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Autore: pattydcm    23/02/2019    3 recensioni
Nel corso in un’indagine, Sherlock viene ferito al viso e i suoi occhi sono messi fuori combattimento. Continuerà, però, a lavorare sul caso, facendo fronte allo sconforto per il suo handicap.
John lo aiuterà a portare avanti le indagini per poter fermare il pericoloso dinamitardo che sta terrorizzando Londra. Gli farà una proposta che cambierà le loro vite e risulterà fondamentale per la risoluzione del caso: gli chiederà di lasciare che sia lui i suoi occhi
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2
 
John viene svegliato dal suono del violino. Stropiccia il volto e cerca di mettere a fuoco la sveglia. Strabuzza gli occhi quando si rende conto di non essere in camera sua. È la stanza di Sherlock e lui è nel suo letto per via dello scivolone che questi ha fatto sul pavimento del bagno la sera prima. Ora è tutto chiaro, anche se gli fa comunque uno strano effetto. La sveglia sul comodino di Sherlock lo informa che sono le 6 del mattino. Il consulente gli ha concesso otto ore di sonno. Un vero record!
“Spero che almeno un paio le abbia dormite anche lui” sbadiglia e allontana dalla mente il corpo nudo di lui tra le sue braccia, il vederlo avvicinarsi alla ricerca di calore una volta sdraiati a letto. Maledice se stesso per essere subito crollato addormentato.
“Perché, cosa pensavi di fare? Approfittare della sua disperazione per soddisfare la tua libido? John Hamish Watson sei un maledetto pervertito!”.
Per qualche (neppure tanto) strano meccanismo inconscio, la voce che pronta lo ammonisce ogni volta che si lascia andare a qualche pensiero impuro nei confronti di Sherlock assomiglia molto a quella di sua madre. E, proprio come quando questa era ancora in vita, nonostante cerchi di non darle retta e contrastarla prova una grandissima vergogna. Questa volta, poi, sente che ha davvero ragione. C’erano stati dei momenti di intimità tra lui e Bryan anche dopo l’incidente che lo ha reso cieco, ma i termini della loro relazione erano chiari ad entrambi già da prima. Con Sherlock, invece, di chiaro non c’è proprio nulla. Sì, sarebbe proprio un approfittarsene degno di un pervertito.
Si alza dal letto con l’umore sotto i tacchi e passa dal bagno prima di andare in salotto. Trova Sherlock davanti alla finestra totalmente rapito dai suoi pensieri. Nulla di diverso da tante altre mattine, non fosse per la presenza di quella benda sui suoi occhi.
Come sempre lo saluta, senza aspettarsi alcuna risposta e si dirige in cucina per preparare il the. Sbadigliando apparecchia il tavolo per la colazione e inizia a consumarla, ben sapendo quanto sia difficile stabilire quando il suo coinquilino tornerà sulla terra.
Nonostante la crisi della sera prima, John pensa che, tutto sommato, Sherlock stia affrontando bene quanto gli è successo. Il fatto di avere una memoria fotografica eccezionale e quel suo Mind Palace, che gli piacerebbe davvero tanto poter visitare, lo aiutano molto.
<< Lestrade mi ha chiamato poco fa >> lo informa il consulente continuando a suonare. << Ha detto che passerà tra un’oretta >>.
<< Molto bene. Il the è pronto, se vuoi >>.
Lo vede riporre con cura il violino nella custodia per poi raggiungerlo al tavolo con passo sicuro. Si ferma a mezzo metro da lui e con la mano tasta l’aria alla ricerca della sedia. L’istinto di aiutarlo anticipandolo è forte, ma sa bene quanto importante sia lasciargli la possibilità di tentare e intervenire solo se strettamente necessario. Bryan dava di matto ogni volta che gli diceva ‘Lascia, faccio io’ oppure ‘Aspetta che ti aiuto’ e lui era un uomo tranquillo e alla mano. Non osa immaginare come reagirebbe Sherlock. O meglio, ne ha un’idea neppure così tanto vaga e preferisce non vederla messa in pratica.
La furia cieca si accomoda e cerca con le mani la tazza. La trova urtandola e qualche goccia ambrata cade a depositarsi sul piattino. La afferra con entrambe le mani e la porta alle labbra per trarne un profondo respiro, come stesse per gustare una bevanda sconosciuta anziché il loro solito the del mattino. Poi posa le labbra sul bordo della tazza e ne prende un sorso.
