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Autore: MorganaMF    14/02/2019    1 recensioni
«Quando Duncan è arrivato al nostro accampamento, non avrei mai potuto immaginare tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Voleva reclutare un solo elfo Dalish, e invece se ne è ritrovati due: i gemelli Mahariel, fratello e sorella. Gli ultimi rimasti della nostra famiglia, dopo che nostro fratello Tamlen era sparito nelle rovine.
Il Quinto Flagello mi ha portato via quasi tutto: ho dovuto abbandonare il mio clan, ho perso la mia famiglia... ho perso perfino una parte della mia vita, strappatami via dall'Unione. Ma, per assurdo, questo Flagello mi ha portato alcune delle cose più belle: ho trovato l'amore, ho incontrato le persone più strane... ho stretto rapporti profondi con molti umani, cosa che un tempo non avrei mai creduto possibile. Una di loro, in particolare, mi resterà sempre nel cuore: sarebbe diventata parte della mia famiglia, se le cose fossero andate diversamente. La cara, indimenticabile Hawke. È stata con noi fino alla fine, ci ha aiutati a sconfiggere il Flagello e sarebbe dovuta diventare un Custode Grigio; ma alla fine è andata per la sua strada, come tutti gli altri.
Non dimenticherò mai questo Flagello: nel bene e nel male, ha cambiato per sempre la mia vita.»
[M. Mahariel]
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alistair Therin, Altri, Custode, Hawke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’esercito riuscì a mantenere la città inespugnata per tre giorni, che pesarono su tutti loro come tre mesi. Merevar e Melinor restarono sui bastioni per tutto il tempo, incitando e guidando gli attacchi di arcieri e maghi. Era fondamentale che le truppe mantenessero alto il morale, o sarebbe finita; ma non era affatto facile. La prole oscura premeva su di loro, l’orda ormai pressava contro l’intera città, costringendo i cecchini a difendere ogni centimetro della cinta muraria. Avevano usato tutto ciò che avevano per tenerli lontani: un fossato era stato scavato attorno alle mura, ed era stato riempito di acqua intrisa di un forte preparato alchemico altamente infiammabile. Aveva bruciato per due giorni interi prima d’iniziare a indebolirsi gradualmente: aveva impedito alla prole oscura di avvicinarsi, costringendoli a colpirli da lontano con le loro frecce arrugginite mentre i giganteschi ogre fungevano da catapulte viventi; avevano smembrato la terra circostante la città per raccogliere massi da scagliare contro le mura. I maghi erano riusciti a far esplodere tutti i massi prima che impattassero, ma combattendo sia in difesa che in attacco non potevano reggere ancora a lungo. Erano esausti, e presto il fossato avrebbe esaurito anche quel poco di combustibile che ancora bruciava al suo interno. Gli arcieri erano altrettanto sfiniti: non c’erano stati molti morti grazie ai merli delle mura e alle barriere difensive dei maghi, ma le energie iniziavano a scarseggiare dopo tre giorni di costante attacco.
Freya chiamò a raccolta i Custodi Grigi per fare il punto della situazione.
«Quanto possiamo resistere ancora?» chiese loro con aria grave.
«Non molto. I maghi sono stanchi, e il lyrium inizia a scarseggiare» scosse il capo Melinor.
«Senza i maghi ad aiutarli con le barriere, gli arcieri non ce la faranno» aggiunse Merevar, la fronte imperlata di sudore. «Non hanno più energie. Senza i maghi a coprirli, non riuscirebbero ad attaccare e schivare allo stesso tempo.»
Freya si morse un labbro. «Il fuoco sta per spegnersi ormai… senza la barriera magica, quei maledetti mostri sfonderanno il cancello in un attimo». Guardò Melinor, le sopracciglia aggrottate. «Potremmo usare i maghi che abbiamo tenuto da parte…»
«Assolutamente no» intervenne Riordan. «Siamo stati fortunati a non aver ricevuto la visita dell’arcidemone finora, ma arriverà presto. E se non avremo maghi riposati in grado di erigere una barriera, raderà al suolo la città in pochi minuti.»
«Ma se non usiamo quei maghi adesso, sarà l’orda a raderla al suolo!» alzò la voce Freya, disperata.
