“Dobbiamo solo chiedere a Shin dove possiamo sistemarci e... sistemarci con armi e bagagli!”.
Shu non riuscì a trattenersi e fece la domanda più scontata:
“Possiamo dormire ancora assieme, come una volta?”.
“Credo... che dovremo cambiare letto e... prenderne un altro”.
Shin ragionava un po' tra sé, quasi balbettando. Doveva ammettere che, quando aveva preso quella casa, già ci aveva pensato a mettere dei letti... o anche un solo letto grande... in più. Non l'aveva fatto perché c'era stata quella parte di lui che negava quello che realmente lui voleva, o che forse gli suggeriva di non avere illusioni destinate a farlo soffrire.
“Intanto... per stasera ci sono i futon e... c'è una camera degli ospiti che diventerà... non più camera di ospiti, poi... poi lo studio... Touma se lo farà come vorrà e... e...”.
“Con calma, pesciolino” esclamò Touma mettendogli un dito sulle labbra. “Un passo alla volta e faremo tutto, no?”.
E guardò tutti i ragazzi, con un sorriso e un occhiolino finale, diretto allo stesso Shin.
“Basta che dormiamo tutti insieme…” sussurrò Shu, prendendo una mano di Shin tra le proprie. “Che stiamo insieme...”.
“Insieme” mormorò Shin in un sussurro stentato.
Che bel suono aveva quella parola. Si portò la mano di Shu verso il viso e vi strofinò contro la guancia.
“Insieme” ripeté ancora, perché se ne doveva convincere, doveva cacciare quella maledetta paura lasciatagli da tutti i traumi del passato.
Shu sorrise e lasciò scorrere lo sguardo sui compagni, finendo per fissarsi sul silenzioso Ryo che, ancora, non aveva spiccicato parola. Troppo timido per essere lui.
“Ryo?”.
Il ragazzo si riscosse, sorrise.
“Mi conoscete, io dormo anche sul tavolo. O addosso a tutti voi, se manca lo spazio”.
Seiji tossicchiò, la cioccolata quasi andata di traverso e Shin arrossì fino alle orecchie.
Shu si pentì quasi di avergli fatto la domanda, arrossendo come un peperone, un biscotto a mezza via tra il pacchetto e la sua bocca.
Touma sbuffò, posando una guancia sulla mano.
“Ti pareva.... fortuna che c'è anche Byakuen a proteggerci”.
“Ma che cosa avete capito?” borbottò Ryo.
“Il conoscerti porta fin troppo a interpretarti in determinati modi” commentò Seiji con flemma. Roteò un po' la tazza tra le mani e cambiò argomento. “Piuttosto... intanto stasera dormiamo tutti qui, ma dovremo almeno andare a prendere le nostre cose”.
“Ciascuno a casa propria, di nuovo” mormorò Ryo, pensando a quell'abitazione vuota in mezzo ai monti.
Shin fece correre lo sguardo da una parte all'altra, riflettendo sul fatto che, quando ognuno sarebbe ripartito, anche se per poco, verso casa propria, per lui si sarebbe rivelato un momento infinito.
“Io cercherò di essere velocissimo!” sentenziò Touma con uno sguardo serissimo fisso davanti a sé. “Domani mattina parto e torno per la sera, che ne dici, Shin? Tanto il grosso lo devo far recapitare con un corriere”.
Shu si passò una mano tra i capelli e sentenziò:
“Io avrò bisogno almeno di... due giorni”.
Avrebbe voluto essere veloce anche lui, ma... non poteva sparire così, con la sua famiglia.
“Io... potrei essere veloce” disse Ryo, “ma otoosan tornerà a casa dopodomani... quindi pensavo di dedicare la giornata di domani a raccogliere un po' di cose a casa e... poi aspettarlo, almeno per salutarlo di persona”.
Parlò con una sfumatura di titubanza, non sapeva ancora come avrebbe affrontato il padre, ma sicuramente sentiva che si sarebbe trattato di un incontro importante.
Seiji posò la tazza sul tavolino.
“Mi sa che potrei essere io quello che ci metterà più tempo. Io non potrò semplicemente dire: arrivederci a tutti, vado ad abitare da un'altra parte. Me li dovrò lavorare un po’”.
