2.
I
ragazzi di Wilford Johnson furono velocissimi nel cambiare lo
pneumatico del
camper di Iris.
Si
complimentarono inoltre con lei per il mezzo super accessoriato
– dotato, tra l’altro,
di una Smart ForTwo nel gavone – così come per il
suo lungo viaggio.
Percorrere
quasi tremilacinquecento miglia, spaziando dalle Montagne Rocciose, lo
Utah, il
Colorado, Wyoming, il Montana e poi sconfinare a nord per attraversare
il
Manitoba, il Saskatchewan e infine la Columbia Britannica, non era da
tutti.
Nell’attendere
che il lavoro fosse ultimato, infatti, Iris si era sbilanciata a
chiacchierare
un po’ con loro, informandoli sul suo peregrinare per gli
Stati dell’ovest e sulle
prossime mete da raggiungere.
Quando
infine poté riavere il camper, Iris salutò tutti
con calore e, con calma,
imboccò la via principale per dirigersi al camping.
Sì,
quella gente le piaceva davvero e sarebbe stato un piacere fermarsi in
quel
luogo per un po’.
Il
solo pensarlo la portò a ridere tristemente, e i pensieri le
andarono alla Iris
di un paio di anni prima, così come alle compagnie che aveva
sempre frequentato
prima di tutto.
Sarebbe
stato impensabile, per lei, trovare piacevole la semplice compagnia di
un
meccanico, così come di una cameriera in un bar.
In
questo, era stata molto superficiale e frivola, ma ciò che
le era successo era
almeno servito a darle la batosta necessaria per farla cadere con il
didietro a
terra. Questo le aveva fatto comprendere quanto, soldi e
celebrità, fossero futili,
se non erano conditi da un minimo di cervello e tanta, tantissima
umiltà.
Senza
avere certezze per il futuro, o dei genitori con cui condividere un
destino
comune, a cosa le erano serviti i suoi soldi e le sue amicizie? A nulla.
La
vecchia Iris non avrebbe mai potuto affrontare da sola
quell’impresa. Era stato
perciò necessario sostituirla, darle il benservito,
diventare qualcun altro.
Qualcuno, lei sperava, di migliore.
«Di
sicuro, avrei preferito maturare senza tutti questi grattacapi al
seguito ma,
visto che non ci posso fare niente…»
brontolò lei con un mezzo sorriso.
Era
inutile arrovellarsi sui difetti di un passato che non poteva cambiare,
ma da
cui poteva trarre il massimo per migliorarsi. Poteva solo sperare di
essere
diventata un poco più matura rispetto a come era stata in
passato.
Fu
con quell’atteggiamento pragmatico che si presentò
all’entrata del camping. Oltrepassando
l’alto arco di legno su cui capeggiava il nome del campeggio,
avvicinò quindi il
camper alla casupola in tronchi della reception, e lì
parcheggiò.
Sulla
veranda assolata, e seduto su una poltrona di vimini a leggere una
rivista,
Iris vide un giovane dai ricci capelli castani, su cui brillavano
perfetti
colpi di luce a far risaltare le chiome corte e ordinate e il viso
piacente.
Era
davvero affascinante – constatò Iris – e
dal sorriso ampio, ma non fu quello a
farle spalancare la bocca come un’idiota, non appena fu scesa
dal camper.
Quel
giovane sui trent’anni, dal fisico atletico e vestito come un
boscaiolo… aveva il suo stesso
odore.
Non
era un odore umano, ma ferino. Sapeva di bosco, di selvatico e di
animale e,
quand’anche lui lo ebbe notato, il suo sorriso
scemò un po’ per poi farsi quasi
interrogativo. Guardingo.
Che
neppure lui avesse mai incontrato prima un suo simile? Erano davvero
così rari?
Iris
bloccò i suoi passi accanto al suo mezzo, la mano stretta
allo specchietto
retrovisivo, mentre il giovane si alzava cauto dalla poltrona, gli
occhi
azzurri fissi sul suo viso.
