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Autore: Red_Coat    16/02/2019    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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«Ascoltatemi tutti. Mi chiamo Cloud, sono un ex SOLDIER e sono nato a Nibelheim. Sono qui per lottare contro Sephiroth.»

Si erano dati tempo.
Sconvolti dalla perdita, nessuno di loro aveva trovato la forza di proseguire, così si erano divisi in gruppi e rifugiati dentro a qualcuna delle tante grotte circostanti, e lì avevano passato la notte.
All'alba, dopo averci riflettuto su per tutta la durata delle tenebre, Cloud aveva preso una decisione, ma affinché trovasse il coraggio di attuarla aveva bisogno di strappare loro una promessa.
Per questo motivo ora era lì, teso e nervoso di fronte a Tifa e Barret, a cercare le parole giuste per spiegarsi nonostante la confusione in testa.

«...Qualcosa non va?»

Tifa lo aveva osservato per tutto il tempo, aveva colto quei piccoli segnali e quando lo aveva sentito iniziare a parlare in quel modo il cuore le si era agitato in petto.
Aveva iniziato a sperare che qualcosa, nella sua memoria si fosse mossa.
La risposta del biondo non fece che aumentare quell'aspettativa.

«Sono qui di mia spontanea volontà. O almeno ... così credevo.» disse, una non tanto velata ammissione di colpa, poi tutto d'un fiato riprese «Ad ogni modo ...
A dire la verità, ho paura di me stesso ...
C'è una parte di me che non riesco a capire.
Quella parte che mi ha spinto a dare la Black Materia a Sephiroth.
Se non mi aveste fermato io avrei potuto ...»

Nel qual caso le sue parole precedenti non fossero state abbastanza chiare, non era molto bravo in queste cose lui. Non riusciva a farsi capire neanche da sè stesso, figurarsi dagli altri. Anzi, spesso e volentieri erano gli altri ad aiutarlo a fare chiarezza sulla propria meschina natura.
Gli altri ... perfino quella serpe infima di Victor Osaka ne sapeva di più su di lui.
Ma dov'era adesso? Dov'era ora che Aerith era morta e quando era stato il momento di salvarla?
Si fermò di nuovo, abbassando il capo e stringendo rabbioso un pugno sul petto, come se sperasse di poter con quel solo gesto stritolare tutto il pesante, amaro macigno che era costretto a portarsi addosso.

«C'è qualcosa dentro di me ... Un'altra persona ... Non sono io. Ecco perché dovrei abbandonare questo viaggio. Potrei fare qualcosa di veramente orribile ...» seguità, la voce tremula, gli occhi lucidi.

Poi all'improvviso lo videro farsi coraggio, tornare serio come se avesse ancora di fronte il suo nemico, l'artefice di tutto quello che di peggiore poteva esserci nel suo animo, e anche del dolore che provò, bruciante in petto, quando per le sue successive parole dovette richiamare a sé tutti i ricordi più insanguinati, alcuni dei quali bruciavano ancora troppo forte negli occhi e nel cuore straziato, sulle labbra improvvisamente aride.

«Ma continuerò.» decretò invero «Cinque anni fa ha distrutto la mia città natale, ha ucciso Aerith e ora vuole distruggere il pianeta. Non perdonerò mai ... Sephiroth.
Io ...
Devo proseguire.
Ma ho un favore da chiedervi...» e li guardò negli occhi, supplicante, speranzoso «Voi avete intenzione di venire con me?
Dovete impedirmi di fare qualcosa di terribile...»

Temeva da morire quella prospettiva, alla follia! Temeva sé stesso, perché temere Sephiroth era esattamente la stessa cosa. Era una lotta contro la parte più infima di sé, proprio lui che di sé si rese conto di non conoscere proprio nulla.
Si appigliava ad un'illusione che sapeva sarebbe crollata da lì a poco, lo sentiva.
Era come essere aggrappati ad un filo che sta per spezzarsi, stare davanti ad un sipario che nascondeva una recita di già inquietante solo attraverso le ombre che disegnava.
Temeva ciò che avrebbe visto, ma la morte di Aerith gli aveva dimostrato che non si può fermare il tempo, e neanche il destino.
La vita va avanti, le persone muoiono, gli attimi diventano ricordi.
Perché i suoi gli sembravano così confusi ed evanescenti?
L'unico modo per saperlo era alzare il sipario.
Ma l'unica cosa certa era Sephiroth, e non gli piaceva affatto.
Barret abbassò il capo, pensoso.
Capiva ciò che voleva dire Cloud, lo apprezzava.
Ma ... sarebbero stati in grado di aiutarlo?