Shin sospirò al pensiero che, forse, ci sarebbe voluto parecchio tempo per riaverli davvero tutti lì insieme.
Un'ondata di paura lo assalì nuovamente, una vocina che gli diceva: illusione, illusione... non è fattibile, non illuderti troppo, è solo un sogno del momento.
Touma si morse le labbra, cercando di non esprimere a parole il suo 'disappunto': ma cosa poteva farci? Lui era... libero... ma i suoi nakama avevano dei doveri. Avevano qualcuno cui rispondere. Non era così facile. A lui sarebbe bastata una telefonata e tutto si sarebbe risolto.
Ma non erano pensieri che dovevano distrarlo ora.
“Allora io e Shin prepareremo la casa in vostra attesa... vero, pesciolino?”.
Shin annuì, poi, in un lampo, gli tornò l'entusiasmo per l'idea che gli era venuta, all'improvviso, in mente.
Con un sorriso smagliante sulle labbra, annunciò la propria idea:
“Quando ci saremo sistemati, magari il mese prossimo, che ne dite se ci facciamo un viaggetto giù ad Hagi tutti insieme? Magari nel week end, così perdiamo solo il venerdì e il lunedì di lezioni e saremo lì proprio quando... quando...”.
Si fermò, ricordandosi che ancora non aveva dato ai suoi nakama la bella notizia; arrossì e distolse lo sguardo, imbarazzato.
“Quando cosa?” chiesero in coro, curiosi, Shu e Touma.
Ryo e Seiji si limitavano a guardarlo, a nessuno era sfuggito quel blocco inspiegabile.
“Be'... ecco... mi piacerebbe essere là quando... quando...”.
Perché non riusciva a dirlo? Era una cosa bella no? Non era così complicato.
Forse proprio perché era tanto bella, gli sembrava che le parole potessero risultare banali, l'emozione finiva poi sempre per sopraffarlo ogni volta che ci pensava.
Gli sguardi di Shu e Touma si fecero ancora più curiosi, i loro corpi strinsero un poco quello di Shin.
“Quando... cosa?” ripeterono.
Chiudere la mente, inspirare, espirare, alzarsi e spingerli lontani, in tutto in una frazione di secondo, per poi dare le spalle a tutti e gettare fuori, in un solo respiro, senza prendere fiato:
“Presto io sarò lo zio Shin!”.
Seiji, che aveva ripreso in mano la tazza e sorseggiava di nuovo la cioccolata, per poco non la sputò.
Ryo si alzò di scatto e cadde in avanti, finendo direttamente addosso a Shu e a Touma.
“ZIO?!” si ritrovano ad urlare con tanto d'occhi i tre.
“Ma...” borbottò Ryo.
“Tua sorella...” bisbigliò Shu.
“Di già?” chiese infine Touma, con aria pensosa.
Shin, sempre più rosso, si voltò quel tanto che gli permise di scrutarli con la coda dell'occhio.
“Come di già? Sayoko-Neesan è sposata da un po', ormai”.
Touma alzò le spalle e sospirò.
“Sarà, mia madre direbbe così”.
Shu non parlò, ma pensò che forse anche la propria madre avrebbe detto la stessa cosa. Ma lei aveva avuto cinque figli. Era un'altra questione.
Shin si girò, mise le mani sui fianchi e sollevò il naso in un broncio.
“Invece di essere contenti per me, avete da sindacare o da guardarmi con quelle espressioni che non si capisce se siate felici o no?!”.
“Ma certo che siamo felici!” in coretto, il solito trio.
Ryo fu il primo a saltargli al collo, seguito da Shu che lamentava il ritardo. Touma affondò il viso tra le mani, guardando Seiji con silenziosa curiosità: non aveva detto molto del suo ritorno, ma sapeva quanto la sua mente fosse piena di dubbi e timori. Era Seiji, certo, ma non poteva negare certi pensieri.
Lo trovò sorridente, sinceramente contento per quel lieto evento che stava per capitare a Shin. Percepì lo sguardo di Touma su di sé e lo ricambiò, strizzandogli un occhio, ma gli sussurrò anche qualcosa:
“Posso parlarti un attimo?”.
Touma raddrizzò la schiena e fece un cenno affermativo, guardando con la coda dell'occhio i tre ragazzi.
