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Autore: aladoni    17/02/2019    1 recensioni
Tre anni dopo la fine della loro esperienza liceale, Emma, Chiara, Giulio e Damiano decidono di organizzare una rimpatriata atipica per rivangare il passato. Le distanze - geografiche e sentimentali - sono solo il primo scoglio che affronteranno nel loro viaggio a Verona, dove la compagnia - inizialmente non calcolata - di Fabiano e Filippo renderanno il mix ancora più particolare. Una sfida soprattutto per Emma e Filippo, che anni prima intrapresero un cammino poco definito. Riusciranno a superare le difficoltà e le diffidenze, ad andare oltre?
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO II – L’amore è una cosa semplice.
 



 
Maggio 2014, anno della maturità.
 
“Cerca su internet la traduzione della versione, Fab.” dice Filippo, poggiandosi allo schienale della sedia del bar dove lui, Fabiano ed Emma si erano dati appuntamento per studiare. Emma è al bancone del bar, ordinando tre caffè e due tramezzini, la gonna a pieghe e quel golf color panna che la fanno sembrare tanto una bambina delle elementari.
Filippo la osserva per un secondo ancora, poi torna a guardare Fabiano.
“Questa troia della prof… Non ci poteva dare semplicemente tre autori? No! Tutti gli autori che abbiamo fatto e tutti i testi! Non finiremo mai di studiare!” dichiara, osservando l’amico di fronte a sé. Emma si avvicina a loro, posa il portafogli rosa sul tavolo e si siede accanto a Filippo, aprendo poi il libro di letteratura latina.
“Da dove vogliamo cominciare?”
“Dal caffè.”
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Ora che sarai un po' sola tra il lavoro e le lenzuola, presto dimmi tu come farai? Ora che tutto va a caso, ora che non sono più un peso, dimmi quali scuse inventerai?
 
La camera da letto è spaziosa, il letto matrimoniale sembra accogliente, una bellissima finestra che dà sulla stradina. Emma, seduta sul lato di sinistra, osserva Filippo, alto e snello, poggiato allo stipite della sua porta.
“Quindi, vogliamo dormire così?” chiede lui.
“Non ti piace la divisione delle stanze? Volevi forse dormire con il tuo amichetto Giulio?” domanda lei, togliendosi le scarpe. “E comunque”, continua in un tono velatamente aspro, “questa è la disposizione più corretta, voi vi siete aggiunti per ultimi.”  
Filippo sorride ad occhi chiusi, ma non risponde.
“Con il tuo permesso, andrei a farmi la doccia nel bagno libero.” gli comunica Emma, fronteggiandolo. Filippo si fa da parte, osservandola.
“Non posso farla prima io?” la butta lì, senza trovare altri spunti di conversazione.
Emma scoppia a ridere e scuote la testa “Scherzi?! Sei lentissimo, una vera prima donna. Io ci metto al massimo dieci minuti, poi la doccia è tutta tua.” dice e si incammina nel corridoio, l’asciugamano velocemente tirato fuori dalla valigia, insieme al beauty case. Filippo resta immobile, ascoltando la porta chiudersi e la serratura del bagno scattare.
 

Nell’arco di quaranta minuti erano stati tutti catapultati fuori casa, poi di corsa alla visita dell’Arena di Verona. Poco dopo a prendersi un aperitivo, in serenità, prima del concerto. Chiara, esaltata all’idea di essere riuscita a portare a termine il piano del viaggio e del concerto, faceva da apripista all’entrata dello stadio, seguita a ruota da tutti gli altri. Con somma gratitudine di Fabiano e Filippo, la ragazza non li aveva costretti a recarsi al concerto  se non con appena mezz’ora d’anticipo, quindi si trovavano lì, quasi alle 21, a cercare di ritagliarsi uno spazio tra le prime file, birre in mano e posizione compatta.
 
