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Autore: The Blue Devil    16/02/2019    5 recensioni
Eccomi qua, ci son cascato pure io, in una noiosissima Candy/Terence con Albert nell'ombra... davvero?
Chi è il misterioso individuo che si aggira nei luoghi tanto cari alla nostra eroina? Qual è la sua missione? La sua VERA missione? Cosa o chi, alla fine di essa, sarà in grado di trattenerlo a Chicago? Quante domande, le risposte stanno all'interno...
Il titolo è un omaggio a tutti i ''se'' con cui si apre la storia.
dal 3° capitolo:
... Non ne ho parlato con lei, ma io sono sempre rimasto in contatto, in maniera discreta, con Terence. E non le ho neanche mai raccontato di averlo cacciato, quando lo trovai ubriaco da queste parti, anni fa. Vi chiedo di vegliare sempre su di lei, con discrezione, poiché la vedo felice, forse troppo, e non vorrei subisse un’altra delusione".
"Perché parlate così?", chiese, dubbiosa, Miss Pony.
"Non so, ho una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa di molto spiacevole. E lo consiglio anche a voi: state attente e tenete gli occhi aperti".
"Così ci spaventate, Albert", osservò Suor Maria.
"Non era mia intenzione spaventarvi", asserì Albert, "Forse sono io che mi preoccupo per niente; sì, forse è così...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buona lettura


Capitolo 34
Progetti per il futuro

Era da più di cinque minuti che non si udiva più nulla. La signora Legan, che era rimasta in ascolto dietro la porta della stanza di sua figlia, senza tuttavia riuscire a sentire quasi nulla, dopo essersi allarmata per certi strani rumori, si era preoccupata per il motivo opposto.
Spazientitasi, decise di bussare, ma nessuno le rispose. Tentò ancora, dicendo:
"Ragazzi? Ci siete? Che sta accadendo? Perché non rispondete?".
Per la seconda volta non ricevette risposta. Allora, dopo ancora qualche istante di esitazione, afferrò la maniglia ed aprì la porta: non si può descrivere lo stupore che si disegnò sul suo volto, nel constatare che la stanza fosse vuota.
"Com’è possibile?", pensò, "Non ho visto uscire nessuno, io".
Dopo aver rivolto lo sguardo all’intorno, s’accorse di sentir un po’ di freddo: la portafinestra era aperta e un leggero venticello entrava nella stanza. La donna, agitata, si diresse verso l’apertura e uscì sul balcone; ciò che vide la sconvolse.
"Oh, santo cielo! Ma sono impazziti? Posso capire quel McFly, ma Iriza, la mia bambina".
Velocemente uscì dalla stanza e, appena messo piede nel corridoio, s’imbatté in Stewart.
"Stewart, è successa una cosa terribile! Forse ci sarà bisogno del dottor Leonard, presto, presto, muoviti...".
La donna riversò sul suo autista-maggiordomo un tale fiume di parole in maniera così concitata, che fu difficile per l’uomo capire cosa stesse accadendo, ma alla fine comprese:
"Se siete in pena per vostra figlia, non dovete preoccuparvi; l’ho vista uscire con un bel giovane prima, camminava sulle sue gambe e all’apparenza godeva di ottima salute".
"Qui sono tutti impazziti, da un po’ di tempo in questa casa ognuno fa ciò che vuole".
La signora si allontanò sbraitando e Stewart, raggiunto da Dorothy, commentò:
"La solita pazza isterica. Comunque non mi sarei mai aspettato una cosa del genere dalla signorina Iriza! Li hai visti?".
"Sì, li ho visti anch’io e sono d’accordo con te, ma... ciò significa che è andato tutto a posto e la cosa mi fa molto piacere", rispose la cameriera, mettendosi a ridere.
 