Come
ci si doveva comportare di fronte a un proprio simile?, si chiese tesa
Iris,
non sapendo cosa accidenti dire, o fare.
Il
giovane dovette accorgersi della sua indecisione, o forse fu la vista
della
ferita slabbrata sul suo braccio – messa in evidenza dalla
sua camicia a
maniche corte – a metterlo in allarme.
Quella
momentanea impasse venne
perciò
spezzata dal giovane che, sorridendole con maggiore convinzione, la
invitò a
entrare nella casupola, dicendole: «Benvenuta al camping di
Clearwater. Lei
deve essere miss Walsh. Zio Wilford ha chiamato poche ore fa per dirmi
che
sarebbe arrivata.»
«Sono
io, in effetti. Lieta di fare la sua conoscenza, Mr Johnson»
asserì cauta lei,
salendo i due gradini di legno della veranda per poi entrare nella
casetta di
tronchi intrecciati.
Il
giovane rise sommessamente, facendole strada e, nel chiudersi la porta
a vetri
alle spalle, replicò: «L’unico Mr
Johnson che conosco, a parte lo zio, è mio
padre Chuck. Io sono solo Lucas.»
«E
io solo Iris» dichiarò a quel punto la giovane,
allungando timidamente una mano
nella sua direzione.
Lucas
gliela prese con un certo vigore e, piegando leggermente su un lato il
braccio ferito
di Iris, sospirò e domandò spiacente:
«Quando è successo?»
«Due
anni fa» mormorò la giovane, sapendo bene a cosa
si stesse riferendo.
Lasciando
andare la presa, Lucas sospirò nuovamente e, nello scuotere
il capo, mormorò:
«Mi spiace davvero tantissimo. Deve essere stata una batosta
coi fiocchi.»
Un
groppo improvviso quanto enorme le bloccò la gola e Iris,
portandosi le mani al
volto nel tentativo di comprendere cosa non andasse, si
ritrovò a sfiorare calde
lacrime sulle sue gote.
Lucas,
immediatamente, la fece sedere su una poltrona dal sedile imbottito a
scacchi
rossi e blu e, nell’allungarle una scatola di kleenex
– che si trovava su una
tozza scrivania di legno – asserì:
«Okay, ho battuto tutti i record. Non avevo
mai fatto piangere una ragazza in meno di un minuto.»
Iris
si lasciò andare a un risolino un po’ isterico e,
nel tamponarsi gli occhi,
gorgogliò: «E’ la prima volta
che… che parlo con qualcuno come me…
scusa, non sapevo cosa fare, ed è venuto fuori il mio lato
più molliccio.»
Lucas
rise di quella spiegazione fatta di balbettii sconnessi e, accomodatosi
che fu
sulla poltrona vicina, replicò: «Due anni tutta
sola nella tua testa, senza
sapere che farne di quello che ti hanno lasciato in eredità,
e senza che tu lo volessi, immagino?
Va
ancora bene se sei rimasta sana di mente!»
«Mio…
mio zio lo sa» mormorò Iris, calmandosi
gradatamente. Forse, la tempesta
ormonale era terminata, e lei poteva tentare di non apparire solo una
sciocca
piagnucolosa.
«Un…
senza pelo?»
borbottò contrariato
Lucas, accigliandosi immediatamente.
Lei
assentì con vigore, immaginando che quel termine
così strano indicasse coloro
che non si trasformavano in lupi. Immediatamente, replicò:
«Sta mantenendo il
segreto dal giorno in cui gliel’ho detto. I miei genitori
sono morti due settimane
dopo la mia aggressione, e così… beh,
c’era solo lui ad aiutarmi, quindi…»
«Beh,
se ti copre da allora, è a posto»
asserì cauto Lucas. «Hai parlato di
un’aggressione. E’ così che ti hanno
ferita? Che hai contratto il marchio?»
«Un
ubriaco in un vicolo, mentre rientravo a casa. Mi ferì con
quelle che, subito,
credetti essere degli artigli di metallo. Sai, come quelli che usano i
ninja
nei film… ma non lo erano affatto»
sospirò Iris, ora irritandosi leggermente.