In apertura Lo stadio, con un “bellissimo!” – descrizione delle ragazze – Tiziano Ferro pieno di energie, padrone del palcoscenico e ipnotizzante.
Abbracciata a Damiano, Chiara canta a squarciagola le canzoni, serena come poche volte in quel turbolento anno, grata per l’amore che quel burbero ex compagno di scuola era stato in grado di offrirle, senza pretendere mai troppo indietro. Tizianone sembrava parlare e cantare di loro, rifletteva la biondina. Delle difficoltà iniziali, dei primi tempi della loro relazione: iniziata per gioco, causa di scontri con Emma e portata avanti quasi più per senso del dovere che per vero interesse, la sua storia con Damiano era presto diventata qualcosa di bellissimo, poi di difficilissimo. L’incongruenza caratteriale era stata la prima scintilla, poi l’inevitabile immaturità di tutte e due – Damiano più di lei, ovviamente – durante gli anni del liceo, infine la distanza per motivi di studio. Mentre gli accordi di Ti scatterò una foto fanno impazzire il pubblico, Chiara torna con la mente alle telefonate difficili dei primi tempi, alla rabbia di saperlo a Berlino con Giulio, due uomini soli in esplorazione di un mondo che non la vedeva inclusa, in un momento in cui la fragilità della loro relazione le sembrava insormontabile, così come la convinzione e l’ansia di vedersi sfuggire dalle mani tutto quanto. Poi ripensa a Giulio, sempre delicato, distaccato ma presente, disposto a intermediare per loro nei momenti di maggiore criticità. Ed Emma, compagna di gioie e dolori, quasi persa con quella stupida scommessa e una gelosia infantile – era sempre stata Emma ad avere avuto una cotta per Damiano, non lei – che avevo reso Chiara cieca davanti gli sforzi della migliore amica di farsi estinguere, quasi violentemente, quei sentimenti per il ragazzo dell’altra. E poi il riavvicinamento, inevitabile e allo stesso tempo sofferto, delle due migliore amiche, alla fine della maturità. Una confessione cuore a cuore, simboleggiando il ritorno di quell’alchimia che le aveva sempre caratterizzate.
In uno slancio di affetto Chiara abbraccia Emma, tirandosela appresso e allontanandola dalla sua postazione tra Giulio e Filippo.
“Ti voglio bene!” le urla, facendo piangere l’amica.
Questo concerto ci ha rese entrambe emotive, pensa Chiara, scoppiando a ridere mentre la moretta cerca un fazzoletto nella borsa.
“Ti voglio bene anche io.”
Con L’ultima notte al mondo le due amiche ondeggiano insieme, cantando a squarciagola e rovinando il video di Fabiano, saltellando davanti alla telecamera tra linguacce e sbracciate. Chiara nota che Filippo le osserva fissamente. Osserva Emma, si corregge mentalmente, prestando attenzione a quel punto alla direzione dello sguardo della migliore amica, orgogliosamente fisso sul palco, nonostante l’intensità di quello di Filippo. Deve bruciare, uno sguardo fisso così, riflette la ragazza. Ostinata, Emma si rifiuta di osservare il biondo compagno di scuola, neanche sulle note de Il regalo più grande, quando tutta la comitiva si stringe in un abbraccio un po’ goffo. Quando Giulio abbraccia Emma da dietro, molleggiando con lei e inquadrandola con la telecamera del proprio cellulare, Chiara sposta il proprio sguardo su Filippo, occupato a scolarsi tutta la sua birra. Sarà un lungo fine settimana.
 
Cantando Troppo buono, la mente torna al liceo, ambiente che inevitabilmente li fece unire e poi separare a causa di incomprensioni, parole non espresse, altre sparse senza l’accortezza necessaria. Ne era passato di tempo da allora, e loro avevano imparato a scherzarci su, seppellendo l’ascia di guerra e i rancori nel passato. Più o meno.  Alcune verità bruciavano più di altre, marcate come cicatrici sulla pelle di alcuni soggetti specifici, destinate a diventare segni sempre più sbiaditi, ma pur sempre indelebili. Osservando nuovamente Emma, occupata a farsi aprire la birra da Damiano, Chiara si chiede se per lei sarà possibile chiudere quella brutta parentesi, una volta per tutte. Andare avanti, prima di spezzarsi definitivamente, prima di ammettere di non farcela più e buttare la spugna. In cuor suo sperava di sì.
 
 
Maggio 2014, anno della maturità.
 
“Io non ce la faccio più!” geme Fabiano, buttando la testa sul libro, esausto. Emma sospira e si appoggia alla spalla di Filippo, sconfortata. Siamo un pessimo gruppo studio, pessimo! Filippo le circonda le spalle con un braccio, salendo poi con la mano sul suo collo, tra i suoi capelli, facendole una lieve pressione in una sottospecie di massaggio. Emma rilascia un sospiro, di certo non se lo aspettava.
Filippo resta immobile, la schiena ancora poggiata, le gambe mollemente divaricate, Emma sulla sua spalla, la sua mano tra i capelli di lei, impegnata in quel lento movimento circolare.
Dopo istanti che sembrano ore, Fabiano rialza la testa. “Ricominciamo?” chiede. Emma si scosta lentamente, annuendo. Si appoggia allo schienale, le gambe incrociate, gli occhi sul libro.
Il braccio di Filippo di nuovo lì, a un passo da lei, poggiato innocuamente sullo schienale di lei.
“Sì. Ricominciamo.” sospira lei, ricominciando a leggere.
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Scusa sai non vorrei mai disturbare,
ma vuoi dirmi come questo può finire?
 
C’è un’aria strana quella sera, nel tornare a casa in silenzio, dopo un concerto durato ore, i piedi e la schiena doloranti, tutti un po’ brilli. Chiara e Damiano salutano tutti velocemente, trascinandosi in camera da letto tra una risata e un bacio rubato da lui. Gli sguardi divertiti dei ragazzi fa pensare ad Emma che, tutto sommato, sembrava di essere tornati al liceo: gli ormoni a palla, gli sguardi complici. A proposito di sguardi, riflette Emma versandosi un po’ d’acqua in un bicchiere, Filippo aveva passato tutta la sera a guardarla. Peccato non riuscissero a dirle nulla quegli sguardi. La verità è che ancora adesso, riusciva a fargli mancare il respiro. Si maledice mentalmente da sola, dirigendosi rapidamente in camera e lanciando rabbiosamente la borsetta sul letto. Questa rimbalza e cade per terra, facendola sbuffare nuovamente. Giulio le aveva detto, prima di salire a casa, che sarebbe andato per primo in bagno, così da lasciarle il tempo di mettersi il pigiama. Ricordando di risparmiare a Giulio l’appellativo di bambinetto liceale, si chiude la porta alle proprie spalle.  
 