Proprio in quell’istante, un dalish arrivò correndo da loro. Parlò in elfico ai due gemelli con voce concitata, prima di tornare alla sua postazione sui bastioni. Melinor tornò a rivolgersi a Freya, una riaccesa speranza brillava nei suoi occhi.
«Buone notizie: i mutaforma di ronda hanno avvistato l’esercito di Orzammar.»
«Sia lodata Andraste… finalmente!» esclamò Freya, risollevata. «Quanto ci metteranno ad arrivare?»
«Sono a meno di un giorno di distanza.»
«Un giorno…» sospirò Freya. La difesa non avrebbe retto un altro giorno da sola.
«Non possiamo continuare a stare sulla difensiva. Quando il fuoco si esaurirà, dobbiamo lasciarli entrare» andò dritto al punto Merevar. Freya lo guardò, il conflitto dipinto a caratteri cubitali sul suo volto.
«Ha ragione. La fanteria è ancora fresca, riusciremo a reggere un giorno. L’arrivo di Orzammar coglierà l’orda di sorpresa e giocherà a nostro favore» aggiunse Alistair.
«Non abbiamo altra scelta» si rassegnò Freya. «Date ordine ai soldati di prepararsi. Dobbiamo coprire gli ingressi principali e stare pronti: di sicuro quegli schifosi sfonderanno le mura in più punti.»
 
 
Il fuoco si estinse poco dopo lo scoccare del mezzogiorno. In piedi davanti all’ingresso principale della città, Freya, I Custodi Grigi e il grosso dell’esercito attendevano l’inevitabile a denti stretti; un ogre sfondò il cancello, e fiotti di mostri iniziarono a riversarsi nella città.
«Per il Ferelden!» gridò Freya levando la sua spada al cielo, e i soldati risposero in coro. Insieme si fiondarono sul nemico, dando finalmente inizio al vero scontro. Fiumi di sangue, vivo e morto, iniziarono a dipingere i viottoli della città come fossero la trama di una macabra tela. Ben presto l’orda entrò anche dagli altri ingressi: penetrarono nell’enclave elfica, ormai deserta, dove li attendeva un contingente di soldati. Aprirono numerose brecce nelle mura, e la città fu presto invasa.
In molti caddero da ambo le parti, quel giorno; ma i soldati combatterono coraggiosamente, incitati dai loro comandanti. La regina Anora guardava dalla finestra del suo palazzo, inorridita: la barriera magica elevata attorno alla sua magione non le impedì di assistere a quel macello.
Non ci fu tregua per l’esercito: continuarono a lottare tutta la notte, scivolando sul sangue e inciampando sui cadaveri dei loro compagni, feriti e ansimanti. La morte era tutt’attorno a loro ma, per qualche strano motivo, si sentivano spinti a non mollare: il desiderio di vivere era forte in loro.
I Custodi diedero il buon esempio per primi, instancabili grazie ai loro talenti; i compagni grazie ai quali erano giunti fin lì combattevano al loro fianco. Sten, Oghren, Zevran e il golem Shale menavano fendenti al fianco di Merevar; Leliana e Wynne li assistevano dai bastioni, determinate a dare il loro supporto nonostante avessero aiutato a difendere la città nei giorni precedenti. Morrigan e Hawke combattevano fianco a fianco con Melinor e Alistair, rifiutandosi di restare sui bastioni insieme agli altri maghi. Fra tutti loro, quella a mietere più vittime fu proprio la dalish: con i suoi poteri da guerriera arcana, spiazzò ogni nemico che le si parò davanti. La sua furia guerriera si abbatté sulla prole oscura, la magia così forte in lei da permetterle di combattere a pieno ritmo per giorni interi. Merevar e Alistair si trovarono a doversi preoccupare più per loro stessi che non per lei, e più volte fu proprio l’esile ragazza a intervenire per aiutarli.
 
 
Quando l’alba del quarto giorno iniziò ad accendere il cielo, finalmente l’udirono: il suono lontano di corni da guerra. Gli elfi sui bastioni aguzzarono gli occhi e videro i vessilli di Orzammar sventolare all’orizzonte. Tutti esultarono, lasciando la prole oscura confusa; fu come se le energie dei sopravvissuti si fossero improvvisamente ristabilite del tutto, e i soldati iniziarono a colpire come se avessero appena fatto una bella dormita. Un boato fece tremare la terra mentre i nani giungevano ad asce levate, ognuno in groppa al suo fedele bronto: creature resistenti e fiere simili a rinoceronti, tozze e dalla pellaccia dura, proprio come i nani. L’esercito di Orzammar s’infranse contro l’orda all’esterno della città, e l’attraversò come un coltello che affonda in un panetto di burro morbido.