<< Ha qualcosa di diverso il the questa mattina >> dice col tono impostato di un navigato assaggiatore.
<< Veramente è il solito vecchio Grey >>.
<< Oh >> sussurra stupito prendendo subito un altro sorso, non del tutto convinto (a quanto pare) di quanto gli ha detto. Posa la tazza sul piattino e annusa l’aria divenendo davvero molto simile ad un cane da caccia in cerca della pista giusta.
<< Cosa stai…? >> lo zittisce alzando bruscamente la mano aperta davanti al suo volto. Ci è mancato poco lo colpisse.
Sherlock continua ad annusare l’aria sporgendosi verso il centro del tavolo e quando finalmente sembra aver trovato quel che cerca lascia sfuggire un gemito di trionfo. Con la mano va alla ricerca di quanto il naso ha già trovato. Afferra il barattolo ancora chiuso di marmellata di arance, lo avvicina al volto e si esprime in un altro sbuffo di trionfo. Lo apre e vola alla ricerca di un cucchiaino e, quando lo trova, con cautela cerca il bordo del barattolo, immerge la posata e ne prende una porzione considerevole. John lo osserva stupito chiedendosi cosa stia facendo. La marmellata di arance non gli è mai piaciuta eppure adesso che la assaggia sorride soddisfatto.
<< Grandioso >> dice leccando il cucchiaino.
<< Mi fai un riassunto di ciò a cui ho assistito? Temo di essermi perso qualcosa di importante >>.
<< Ti sei mai chiesto quanto siamo dipendenti dalla vista, John? >> gli domanda posando il barattolo di marmellata.
<< Diciamo che ogni giorno ringrazio dio di avere occhi buoni e in salute >>.
<< E’ questo il punto! Facciamo troppo affidamento su ciò che vediamo. Voi, poi, vi limitate a guardare, e pure con superficialità. Ho pensato a lungo a quanto mi hai detto ieri >> dice serio. << Mi rendo conto ora di come gli altri miei sensi, seppure ben sviluppati, siano stati messi in secondo piano dalla vista. Il gusto, poi, non l’ho neppure mai considerato. Questi sono i cibi che quotidianamente mangio eppure hanno oggi un sapore diverso. Il the è maledettamente buono e persino la marmellata d’arance, che non mi capacito come tu faccia ad amare così tanto, mi è più gradevole. La vista mi distrae togliendo attenzione a queste informazioni, come per il the, o mi influenza facendomi dare degli scontati stereotipati, come per la marmellata >>.
John scuote la testa e trattiene una risata. Solo una mente geniale come quella di Sherlock poteva cogliere l’occasione offerta dalla cecità per studiare come si comportano gli altri sensi in assenza della vista.
Il campanello suona  e Sherlock si volta di scatto in direzione della porta.
<< Lestrade >> dice. I muscoli tesi e attenti. John è sicuro che se avessero gli umani le stesse orecchie dei cani ora quelle del consulente sarebbero dritte, pronte a cogliere ogni minimo rumore. << I passi sono veloci. Il respiro affannato. Oh, merda >> balza in piedi sbattendo contro il tavolo. Dalla sua tazza altre gocce di the cadono nel piattino. John lo imita di riflesso, sentendosi a sua volta teso e allarmato.
<< C’è stata un’altra esplosione! >> esclama Sherlock accogliendo Greg, che, trafelato, entra nel loro appartamento. Il detective annuisce poi si rammenta delle condizioni del consulente e si affretta a dire ‘sì’ con un tono di voce anche troppo alto.
<< Ha gettato una bomba carta nel cestino della fermata dell’autobus vicino a una scuola elementare. L’esplosione è stata tutto sommato piccola, ma ha causato venti feriti di cui due in gravissime condizioni >>.
Sherlock impreca e persino Greg resta colpito dalle volgarità che è stato capace di dire. Il detective rivolge a John uno sguardo stupito al quale lui risponde con un’alzata di spalle. Evidentemente l’assenza della vista ha tolto il filtro al turpiloquio.
<< Sherlock, avevi detto di aver capito chi fosse questo pazzo >> gli chiede Lestrade.
<< Non me lo ricordo, cazzo! >> esclama battendo il pugno sul tavolo. << Ho cercato e ricercato per ore nel mio Mind Palace. Ho tentato di ricreare i giorni passati, ma niente! I miei ricordi si fermano al momento in cui scopro il nascondiglio. Non ho memoria di quel posto, né di quanto vi ho visto dentro e che mi ha fatto dedurre chi fosse >>.