Filippo è da un po’ di tempo che pensa che il tempo per loro non è stato clemente, proprio mai. Mentre la osserva sgusciare via, sempre così di fretta quando c’è lui nei dintorni, riflette a come fare per sistemare quella situazione leggermente antipatica. Emma riusciva a mandarlo al manicomio, anche solo con uno sguardo. Come tutti quelli che mi ha negato questa sera, ragiona. Leggermente infastidito da sé stesso, augura la buonanotte a Giulio e segue Fabiano in camera, pronto a lasciarsi alle spalle anche quella giornata.
 
 
Classe III D 2012, Roma.
 
E nutro un dubbio: non sarà mai inutile, ascoltarne l’eco. Sarò quello che non ti aspettavi. L’amore è una cosa semplice, e adesso te lo dimostrerò. So farti ridere ma mai per caso, sono io.
 
 
Una mano l’afferra al volo, impedendole di chiudere il suo armadietto. Emma si gira, osservando Filippo che, sorridendo, la prende per ballare sulle note di una canzone tutta sua. La ragazza si lascia trasportare, ridacchiando da quell’assurdo slancio da parte dell’amico. Molleggiando come due scemi, Emma ripensa alla giornata difficile che avevano avuto, e dei tentativi disperati di salvare il mondo, come aveva detto lui, solo qualche minuto prima.
“Siamo stati bravi, eh?” chiede lui, facendole fare una piroetta. Emma ride e gli torna vicino, continuando a ondeggiare. “Tu sei stato bravo. E falso, come tuo solito.” ribatte, senza alcuna traccia di cattiveria. Che Filippo potesse essere dolce come la seta ma in realtà falso come i soldi del Monopoli, era una sfaccettatura che non tutti avevano avuto il privilegio di imparare a distinguere. Lei sì, tra i loro scambi e le ore passate insieme a preparare i discorsi per i consigli. Filippo accenna un impreciso casquè, risollevando subito la compagna di studi.
“L’ho fatto per una buona causa, lo sai. Non mi piace essere così.” dice, come a voler sminuire quel lato del suo carattere. Poi la osserva, rallentando il ritmo del loro balletto. “Comunque io alle persone mi affeziono. A te voglio bene”, ammette, facendola sorridere felice, perché anche lei gli voleva bene. 
Anche qui, penserà Emma più avanti nell’arco degli anni, ripercorrendo spasmodicamente tutti i loro momenti, sei stato un maestro nel fare casini.  
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
“Comunque la scenografia ideata da Tizianone era da dieci, non trovi?”
“Decisamente. Quei quadri rotanti, la scelta dei colori. Si è superato!”
“Concordo. Mi sono anche un po’ emozionata, devo ammetterlo.”
“Emma Molinari che non si commuove? Sarebbe stato strano l’opposto. A cosa ti faceva pensare, si può sapere?” chiede Giulio, guardando la sua compagna di letto sdraiata ad appena dieci centimetri di distanza. Emma si gira supina, mani intrecciate all’altezza del diaframma. “Non so, un po’ di cose. Un po’ di passato.” gli dice, enigmatica. L’ex compagno di classe annuisce, poco propenso ad indagare oltre. Giulio Gentili era tutto, meno che un impiccione. La riservatezza era una qualità che gli amici apprezzavano in lui, Emma compresa.
“Vuoi un po’ d’acqua?” chiede dopo qualche minuto la ragazza, scostando le lenzuola per alzarsi. Giulio risponde affermativamente e ringrazia, tornando a guardare qualcosa al cellulare. In maniera silenziosa, considerando che avevano fatto quasi le tre di notte, Emma sguscia fuori dalla stanza e si dirige verso la cucina. La figura di un ragazzo alto e snello, messa in controluce dal tenue giallo dei lampioni di Verona che entra per la finestra, lo rende pericolosamente misterioso. Filippo, sua croce e, giusto sporadicamente in tutti quegli anni, anche delizia. 
 
 
 
Classe III D, 2012, Roma.
 