“Noi andiamo a fare un giro in giardino” disse alzandosi e stiracchiando nervosamente le membra. “Voi tre mangiate ancora qualcosa”.
Uscirono nella frescura della sera primaverile; fuori era già buio, si sentiva il frinire dei grilli e, tra i cespugli, il fruscio di qualche animale tardivo.
Touma accese la luce esterna, non molto potente, ma che emanava un chiarore sufficiente a permettere ai due ragazzi di guardarsi in faccia e di godere della bellezza di quell'angolino tranquillo.
“Shin ha saputo tenere molto bene anche questo giardino” osservò Seiji. Due ciliegi ricchi di boccioli e un acero rosso facevano da riparo a un laghetto minuscolo, ma sufficiente a rallegrare le orecchie con il delizioso rumore dell'acqua, raccolta da una piccola shishi-odoshi che, a intervalli regolari, riempiva il silenzio con il tradizionale ticchettio del bambù contro la pietra. “Ha fatto un bel lavoro con il laghetto”.
“Beh, tu e Shin avete gusti molto simili in quanto a giardini”.
Dove voleva andare a parare con quel discorso? O voleva metterlo solo a suo agio?
Seiji camminò fino a una lanterna in pietra sotto agli alberi e la carezzò con la mano.
“Si starà bene qui a meditare; non è neanche una zona troppo rumorosa durante il giorno”.
Touma si sedette sul gradino che legava la casa al giardino e, mento sulle ginocchia, si mise ad osservare intento l'altro ragazzo.
“Deve assomigliare un po’ a casa sua”.
“Anche un po' a casa mia”.
La mano di Seiji indugiò sulla cima della lanterna, lo sguardo un po' perso nella fonte che ora, al buio, sembrava un buco nero senza fondo. La sua voce, nel nominare la propria casa, aveva assunto una sfumatura cupa.
“Qualunque cosa tu debba dire, dilla e facciamola finita” borbottò Touma, stringendo con forza le dita sulle gambe. “Non amo i giri di parole, lo sai”.
Sapeva di cosa voleva parlare, ma non era ancora in grado di comprenderne la gravità e la cosa lo atterriva in maniera insopportabile.
Seiji fece scivolare la mano via dalla pietra e si voltò a scrutarlo.
“Vorrei dire di essere del tutto sereno, Touma, ma non voglio mentire, né a voi, né a me stesso. Ho delle preoccupazioni che mi causano turbamenti, e...” esitò qualche istante e nel frattempo abbandonò la propria posizione per fare qualche passo verso il compagno, continuando ad osservarlo dall'alto, “io voglio solo chiederti una cosa... ho bisogno di sapere una cosa”.
Mentre il compagno si avvicinava, Touma inconsciamente si ritirava in se stesso, prevedendo di dover ascoltare qualcosa di molto amaro: le mani si aggrapparono tenacemente ai pantaloni, il mento si puntò con forza sulle ginocchia. Il cuore martellava come un indemoniato.
“Cosa?” un sussurro, solo uno.
Seiji piegò le ginocchia e si accovacciò, cercando i suoi occhi con i propri.
“Che sarai con me: io dovrò combattere un'altra battaglia, Panda, ho bisogno di sapere che avrò sempre il tuo sostegno”.
Era... era...
“Ma certo che ce l'hai!” la voce di Touma proruppe, assieme a un movimento improvviso del capo che quasi lo portò a cozzare contro quello di Seiji. “Io ti appoggerò sempre, lo sai che farei qualunque cosa per te!”.
Ma che domande gli faceva? Non aveva idea di come certe cose lo facessero stare.
Seiji interruppe quella foga afferrandogli con forza il viso e premendo le proprie labbra contro quelle del compagno.
 
... wow...
Così non se l'aspettava proprio.
Touma sbatté gli occhi un paio di volte prima di richiuderli e godersi un bacio che desiderava da tanto, troppo tempo.
Quando le loro labbra si staccarono, Seiji mantenne le mani sul suo volto e gli occhi nei suoi.
“E cerca di capirmi se per me sarà difficile... molto difficile”.
Gli occhi di Touma non si staccarono dai suoi, mentre le mani andavano a cercare le sue: le strinse, ingollò e riaprì bocca.
“Lo so...”.