 
DIECI MINUTI PRIMA
 
Harrison, a malincuore, si fermò e disse:
"Non preoccuparti, ti ho detto che ti rispetterò e non ho cambiato idea. Questo dovrebbe farti capire la serietà delle mie intenzioni".
"Come? Abbiamo già finito?", protestò Iriza, stupendosi lei stessa per queste domande.
"Guarda cosa facciamo", disse lui, alzandosi e facendola alzare dal letto.
Harrison tolse le lenzuola dal letto, le strappò e le riannodò, creando una specie di corda, che poi calò dal balcone dopo averla ben assicurata alla ringhiera di esso.
"Che stai facendo? Se ti vedesse mia madre ti sbranerebbe: quelle lenzuola costano un patrimonio", chiese la ragazza, affascinata da ciò cui stava assistendo.
"E t’importa?", chiese lui.
"No, per niente, mi fido di te".
Il ragazzo colse altre domande nello sguardo di Iriza, per cui rispose, senza che le suddette gli fossero state rivolte.
"È un trucco che usavo spesso da bambino, quando facevo infuriare mio padre e non volevo prenderle... te l’ho sempre detto che non sono un gentiluomo".
"Sei molto di più; diciamo che non sei un damerino; però non capisco...".
"Stiamo per fare una fuga d’amore... fuggi con me e andiamo lontano".
Iriza protestò, dicendogli che era matto e di aver paura, ma lui la convinse a lasciarsi andare, a fare una pazzia.
"Ogni tanto ci vuole", le disse, "Ed è proprio ciò di cui tu ora hai bisogno; scenderò prima io, così non correrai alcun rischio".
I due ragazzi intrapresero la discesa, che non fu troppo difficoltosa, dato che l’altezza da cui si stavano calando non era eccessiva; ci fu solo un momento di tensione, quando Harrison le raccomandò di non guardare verso il basso; la ragazza lo fece, chiedendosi cosa stesse accadendo lì sotto da non dover guardare, ed ebbe paura. Fu solo un attimo però, perché subito si accorse della posizione nella quale si trovavano.
"E tu allora, non guardare in alto", esclamò, divenendo rossa come un pomodoro.
"Beh, sbrigati allora, lo sai che non sono un gentiluomo...".
Quando toccò terra, la ragazza si stupì di avercela fatta e confessò al ragazzo di essersi divertita e di non aver quasi mai avuto paura.
"Sapevo che c’eri tu e, se ci sei tu con me, io non ho paura: non permetteresti mai che io mi facessi del male", sussurrò, prima di incollare la sua bocca a quella di lui, dato che era già tra le sue braccia.
Harrison la prese per mano e la condusse fuori dalla tenuta, quasi correndo.
"Ma c’era bisogno di uscire così?", chiese lei d’un tratto.
"No", rispose lui, "Volevo evitare tua madre e le conseguenti spiegazioni che avremmo dovuto darle... a volte mi fa paura quella donna".
"Non è vero; tu non hai timore di mia madre", disse lei, stringendosi di più a lui, "Tu non hai paura di nessuno".
"E va bene, ho pensato solo che fosse più romantico; in realtà ho voluto farti provare un po’ di senso di libertà, hai bisogno di liberarti da certe catene che ancora non ti lasciano respirare. Questo è un inizio".
"Tu sei tutto matto... sei tu che non mi lasci respirare".
"Che dicmmh... ?".
Ancora una volta le loro bocche si unirono e le loro lingue danzarono allegre e dopo un tempo non quantificabile, Iriza sussurrò:
"Vedi? Quando fai così non respiro...".
"Sei stata tu a volerlo", sussurrò, di rimando, Harrison, rituffandosi nella bocca dell’amata.
Dopo aver camminato per un po’, Harrison le fece notare una circostanza:
"Ti sei accorta che hai fatto un’impresa... alla Candy?".
Iriza dovette ammettere che Harrison aveva ragione e si stupì del fatto che, sentire quel nome, per la prima volta, non le avesse dato fastidio; e nemmeno il fatto di essere stata paragonata a lei.
 