Qualche ora prima Filippo ed Emma si trovavano nel bagno degli uomini, lei seduta su uno dei lavandini, lui affacciato alla finestra, a pensare al discorso da fare ai professori, quel pomeriggio. Filippo le offre una sigaretta, ma la ragazza declina, contraria a fumare nei bagni della scuola.
“Allora, come procediamo?” chiede lei, concentrata.
Una nuvola di fumo le avvolge il viso, facendola sbuffare.
“Da quale punto vuoi partire? Sulle proteste per l’insegnamento, seguiamo il tuo piano, e diciamo che l’abbiamo fatto perché ci sentiamo altamente impreparati per quello che succederà alla maturità. E che volevamo farlo notare.” risponde Filippo.
“D’accordo. Ma dobbiamo evitare di far sentire i professori degli incompetenti, Fil. Non lo sono.” ribatte lei, osservandolo. Il ragazzo sorride all’amica, raddolcito dal suo lato così umano. Neanche una settimana prima si erano rifiutati di fare un compito in classe, consegnando le verifiche in bianco e abbandonando l’aula dopo neanche dieci minuti, e lei ora si preoccupava di aver ferito i sentimenti del professore di Matematica. “Saremo buonissimi, piccola Molinari. Diremo a Jacopini che è bravissimo, ma che non lo capiamo. Un po’ come dire ‘ti lascio, ma è colpa mia, non tua’. Vedrai che andrà alla grande!” le dice, ridendo della faccia contrariata dell’amica.
“Così non va bene!” gli ringhia lei, offesa dalla mancanza di tatto dell’amico.
“Come no? Io sempre così faccio!” chiede Filippo, tra il serio e il faceto.
Emma sospira e scuote la testa, anche un po’ spazientita dal cambio di discorso.
“Questo perché sei una bestia, Filippo. Non si lasciano le fidan…”
“Non chiamarle così!” la interrompe subito lo studente, fingendosi scandalizzato.
Emma scende dal lavandino e gli si avvicina, scocciata.
“Non si lasciano le ragazze così!” ripete, rimarcando sul termine utilizzato.
Filippo annuisce, soddisfatto. “Ma nel mio caso è vero. Il problema sono io, non loro.” risponde, sicuro di sé.
“Fidati, ti credo.” freccia lei.
“Mi stai dicendo che sono insopportabile, per caso? Perché ti ricordo che, in questo bagno, quella insopportabile sei decisamente tu. Sempre con la mano alzata in classe; sempre carina con i professori; sempre così terribilmente brillante!” elenca Filippo, in maniera teatrale. Emma ridacchia e gli colpisce la spalla con un leggero pugno, per farlo smettere. “Quello che intendo dire, cretino, è che se tu smettessi di fare il bello e dannato della situazione, che non si affeziona mai alle ragazze e che deve far credere di provare gusto nel fare lo stronzo, forse le tue relazioni funzionerebbero.” dichiara, convinta. Era un’osservazione a cui era arrivata da qualche mese, da quando il loro ruolo di rappresentanti di classe li aveva portati a passare più tempo assieme.
Filippo storce la bocca, prende lo zaino e ripone sigarette e accendino nella tasca davanti. “Questo è esattamente l’errore che fanno tutte, Emma. Credere che io sia così per chissà quale trauma infantile, o mancanza di amore da parte di mia mamma. Come se avessi chissà quale stupido scudo eretto a proteggermi. Pensano tutte di potermi cambiare. Prima mi vengono dietro perché sono così, poi sperano che io cambi. Illuse.” afferma, sorridendo. Emma resta ad osservarlo mentre se ne va, quel veloce “Ti aspetto giù!” gridato dal corridoio, lasciato sospeso.
Illuse.
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Se si parla di confini, se si parla di limiti umani. La pazienza di amare, di urlare. E mi sono promesso che non ti cercherò, forse mai più. Stavolta sarai tu a guardarmi. Ho promesso a me stesso: “non penserò a te”, forse mai più.
 
