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Autore: Helliegoland    13/02/2019    5 recensioni
Kinstugi, letteralmente "riparare con l'oro".
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell'oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.
In psicologia viene chiamato RESILIENZA, un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Questa storia narra di vicende che cambieranno per sempre la vita dei nostri amati personaggi. Se siete deboli , non aprite questa storia.
REVISIONE IN CORSO...
Genere: Avventura, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Collant Taro, Happosai, Ranma Saotome
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Svegliarsi era sempre stato un problema: ai tempi della scuola ci riusciva grazie al poco garbo con cui Akane gli versava addosso acqua gelida, o urlava a squarciagola che era tardi e che non sarebbe mai maturato. 
Passati due anni dal diploma, che a stento era riuscito ad ottenere, non era cambiato molto: in quel tempo mandava avanti la palestra di arti marziali indiscriminate, come da accordi, insieme alla fidanzata, sottoponendo gli allievi a duri addestramenti che avevano il compito di scovare i meno talentuosi tra chi era davvero interessato a quella nobile disciplina. Né lui ne Akane si risparmiavano: insegnavano insieme fin dal primo mattino e quel giorno non sarebbe stato da meno.
Fece un lungo sbadiglio accompagnato da una lacrima. Stirò i muscoli rendendosi conto di quanto facessero male. Non ricordava affatto di aver compiuto dei kata potenti il giorno prima, eppure l'acido lattico si diramava su tutto il corpo. 
"Che sia stato il sogno?".
Sapeva in effetti di aver fatto un incubo, ma a parte la fidanzata terrorizzata da lui non ricordava altro. Fece un altro sbadiglio e si mise seduto ammirando la luce fioca che attraversava le finestre di carta. Era arrivato il momento di alzarsi: scostò le coperte e ripiegò il futòn posandolo in un angolo della stanza. Suo padre non c'era quindi la giornata era iniziata davvero bene. Aprì la fusuma con l'ennesimo sbadiglio e incrociò la sua fidanzata intenta a scendere le scale.
"Buongiorno Ranma", gli disse con un sorriso radioso. Ah, già. Oggi era il suo compleanno.
"Buongiorno Akane", replicò timido grattandosi la nuca. 
Si avvicinò a lui sorprendendolo, non poco, con un abbraccio. Rispose delicatamente a quel gesto che, ormai, si sentivano liberi di fare. Sospirò triste rendendosi conto che oltre questo contatto non c'era stato nulla. 
"Buon compleanno", gli disse sorridendo felice. Alzò piano la testa guardandolo negli occhi. Davvero le stava bene così? Cercò di stringerla di più a sé... forse poteva azzardare una mossa in più. La chiamò con voce roca prendendole il viso tra le mani, stando bene attento a non abbassare lo sguardo sul seno che premeva contro il torace. Per l'ennesima volta lei si scostò accampando la solita scusa che in casa non erano soli e che non potevano permettersi altri gesti, o i loro genitori li avrebbero fatti sposare seduta stante. Possibile che non potesse avere altri contatti con la donna che amava?
Frustrato si allontanò un poco, ma lei restituì uno sguardo deluso a sua volta che in un attimo gli fece tornare in mente l'incubo che aveva fatto. Pentito, tornò sui suoi passi abbracciandola più forte di prima e posando una guancia sulla sua testa.
"Promettimi che non avrai mai paura di me. Mai. In nessuna circostanza".
Akane trasalì a quella richiesta tanto bizzarra quanto inaspettata, ma decise di stare al gioco annuendo. Si staccarono e ognuno tornò eretto, voltandosi in diverse direzioni come macchine pronte a fare il proprio dovere.
 