~•~•~•~•~•~•~•~•~
 
Ad Albert fu risparmiato tutto il carico di preoccupazione che avevano sopportato gli altri, poiché, prima d’informarlo dell’incendio, gli dissero che era tutto risolto e che non ci fosse ragione per agitarsi.
L’agitazione soggiunse durante il colloquio che ebbe con Archie, colloquio richiesto dal nipote e al quale volle essere presente anche Annie.
"Albert... zio...", cominciò il ragazzo, mano nella mano con la fidanzata, "C’è una cosa che ritengo sia giusto che tu sappia".
Seguì una piccola pausa, poi il discorso riprese:
"Riguardo all’incendio alla Casa di Pony...".
"Già, mi stavo appunto chiedendo chi ne fosse responsabile: so che avete svolto delle indagini, voi ragazzi, ma ancora non ne conosco le risultanze".
Archie proseguì:
"Gli altri, quando è saltato fuori il colpevole", Annie gli strinse la mano, "avevano deciso di non denunciarlo, di inventarsi una storia qualsiasi o di dire che non si era arrivati a nulla, ma... io penso non sia giusto".
"Continuo a non capire; cosa stai cercando di dirmi?".
"Sono stato io; io ho appiccato l’incendio e non sai quanto me ne vergogni", disse d’un fiato il ragazzo.
"Sei stato tu? Non dici sul serio, è uno scherzo, vero? ".
"No zio, non è uno scherzo e dico sul serio: sono io il colpevole".
"Sei impazzito? Ma che diavolo hai nella testa? E perché l’hai fatto, poi?", esplose il capofamiglia.
"È stata anche colpa mia", intervenne Annie, nel tentativo di alleggerire la posizione del fidanzato.
"Parlate dunque", li esortò Albert, "Vi ascolto".
Archie raccontò di come si erano svolti i fatti: di come fosse capitato in possesso, "casualmente", dei guanti di Iriza; di come avesse appiccato l’incendio, avendo cura che nessuno si ferisse; di come avesse accusato Iriza. E tutto perché non sopportava l’idea che la figlia dei Legan potesse aver trovato un possibile compagno – cugino di Terence, tra l’altro: questa gli era sembrata una presa in giro del fato – mentre lui, a suo giudizio, aveva perso la sua; inoltre non aveva creduto al parziale ravvedimento della cugina. Quando parlò della perdita di Annie, non aggiunse, saggiamente, quello che aveva pensato: "Dopo aver perso Candy".
Albert ascoltò il racconto in silenzio, osservando i due ragazzi che si tenevano per mano: non gli sfuggirono le frequenti strette che i due si davano alle mani ad ogni rivelazione.
Infine prese la parola:
"Da quel che vedo, pare che voi due vi siate chiariti, ma almeno spero tu ti sia reso conto di aver fatto una cosa orribile, di aver commesso un reato, qualunque sia stato il motivo che ti ha spinto a farlo; e poi mi ha fatto sorridere quel casualmente: a parer mio l’hai pensata fin dall’inizio".
"No... questo te lo posso assicurare... cioè... volevo incastrare Iriza, ma mai avrei immaginato di arrivare ad incendiare una cappella", si difese il ragazzo.
"Devi credergli Albert; ha anche fatto in modo che nessuno si ferisse; non poteva sapere del vento...", tentò Annie.
"E questa, per voi, vale come giustificazione? È un’aggravante, mi pare".
"Certo che non è una giustificazione, zio: sono consapevole della gravità di ciò che ho fatto e sono pronto a pagarne le conseguenze, anche sul piano penale; se vorrai denunciarmi, accetterò tutto quello che comporterà".
Annie strinse ancora la mano di Archie .
"Albert ti prego, non portarmelo via; ha capito di aver sbagliato e mi ha promesso che, conclusi gli studi, si darà da fare per ripagare i danni, per...".
Non riuscì a concludere la frase perché fu sopraffatta dalle lacrime, che sgorgarono copiose.
"Annie, non piangere e non preoccuparti. Che assurdità! Certo che non ti denuncerò, Archie; il fatto che tu abbia deciso di raccontare tutto a me, e prima ancora ad Annie, mi rassicura sulle tue buone intenzioni; tra l’altro la zia Elroy non lo sopporterebbe. Lo so che in fondo sei un bravo figliolo e che hai ceduto ad un momento di debolezza che, però, e non dimenticarlo mai, poteva causare una tragedia. Uno dei motivi che mi induce a soprassedere alla faccenda è proprio il fatto che nessuno si sia ferito... Il tuo impegno ti fa onore e sono certo che lo rispetterai. Avrai modo di riscattarti".
"Sono disposto anche a lavorare di persona con gli operai alla ricostruzione...".
"No, non sarà necessario: tu pensa a finire gli studi in maniera seria e poi ne riparleremo, di questo. L’importante è che tu abbia capito e che abbia imparato a controllarti, a non cedere più ad impulsi istintivi".
"Ho solo una richiesta da farti: Candy non dovrà mai venire a sapere di questa storia, la ferirebbe troppo. Ti prego zio, promettimelo".
Albert gli si avvicinò e, dandogli una pacca sulla spalla, lo rassicurò:
"Tranquillo, non c’è ragione che lei lo sappia, non ora. Non voglio rovinarle questi momenti di felicità: se li è guadagnati, e meritati, tutti, dopo aver sofferto tanto, che non sarebbe giusto guastarglieli. Se in futuro vorrai, sarai tu a dirglielo, quando ti sentirai pronto a farlo".
Albert e Archie si strinsero la mano e la "riunione" terminò con un abbraccio tra zio e nipote e un bacio tra i due fidanzati.
Annie si stupì dell’accondiscendenza di Albert e pensò che questa derivasse dal fatto che anche lui stava vivendo dei momenti felici e stava progettando il suo futuro con Elizabeth.
 