 
“Ancora sveglia?” chiede Filippo, notando la presenza di Emma alle proprie spalle.
“Sono venuta a prendere un po’ d’acqua. E tu che ci fai in piedi? Fabiano russa troppo?” chiede lei, accostandosi al ripiano della cucina. Il biondo ridacchia e le si accosta, prendendo una tazza dalla mensola sopra la sua testa.
“Abbastanza. A dire la verità avevo un po’ di pensieri per la testa, in ogni caso.” le confessa, aspettando poi il proprio turno per riempire la tazza d’acqua. Emma annuisce, rigida. Fa per dargli la buonanotte, quando nota il gesto dell’ex compagno di mettere la tazza nel microonde.
“Ti stai facendo una camomilla?!” chiede, incapace di trattenere la propria curiosità. Lei non lo può sapere, ma Filippo di spalle ha sorriso, lieto di aver trovato una scusa per trattenerla qualche secondo in più.
“Una tisana, a dire il vero.”
“Tu sei tutto matto. Fanno trenta gradi!”
Lui si gira, poggiandosi al ripiano. Emma, pantaloncini, canottiera e due bicchieri d’acqua tra le mani, lo osserva a debita distanza.
“Ne vuoi una?” chiede, divertito. La ragazza lo guarda, corrucciando la fronte.
“Non mi hai sentito? Faranno trenta gradi, Filippo.”
“Che vuoi che ti dica, Ems. È un’abitudine che ho preso da qualche anno. Mi aiuta a rilassarmi, anche con il caldo. In più, una saputella come te dovrebbe saperlo: bere bevande calde quando la temperatura è così alta, aiuta il corpo ad acclimatarsi.” le dice, canzonandola.
“Questo è quello che fanno in Cina, o magari i Beduini, mica a Verona!” ribatte lei, poggiando i bicchieri sull’isoletta della cucina, tra di loro.
Con un po’ di sforzo in più, pensa Filippo, magari riesco a farla rimanere ancora qualche minuto qui, con me. Si gira velocemente, prende un’altra tazza e la riempie d’acqua.
“Forza, donna di mala fede, ora ti faccio provare.”
“E dimmi, ti porti le tisane da casa? In quello zainetto che avevi al liceo?”
“Ho notato che la gentile proprietaria di casa ci ha lasciato un’interessante varietà di tisane ed infusioni, e alcune di queste non le ho ancora mia provate. Vai, scegli tu quale vogliamo prendere.” la stuzzica, lanciandole la scatoletta con tutte infusioni sparse.
“Tu non stai bene…” sente borbottare, e sorride. Emma si siede sullo sgabello della cucina, intenta a leggere i cartellini di tutte quelle varietà.
“Zenzero e liquirizia, bleah!” dichiara. Filippo si avvicina, rimanendo pur sempre dall’altro lato dell’isola, e afferra qualche bustina.
“Ti dirò, oltre a fare benissimo all’organismo, l’accostamento di sapori non è per niente male. Pizzica un pochino, quello sì.”
Emma lo osserva, incredula.
“Chi sei tu e che ne hai fatto di Filippo Restilli, tutta virilità e cocktail Negroni Sbagliato?” chiede, sconvolta. Il ragazzo in risposta si gira a prendere le due tazze, torna ad osservare la varietà di infusioni, e decide per una scelta più soft: frutti rossi, camomilla e timo.
Le passa la tazza e si appoggia nuovamente al tavolo.
“Quando a Trento due bar su tre hanno un’offerta più ampia di tisane che di amari, ti abitui a tutto. E ti ripeto, dovresti fidarti di quello che ti dico: un toccasana.”
La smorfia della ragazza è eloquente. Fidarti di quello che ti dico, come no.
“Resto dell’idea che tua sia tutto matto,” inizia lei, soppesando le parole da usare, “ma credo che questa non sia neanche la tua più grande stranezza.”
“Grazie.”
“Non voleva essere un complimento.”
“Oh, lo so. Ma per lo meno stiamo parlando da quasi dieci minuti, quindi ti ringrazio.”
Ora la rigidità di Emma è evidente, Filippo se ne rende conto.
“Sei sempre così fastidiosamente diretto.”
“Grazie.”
“Ti assicuro che, con quel fastidiosamente, la mia intenzione era farti capire che non si trattasse di un complimento.”
“So anche questo. Eppure, sono fatto così, no? Lo sai.”
“L’ho sempre saputo.”
Era ora di smorzare la conversazione, o quell’espressione pensierosa della piccola Emma avrebbe potuto perforare il muro, ne era certo.
“Per ora mi ritengo soddisfatto. Prova la tisana e poi giuro che non ti importuno più.” Le dice, sorridendo cordiale. Emma scuote la testa e si avvicina la tazza alle labbra, soffiando piano. Dopo un primo sorso ne fa un altro, poi sorride appena.
“È buona.”
Il ragazzo annuisce e si mette a bere la sua di tisana, soddisfatto.
“Per il resto, come stai?” azzarda, vedendola così tranquilla a sorseggiare dalla tazza con una mucca disegnata sopra. Piccola Emma.
Come risvegliatasi dallo stato di trance, la ragazza sospira e si alza dallo sgabello.
“Stanca, a dire il vero. Me ne torno in camera. Grazie per la tisana, ‘notte.”
Filippo chiude gli occhi e annuisce, augurandole una buonanotte.
Quando il rumore della porta che si chiude preannuncia la sparizione di Emma, il ragazzo torna alla finestra, a bere la sua squisita tisana, cercando di trovare la pazienza per capirla. Un tempo erano stati in perfetta sintonia.
 
 
Classe III D, 2012, Roma.
 