                                                                                §

 

Correva svelta verso la cucina dove Kasumi era intenta a preparare le pietanze per il pranzo.
Aveva pensato a due regali, ma non riusciva a scegliere. Decise quindi di chiedere consiglio alla sorella maggiore.
"Sorellona, puoi darmi un parere?", chiese tirando fuori un ji con il nome del festeggiato cucito dietro.
"Forse sarebbe più adatto ad un'altra occasione", le rispose dolcemente. "Hai pensato a qualcos'altro?".
"Beh, sì, ma non voglio che lo vedano i nostri genitori. Penserebbero che stiamo per sposarci".
Trascinò dal corridoio un cesto di vimini con un'etichetta cinese. Kasumi spalancò gli occhi e per poco non le volarono le pentole dalle mani.
"Come hai fatto ad averla?". Sì, quella era la scelta giusta.
"Me la sono fatta spedire dalla guida di Jusenkyo. Temevo non arrivasse in tempo, invece l'hanno portata questa mattina presto...".
"È un regalo perfetto, ne sarà felice. Magari nascondilo in cucina così non avrai problemi".
Con un abbraccio lasciò Kasumi ai fornelli nascondendo con cura il regalo su uno scaffale in cucina. Non aveva intenzione di far rovinare una sorpresa tanto importante per la seconda volta. Era sua e se la meritava. Mentre saliva le scale intenta a tornare nella sua stanza si bloccò pensando alla strana richiesta del fidanzato fattale precedentemente: Promettimi che non avrai paura di me. Mai. In nessuna circostanza. Lei aveva annuito senza pensarci. In fondo perché avrebbe dovuto avere paura di lui? Possibile che quel baka non si rendesse conto di quante cose fossero cambiate dalla lotta contro Safulan nel monte Ho-oh? Non solo ne erano usciti vittoriosi, ma non erano mai stati più uniti. Una squadra, ecco ciò che erano. Ridestatasi da quei pensieri bui, tornò a salire le scale di fretta: era ora che quello stupido, il suo stupido, festeggiasse come si deve.
Che bugiarda. Voleva solo farsi bella ai suoi occhi con un regalo che l'avrebbe scioccato, ricordandogli ciò che era diventato, un vero uomo, abbandonando quell'ingombrante, a suo dire, parte di sé.

 
                                                                                       §

 

Nodoka era allegra e spensierata mentre si avviava a passo veloce verso la casa dei Tendo. Portava con sé due pacchetti: la "saponetta dell'uomo virile" comprata da quel simpatico negoziante cinese e sette okonomiyaki presi dalla piccola Ukyo. Si era sentita in colpa quando aveva comprato il suo cibo senza che fosse stata invitata. L'imbarazzo era palpabile, ma con la scusa del festeggiamento tra familiari era riuscita a non farsi tempestare di domande. Diede un'occhiata al cielo e si rese conto di essere un po' in ritardo. Quasi fece una corsa nonostante fosse vicina, finché un urlo non la fece rallentare di fronte l'ingresso.
"Brutto vecchiaccio! Non indosserò mai un reggiseno!".
"Ma dai, Ranma, fa' felice questo povero vecchio! In fondo anche la tua parte femminile compie gli anni ed ho pensato di fare un regalo anche a lei".
"Maledetto! Ti faccio vedere io!".
Un fuoco d'artificio si levò dalla direzione della sala da tè di quella che ormai era anche la sua casa. Il maestro era forte ma non aveva compreso il dolore provato dalla sua famiglia a causa di tutti i danni fatti dal marito, portando loro figlio alle sorgenti maledette trasformandolo per metà in donna. Entrò togliendo le scarpe sul genkan avviandosi nella sala da tè, dove trovò Genma e Soun intenti a rimpinzarsi. Nabiki invece aveva il suo solito sguardo annoiato e reggeva la testa con una mano sbuffando in direzione opposta ai due storici amici. Akane aveva un'aria tra l'arrabbiato e l'imbarazzato, Kasumi, ormai abituata a quelle scenette, le andò incontro dandole una mano a posare il pacco più pesante, dicendole che era in perfetto orario e che stavano aspettando lei per cominciare a mangiare. Se non fosse stato per gli uomini "maturi" la frase sarebbe stata azzeccata. 
"Cara, cos'erano quei fuochi d'artificio? Dov'è mio figlio?".
"Quello era l'happodaikarin del maestro", rispose secco Genma con la bocca piena e la mano intenta a rubare un okonomiyaki, che prontamente Nabiki allontanò. 
"E nostro figlio?".
Ranma, o meglio Ranko, tornò in quel momento con le scarpe di due taglie più grandi in mano, completamente fradicia. Corse nella sala ma del vecchio non vi era nessuna traccia. Di sicuro era andato a svaligiare qualche negozio di biancheria intima. La presenza di sua madre gli fece venire un brivido: anche se non portava più la katana con sé, non si era ancora abituato a mostrarsi da ragazza da quando aveva saputo la verità.
"Vado subito a lavarmi. Quel vecchiaccio mi ha fatto volare in un laghetto non lontano da qui. Torno subito".
"Aspetta, prendi questo".
Nodoka gli diede un pacchetto piccolo quanto una confezione di fazzoletti. 
"Questo è per te, considerando l'occasione credo che ti sarà utile", disse al figlio con un sorriso dolce.
"G-grazie mamma".