«Non so neanch’io perché lo pensai,
visto che è assurdo il solo crederlo
possibile, ma fu l’unica cosa sensata
che mi venne in mente in quel momento.»
Ricordava
perfettamente quella notte tremenda.
I
suoi passi veloci lungo il vicolo, le sue imprecazioni a mezza bocca
per aver
fatto tardi e la paura, la terribile
paura quando, dietro di lei, Iris aveva avvertito il suono di passi
traballanti.
Non
aveva fatto in tempo a prendere le chiavi per aprire la porta del
palazzo dove
abitava. L’uomo l’aveva afferrata a un braccio,
urlandole di darle i suoi
soldi, ma Iris aveva reagito.
Dopo
aver estratto dalla borsetta lo spray al peperoncino, lo aveva diretto
contro
il volto barbuto dell’assalitore che, colto alla sprovvista,
aveva ringhiato
contro di lei, ferendola e sbattendola con violenza contro il muro.
Il
colpo l’aveva tramortita a sufficienza da impedirle di vedere
la fuga
precipitosa dell’assalitore e, quando alcuni vicini
l’avevano trovata –
attirati dal caos nel vicolo – avevano subito chiamato
l’ambulanza.
I
giorni seguenti lei li aveva passati in casa, tentando di calmare le
sue paure
e mantenendo il segreto con i suoi genitori per non spaventarli. Il
fatto che
dovessero affrontare un lungo viaggio di lì a poco,
l’aveva frenata.
Con
il fare della luna piena, però, Iris si era resa conto di
quanto,
quell’aggressione, l’avesse cambiata. In
cosa, soprattutto.
Il
terrore si era sostituito allo sgomento di essere stata aggredita e,
già sul
punto di dire tutto a suo padre, il peggio era avvenuto.
Un
maledetto incidente. Un ragazzino al volante dell’auto del
padre, strafatto di
cocaina, si era lanciato a occhi chiusi per l’autostrada,
uccidendo se stesso,
l’amico al suo fianco e gli incolpevoli genitori di Iris.
Il
tutto si era ridotto a un articolo sul giornale, alle condogliante dei
conoscenti, a un cospicuo risarcimento danni, a un veloce processo e al
vuoto
nel suo cuore.
In
un attimo, i suoi genitori se n’erano andati e lei era
rimasta sola, con il suo
atroce segreto racchiuso in gola e con l’ansia di non sapere
cosa fare.
Rivolgersi
a zio Richard le era parsa l’unica soluzione e, se lui non
fosse stato così
gentile e premuroso, Iris sarebbe sicuramente impazzita.
«…
e così, mi sono messa alla ricerca di qualcuno che potesse
spiegarmi cosa fare,
come guarire o, al peggio, come gestire ciò che
sono» terminò di dire Iris,
lanciando un’occhiata supplichevole agli occhi azzurro
ghiaccio di Lucas.
Le
spalle rilasciate contro lo schienale della poltrona, il giovane
fischiò
sorpreso e asserì: «Beh, direi che hai avuto un
bel coraggio a metterti in
gioco a questo modo, anche se non avevi alcuna certezza al tuo
fianco.»
«Lo
zio pensava che forse, allontanandomi da una città popolosa
come L.A., avrei
potuto trovare qualcuno disposto a parlarmi, se fossi stata nella
condizione di
scoprire qualcosa di concreto» gli spiegò Iris,
facendo spallucce.
«Nei
paesi piccoli la gente mormora e, se qualcuno è strano, lo
si sa sempre» chiosò
Lucas, sorridendo sghembo. «Nel mio caso, non vale molto, o
meglio, non in questo senso ma, per
un’altra persona, questo
detto è valso eccome, anche se mai nessuno è
giunto alla verità.»
«In
che senso?» volle sapere Iris.
«Visto
che non conosci nulla di ciò che sei, tanto vale che ti
spieghi quel che so io,
che ci sono nato, con questo
graffiante segreto» ironizzò Lucas, facendola
sorridere.