Seiji ricambiò la stretta, il suo sguardo si fece ancora più intenso.
“Io voglio vincerla questa battaglia, voglio davvero vincerla, ma voglio dirti esattamente cosa rischio, perché tu capisca fino in fondo la mia difficoltà”.
Era un grande peso per Seiji.
Per Touma era stato semplice dire di sì, ma non aveva pensato a quanto i legami potessero mettere i suoi nakama in difficoltà: non che rinnegasse la sua scelta, ma... capiva di essere stato un po’ egoista con loro.
“La... capisco, davvero”.
“Non fraintendermi, Touma, quando oggi ho detto sì, l'ho pensato davvero e lo penso ancora, niente mi farà cambiare idea, qualunque sia il prezzo... ma il prezzo per me potrebbe essere molto alto e per sopportarlo avrò bisogno di tutti voi”.
Touma non poté far altro che annuire: non sarebbe stato più lontano con nessuno di loro, non avrebbe abbandonato nessun nakama. Soprattutto quando rischiava così tanto... anche per lui.
“Voi siete già la mia famiglia, per il momento siete la mia famiglia spirituale e quell'altra quella di sangue ma... potreste rimanere voi la sola”.
Gli occhi di Touma si spalancarono immensi a quella rivelazione: davvero, aveva pensato ad arrabbiature, anche colossali, a cose che avrebbero portato a mesi di silenzi, ma... il rifiuto completo da parte della sua famiglia? Il disconoscimento?!
Non lo farebbero! Non lo faranno! avrebbe voluto gridare.
Ma si sarebbe sentito solo uno sciocco bambino che si lagna dell'inevitabile.
Fu invece Seiji a continuare, ma distolse un poco gli occhi, segno che l'argomento era per lui alquanto doloroso.
“Mi ostacoleranno in tutti i modi, non sarà facile per nulla far loro accettare la mia decisione e potrebbero anche non convincersi mai... potrei lasciarli con l'invito a non farmi mai più vedere da loro. Potrebbero arrivare a questo, ne soffrirebbero, ma questo non li fermerebbe se ritenessero che io stia sbagliando, se persistessero nella convinzione che io sia nel torto. In quel caso, io non esisterei più per loro, dovrò lavorare per mantenermi e anche per pagarmi gli studi, da erede dei Date diventerei un ragazzo come tanti con gravi difficoltà economiche. Non mi spaventa questo, ma mi spaventa tutta la situazione”.
Sentire sulla bocca di Seiji la parola spaventato era abbastanza straordinario da rendere evidente come, in effetti, si sentisse.
Non c'era tempo per le lacrime, nemmeno per parole insensate: Seiji aveva già pensato a tutto, aveva già progettato, messo in conto e... rassegnato, se quella fosse stata la risposta.
Seiji aveva bisogno che lui, Touma, fosse altrettanto pronto a supportare quello e ciò che Seiji avrebbe dovuto vivere, nel bene e nel male.
Ma non era quello che si erano promessi, quando le parole 'ti amo' erano uscite dalle loro bocche?
Era la cosa giusta, ma soprattutto era ciò che Touma aveva intenzione di fare. Per l'incertezza non vi era spazio.
“Io ci sarò sempre” disse con vigore e serietà il ragazzo del Cielo. “Ovunque e comunque ti porti la tua scelta, non rimarrai mai solo”.
Seiji annuì, i suoi occhi restavano stranamente bassi.
“Vorrei solo che tu ti fidassi completamente di me, che tutti voi lo faceste... qualunque cosa dovesse accadere, io tornerei comunque da voi”.
“Ma io... e i ragazzi di te ci fidiamo completamente... lo sappiamo che quando fai una promessa... sappiamo che tu la manterrai fino alla fine”.
Lo sapeva, lo sapevano tutti. Era Seiji e quella caratteristica amabile era... così, vera. Touma si chinò leggermente verso Seiji e fece qualcosa che, con lui, non aveva mai fatto: gli baciò la fronte, facendo poi scivolare la propria fronte contro la sua.
Era in quei momenti che Seiji sapeva arrossire, che sapeva trasformarsi, da samurai, in semplice ragazzo di quasi diciotto anni e, allora, lui che tendenzialmente non era fragile, imparava ad esserlo e a chiedere sostegno.