 
                                                                                      §

 

Intimidito, Ranma si congedò con un inchino imbarazzato, sgattaiolando in corridoio diretto al bagno. Un regalo dalla mamma. Non sono abituato a cose simili. Cosa mi sono perso in questi anni.
Una volta entrato nell'antibagno, si tolse i vestiti bagnati e aprì il pacchetto: conteneva una scatola rossa decorata con dei dragoni perlacei, all'interno della quale vi era una saponetta. 
"Bene, un'ottima scelta per l'occasione!".
Quel sapone però era strano: si consumava in fretta e non aveva alcun odore. Magari lo sentivano solo le donne, avendo innanzitutto ripreso il suo naturale aspetto. L'ofuro se lo sarebbe goduto un'altra volta, per il momento sollevò il secchio pieno d'acqua calda e se lo versò addosso. Lavato e vestito tornò con la testa fra le nuvole dove si trovavano entrambe le famiglie. Magari era la fame, però cominciava a sentirsi un po' strano. I muri parevano dilatarsi ad ogni suo respiro e il pavimento sembrava più morbido. Arrivato, cercò di mettere a fuoco ogni persona presente nella sala, quando vi scorse Akane. Non poté fare a meno di fissarla: in quel momento gli parve un angelo. 
L'occhiata, naturalmente, non sfuggì alla più furba delle sorelle Tendo.
"Ranma, è l'ora del dolce, sì, però mia sorella non si mangia. Non così".
"Nabiki!", la rimproverò Akane con una finta rabbia.
"Finalmente ti accorgi della bellezza della tua fidanzata, eh, ragazzo?", rispose Suon ad occhi chiusi sorseggiando del tè.
"Oh, cielo! I mochi sono rimasti in cucina", disse Nodoka cercando di ristabilire gli equilibri. Stranamente suo figlio non le diede modo di pensare che fosse in imbarazzo.
"Perché non andate insieme, Akane? Sembra proprio che Ranma non veda l'ora di rimanere solo con te", disse arcigna Nabiki che a stento tratteneva un ghigno compiaciuto.
La piccola Tendo era pronta con le mani davanti al viso in segno di diniego, quando vide Ranma andare in corridoio in tutta calma.
"Beh? Andiamo?", le chiese Ranma sorprendendo tutti.
C'era ben poco da fare. Si alzò e lo seguì a testa bassa trovando più interessante il pavimento che la schiena del suo aitante fidanzato. Di solito, quando erano costretti dalle loro famiglie a fare qualcosa insieme, uno dei due si ribellava per paura di far pensare a matrimoni e nipoti in arrivo. Ma in fondo che importava? Sarebbero dovuti andare lo stesso in cucina.
La stanza era buia e non gli era venuto in mente di accendere la luce prima di varcare la soglia. Ci pensò Akane a farlo. 
"Che fai ferma lì? Entra", disse con una tranquillità tale da intimidire non poco la fidanzata. 