«Quindi,
anche i tuoi genitori… ma non tuo zio! Non ho sentito alcun
odore, su di lui!»
esalò Iris, un po’ confusa.
«No,
sono solo io, infatti. Non so dirti perché, e lo zio non sa
niente della mia
controparte pelosa, così come mio padre. Solo mia madre,
Clarisse, ne è a
conoscenza, visto che ho disintegrato la stanza da letto al mio
primo… cambiamento. Mio
padre era via per un
seminario, in quel periodo, ma lei no. E
vide.»
Iris
ammiccò comprensiva, rammentando più che bene
come aveva ridotto il suo
appartamento, dopo la sua incredibile esibizione in versione pelosa.
Grazie al
cielo, aveva fatto montare dei muri insonorizzati perché le
piaceva suonare il
pianoforte, altrimenti chissà cosa avrebbero pensato i
vicini!
«Quindi…
cosa siamo?»
«Pelosi
terminali, temo. Che io sappia, non si può invertire il
processo e credimi, c’è
chi ci ha provato in tutti i modi» le spiegò
Lucas, intrecciando le mani in
grembo. «La tizia cui accennavo prima, e che fece tanto
chiacchierare il paese
prima di sparire nel nulla. Sbarellò di brutto quando
scoprì di essere un lupo
mannaro e, solo a stento, riuscii a tenerla a freno per impedire che si
gettasse sulla cittadina per inscenare un film horror in piena
regola.»
Iris
lo fissò sgomenta e Lucas, ombroso in viso, aggiunse:
«Non mi piace sparlare
della gente, ma Julia Sommers aveva davvero qualche problema
caratteriale già
prima di questa cosa. In paese era conosciuta da tutti come la ‘stramba Julia’ fin
dai tempi del liceo.
Era solita cacciarsi nei guai con piccoli atti di vandalismo e bullismo
a
scuola. Nessuno, neppure il suo fidanzato storico, Devereux, o i suoi
genitori,
sono mai riusciti a calmarla un po’.»
«E
lei era…nata così?»
tentennò Iris.
«No,
fu ferita come te, pur se nel suo caso fu più una cosa
voluta,… anche se Julia
peccò di ingenuità nel farlo» scosse il
capo Lucas. «Aveva all’incirca
diciassette anni. Si recò in un bar di una città
vicina per poter bere alcolici
grazie a dei documenti falsi, visto che là nessuno la
conosceva e, dopo aver
incontrato un tizio del posto, lo frequentò per un
po’. Durante uno dei loro
festini a base di alcool e droghe, lui la sfidò a farsi
sfregiare per diventare
una lupa e lei, da sciocca, prese sottogamba la cosa e
accettò.»
«Oddio…»
ansimò sgomenta Iris.
«Naturalmente,
il tizio si dileguò il giorno seguente senza mai farsi
trovare e Julia, non
appena raggiunse la prima luna piena e si rese conto di cosa le fosse
successo,
scappò nei boschi. Ovviamente, partecipai alla
ricerca…» le spiegò Lucas,
tastandosi il naso. «…e, quando avvertii il suo
odore mescolato a quello del
lupo, capii. Lei mi spiegò in lacrime la sciocchezza che
aveva commesso e,
colta dalla frenesia, mutò in lupo. Ciò la spinse
verso gli umani che la
stavano cercando e, solo combattendo contro di lei, riuscii a fermarla
e a
spiegarle come controllare la bestia.»
«Tu
dovetti imparare da solo?»
«Mamma
mi fu d’aiuto, visto che è un’insegnante
di yoga. La concentrazione è tutto, in
queste cose» ammiccò Lucas, tastando
distrattamente il piccolo Buddha in
argento che pendeva da un bracciale in caucciù che aveva al
polso. «Comunque, Julia
non accettò la sua duplice condizione, in un primo momento
e, per anni, si
intestardì nel cercare un rimedio per tornare ciò
che era. Mise la testa a
posto e si iscrisse all’università per studiare
medicina, si mise stabilmente
con Devereux che, a mio dire, dimostrò fin troppa pazienza,
con lei e, infine,
ebbero una figlia. Chelsey.»