«Diavolo, non so ...» mormorò scettico e preoccupato.
«Non so cosa abbia cercato di fare Aerith per salvare il pianeta.
E credo che non lo sapremo mai.» Strife riprese a parlare per soffocare l'ansia che gli opprimeva il petto.

Dovevano accettare. Se non volevano farlo per lui, almeno lo avrebbero fatto per lei, per il Pianeta.
Non ricevette una risposta, e allora incoraggiato dai loro sguardi comunque attenti decise di farsi forza e mantenere quell'ultima promessa fatta ad Aerith, prima di partire.
Prendersi cura di lui, lo avrebbe fatto. Non solo. Sarebbe riuscito anche a salvare il Pianeta.
Per lei, per vendicarla e realizzare il suo sogno.
Del resto il Pianeta era l'unica cosa che gli restava di lei.

«Ma!» concluse «Abbiamo ancora un'opportunità, prendere la Black Materia prima che Sephiroth la usi.
Andiamo.»

Quindi uscì dalla stanza e loro lo seguirono, in silenzio, diretti al luogo dove Sephiroth aveva detto lo avrebbero trovato.
Certo che lo avrebbero aiutato, non era necessario pensarci.
Tifa aveva promesso ad Aerith di occuparsi di Cloud, Barret voleva che sua moglie riposasse in pace e che Marlene avesse l'opportunità di crescere in un mondo diverso, migliore.
Guarito dai danni subiti e rinnovato, nello spirito e nella propria natura.
Era la loro terra, il loro futuro.
Se Sephiroth e Victor Osaka avrebbero voluto portarglielo via avrebbero dovuto passare sui loro cadaveri!