Entrata in cucina si sentiva così imbarazzata che le guance le presero fuoco. Se le tastò per verificare che non si levassero fiamme. Ranma aveva un aspetto sicuro e rilassato, nonostante sapessero entrambi di essere soli e di rimanervi finché non sarebbero tornati dalla cucina coi mochi. Quando lo vide girarsi e guardarla come un lupo affamato, squittì che il suo regalo si trovava proprio in quella stanza, prima che potesse muovere un muscolo e saltarle addosso. Lo vide studiare l'ambiente alla ricerca dell'oggetto in questione senza riuscire a scorgerlo. Arresa si avvicinò a uno scaffale tirando fuori la cesta ricolma d'acqua. Per un momento le parve di vedere gli occhi del fidanzato saettare velocemente da un lato all'altro, senza riuscire a scegliere cosa in quel momento gli interessasse di più. 
Il disagio prese il posto della timidezza. 
"Ecco, tieni", disse spezzando il silenzio.
"È ciò che penso?", le chiese osservando la cesta. Akane tirò un sospiro di sollievo.
"Verifica tu stesso", disse senza poter evitare di sorridere. Aveva fatto centro e poteva godersi appieno la reazione del fidanzato.
Ranma si gettò l'acqua addosso fidandosi di lei e, bagnato dalla testa ai piedi con acqua fredda, lo vide tastarsi ovunque per verificare che la trasformazione in donna non fosse avvenuta.
"La Nan Ni Chuan...". Gli occhi di Ranma tornarono più acuti su di lei.
Fu allora che il disagio tornò ad attanagliarle lo stomaco: la tirò a sé per un braccio stringendola al petto e ridendo.
"Grazie... oh, grazie davvero". 
Stavolta non vi fu esitazione, poiché senza prenderle il viso, la baciò dolcemente sulle labbra. Da quando si esprimeva così liberamente? Doveva ammettere però che nonostante fosse un piccolo bacio, era stato il loro primo vero bacio consenziente. Più o meno. Si impose di stare ferma, ma l'abitudine era così forte da muovere le gambe senza che potesse impedirselo. Gli diede un calcio sugli stinchi urlando che era uno stupido e scappando subito dopo verso la sala da tè. 
"Non può averlo fatto davvero! Mi ha baciata e senza permesso, per giunta! Accidenti a lui! Non ero minimamente preparata a un gesto simile! Dannazione! Vorrei sprofondare ora, subito!".

 
                                                                                   §

 

La difficoltà nel mantenere un sonno ristoratore lo perseguitò fino alle 2:40 del mattino. Si svegliò dopo l'ennesimo incubo in cui lottava contro dei mostri invisibili, perdeva i suoi cari o si ritrovava sconfitto senza possibilità di muoversi. Una volta seduto gli dolevano le mani e aprendole trovò segni di unghie: doveva aver stretto i pugni. La cosa che più lo scioccò però non fu questo, neanche il bagno di sudore e il tremore che l'avevano accompagnato, piuttosto qualcosa di appiccicoso nella sua zona più intima. Non era di certo la prima volta che succedeva: nei suoi ormai 19 anni conosceva bene il suo corpo sotto ogni aspetto.
Si controllò alla bene e meglio, ma essendoci sua madre nella stanza con lui e quell'odioso panda, non voleva rischiare di fare una figuraccia. Andò verso il bagno dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua in cucina e si ricordò della sensazione che gli aveva dato abbracciare Akane. Era morbida, forte, calda... Il suo odore l'aveva ancora addosso. L'aveva baciata con tanta naturalezza da rimanere scioccato. Sentiva che dentro di sé qualcosa stava cambiando. Magari era stufo di rimanere nello stesso punto? La sua natura avventurosa premeva così tanto? Aveva bisogno di qualcosa in più nella vita, questo era un dato di fatto ma non sapeva da dove cominciare.
Una voglia crescente faceva pressione nell'intimo ancora da lavare e decise che era meglio darsi da fare invece che rimanere imbambolato a fantasticare sul suo maschiaccio. Arrivò nell'antibagno togliendosi la maglietta per poi bloccarsi subito dopo per un capogiro, che lo fece poggiare sul lavabo guardando dapprima il vuoto, poi la sua immagine riflessa nello specchio: sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Solo alla fidanzata aveva visto fare un'espressione tanto accigliata. Una fitta allo stomaco gli fece stringere la porcellana tanto forte da romperla. Si guardò le mani e subito dopo fece caso a ciò che aveva tra le gambe.
"Possibile che non ti sia sfogato completamente? Hai rischiato di farmi fare una figuraccia davanti a mia madre, accidenti a te!".
Non vedeva l'ora di farsi un bagno, l'ennesimo, e ritirarsi nella sua stanza cercando di recuperare quel poco di sonno che gli rimaneva. L'unica cosa che poteva aiutarlo era pensare ad Akane che si allenava nel cortile di casa, che rompeva pile di mattoni in un solo colpo, che sferrava calci con forza al di sopra di ogni donna comune. Quel maschiaccio l'aveva conosciuta proprio così: forte, energica e piena di vita, dapprima gentile con la sua versione femminile, ma un mostro assetato di sangue con la sua versione maschile. È per questo che ti è sempre stata a cuore, brutto idiota , pensò. 
Poi un altro capogiro, più forte del precedente lo fece cadere sulla porta che separava il bagno dall'antibagno, sbattendo la testa per terra.
Fu così che cadde nell'oblio.