Fu così che si sporse in avanti e, con la grazia che sapeva infondere in ogni cosa, allacciò il collo di Touma e gli chiese un abbraccio.
Touma era una persona relativamente nuova agli abbracci, ma c'era da dire che aveva imparato molto in fretta a goderne e a renderli più sicuri e piacevoli che potesse.
E anche stavolta, senza eccezione, riuscì a rendere la sua stretta calda, sicura, protettiva e anche un po’ indispensabile.
Voleva che tutto fosse già finito, che ogni cosa fosse a posto, per quanto si trattasse di un pensiero ingenuo.
Ma non si era aspettato l'evolversi di quella situazione; le spalle di Seiji furono di colpo scosse da un tremito strano, che si poteva associare solo al pianto. Niente di plateale, persino in quella dolorosa manifestazione emotiva Seiji riusciva a mantenersi nobile e discreto.
E l'abbraccio si fece più stretto, le labbra di Touma gli sfiorarono le guance, i capelli e la bocca sussurrò suoni per tranquillizzare, lenire, anche solo un po’ consolare il suo gentile Seiji.
Riuscì nell'intento e i silenziosi singhiozzi si spensero in un sorriso mesto, che Seiji permise a Touma di vedere, sollevando il volto, pur non guardando il compagno.
“Touma, posso confessarti una cosa?”.
“C-certo che puoi...”.
“So che può sembrare assurdo, a te, ai ragazzi, con tutto quello che abbiamo affrontato, ma… credo di non aver mai avuto tanta paura in tutta la mia vita, se non quando ho temuto di perdervi”. Si interruppe un attimo, il tempo di emettere una risatina triste e, forse, vagamente auto ironica. “Non mi sento abbastanza samurai di fronte alla mia famiglia, temo”.
Le mani di Touma furono veloci nello scivolare sotto il mento di Seiji per sollevarlo: era stato per tutto quel tempo col volto basso, senza guardarlo, come se avesse vergogna delle proprie parole.
“Non ridere di te... io non posso capire, perché la mia famiglia è quello che è, lo sai... ma non dovresti vergognarti di quello che provi” un pollice accarezzò lievemente una guancia bagnata di Seiji. “Con chi si ama, a volte, il coraggio che abbiamo non basta, ma...” un sospiro, Touma ingollò. “... lo puoi trovare in noi”.
Seiji annuì, finalmente riuscì a tenere lo sguardo alto, fisso in quello del compagno.
“Grazie Touma. Aver trovato voi è l'immensa fortuna della mia vita”.
“Per tutti noi lo è stato, Seiji” sussurrò il compagno, prima di posare un bacio leggero e innocente sulle sue labbra. Poi gli sfiorò il naso col proprio e sospirò. “Tanto...”.
“Ragazzi...” mormorò un’amabile voce dietro di loro.
Shin, in piedi sulla soglia, li osservava, con espressione malinconica.
“Va tutto bene?”.
Davanti a lui, Seiji riprese tutto il proprio controllo; era certo che gli fosse bastata la sua empatia per intuire ogni inquietudine che lo circondava e Seiji non voleva turbarlo più di quanto già sicuramente era.
Così gli sorrise.
“Certo Shin, parlavamo di questioni organizzative”.
Non era sicuro che ci avesse creduto, Shin sentiva troppo e non era facile ingannarlo sulle questioni emotive.
Infatti, la sua espressione non mutò, neanche quando porse l'invito:
“Venite a mangiare qualcosa tutti insieme?”.
Touma si alzò per primo, prendendo Seiji per una mano e sorridendo con aria dolce e pacata.
“Ma certo... altrimenti come possiamo dormire?”.
Era un modo per non preoccupare Shin, ma lui sapeva tutto e lo viveva, come uno tsunami, dentro di sé; per questo, quando i due compagni gli passarono accanto, sfiorò fuggevolmente, un po' timido, le loro spalle e ad entrambi giunse un lieve sussurro:
“Andrà tutto bene”.
Touma si volse verso di lui, allungò la mano libera e prese una di quelle di Shin: la strinse, senza una parola, ma gli sorrise, con tutta la riconoscenza che aveva in corpo. A volte, perché le cose succedano, basta desiderarlo fortemente.
E loro avrebbero desiderato e pregato, se necessario.
  
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