Iris
sgranò gli occhi nel sentir nominare quel nome in
particolare e, dubbiosa,
esalò: «Quanti anni ha la bambina?»
Lucas
levò con curiosità un sopracciglio e, ironico, le
domandò: «Sei stata allo
Strawberry Moose, vero?»
«Sì»
assentì Iris.
Ridacchiando,
Lucas asserì: «Quella ragazzina è
l’esatto contrario della madre. Se Julia era
chiusa e ombrosa, lei è solare e aperta… e parla
come una radio.»
«Già»
annuì la giovane, riconoscendo in quella descrizione la
figura di Chelsey.
«Quindi, immagino che Devereux sia l’uomo che ho
visto con lei. E sua madre?»
«Chi
lo sa? Fuggì di casa quando Chelsey aveva solo tre anni e,
da quel giorno, non
si è più fatta viva. Nessuno sa se sia ancora tra
noi, o se sia morta, perché
non ha più dato notizie di sé e, per quanto la si
sia cercata, non è mai stata
trovata. Pur non essendo sposati, Devereux ha potuto tenere la bambina
perché
figurava come padre biologico sul certificato di nascita. Da quel che
so, ha
fatto togliere la genitorialità a Julia, dopo tre anni dalla
sua fuga» le
spiegò Lucas, scrollando una spalla. «Fossi stato
in lui, neanche avrei tentato
una vita insieme a lei, ma Dev ha sempre cercato di strapparla ai suoi
incubi
personali.»
«Un
buon samaritano» chiosò Iris, vagamente sorpresa.
«Forse.
Ma, da quando Julia se n’è andata, quella parte di
lui è morta e sepolta. Dev è
cambiato e, se gli si parla di Julia, lui non ha più una
parola buona per lei.
L’aver abbandonato la loro figlia lo ha stroncato. O gli ha
aperto gli occhi,
non so.»
Iris
ripensò alla figura di Devereux, ai suoi chiari occhi grigi
così colmi di
ombre, al suo viso privo di un sorriso – se non per la figlia
– e, di colpo,
comprese.
Sì,
aveva tutti i motivi del mondo per essere così accigliato.
Una batosta del
genere avrebbe irritato anche un santo.
«La
bimba, o il padre, sanno di lei? Che era una lupa mannara,
intendo.»
«No.
Dev non ha mai saputo nulla, infatti sto tenendo d’occhio
Chelsey nel caso
cambi qualcosa. Sono l’unico, qui, che sia in grado di capire
i segnali di un
potenziale cambiamento» asserì Lucas, prima di
aggiungere: «E tu, ora… se
rimarrai a sufficienza per vederla crescere, ben inteso.»
Iris
si ritrovò a sorridere al giovane e, scrutando le foto
appese alle pareti,
ammirò le bellezze del luogo pubblicizzate con abile
maestria.
Aveva
trovato un lupo mannaro come lei, qualcuno con cui poter parlare, una
persona
che poteva capirla davvero e,
quant’era vero Iddio, non sarebbe di sicuro partita tanto
presto!
Ritrovandosi
perciò a sorridere, Iris dichiarò: «Di
certo, mi avrai tua ospite per un bel
po’. Ho un sacco di cose da chiederti, e da capire su me
stessa.»
«Non
ne so molto, ma spero di poterti essere d’aiuto. In due,
sarà sicuramente più
semplice affrontare questo casino» ammiccò Lucas.
Iris
annuì con prontezza, allungandogli una mano come a stringere
un patto di mutuo
soccorso con lui.
Fu
in quel momento che, a sorpresa, fece la sua comparsa un uomo sulla
trentina,
dai magnifici capelli bruni legati in una coda di cavallo e una folta
barba a
mascherarne i lineamenti.
Dal
suo aspetto, avrebbe potuto essere il re dei falegnami
d’America, o Mister
Ascia d’Oro, tanto era virile nell’aspetto quanto
affascinante nello sguardo e,
per un istante, Iris ne rimase abbagliata.