Emma camminava nervosa, ripercorrendo i propri passi ancora e ancora, in attesa di essere chiamata nell’aula dove il consiglio dei professori si stava svolgendo, e con toni accesi, da quello che riusciva ad ascoltare dall’altro lato della porta. Bell’idea, quella di farsi eleggere rappresentante di istituto, pensa lei. Poco distante, poggiato comodamente contro lo stipite della porta, il suo collega, rappresentante insieme a lei, e sua personalissima spina nel fianco, giocava tranquillamente al cellulare.
“Potresti calmarti?” chiede Filippo, rivolgendole uno sguardo divertito. Emma sbuffa e gli avvicina, nervosa. “Non li senti come urlano? Non sono contenti, Fil!” sbraita lei, cercando di mantenere il tono della voce basso. Filippo sospira e mette via il cellulare, per dedicarsi completamente alla sua compagna di avventure. “Non abbiamo fatto niente.” Afferma, serafico.
“Ma che grande sciocchezza!” esclama ironica la ragazza, spintonandolo un po’.
“Abbiamo consegnato la simulazione della seconda prova in bianco e abbiamo scioperato con la professoressa di Lingue. Per non parlare dell’altro problema!” gli ricorda lei, sconfortata. Bellissima idea, si ripete. Voleva solo fare ‘del bene’, Emma, candidandosi alle elezioni. Le sarebbe piaciuto poter usare il suo buon rapporto con i professori per mitigare la situazione in classe. Mai si sarebbe aspettata di dover fare la rappresentate nell’anno in cui, tutti loro, avevano dato prova di sublime stupidità. Filippo le sorride e, con un occhiolino, le ripete: “Fidati di me. Non abbiamo fatto niente”. La risposta stizzita della compagna di classe viene interrotta dal professore di religione, un simpatico uomo di mezza età che esce dalla stanza dei colloqui. Li osserva, così vicini, e sorride divertito.
“Ah ragazzi, c’è un’atmosfera strana qui dentro...” afferma, facendo sospirare la studentessa. Filippo, sereno, le passa una mano intorno al fianco, come per darle sostegno. Il professore sorride.
“Ve lo avevo già detto qualche mese fa, ma una combinazione migliore per rappresentare la classe non poteva uscire. Siete proprio una bella coppia!” esclama. Emma e Filippo sorridono, divertiti in parte da questa storia. Era un mantra che si erano sentiti ripetere spesso, dal verdetto delle elezioni. Tutti i professori si erano trovati piacevolmente sorpresi nel vedere il duo incaricato a rappresentare la classe intera. Conoscendoli da qualche anno ormai, concordavano nel trovare la coppia Emma Molinari e Filippo Restilli un duo abbastanza esplosivo, eppure funzionale. “Tu così pacata e sincera, Emma. E tu impulsivo e buon oratore, Filippo. Vi compensate” aveva detto loro la professoressa di Filosofia, quando erano andati a consegnare il foglio con le loro firme. Il professore di Italiano e Latino, entrato in quell’istante nell’aula docenti, aveva concordato, aggiungendo quanto “le loro personalità si equilibrassero”, affermando qualcosa sul potenziale di un loro avvicinamento, per lo meno nel campo professionale. 
“Quanto è grave, Prof?” chiede Emma, riportando l’attenzione sulla dinamica del consiglio dei professori.
“State per scoprirlo. Sono uscito a chiamarvi.” Afferma lui, aprendo nuovamente la porta per farli passare. Filippo prende la mano della giovane compagna, pratica ormai di routine dal loro primo incontro con i professori. Emma gliela stringe ed entrano insieme, pronti ad affrontare anche quel problema.
Il professor Agile, conscio che il gesto fosse tanto una strategia “politica” dei ragazzi – sicuramente idea di quel Machiavelli del suo studente preferito – quanto un atto di infusione di coraggio e premura da parte del ragazzo, ridacchia tra sé e sé. Decisamente una coppia esplosiva.
 
 

Agosto 2018, Gardaland.
 
“Restilli, sei un deficiente!” urla Emma, scandalizzata. L’ex compagno di classe l’aveva appena spinta dentro a una delle fontane di Gardaland, mentre Fabiano aveva fatto lo stesso con Chiara, in quel momento intenta a provare a tirarlo dentro con sé.
“Avevi detto di avere caldo!” si scusa lui, ridendo. Emma lo spintona, scocciata.
Un gruppo di ragazzi, avendo osservato tutta la scena, fischia in direzione della moretta, tristemente conscia di stare indossando una canottiera bianca, ormai trasparente. “Guardate che ha fatto, quell’idiota!” continua lei, avvicinandosi a Giulio in cerca di conforto. Giulio, tranquillamente seduto su una panchina all’ombra insieme a Damiano, scuote la testa divertito.
“Non mi sorprenderebbe se parte del loro piano fosse stato quello di farvi partecipare a Miss Gardaland Bagnata” afferma, osservando anche le condizioni della maglietta dell’altra amica. Filippo si avvicina alle spalle di Emma, strofinandole velocemente le mani lungo le braccia, come per riscaldarla. La ragazza sbuffa e si gira.
“Dammi la tua maglietta” comanda, glaciale. Filippo ride e si spoglia velocemente, passandole la lunga T-shirt grigia che la ragazza si infila prontamente. “Stavi meglio prima.” confessa, ridacchiando. Emma lo guarda arresa e si dirige verso Chiara, avviandosi verso la fila di un altro gioco.
“Anche tu stavi meglio prima. Questo sfoggio di addominali ti fa solo apparire più montato di quanto tu già non sia. Comunque lo sai che prima o poi ti uccide, sì?” chiede Damiano al biondo, ancora divertito dalla scena delle due ragazze interamente fradicie.
“Molto probabile,” conferma Filippo, con un sorrisino, “ma mi ero stufato di quella falsissima cordialità.” continua, confessando agli amici il fastidio per quell’atteggiamento così distaccato.
“Forse”, inizia Fabiano, riavvicinatosi al gruppo di amici, “se non avessi fatto tutte quelle cazzate a scuola, sareste ancora ottimi amici.” Afferma, facendo annuire gli altri ragazzi della comitiva. Filippo ringrazia mentalmente la riservatezza della piccola Emma che negli anni aveva permesso loro di sviluppare quel personalissimo rapporto, senza dover passare per la Santa Inquisizione dell’organo della classe, o peggio, della comitiva rappresentata dai qui presenti. E che lo protegge in questo momento da una ramanzina che altrimenti sarebbe stata molto più lunga, nonché basata su fatti più recenti.
“Bella testa di cazzo che sei stato, l’anno della maturità!” riprende il discorso Damiano, portando Giulio a confermare: “Hai veramente fatto un casino, quell’anno.” ammette, portandolo con la mente a quei tempi.
 
 
Maggio 2014, anno della maturità.  
 