In quegli stessi momenti, nel giardino di casa Brighton stava avendo luogo un altro incontro. Infatti Stear, seppur preoccupato per la situazione del fratello – ma era sicuro che Albert avrebbe capito e agito di conseguenza –, si era presentato a casa Brigthon chiedendo di Patty; la ragazza, che in quel periodo risiedeva dall’amica, fu sorpresa di vederlo soprattutto per l’abbigliamento: Stear era elegantissimo, come – ad eccezione del giorno del ballo – non gli capitava da tempo.
"Patty", esordì il ragazzo, "ho preso una decisione. Tutta questa faccenda dell’incendio, della bambina, mi ha fatto tornare la voglia di fare, di aiutare gli altri, di vivere. Lo devo anche al mio amico Dominique: se mi sono salvato una ragione c’è, e credo di aver capito quale sia; ho deciso di dedicarmi alla scienza e di sfruttare le mie capacità di inventore; non più invenzioni stupide e malfunzionanti, ma apparecchi più seri che siano di aiuto alle persone, anche fossero solo giocattoli. Un giorno riuscirò a far funzionare quel modellino che Iriza ha ripescato dal mio passato e, con quello, allieterò le giornate di molti bambini".
Patty fu felice di  vederlo animato e convinto e gli confidò il suo progetto:
"Stear, è meraviglioso che tu abbia ritrovato te stesso ed è bellissimo il tuo proposito. Ricorda che sarò sempre dalla tua parte e anch’io ho deciso cosa voglio fare della mia vita: frequenterò l’Università qui a Chicago perché voglio diventare un’insegnante; è una decisione che ho preso tanto tempo fa, già ai tempi della Saint-Paul. Te ne avrei già parlato, se tu non fossi partito per la guerra".
"Questo mi rende felice: abbiamo gli stessi obbiettivi, anche se intendiamo realizzarli in campi differenti. Nei prossimi giorni ne parlerò con Albert e... quando avrai terminato l’Università, quando avremo conseguito i primi risultati... insomma...".
Patty, che probabilmente aveva capito cosa volesse dirle il fidanzato, aveva il cuore in tumulto. Guardandolo negli occhi lo esortò a continuare.
"Insomma, Patty, vuoi sposarmi? Ovviamente non subito...".
Il bacio che la ragazza gli regalò, bloccandogli le parole, e il respiro, valeva come un milione di "sì".
 
Tom fu soddisfatto nell’apprendere che Archie avesse messo la testa a posto, quando questi si presentò da lui per scusarsi: era felice per Annie e per sé stesso, che ora non aveva altro pensiero che Dorothy.
"In fondo l’ho sempre saputo che sei un tipo a posto, anche se a volte fai venire voglia di prenderti a pugni", gli disse.
"Se tu sapessi cosa ho combinato probabilmente non la penseresti così... altro che prendermi a pugni", pensò Archie, prima di rispondere:
"Non preoccuparti; anche tu mi sei sempre stato simpatico, ho solo avuto un periodo, diciamo, complicato", rispose Archie.
"Sembrerebbe tutto a posto allora, ma ti avverto: non ti azzardare a far soffrire Annie, altrimenti vengo a trovarti e ti gonfio".
"Di questo non devi preoccuparti: io l’amo e farò di tutto per renderla felice; te lo assicuro".
I due ragazzi si abbracciarono, soddisfatti di aver appianato i loro contrasti.


















CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE:

Per la "discesa" dal balcone di Harrison e Iriza mi sono ispirato, ancora, ad un’altra "discesa", quella di Annie e Patty nel 48° episodio della serie TV "Tra quattro gelide pareti", già citata in questa storia nel capitolo 13.
Mancherebbe ancora qualcosa, ma ne parleremo la prossima volta.

 
The Blue Devil
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ringrazio tutti i lettori che vorranno imbarcarsi in quest’avventura, che neanch’io so dove ci porterà (se ci porterà da qualche parte)...
   
 
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