 
                                                                                       §

 

Erano le sette del mattino quando qualcuno bussò più volte quasi a sfondare la porta. Poco dopo l'avrebbe fatto sul serio.
"Figlio degenere! Che diavolo ci fai chiuso lì? Il bagno non è solo tuo!". Un Genma molto arrabbiato entrò nell'antibagno rimanendo interdetto: la canotta di suo figlio lasciata in mezzo alla stanza, il lavandino rotto e parte della fusuma sfondata.
"Cos'è successo? Sta bene?", le voci preoccupate di Kasumi e Nodoka non furono sufficienti a fargli distogliere gli occhi da quello scempio. 
"Non entrate, me ne occupo io".
Le sue parole furono male accolte da entrambe le donne perché non fecero che accrescere le loro ansie, soprattutto di sua moglie. Mentre spostava la porcellana rotta del lavandino per evitare di ferirsi, udì Nodoka che, con voce preoccupata, spiegava a Kasumi che non aveva trovato Ranma a letto, né da nessun'altra parte. Quindi era rimasto solo da controllare il bagno e per fortuna era lì. Anche se il tono del marito non la rassicurava di certo sulle condizioni del figlio.
Genma si avviò verso il bagno aprendo le ante della fusuma e trovò suo figlio steso a terra, mezzo nudo, con la faccia deformata dalla rabbia e un rivolo di sangue, ormai rappreso, che gli imbrattava la testa. 
"Ma tu guarda che razza di figlio mi ritrovo. Hei, Ranma! Svegliati! Il bagno non è solo tuo e qui ci vivono anche delle donne, se te ne fossi dimenticato! Ma poi, che diamine hai combinato là fuori?!".
Il ragazzo si svegliò di soprassalto con gli occhi sbarrati, ma con la consapevolezza di aver combinato un guaio. Si mise seduto a gambe incrociate col capo chino e una mano sulla fronte, spostandola poi sulla testa e grattando via il sangue secco.
"Sbrigati. C'è gente qui fuori che aspetta solo te per potersi fare un bagno".
Ranma non rispose, si limitò a guardarlo accigliato. Ma perché se ne stava ancora lì a fissarlo con quella faccia da ebete? Gli dava sui nervi.
"Se solo non avessi avuto un figlio stupido come te, non mi ritroverei a dovermi scusare continuamente con tutti".
"Ora basta, vattene subito, vecchio! Qui ci penso io, ma adesso chiudi quella fogna e lasciami solo". L'aura combattiva del figlio si espanse per tutto il bagno facendogli venire la pelle d'oca, tanto che si girò su se stesso e se ne andò borbottando.
"Maledizione, questa non ci voleva. Per lo meno non mi hanno visto gli altri. Non ho neanche fatto il bagno. Argh! Dov'è il sapone della mamma?".

 
                                                                                           §

 

Akane scese le scale pronta a mandare giù un boccone. Si accomodò nel kotatsu con i piatti già in tavola e chiese che ore fossero, prendendo un po' delle prelibatezze cucinate da Nodoka.
"Sono le 9:00 cara".
"Mmh, strano. Di solito non mi sveglio così tardi. Ecco perché siamo sole, zietta".
Nodoka si bloccò mentre portava dei piatti a lavare.
"Beh, in realtà non proprio. C'è Ranma di sopra che dorme. Stanotte deve essersi sentito male. Non ha nemmeno voluto fare colazione, perché dal bagno è tornato in camera a coricarsi".
Akane si fermò con le bacchette a mezz'aria pensierosa. Perché la zietta continuava a darle le spalle?
"Davvero? Ha mangiato qualcosa che gli ha fatto male? Io non ho cucinato, giuro!".
"No, cara, non credo sia un problema del genere".
"Magari appena finisco qui vado a trovarlo".
La donna non si mostrò particolarmente felice della sua affermazione.
"Non credo sia una buona idea. Potrebbe essere contagioso... perché invece non...".
La donna si girò per vedere una reazione che dimostrava di averla convinta, ma si ritrovò uno sguardo indagatore che aveva visto solo in Nabiki.
Sospirò arresa e si avviò in cucina con i piatti sporchi, avanzando lentamente e rimuginando sul da farsi. Forse l'unica a poter aiutare il figlio era proprio la fidanzata.