\\\
 
Victor camminò fino a che gli ressero le gambe, quasi trascinandosi.
Ad un tratto si fermò e cadde in ginocchio, gli occhi lucidi, le braccia lungo i fianchi.
Aerith se n'era andata, per sempre.
Anche lei lo aveva fatto, alla fine, e adesso poteva rispondere a quella domanda con la più totale sincerità.
Come si sentiva nel comprenderlo?
Faceva male, un male cane al cuore. Anche perché si scoprì confuso, e quei dubbi che aveva sempre scacciato via tornarono a peggiorare la situazione.
"Sei dalla parte sbagliata!"
Il grido di Aerith continuava a risuonare nella sua testa assieme alle parole di Genesis e agli ultimi istanti della ragazza dei fiori. "Sephiroth non saprà ricompensarti".
Era ridicolo che adesso, proprio adesso a pochi passi dalla fine, il tarlo stesse ricominciando a farlo vacillare.
Come poteva?! Odiava così tanto essere umano, proprio per situazioni come queste!
Ma c'era un rimedio immediato a quell'ansia, quell'angoscia che gli straripava in petto.
Si distese a terra, sull'erba fresca e pulita del prato su cui aveva camminato, aprì le braccia e respirando lentamente si perse ad osservare il cielo oltre le chiome brillanti dei grandi alberi.
Era quasi sera.
Aerith era morta al tramonto.
Come Hikari.
Come suo nonno.
Come Zack, Nigel, Shin, Erick e la sua famiglia, Takeshi e suo fratello, e Adam e Jonathan.
Era una strana coincidenza, un qualcosa che in qualche modo rivelava il malsano ordine delle cose in quello schifo di pianeta da due soldi del cazzo.
O almeno, l'ordine delle cose nella sua vita di merda.
Sorrise divertito.
Solo Keiichi e suo padre se n'erano andati a mezzogiorno, perché avevano ancora tanto da dire e fare e forse quello era stato un modo per permettere loro di avere per sempre un altro pò di tempo ancora, prima del tramonto.
Sephiroth no invece.
Lui aveva lasciato il suo corpo mortale di notte, poche ore prima dell'alba, dopo aver distrutto ogni cosa, perché una rinascita accadeva sempre quando tutto sembrava perso, finito, senza soluzione alcuna.
Quando la notte diventava così cupa da essere insopportabile, era allora che con i suoi raggi benedetti il sole tornava a splendere riemergendo dall'orizzonte.
Perso in quelle constatazioni finì per sfogare le lacrime tra i sorrisi, chiedendosi nel frattempo in quale ora sarebbe sopraggiunta la morte per lui.
Avrebbe preferito al tramonto, come sua moglie.
Per raggiungerla, per mettere in ordine le cose, per poter finire esattamente come era giusto che fosse.
Ma era un maledetto, era il vassallo di Sephiroth e per questo di sicuro se ne sarebbe andato a mezzogiorno, per continuare anche dall'aldilà a proclamare la venuta imminente del suo dio.
Oppure lo avrebbe fatto la notte, proprio come lui, per acquistare quella stessa gloria.
Non credeva di meritarlo, ma ci sperava ancora un po’.
Almeno avrebbe avuto un senso tutto il resto, quel dolore e quel rancore, quella confusione nella sua testa.
Non sapeva a cosa si riferissero le parole di Kendra, ancora non era riuscito a capire, ma di una cosa era certo: Adesso era davvero solo e anche se aveva sbagliato con lei, se le aveva concesso qualche vantaggio, se si era fatto fregare in qualche (altro) modo che non riusciva a ricordare, ora niente avrebbe più potuto distrarlo dalla sua missione.
Se solo avesse avuto abbastanza forza in corpo per riuscire a crederci, almeno un pochino!
Sospirò, chiuse gli occhi e si diede tempo.
Tutto quello che serviva per ritrovare la forza di rialzarsi, eppure sembrava non bastare mai.
Ogni minuto era come un miraggio, come una goccia d'acqua per un fiume prosciugato fino alla fonte, come una pozzanghera poco profonda per un terreno desertico. Fino a che stremato si ritrovò a piangere ad occhi chiusi e osservare se stesso dall'alto, trovandosi terribilmente inetto e ridicolo.
"Riuscirò a respirare di nuovo." si diceva. In fondo aveva ferite più gravi dentro al cuore, anche se non sapeva nemmeno cosa fosse a fargli così male.
Fino a che in un istante tutto tornò reale e lui riuscì a tornare in sé e riaprire gli occhi, tornare a muoversi.
Fu una voce a svegliarlo. Una che aveva sentito poche volte, ma che non poté non riconoscere.

«Così adesso ce l'hai con me, vero?»

Voltò lo sguardo alla sua destra, senza fiato osservò quegli occhi del colore del Mako, le pupille feline strette in una piccolissima fessura nera in mezzo a quel mare di ghiaccio, puntarsi contro di lui e si sentì immediatamente scoperto, vulnerabile.
Un verme, in tutti i sensi.
Il ragazzo che gli era apparso davanti sorrideva appena, sembrava non essersela presa ma essere rimasto solo un po’ dispiaciuto dalla cosa.
Sedeva sul terreno freddo alla sua altezza, poco distante, le gambe incrociate tra di loro.
Le lunghe frange albine ricadevano davanti agli occhi velandoli appena, le piccole mani erano appoggiate alle ginocchia. Lo guardava ed era quanto di più innocente potesse esserci al mondo.
Un bambino di appena una decina di anni, gracile, pallido, scalzo e vestito solo di abiti bianchi come i suoi capelli, troppo leggeri per proteggerlo dal freddo di quella stagione, di quella notte mortifera.
Victor si sentì immediatamente sgomento.

«Sephiroth ...» mormorò a fil di voce, mettendosi immediatamente a sedere.

Il bambino sorrise appena, voltando la testa dall'altra parte per evitare che lui lo vedesse.