«Guardate!» esclamarono alcuni arcieri. Una massiccia figura avanzava in testa all’esercito, a cavallo di una creatura ancora più inusuale; appena attraversò i cancelli, il golem Shale abbassò la sua mascella pietrosa.
«Ehi, ma quello lì è come me!»
«Per mille pinte di birra… ma quella è Branka!» esclamò Oghren, sfilando via la sua ascia dal cranio di un genlock.
Branka, nel suo nuovo corpo da golem, passeggiava sulla prole oscura come su un campo fiorito, schiacciando le sue vittime ancor prima che potessero vederla arrivare e spazzandone via altrettante con colpi decisi delle sue braccia massicce. A cavalcioni sul suo collo, una figura familiare.
«Sereda!» la riconobbe Alistair. La principessa nanica, bardata nella sua armatura pesante, sollevò la visiera del suo elmo.
«In persona. Siamo venuti a salvare le vostre chiappe» ridacchiò mentre saltava giù dal suo golem personale.
«Ah! Adesso sì che andremo forte!» gridò Oghren, esaltato dalla presenza della sua gente, iniziando a roteare la sua ascia recidendo teste a destra e a manca.
L’arrivo dei nani fu decisivo: in molti entrarono in città per assistere le truppe alleate, ma una buona parte rimase fuori dalle mura, disperdendo così l’orda e costringendola a combattere su due fronti.
Combatterono tutta la giornata, e all’ora del tramonto sembrava che stessero finalmente per passare in vantaggio; finché qualcosa fece abbassare le armi ai Custodi.
«Cosa… cos’è questa roba?» esclamò Merevar, l’espressione confusa. «C’è una canzone nella mia testa…»
Alistair sbiancò. «Allora è questo ciò di cui aveva parlato Duncan…»
«Sì, ragazzo» annuì Riordan. «È il richiamo dell’arcidemone.»
Melinor, gli occhi sgranati, volse lo sguardo al cielo. «Sta arrivando.»
 
 
Una cupola di luce azzurrina si erse sulla città. I più forti fra i maghi del Circolo e i Guardiani dalish erano posizionati sui bastioni tutt’attorno alla città, dove avevano sistemato antiche rune dalish di protezione su cui riversare la loro magia. Uno stuolo di guerrieri proteggeva ciascuno di loro mentre erano concentrati ad alimentare la barriera d’energia protettiva.
Presto udirono il tanto temuto ruggito echeggiare nel cielo rosso del tramonto. Tutte le teste si levarono mentre l’arcidemone compariva alla vista; la prole oscura, eccitata, sembrò riaccendersi e ricominciò a spingere sulla città. Il drago sorvolò Denerim un paio di volte prima di colpire: una palla di fuoco che avrebbe fatto esplodere centinaia di soldati s’infranse sulla barriera. Infuriato, il drago iniziò a sputare fuoco a ripetizione: i maghi che alimentavano la barriera fecero del loro meglio, ma avvertirono la difesa assottigliarsi rapidamente.
«Non reggeranno a lungo» disse Melinor, rivoli di sudore freddo che scorrevano sulle sue tempie.
«Custodi!» Freya li raggiunse di corsa. «Spero abbiate un piano per abbattere al più presto quella cosa!»
«Dobbiamo attirare la sua attenzione, non c’è altro modo» rispose prontamente il Custode anziano Riordan. «La prole oscura è attratta dai Custodi Grigi perché percepiscono la corruzione in noi, ma sentono che è diversa dalla loro e per questo ci si fiondano addosso per ucciderci. Anche agli arcidemoni succede la stessa cosa. Ragazzi, voi restate qui a combattere» rivolse la sua attenzione ai gemelli e ad Alistair. «Io salirò lassù, in cima alla torre di Forte Drakon. Vedrete che il drago planerà subito su di me. Se non dovesse soccombere entro un’ora, e se io non dovessi farmi vivo… allora dovrete occuparvi voi dell’arcidemone.»
«Non sarebbe meglio andare tutti insieme?» si fece avanti Melinor. «Noi abbiamo già combattuto contro un drago, non riuscirete a sconfiggerlo da solo!»