 

                                                                                          §

 

Finita la colazione, Akane salì le scale avviandosi verso la stanza dei Saotome, immaginando che con un po' di allenamento mattutino Ranma si sarebbe ripreso. Arrivata di fronte alla porta si sentì rabbrividire: un'aura minacciosa, pronta a scattare, si aggirava oltre quelle ante. Magari per ora lo avrebbe lasciato in pace.
Passarono diversi giorni da quando non lo vedeva in giro per casa. Aveva provato a cercarlo da Ukyo e da Shan Pu, e adesso gravava su di lei una mezza idea che fosse partito senza dirle nulla, ma tutti le assicuravano che stesse bene e che stava seguendo un regime d'allenamento molto pesante che prevedeva l'isolamento. 
Si sentì infastidita, non tanto perché le mancava Ranma, piuttosto perché le impedivano di vederlo o di darle notizie concrete. Non c'era mai durante i pasti, né durante gli allenamenti, né in nessun altro luogo. Non era riuscita ad incrociarlo nemmeno quando, qualche sera prima, si era appostata dietro la porta della sua stanza.
Niente. 
Ricorrere a Nabiki era l'ultima chance che le rimaneva.
"Allora? Dove si nasconde? Come sta?".
"Da quello che ho scoperto, cara sorellina, è che l'hanno rinchiuso in palestra. Dorme dove teniamo gli attrezzi e non fa altro che allenarsi. Qualche volta anche durante la notte. Se vuoi scoprire di più, potrebbero volerci altri mille yen, ma per te farò uno sconto", concluse la sorella con un immancabile occhiolino e il palmo aperto verso di lei. Ma ad Akane bastavano queste informazioni per poter agire e scoprire cosa stava realmente succedendo. In fondo erano una squadra, no? E quell'aura. Doveva saperne di più... 
Per cena, con una scusa, aveva evitato di toccare qualunque pietanza preparata apposta per lei, la mise in un vassoio assicurandosi di non essere scoperta e quando si fece abbastanza tardi si avviò in palestra. Ora che ci faceva caso non vedeva neanche il signor Genma da parecchi giorni. Il percorso dalla casa al dojo non fu tra i più rilassanti: sentiva una strana tensione all'addome come quando doveva combattere. Sospettava ci fosse qualcosa in più rispetto agli allenamenti folli a cui lo sottoponevano, non sapeva spiegarlo ma... lo sentiva. Anche il suo corpo lo percepiva dacché era arrivata alle porte del dojo e il vassoio che teneva fra le mani tremava, così come anche le gambe, ed era particolarmente rigida. Ormai non poteva ne' voleva tirarsi indietro. 
Aprì lentamente la porta e vi scorse finalmente Ranma che si allenava a piena potenza. I kata erano molto carichi, come se stesse lottando contro un nemico invisibile.
"Hei, ti ho... portato da mangiare".
"Che ci fai qui? Vattene. Non vedi che mi sto allenando?".
Adesso più che rigida cominciava ad essere arrabbiata.
"Brutto idiota! Sei sparito e mi ero preoccupata!".
"Tu preoccupata? Ma fammi il piacere! Non riusciresti a provare un sentimento benevolo nei miei confronti neanche con la spilla della discordia!".
Da quando aveva ripreso ad insultarla così? Non accadeva da un mucchio di tempo.
"Ah sì? Come puoi dire una cosa del genere mentre sono con la tua cena, o meglio, la mia cena che ho rifiutato per darla a te?".
Ranma diede un'occhiata furtiva alla fidanzata. Notò che non procedeva verso di lui. Fu allora che si fermò e decise che era arrivato il momento di riposare. Si stese a terra con un braccio che copriva le palpebre e respirava a pieni polmoni per recuperare un po' d'aria.
Agli occhi di Akane sembrava frustrato, arrabbiato e pieno di rancore. Ma che stava succedendo? 