<< Forse se ci tornassi potresti dare un’occhiat… cioè, volevo dire… >>.
<< Oh, non fonderti il cervello nel tentativo di non dire cazzate, Gawin! >> sbotta percorrendo a grandi passi avanti e indietro il salotto. << E’ ovvio che devo tornare in quella baracca e spero che i tuoi uomini non abbiano fatto troppi danni. Ho bisogno di sbloccare la situazione nel mio Mind Palace. Non riesco a capire perché non mi ricordi nulla >>.
<< E’ la conseguenza della botta che hai preso, Sherlock >>.
<< Si fottano le conseguenze, John! Io non accetto di avere vuoti di memoria, porca… >>.
<< Anche tutte queste belle parole sono conseguenze della botta >>.
<< Non rompermi il cazzo, John! Merda, sei stato un soldato, non posso credere che qualche parola colorita ti imbarazzi, neanche fossi una verginella frigida >>.
John non sa cosa ribattere e non crede neppure possa servire a qualcosa farlo. È abbastanza chiaro che non è solo la cecità il problema in Sherlock al momento. È possibile che il turpiloquio sia il modo attraverso il quale manifesta il suo disagio per questa nuova condizione. La dove un ‘normale’ essere umano si lascerebbe andare a una depressione reattiva, lui convoglia tutto nell’uso sfrontato di espressioni colorite, come le ha definite. 
<< Va bene, torniamo sul Tamigi. Entriamo in quella maledetta baracca e vediamo se il tuo Mind Palace ci regala qualche gioia! >> esclama John. Si dirige in bagno per una doccia veloce che sbollisca la rabbia. Aggredirlo non servirebbe a nulla, se lo ripete come un mantra, proprio come faceva per Bryan.
“No, non deve succedere anche a lui!” pensa e un singhiozzo gli strozza la gola. Posa la mano sulla bocca sentendo il panico invadergli il petto. Cade in ginocchio sul piatto doccia e si impone di respirare lentamente. Era stato molto felice di comunicare ad Ella la scomparsa dei suoi attacchi di panico notturni, quelli con i quali si svegliava a seguito dei suoi incubi. Non pensa che le dirà di averne avuto uno sotto la doccia pensando a un suo vecchio amico. No, non è Bryan che lo sta mandando nel panico. È ciò che Bryan ha fatto e che teme possa fare anche Sherlock, ora che verte nelle sue stesse condizioni.
“Lui non la sta prendendo male, Johnny. Si sta dando al turpiloquio, che non è la fine del mondo. Andrà tutto bene, quindi ora tirati su e accompagnalo in quella maledetta baracca!”.
Si alza a fatica, ma è ora in grado di gestire il suo respiro e il suo corpo. Si asciuga in fretta e quando esce dal bagno con indosso l’accappatoio trova Sherlock e Greg in piedi l’uno davanti all’altro al centro del salotto. Il detective sta raccontando la sua versione di quanto è accaduto quella sera e Sherlock lo ascolta attento, le braccia conserte e il corpo teso.
John corre in camera sua per vestirsi, considerando che è una posa abbastanza insolita quella per Sherlock. E’ solito unire i polpastrelli sotto il mento o davanti alla bocca quando riflette, o portare le mani ai fianchi quando analizza una scena, ma mai lo ha visto con le braccia incrociate in modo stretto al petto. Una posizione difensiva del tutto nuova, altro indice di come la cecità lo metta a disagio.
“Non pensarci e affrettati a scendere da lui” si dice allacciando le scarpe.
<< Niente, maledizione, non è servito a niente! >> sta esclamando Sherlock portando le mani alla testa. Sbuffa come un toro nell’arena e Greg si volta verso John in cerca di aiuto. Evidentemente il consulente sperava che il racconto del detective smuovesse qualcosa e quell’ennesimo fallimento non è stato ben accolto. John gli si avvicina e posa la mano sulla sua spalla destra, contratta al punto da sembrare di marmo.
<< Prima di andare mettiamo la pomata di nifedipina e rifacciamo il bendaggio >>. Lo vede tremare appena al sentire nominare le cure per i suoi occhi traumatizzati.
<< Ehm, io vi precedo. Ci vediamo sul Tamigi >> dice Greg che sembra non essere interessato ad assistere.