«Porterò dei soldati con me, ma voi dovete restare qui. Se andassimo tutti attireremmo l’attenzione della prole oscura e ci ostacolerebbero, impedendoci di attirare l’arcidemone. È meglio se restate qui.»
I tre annuirono. Riordan non aspettò nemmeno un istante: partì di corsa verso Forte Drakon, l’inespugnabile prigione della città.
 
 
Videro il drago planare sulla cima della torre neanche mezz’ora dopo. Continuarono a combattere, sperando che qualcosa accadesse: ma passò un’altra mezz’ora, e poi un’altra ancora… la prole oscura continuava a riversarsi sulla città senza fine.
«Temo che Riordan non ce l’abbia fatta» si decise a prendere in mano la situazione Alistair.
I gemelli si guardarono fra loro, la stessa preoccupazione impressa sui visi identici.
«Allora dobbiamo andare» li stupì la voce di Morrigan, avvicinandosi a loro dopo aver fulminato un hurlock. «L’arcidemone deve morire, e presto. L’esercito è già durato fin troppo.»
«Dobbiamo andare?» Alistair rimarcò la prima parola.
«Naturalmente, verrò con voi. Più vicina sarò al momento dell’uccisione e meglio sarà… in teoria il rituale dovrebbe garantire la sua riuscita anche da lontano, ma meglio essere sicuri.»
«Ma è pericoloso» le si avvicinò Merevar. «Nella tua condizione…»
«Non fare il paparino premuroso, non è proprio il momento!» sbuffò la strega. «Non sarò certo più al sicuro qui, senza di voi! Ti pare?»
«Bene, allora andiamo e facciamola finita» esordì Hawke lì vicino, asciugandosi una chiazza di sangue dalla fronte. Al primo sguardo contrariato di Merevar, saltò su. «Non mi lascerai indietro, Mahariel! Scordatelo! Io vengo con voi!»
«E come potrei mai impedirtelo?» sbuffò lui. «Va bene, andiamo.»
 
 
Si aprirono la strada faticosamente fino a forte Drakon, e non riuscirono a impedire a Sereda e Branka di far loro da scorta.
«Vi serviranno una nana di roccia e un golem contro quel bestione» aveva detto loro Sereda. Freya avrebbe voluto seguirli, ma dovette restare a proteggere il palazzo della regina con le sue truppe.
La torre della prigione era invasa dalla prole oscura accorsi a sostenere l’arcidemone: ripulirono una stanza dopo l’altra, piano dopo piano, correndo lungo rampe e rampe di scale. Alcuni soldati di stanza nella torre erano ancora in vita, e li seguirono fino in cima per aiutarli.
Si fermarono davanti alla porta che dava sul tetto, prendendosi un attimo per realizzare ciò che stavano per fare.
«Beh… suvvia… non disperiamo» rise nervosamente Hawke. «Abbiamo già ucciso un drago prima d’ora, no?»
Persino Morrigan non trovò commenti da fare, tradendo la sua preoccupazione. Guardò Melinor, e le due si scambiarono un muto augurio.
Merevar prese Hawke per un braccio e l’attirò a sé, stringendola forte. «Non fare stupidaggini» le disse, una mano premuta sulla sua testa. Si distaccò per guardarla, la mano ancora intricata fra i suoi capelli rossi. «Finalmente ti sei decisa a portare i capelli sciolti» sorrise per sdrammatizzare.
«Sì, che ci vuoi fare… un prole oscura mi ha tranciato il nastro che reggeva la coda, probabilmente pensava anche lui che così sono più carina» ridacchiò lei, stando al gioco; ma subito lo vide farsi serio.
«Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, Berkanna. Davvero, cerca di non fare l’eroina. Se ti succedesse qualcosa non lo sopporterei.»
Lei cercò di guardarlo male, ma non ci riuscì. Si trovò a sorridere suo malgrado. «È la prima volta che qualcuno mi chiama con quel nome senza mandarmi su tutte le furie.»
Alistair e Melinor si limitarono a stringersi la mano, uno scambio di sguardi che valse più di mille parole. Non morire. Si erano fatti quella promessa notti addietro: una promessa che pulsava insieme ai battiti dei loro cuori, e li mandava avanti in mezzo a quell’inferno. Non morire.
Prima di aprire la porta, i due gemelli si portarono uno di fronte all’altra.