L’attimo
dopo, però, sorrise dispiaciuta perché, tanto ben
di Dio era già di proprietà
di qualcuno e, nello specifico, proprio di Lucas.
Il
possente boscaiolo ammiccò a mo’ di saluto a Iris
prima di piegarsi per un
bacio leggero sulle labbra del giovane che, sorridendo a una sorpresa
ospite, ammise:
«Lui è Rock e, immagino tu lo abbia già
capito, è il mio compagno.»
Iris
non poté che esalare un sospiro e chiosare: «Che
posso dire? Complimenti.»
I
due uomini risero divertiti e Rock, nello scrutare curiosamente Iris,
asserì:
«Sei nuova, di qui. Non ti ho mai vista prima, altrimenti
avrei potuto pensare
di tornare etero.»
A
quel punto fu il turno di Iris per ridere e Lucas, dando una pacca sul
braccio
al suo compagno, borbottò: «Non fare
l’idiota, Rock. E’ una mia cliente,
perciò
sii gentile.»
«Ma
io sono gentilissimo» replicò l’uomo.
«Era assolutamente
un complimento.»
Iris
sorrise divertita di quello scambio di battute ma, tra sé,
si domandò se quel
Marcantonio conoscesse tutta la
verità
sul suo compagno, e come Lucas riuscisse a gestire la cosa.
Ciò
che avvenne l’attimo successivo a quel pensiero, la
mandò talmente in
confusione da spingerla a strillare di sorpresa.
“Certo
che sa
tutto.”
«Oh,
Dio mio!» esclamò Iris, sorprendendo Rock e
facendo sorridere spiacente Lucas.
Portandosi
una mano al cuore per il gran spavento, Iris fissò sgomenta
e irritata il
giovane licantropo dinanzi a lei che, per tutta risposta, disse:
«Scusa, mi è
venuto spontaneo. Lo facevo con Julia, a volte e, da quando se
n’è andata, non
ho più potuto farlo, come ben immaginerai.»
Rock
lanciò un’occhiata veloce a entrambi, dopo quello
strano scambio di battute,
fece due più due e infine borbottò: «Ho
idea che sia più di una tua cliente. E’
come te?»
«Già.
Ma lei è stata mutata, esattamente come Julia. Anzi, Julia
se l’era cercata,
lei proprio no.»
Rock
divenne scuro in volto, a quella notizia e, allungata una mano a Iris,
brontolò: «Beh, se vuoi darmi il nome dello
stronzo che ti ha fatto questo, lo
ammazzerò per te. Detesto quando fanno del male a una
donna.»
«Spiacente,
non so chi sia, e la polizia non lo trovò mai»
replicò Iris, pur accettando
quella grande mano calda. «Grazie per il pensiero,
comunque.»
Per
quanto, contando sulla mera forza fisica, Iris fosse certa di poterlo
battere
con facilità, le fece piacere quell’offerta di
aiuto incondizionata e la fece
sentire meno sola. Meno abbandonata a se stessa.
Finalmente,
dopo due anni di ricerche infruttuose, non solo trovava un lupo
mannaro, ma
anche un amico senza pelo, come aveva detto Lucas, pronto a coprirle le
spalle.
Questo
portò a nuove lacrime e a nuovi kleenex e Iris,
nell’afferrarne un paio dalla
scatola protesa da Lucas, borbottò:
«Davvero… ti sto facendo battere tutti i
record.»
«Puoi
dirlo forte, Iris» ammiccò Lucas, mentre Rock le
batteva comprensivo una mano
sulla spalla.
***
Allora,
Iris, vuoi
scendere da quello scivolo, o devo venire su io per spingerti?
La
voce del padre risuonò allegra attraverso il microfono dello
smartphone, da cui
stava visionando uno degli ultimi video fatti alla villa dello zio.
Sua
madre stava ritta dietro di lei, in attesa che la figlia si lanciasse
sullo
scivolo tutto curve che Richard aveva fatto montare sulla sua piscina
da
venticinque metri.