«No, io ... No!» si difese Osaka, in ginocchio «Io non ...» non riusciva neanche a parlare senza piangere «Guardami!» disse indicando con entrambe le mani il proprio volto, radicalmente cambiati nel corso del tempo fino a rassomigliargli in maniera quasi gemellare.

I capelli ora lunghi ben oltre le spalle e i fianchi, la ciocca albina sul nero corvino. Le pupille feline al posto delle sue erano il cambiamento più evidente e sostanziale. Ormai i suoi occhi neri non c'erano più da tempo a causa di quel patto, quella promessa ancora valida.
La vita in cambio dei suoi occhi, sembrava uno scambio equo, ma aveva finito per cancellare un altro pezzo di Victor Osaka, annullando ancor di più la distanza tra di loro e forse anche qualcos'altro.
Quel ragazzino ribelle dall'aspetto scuro non c'era quasi più, nascosto dietro all'ombra del suo Generale e Niisan. Scelta obbligata per difendersi dalla vita che magari non sempre sapeva essere cattiva, ma lo aveva tradito e ferito più volte.
Essere tradito da suo fratello avrebbe fatto meno male, forse ...

«Come potrei avercela con te?» chiese infatti, le lacrime che iniziarono a scendere affollandosi e accalcandosi dietro alla linea sottile della palpebre.

Il sorriso del giovane Sephiroth si accentuò. Schiena dritta, sguardo fiero.
Lui era il bambino che la vita non solo aveva tradito, ma anche maltrattato ed isolato. Quel bambino che, a differenza di Osaka, non aveva avuto bisogno di nessuno se non di se stesso e della sua adorata spada per imparare a crescere.

«Non saresti né il primo né l'ultimo.» gli fece notare «Nessuno ti biasimerebbe per questo.» senza astio o rimprovero, solo per puro spirito di conversazione.

Non sarebbero serviti comunque, non con lui.
Victor infatti scosse il capo, sgomento. Si alzò e lo raggiunse, ricadendo nuovamente in ginocchio di fronte a lui.

«Io non ce l'ho con te, Sephiroth. Davvero!» sostenne, rialzandosi in piedi e portandosi un pugno al cuore.

Poi gli voltò le spalle, sospirò abbassando il capo.
Sephiroth tornò a guardarlo, e in quel momento, solo per quell'istante, sul suo volto di fanciullo tornò quel ghigno soddisfatto, quella smorfia sadica e vittoriosa che rivelò la sua vera natura.

«È solo che ... sigh ... Sono stanco ... Credo ...»

Il fanciullo a quel punto tornò serio, lo guardò per qualche istante ancora e poi si alzò, lo prese per mano e lo spinse a seguirlo.
Victor tremò nel sentire quella pelle fredda e liscia così reale, non riuscì nemmeno a distinguere tra sensazioni vere e illusorie. Riuscì solo a voltarsi a guardarlo, confuso e quasi scosso.

«Aspetta, dove andiamo?» si chiese, fermandosi a guardarlo negli occhi.

Il giovane Sephiroth lo fissò, innocente. Sembrava quasi non capire davvero il motivo di tutta quella confusione e paura.
Addolcì la sua espressione in una più comprensiva e riprendendo a camminare trascinandoselo dietro rispose semplicemente.

«Hai detto che sei stanco. Ti porto in un posto dove potrai riacquistare le forze.»

Victor continuò ad essere confuso e sorpreso, ma non si oppose, anzi.
Si fece trascinare, verso una destinazione ignota e un luogo misterioso senza neppure riuscire a chiedersi niente. Guardò quel bambino che lo conduceva lontano da quel luogo di morte tenendolo per mano, e a poco a poco nella sua mente avvolta dalla nebbia si fece strada un unico pensiero.
Lo stava ... salvando di nuovo? Doveva essere così, non avrebbe sopportato l’idea di altre possibili motivazioni. A che scopo, altrimenti, un'altra effimera illusione?

(Continua ...)

 

"Non fidarti mai di un sopravvisuto
finchè non sai come ha fatto a rimanere in vita."
- anonimo-
   
 
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