«Ti avevo detto di non seguirmi. Guarda in che pasticcio ti sei cacciata» scosse il capo lui.
«Preferiresti essere qui da solo?» disse lei, seria, senza alcuna voglia di scherzare. Lui si fece finalmente serio a sua volta.
«No.»
Si abbracciarono, un calore familiare, due forze che si alimentavano l’una con l’altra. Senza dire altro, aprirono insieme la porta.
Il rosso del tramonto fece subito risaltare il profilo del drago appollaiato sulla torre: una moltitudine di cadaveri maciullati era sparsa attorno alla bestia. Fra quelli, riconobbero subito i brandelli di Riordan. Gli occhi di tutti erano fissi sul drago.
«Riordan è riuscito a ferirlo… gli ha tagliato la membrana delle ali» notò Alistair. «Non può più volare.»
«Facciamo in modo che non possa più nemmeno respirare» inspirò a fondo Melinor, l’aura del guerriero arcano che ricominciava a brillare attorno a lei. «E cerchiamo di fare in fretta.»
L’arcidemone si voltò subito verso di loro non appena misero piede sul tetto della torre. Scoprì le sue orrende file di zanne, minaccioso; poi alzò il capo verso l’alto, emettendo un tremendo ruggito. I Custodi, contrariamente agli altri, non ebbero bisogno di coprirsi le orecchie con le mani; a turbarli fu qualcos’altro.
«Era un richiamo» esclamò Alistair. «Sta chiamando qui i rinforzi… presto verremo assaliti dalla prole oscura!»
«Ne sei certo?» esclamò Hawke, massaggiandosi le orecchie.
«Sì… noi sentiamo il suo richiamo come quei mostri, ricordi?» le disse Merevar, saldando la presa attorno all’elsa di entrambe le sue spade corte. «Andiamo. Ora o mai più!»
Si fiondarono sull’arcidemone insieme ai pochi soldati che li avevano seguiti lassù. Mentre correva, Melinor sfilò via un corno dalla cinta e vi soffiò dentro: le teste di centinaia di dalish scattarono verso la torre, riconoscendo il richiamo del loro popolo. Ma non c’era tempo di aspettarli: dovevano ingaggiare subito una lotta con l’arcidemone.
La cosa non si rivelò affatto facile: mentre gli altri distraevano la bestia, Hawke tentò di usare il trucchetto che le aveva permesso di sconfiggere il drago di Haven. Evocò il ghiaccio perenne sugli occhi dell’arcidemone, ma sembrava inefficace: i cristalli di ghiaccio si scioglievano ancor prima di formarsi, con il risultato che Hawke si ritrovò ben presto a corto di mana.
«L’arcidemone non è un comune drago, possiede la magia degli antichi Dei» le disse Morrigan, lanciandole una boccetta di lyrium. «Bevilo, altrimenti non ce la farai!»
Hawke non si fece pregare, e tracannò immediatamente il liquido azzurrino; non servì a ripristinare tutta la sua energia, ma le permise di restare in piedi. Merevar, che teneva un occhio sul drago e uno su di lei, si rincuorò un po'.
Nonostante Riordan fosse riuscito a ferire l’arcidemone prima di soccombere, la bestia non sembrava volersi arrendere. I Custodi, aiutati da Sereda e dai soldati, passavano più tempo a evitare colpi che a infliggerne.
«Oh no… maledizione, sono già qui!» imprecò Melinor vedendo i primi Generali hurlock attraversare la porta che dava sul tetto.
«Voi pensate a questo lucertolone… a quelli pensiamo noi» disse Sereda, attirando l’attenzione dei soldati. «Branka, blocca l’ingresso! Ne devono passare il meno possibile!»
«Non c’è problema!» rispose il Golem, andando a piazzarsi davanti alla porta. Sereda e i soldati si lanciarono sugli hurlock che erano già passati, ingaggiando con loro un combattimento furioso. I Custodi, Morrigan e Hawke continuarono a colpire l’arcidemone, per quanto possibile.
Branka, di guardia davanti alla porta, non faceva che schiacciare hurlock e genlock come fossero formiche; qualcuno riusciva di tanto in tanto a sfuggire alla sua attenzione, ma davvero pochi riuscirono a eludere la sua guardia. L’arcidemone parve notarlo, e la cosa non gli piacque granché: smise di prestare attenzione ai Custodi, e corse trascinando le sue enormi zampe artigliate fino a alla porta, schiacciando qualsiasi creatura si trovasse sul suo percorso. Branka si voltò appena in tempo per vedere il drago piombare su di lei e afferrarla con le sue fauci.