<< Sono messo peggio di quanto immagini, a quanto pare >> sospira Sherlock, che, mansueto, si lascia guidare alla sedia.
<< No. Il viso è già meno gonfio e rosso >> gli dice John tirando le tende dinanzi alle finestre per smorzare la luce  all’interno della stanza. << Non a tutti fa piacere, però, vedere le ferite di un amico >>.
<< Io e Lestrade non siamo ‘amici’ >> ribatte acido. << Lui mi da dei casi e io glieli risolvo. Fine della storia >> sentenzia stringendo le braccia al petto. Di nuovo questo insolito gesto.
<< Va bene, come vuoi >> sorride bonariamente John, fermandosi davanti a lui.
La signora Hudson bussa alla porta proprio nel momento in cui il dottore si appresta a togliere le bende.
<< Oh! >> esclama vedendo quanto sta per fare. << Ho sentito l’ispettore scendere e sono venuta a vedere se per caso avevate bisogno di qualcosa >> borbotta fermandosi sulla soglia.
<< Stiamo per uscire anche noi, signora Hudson >> la informa Sherlock, che sembra aver ritrovato le buone maniere in presenza della loro padrona di casa. Altro comportamento insolito.
<< Oh >> sussurra la donna, muovendo piccoli passi incerti verso di loro. John posa la benda usata sul tavolo e si appresta a togliere le compresse di cotone idrofilo dalle palpebre. << Continuerai a seguire il caso, caro? >> gli chiede.
<< Certo. Non è mia abitudine lasciare le cose a metà, soprattutto se queste cose continuano a generare danni >>.
John lava il volto ancora gonfio di Sherlock con della soluzione glucosata. La signora Hudson rabbrividisce alla vista del bel viso del consulente deturpato dall’ustione. Porta le mani alla bocca per trattenere i singhiozzi. Scuote il capo rivolgendo a John uno sguardo tristissimo. Sherlock decide in quel momento di aprire le palpebre. Lascia vagare lo sguardo per la stanza e per l’anziana donna è troppo. John riesce a sorreggerla prima che crolli a terra.
<< Signora Hudson! >> grida preoccupato il consulente, alzandosi in piedi.
<< Tutto ok, Sherlock, è solo un capogiro >> lo rassicura John, che adagia la donna sul pavimento sedendosi al suo fianco per sorreggerla.
<< Sì, caro. È la mia pressione, sai che con questo caldo impazzisce >> dice la donna abbozzando una risata.
Sherlock si avvicina a loro, si inginocchia e distende un braccio dinanzi a sè finchè non tocca la spalla di John. I suoi occhi dalle iridi talmente chiare da sembrare bianche sono impressionanti nella sclera ancora molto rossa segnata da una fitta rete di capillari rotti.
La signora Hudson preme più forte la mano sulla bocca affondando il viso nella spalla di John. Il dottore si ritrova in difficoltà. Teme per la salute della sua padrona di casa, ma non vuole ferire la sensibilità di Sherlock e rischiare di causare danni al suo equilibrio, stabile solo all’apparenza. La cosa più saggia da fare sarebbe quella di chiedergli di chiudere gli occhi e portare la donna nel suo appartamento. La sente tremare forte contro di sé e sta quasi per seguire la logica quando Sherlock solleva il braccio cercandola con la mano tesa. Le sfiora il viso e questa apre gli occhi sorpresa. Il consulente posa la mano grande sulla guancia umida della donna e la accarezza piano. Questa sorride e vi affonda il viso.
<< Signora Hudson, l’Inghilterra è già sufficientemente in pericolo a causa delle condizioni in cui mi trovo, non vorrà farla crollare del tutto mettendosi fuori gioco, spero? >> le chiede facendola ridere. La donna gli sfiora appena la guancia guardando triste la brutta ustione che gli deturpa la quasi totalità del volto.
<< Sei sempre bellissimo >> sussurra accarezzandogli il mento, l’unica parte sfuggita all’aggressione del peperoncino. Sherlock chiude gli occhi e abbassa il viso verso la sua mano.
<< E’ inutile fare finta di nulla >> sospira affranto. Il cuore di John perde un colpo dinanzi a quell’espressione di profonda tristezza, la stessa che gli ha visto la sera prima, quando lo ha trovato seduto sul tappetino del bagno. << Non me ne faccio niente della bellezza senza la vista. Sono al buio e… temo che resterò così… ancora a lungo >> sussurra. Una lacrima scivola via dalle sue palpebre e percorre il viso senza che lui se ne renda conto. La signora Hudson ne interrompe la corsa asciugandola con dita tremule e, commossa, si avvicina a lui fino a stringerlo in un abbraccio.