Erano ore che stavano ripassando Filosofia, con scarsi risultati. Giulio sdraiato per terra, Damiano con il telefonino intento a terminare una partita di Candy Crush, Emma e Filippo seduti sul divano a gambe incrociate, con Fabiano che, di tanto in tanto, lanciava loro le carte delle caramelle che Chiara aveva portato dopo pranzo prima di andarsene a sbrigare delle commissioni. All’ennesimo vuoto di memoria di Filippo, Emma sbuffa e si lascia cadere indietro sui cuscini, stanca e affamata. Erano da poco passate le sette, il brontolio proveniente dalla sua pancia non era passato inosservato.
“Basta così: lo considero un segno divino e vado a comprare del gelato!” esclama Fabiano, ricevendo un applauso da parte di Giulio, improvvisamente rinsavitosi.
“Ti accompagno, devo lasciare questa stanza o impazzisco! Nessuna offesa, Ems. Grazie per l’ospitalità, come sempre!” dice il ragazzo, facendo sorridere la moretta.
“Non mi offendo mica. Andate e intanto io faccio altro caffè.” comunica, forzandosi a lasciare quella comodissima postazione per preparare un’altra moka. La simulazione della terza prova era programmata per il giorno seguente e un’intera sessione di studio era stata fissata d’urgenza. Curiosa combinazione, riflette la ragazza, lasciando i quattro uomini a spulciare tra i loro averi per compare il gelato. Non che non fossero tutti più o meno amici, quello no. Ma il piano ufficiale era, come sempre, sessione di studio tra donne, lei e Chiara, un duo formidabile. Damiano, furbo e disperato, si era aggiunto quasi subito, facendo cedere la propria fidanzata a suon di moine e sussurri vari. E poi la voce si era sparsa ed Emma era rinomatamente di indole accondiscendente, così che il gruppo di sei si era formato. Con il calendario di Fabiano alla mano, i ragazzi si erano impegnati a seguire un rigoroso piano di studi in vista della maturità: all’inizio doveva essere solo un ripasso occasionale, ma presto si era trasformato nella promessa di passare i prossimi venti giorni insieme, dalla fine della scuola fino agli orali. Casa Molinari era stata proposta come sede centrale, e gli ospiti si erano impegnati di non far mancare mai merenda, cibo, sigarette.
Il rumore della porta di casa che viene chiusa informa dell’uscita dei due ragazzi. Damiano si porta lentamente in camera di Emma, gridandole dal corridoio che sarebbe andato “a riposare gli occhi per qualche minuto”, mentre la ragazza armeggiava in cucina con la moka.
“Sono stato così pessimo, prima?” chiede Filippo, entrando in cucina.
Emma sbuffa, impegnata a stringere al massimo quella vecchia macchinetta. La guarnizione era orribilmente danneggiata e il caffè usciva per la maggior parte da sotto, a dire la verità.
“Siamo solo tutti stanchi, Fil. La prof non doveva inserire la sua materia nella simulazione con solo due giorni di preavviso.”
“Si suppone che siamo tutti belli che preparati, ormai!”
“Sì, beh, non direi proprio.”
“Lascia, faccio io.” si offe il ragazzo, togliendole la moka dalle mani. 
“E comunque,” continua lui, una volta acceso il fornello, “ti volevo dire che il tuo è veramente il peggior caffè che io abbia mai bevuto. Mi dispiace, ma veramente non lo sai fare!” esclama, ridendo. Emma scoppia a ridere, colpendolo con lo straccio.
“Fammi capire,” inizia, “ti apro casa, ti cibo, ti sopporto e ti ascolto ripetere, e mi dici che il mio caffè fa schifo? Sei proprio un ingrato!”
Il ragazzo scoppia a ridere e la rincorre fuori dalla cucina, in un infantile quanto divertente giocare ad acciuffarsi. Quando l’afferra per la vita, sollevandola di peso, le urla dei due richiamano Damiano, che si affaccia dalla porta della camera da letto giusto in tempo per vedere il suo amico mentre fa il solletico alla compagna di studio, per poi fiondarla sul divano. Scuote la testa e torna in camera, attendendo il gelato.
Emma, nell’atterraggio sui cuscini, si trascina dietro il ragazzo, facendoli finire entrambi sul divano. Le risate continuano ad echeggiare per qualche minuto, la guancia di lui premuta sul suo sterno.
“Hai ragione,” confessa Emma, “il mio caffè è davvero pessimo. La mattina infatti ci pensa Chiara, che è sempre la prima ad arrivare.”
Filippo sorride e alza lo sguardo, osservando quelle labbra sottili e il naso piccolo.
“Non puoi essere brava in tutto, lo sai.” le dice, poggiandosi sui gomiti per non gravarle troppo addosso. Da sotto, la ragazza sguscia un pelo indietro, arrivando a poggiare la schiena al bracciolo del divano.
“Non saper fare il caffè però è abbastanza grave, non trovi?” chiede lei, passando una mano tra i capelli del compagno di classe.
“Hai altre qualità, non preoccuparti.” risponde Filippo, mettendosi a sedere con le gambe di lei sulle proprie.   
“Tipo?”
“Tipo…” inizia, passando distrattamente le dita sulle gambe di Emma, continuando a guardarla.
“Tipo il tuo cervello, o la tua ironia.”
Emma ridacchia, rovesciando la testa all’indietro per farsi una veloce coda ai capelli.
“O tipo queste gambe.” conclude lui, a bassa voce.
La coda della ragazza si trasforma in una disordinata crocchia, lasciata in sospeso al sentire quelle quattro parole. Il sorrisino di Filippo la porta a sorridere, confusa.
Crema, cioccolato e pistacchio! Damiano mi dispiace, ma l’affogato alla nutella non te lo abbiamo preso. Non scassare e accontentati!” si sente dall’ingresso.
Il rientro degli amici con il gelato interrompe quel loro momento.
 