«No, Branka!» si distrasse Sereda. Corse verso il drago, ma non poté far nulla: dopo averla immobilizzata fra le zanne, l’arcidemone agitò la testa un paio di volte a destra e a sinistra prima di gettare Branka oltre il parapetto, giù nel cortile di Forte Drakon. Riuscirono a udire la pietra infrangersi persino a quella altezza, nel caos della battaglia.
«Dannazione, non ci voleva» impugnò saldamente spada e scudo Alistair. Senza Branka a bloccare il passaggio, la prole oscura iniziò a riversarsi sul tetto come uno sciame di vespe velenose.
«Dobbiamo concentrarci sull’arcidemone!» gridò Merevar.
«Fosse facile!» replicò Melinor, mentre insieme cercavano di farsi strada fra la prole oscura fino al drago. «Questi maledetti ci ostacoleranno!»
«Dobbiamo provarci lo stesso, altrimenti l’orda ci travolgerà!» gridò Alistair per farsi sentire. Morrigan e Hawke li seguivano come ombre, pronte a coprire le loro spalle.
Ben presto il tetto fu gremito di mostri, ma non mancavano i soldati alleati: alcuni nani, dopo aver visto Sereda Aeducan andare verso la torre e vedendo frotte di prole oscura fare lo stesso, avevano seguito la loro scia. I Custodi riuscirono ad avvicinarsi all’arcidemone, ma erano troppo impegnati a combattere i Generali hurlock per potersi occupare del drago.
Finché non accadde la cosa che nessuno si sarebbe aspettato: una trentina di enormi aquile reali apparvero da dietro i merli della torre, ognuna con i polsi di due elfi dalish stretti fra gli artigli. Gli elfi atterrarono sul tetto, e le aquile rivelarono la loro vera forma di Guardiani dalish. Subito i cacciatori assicurarono delle scalette di corda ai merli e le lasciarono cadere giù, lunghissime, fino al cortile della torre.
Un’aquila lasciò cadere un’elfa bionda alle spalle di Merevar, giusto in tempo perché trafiggesse la gola di un genlock che stava per aggredire l’elfo alle spalle.
«Mithra!» esclamò lui, riconoscendo la sua amica dalish.
«Poche ciance, Mahariel. Hai un lavoro da fare» disse l’altra, bloccando un colpo d’ascia con le sue lame incrociate. Nel frattempo, Lanaya passò dalla forma animale alla sua, proprio accanto a Melinor.
«Abbiamo sentito il tuo richiamo, ma non siamo riusciti ad attraversare la torre, brulica di prole oscura!» riferì alla compagna. «Abbiamo dovuto improvvisare!»
«Con delle scalette di corda?» esclamò Alistair, parando un colpo con lo scudo. «Come diavolo faranno i vostri a salire fin quassù con delle scalette di corda?»
«I dalish possono arrampicarsi velocemente fino alle altezze più impensabili» ribatté Lanaya, il suo bastone che s’illuminava mentre si accingeva a combattere.
Non scherzava: ben presto i dalish iniziarono ad arrivare, rapidi e veloci, e la prole oscura, goffa e pesante, non riuscì a usare le scalette per inseguirli. Si limitarono a colpire con le frecce, riuscendo qualche volta a eludere l’agilità degli elfi e facendone cadere qualcuno prima che potesse raggiungere la cima.
L’arrivo dei dalish diede ai Custodi l’opportunità di avvicinarsi ulteriormente all’arcidemone, ma i Generali hurlock non davano alcuna tregua ai tre. Nonostante tutti attorno a loro cercassero di tenere impegnati i mostri corrotti, quelli continuavano ad accanirsi sui Custodi. Sapevano ciò che volevano fare, e non potevano permetterlo.
A un tratto, Hawke finì a terra. Rimase senza fiato per il colpo della schiena sul pavimento, atterrando a pochi passi dalla zampa posteriore dell’arcidemone.