Posò il vassoio in un angolo e si diresse a passo felpato verso di lui temendo che qualsiasi suono avesse prodotto lo avrebbe fatto scattare. Non appena si piegò su di lui lo osservò meglio: aveva l'aria di chi si è consumato dentro e fuori. Notò segni di colluttazione un po' ovunque e le nocche erano lacerate. Doveva aver lottato contro qualcuno con la ferocia degna di un demone. Il suo odore poi... era diverso. 
"Akane, se stai lì imbambolata a fissarmi non mi sei di aiuto".
"Combattiamo".
"C-cosa?".
"Sì, combattiamo. Da un po' non mi alleno con qualcuno che sia più forte di me e poi voglio vedere cosa ti hanno insegnato di nuovo".
Si alzò con un colpo di reni guardandola dritta negli occhi e creandole un certo disagio. Si mise in posizione d'attacco e Akane lo seguì facendo prima un inchino.
"Non mi aiuti per niente".
Sferrò un calcio che Ranma parò, con la rotazione del polso la fece cadere, ma si rialzò subito. Neanche il tempo di sollevare il volto che si trovò a dover parare l'Amaguriken di Ranma. Si abbassò scivolando sulla schiena, lo afferrò per la canotta e lo lanciò dietro di sé, lui fece un salto rotante atterrando sui piedi. Prese un bel respiro e gli corse contro, ma notò che Ranma stava concentrando una sfera di qi nelle mani. Scivolò sul pavimento sferrando un calcio alla caviglia, o almeno così sperava. 
"Non puoi allenarti con me, sei troppo debole".
"E tu sei troppo irritabile! Che stavi facendo? Volevi lanciarmi contro il Mokotakabisha? Da quando sei così violento con le donne?".
In un attimo si ritrovò con la schiena contro il muro e le mani unite sopra la testa. Il crack dei polsi tenuti insieme da una sola mano di Ranma la fece urlare di dolore, che arrivò furente come l'attacco appena ricevuto. 
"Non mi aiuti affatto. Vattene prima che sia troppo tardi".
Akane Cercò di sferrare una ginocchiata poco sportiva e priva di tecnica tra le gambe del fidanzato pur di liberarsi da quella morsa che poco prima le avevano spezzato i polsi.
D'altro canto a Ranma venne facile ribaltarla a terra, sovrastandola e bloccandole le gambe con le ginocchia.
La carica che sentiva si trasformò in paura quando vide lo sguardo del fidanzato studiare la sua figura. Aveva una strana luce negli occhi : sembrava posseduto da Happosai ma con una potenza maggiore cento volte. Senza fatica le strappò il ji all'altezza del petto mettendoci più forza di quanto fosse necessaria. Akane tremava, mentre lui si piegò su di lei cominciando a morderla, graffiarla e palparla come se le volesse strappare via la pelle. Era sicura che in qualche punto l'avesse fatto. Cercava di lottare per quanto potesse, ma per contrastarla le sferrava dei colpi precisi con la mano libera al fianco aumentando a dismisura il dolore che già provava. Akane cominciò a piangere e dimenarsi, ma lui non si fermava: continuava a molestarla con violenza come se non avesse più il controllo dei suoi gesti. 
"Dannazione! Guardami! Guarda cosa stai facendo!". Il viso del fidanzato si sollevò e la fissò in volto per la prima volta da quando aveva perso il controllo di sé. Lei stava... piangendo? Non stava solo piangendo, era terrorizzata. Aveva paura di lui, dei suoi gesti, della sua violenza e della stramaledetta "malattia" che l'aveva colpito la notte del suo compleanno. La fissò meglio: polsi rotti, tumefazioni all'addome, morsi e graffi ovunque. Si alzò spaventato a morte e disgustato da se stesso, si tolse la casacca e coprì il corpo che aveva martoriato come meglio poteva. 
"Vado a chiamare aiuto, mi dispiace Akane, perdonami", disse correndo fuori dal dojo.

   
 
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