 
Agosto 2018, Gardaland.
 
L’euforia di Damiano, omone di quasi due metri ma con ancora tanti tratti infantili, aveva fatto alzare tutto il gruppo alle sette del mattino. Non erano concessi ritardi, nel suo rigidissimo piano d’azione. Dovevano essere tutti pronti nel giro di un paio d’ore, così da prendere il trenino che li avrebbe portati al parco giochi per le dieci e mezza. Una lunga, divertente e spensierata giornata tra montagne russe e cibo spazzatura li attendeva. Emma e Chiara, più per mancanza di iniziativa dei ragazzi che per chissà qualche gesto di galanteria, erano state le prime ad entrare in doccia. Mentre i ragazzi facevano colazione, le ragazze avevano avuto modo di preparare dei zanetti con il minimo indispensabile – acqua, soldi, qualche asciugamano e i biglietti dell’entrata al parco divertimenti. In un silenzio quasi religioso, visto che nessuno di loro si poteva definire un attivo mattiniero, avevano tutti rispettato il piano e avevano raggiunto il treno delle 09.30, senza intoppi. Giulio era riuscito anche a permettersi un caffè al bar della stazione, con calma.
 
Gardaland si presentava, in quella caldissima giornata d’agosto, come una manna dal cielo. Anche se erano tutti abbastanza stanchi, Gardaland permetteva loro di staccare un po’ la spina dalla convivenza forzata delle ultime ore, con un ventaglio di possibilità tra giochi a tema, prati all’ombra dove riposare, locande dove mangiare qualcosa. I ragazzi si lanciano immediatamente verso le attrazioni adrenaline, lasciando alle ragazze i propri zaini, mentre queste due decidono di passare prima per il bar e prendersi un caffè. Mentre, con la mappetta del parco attrazioni alla mano, decidevano il loro itinerario, segnando i must do che sicuramente avrebbero voluto fare anche i ragazzi, chiacchierano del più e del meno.
 
 
 
Sei panini, tante birre e molte ore dopo, il gruppetto eterogeneo stava uscendo dall’ultimo gioco, L’albero di Prezzemolo, pensato per i bimbi più piccoli, ma che era riuscito a mettere a disagio anche la stessa Emma, che di anni ormai ne aveva ventitré.
“Vi assicuro che non credo sia adeguato a dei mimi umani, quell’albero!” continua, borbottando delle scuse in risposta alle battutine di Filippo e Damiano.
“Ti ha spaventato persino Prezzemolo, dentro la cucina.” le ricorda Filippo, abbracciandola velocemente. Le risate di tutti i compagni le fanno perdere il broncio, e il braccio intorno alle spalle di lei non la disturba più di tanto.
“Non era Prezzemolo ad avermi indisposto, idiota,” inizia Emma, fissando il volto dell’alto biondo accanto a sé e dandogli un veloce pizzico sul fianco, “bensì di quell’uomo cattivo che voleva impadronirsi dalla casa!”
“Amore, non li ascoltare!” esclama Chiara, lacrime agli occhi e a braccetto con il fidanzato, piegato in due dalle risate.
“Comunque,” fa Filippo, ancora tranquillamente vicino alla piccola moretta, “vogliamo andare a cena e a prenderci qualcosa da bere? È la nostra ultima sera a Verona.” chiede, trovando in Emma un’alleata, che risponde con un grande sorriso e un elenco di trattorie in cui li avrebbe voluti portare.
“Perfetto, io non passerei neanche da casa. Scendiamo dal trenino e andiamo, che dite?” chiede Giulio. L’assenso da parte di tutti decreta il piano della serata.















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Buona sera, car@ lettore/lettrice. 
A distanza di molti mesi eccomi qui, con il secondo capitolo di L'ultima notte al mondo. È con serenità che posso dirti che non si tratterà di un altro capitolo lanciato in aria così, da solo, bensì che il suo seguito (altri tre o quattro capitoli) arriverà in maniera più regolare, d'ora in avanti. Questo perché, nel leggere la splendida recensione e messaggio di una amica di penna qui su EFP, mi sono ricordata di quanto mi piaccia scrivere e di quanto la costanza sia fondamentale per portare a termine anche la più tranquilla delle storie. Quindi, senza ulteriori indugi, ti lascio, sperando che il capitolo sia stato di tuo gradimento e che la tua curiosità di sapere qualcosa in più su questo dinamico gruppo possa spingerti a pazientare in attesa del capitolo 3!

Buona notte, 
Chiara.
 
   
 
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