«Hawke, attenta! Rialzati, presto!» Morrigan colpì i genlock che volevano avventarsi su di lei mentre era a terra. Merevar udì la strega e cercò di liberarsi per andare a soccorrere la sua amata, senza tuttavia riuscirci, braccato com’era. Nonostante il richiamo di Morrigan, Hawke rimase alcuni istanti a terra, gli occhi che per caso individuarono una ferita sul ventre del drago. Una lampadina s’accese nella sua mente: si rimise in piedi e corse, abbassandosi per insinuarsi sotto alla pancia del drago.
«Hawke, no!» le gridò Merevar, combattendo furiosamente contro il Generale hurlock che lo martellava come un ferro sull’incudine.
Ma era troppo tardi: la ragazza, eludendo l’attenzione del drago che era tutta per i Custodi Grigi, si era già portata sotto alla ferita notata per puro caso pochi istanti prima. Rivoltò il bastone, pronta a infilare nella ferita la lama che aveva montato sull’arma magica in occasione della battaglia.
«Il ghiaccio non funziona? Proviamo con le scintille» disse, mentre conficcava il bastone nell’addome ferito del drago. Usò tutto il mana che le restava per lanciare una scarica elettrica nell’arcidemone, quel tanto che bastava a tramortirlo senza ucciderlo; quel compito spettava a uno dei suoi compagni.
Il drago ruggì di dolore, sollevandosi sulle due zampe posteriori: il sangue scorreva copioso dalla sua ferita, ora ancor più ampia, il bastone della fereldiana ancora conficcato lì; la sua attenzione era tutta per Hawke, ora lasciata allo scoperto proprio ai suoi piedi. Fu un attimo: con un colpo di coda la colpì in pieno, scaraventandola come una bambola di pezza contro uno dei merli della torre. Merevar la guardò volare proprio sopra di sé, stravolto, rischiando di lasciarsi trafiggere dal suo nemico mentre era impegnato a guardare la sua amata sbattere contro la pietra e cadere a terra.
«Melinor!» chiamò, fuori di sé. «Vai da Hawke, subito! Guariscila, ti prego!»
La gemella non si fece pregare, e schizzò via falciando la testa di ogni prole oscura che le si parava davanti. Non poteva esitare, doveva fare ciò che suo fratello le aveva chiesto: Hawke era la sua compagna, l’aveva scelta dopo mille peripezie. Era diventata anche una sua cara amica, ed era suo dovere salvarla.
Nel frattempo Merevar, furioso, guardò con la coda dell’occhio l’arcidemone accasciarsi a terra; iniziò a muoversi rapido come mai era stato, portandosi con una capriola alle spalle del Generale hurlock e recidendogli i tendini delle gambe. Quello cadde sulle ginocchia con un latrato furioso mentre l’elfo correva deciso verso l’arcidemone.
«Alistair, tienili lontani da me!» gridò mentre si arrampicava sul corpo dilaniato del drago.
«Ci penso io! Fallo, Merevar! Uccidi quel mostro!» gridò l’altro di rimando, piazzandosi sulla scia lasciata indietro dall’elfo.
Melinor stava curando Hawke, coperta da Morrigan; Alistair copriva Merevar, i nani e i dalish ce la mettevano tutta per respingere quanti più prole oscura possibile, e gli umani difendevano strenuamente la città ai loro piedi. Tutti stavano dando il loro meglio.
Merevar corse lungo il collo del drago, ormai troppo debole per riuscire a sbalzare via l’elfo; quando l’elfo fu proprio sulla testa dell’arcidemone, il generale che aveva azzoppato gridò rabbioso. Lanciò la sua picca in direzione del dalish, ma ormai era troppo tardi: la picca s’infranse contro la colonna di luce innalzatasi dal corpo dell’arcidemone dopo che le lame di Merevar avevano trafitto il suo cranio. Tutti i più vicini, prole oscura e non, vennero sbalzati lontano dall’onda d’urto; tutti coloro che erano impegnati a combattere in cima alla torre dovettero fermarsi, accecati dall’intenso bagliore. Morrigan sussultò al fianco di Melinor e spalancò i suoi occhi gialli, che s’illuminarono della stessa luce che emanava dall’arcidemone morente.
Il tempo sembrò fermarsi in tutta la città: non c’era testa che non fosse rivolta verso la torre. Freya, coperta di sangue dalla testa ai piedi, si chiese se finalmente le sue preghiere fossero state esaudite; insieme a lei, tutti attesero che la colonna di luce si ritirasse.
   
 
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