Iris
sorrise mesta nel vedere se stessa con quel volto così
annoiato, quasi lo stare
coi propri genitori le fosse venuto a noia troppo presto.
«Quanto
sapevi essere sciocca, bella mia…»
mormorò tra sé Iris, spegnendo il telefono
per gettarsi lunga riversa sul suo letto.
La
sera era giunta senza che lei se ne accorgesse e, dopo un frugale pasto
a base
di pasta e polpette, Iris aveva dato la buonanotte a Lucas –
che l’aveva
raggiunta per accordarsi per una visita guidata al parco – e
si era chiusa
dentro il suo camper.
In
quel periodo, era sola nell’immensa area, se non si
consideravano un paio di
campeggiatori armati di tenda canadese e tanta, tanta passione.
Iris
era incredula di fronte alla loro impressionante resistenza al freddo.
Pur se
in aprile, di notte quelle lande raggiungevano ancora temperature
ragguardevoli
al di sotto dello zero.
Lei,
naturalmente, non avrebbe avuto problemi, visto che come lupo mannaro
la sua
temperatura si attestava stabilmente intorno ai quaranta
gradi… ma loro?
Non
poteva che ammirarli per il loro coraggio. O la loro insana follia.
Rigirandosi
su un fianco, Iris scrutò il telefonino, non sapendo bene se
chiamare lo zio
per metterlo a conoscenza della novità, o attendere ancora
un poco per essere
certa di dargli notizie veramente buone.
Lucas
aveva ammesso candidamente di aver imparato ciò che sapeva
per esperienza
diretta, e non perché istruito da qualcun altro. Inoltre,
come lei in quei due
anni, a parte la fantomatica Julia, neppure lui era mai venuto in
contatto con
qualche altro licantropo.
C’era
la concreta possibilità che Lucas non conoscesse molte
più cose di lei, sulla
licantropia, di quante non ne avesse scoperte Iris stessa durante quei
due anni
di esperimenti.
Era
forse perciò preferibile aspettare almeno una settimana per
scoprire come,
effettivamente, Lucas avrebbe potuto aiutarla. Nel frattempo, si
sarebbe
limitata a informare lo zio della sua permanenza a Clearwater.
«E’
inutile dargli false speranze, se non ve ne sono»
mormorò tra sé, chiudendo gli
occhi per un istante.
La
foresta sembrava parlarle per sussurri, con il fruscio del vento a
portare il
mormorio degli abeti, l’odore degli ungulati alla ricerca di
una tana per la
notte e quello dei predatori alle loro calcagna.
Non
fosse stato per questo, sarebbe certamente impazzita molto tempo prima.
Avere
questo contatto indiretto ma privilegiato con il mondo della natura, la
galvanizzava. La faceva sentire speciale, non soltanto strana e, per
come erano
messe le cose, era già qualcosa.
Le
fosse rimasto solo questo, avrebbe avuto la certezza di avere un luogo
in cui
perdersi e in cui, forse, non sarebbe stata così fuoriposto.
«Dopotutto,
però, Lucas è così da anni»
mormorò tra sé, spegnendo le luci di cortesia per
poi rintanarsi sotto una leggera coperta.
«Imparerò anch’io e, alla fine,
tornerò a casa.»
Sapeva
di poterlo fare. Ora, ne aveva la forza. Le mancavano solo le nozioni
per poter
mettere in pratica la cosa.
N.d.A:
ed ecco che fanno la loro apparizione Lucas, il nostro primo licantropo
oltre a
Iris, e Rock, il suo compagno senza pelo,
ma che è a conoscenza di tutta la verità.
Scopriamo
anche chi è la madre di Chelsey, e perché suo padre
– Devereux – sia apparso
a Iris un tantino distante e freddo. Chi non lo sarebbe, dopo il
trattamento
che Julia gli ha riservato?
E questa è Clearwater, con le sue cascate e il suo parco bellissimo. (cliccare su "Clearwater)