<< Ragazzo mio, cosa ti hanno fatto? >> sussurra tra le lacrime cullandolo appena.
<< Mi hanno tirato un brutto scherzo >> risponde Sherlock stringendola a sua volta. John non sa se siano più strane le parole che ha usato o il vederlo così bisognoso di quella dimostrazione di affetto materno.
<< Trovalo, Sherlock >> gli dice tenendolo ancora stretto a sé. << Risolvi il caso e da a quel bastardo ciò che si merita. Non può passarla liscia, non dopo quello che ti ha fatto >> dice accarezzandogli il mento. << E tu, John, resta con lui, non lasciarlo da solo neppure per un istante, intesi? >> gli ordina puntandogli contro l’indice ammonitore.
<< John non può farmi da balia, signora Hudson >>.
<< Oh, smettila con queste stupidaggini >> lo rimprovera lei. << Prenderci cura delle persone che amiamo non è fare da balia, Sherlock. Sei in gamba e so che non sarà questa… situazione a impedirti di andare avanti. Non ostinarti, però, a volertela cavare da solo a tutti i costi. Impara a chiedere aiuto e forse tutta questa storia avrà un senso >> gli accarezza i capelli scompigliati prima di rimettersi in piedi aiutata da John. << E’ meglio che vada, adesso >>.
<< La accompagno >>.
<< No, John. Occupati di lui e mi raccomando >> il suo sguardo gli dice tante cose. Cose che già conosce e altre che ancora non vuole vedere. La tristezza sul volto di Sherlock lo inquieta, ma, come lui stesso ha detto, è inutile far finta che tutto vada bene solo perché è stato in grado, finora, di cavarsela grazie alle sue mappe mentali, alla memoria fotografica e ai suoi sensi sviluppati. Si può anche camminare con una protesi, ma ciò non vuol dire che sia come avere ancora la propria gamba. E non vuol dire che non faccia male continuamente, anche se dopo un po’ ci si fa il callo. Proprio come la sua spalla, che continuamente gli fa male. Un dolore divenuto ormai talmente tanto abituale da essere messo sullo sfondo.
Sherlock è fermo in piedi, lo sguardo rivolto alla porta dalla quale la loro padrona di casa è appena uscita. Deve essere rimasto attento ad ascoltarne i passi per accertarsi che raggiungesse incolume il suo appartamento. John gli posa la mano sulla spalla e lui si scuote appena. Le sue iridi bianche lo osservano cieche.
<< Rifacciamo il bendaggio e andiamo, dai >> gli dice aiutandolo a raggiungere la sedia.
Lo sguardo perso nel vuoto, il volto inespressivo e il silenzio che li avvolge non piacciono per nulla al dottore. Sherlock non è nel suo Mind Palace, non sta riflettendo sul caso adesso. È sulla sua condizione che riflette, glielo legge nell’inespressività del volto. Vi posa delicatamente la mano, pronto a spalmare nel suo occhio sinistro e sopra questo una buona quantità di pomata. Sherlock si lamenta appena. La nifedipina ha il brutto effetto collaterale di bruciare ed essere fredda allo stesso tempo.
<< John >> sussurra Sherlock. Gli rivolge uno sguardo intenso benchè spento. << In questi mesi ho lasciato che fossi tu a occuparti di ogni cosa qui in casa e ti ho chiesto aiuto durante le indagini. Mi rendo conto che dal mio modo di comportarmi non si direbbe, ma non ho mai preteso nulla da te. Se avessi percepito davvero l’intensione da parte tua di non voler partecipare alle indagini o di volertene andare non avrei insistito oltre. Anche se non sembra so quali sono i limiti da rispettare. Allo stesso modo, non voglio che quanto mi è successo condizioni le tue scelte. Potrei davvero restare… cieco e non voglio che né tu, né nessun altro si senta in dovere di restarmi accanto. La signora Hudson ha parlato di amore… io non so cosa questo sia, ma sicuramente non è vincolare qualcuno al sacrificio >>.
<< Non metti in conto che potrebbe essere una mia decisione restarti accanto? >> gli dice occupandosi dell’altro occhio. << Indipendentemente da questo, intendo >> aggiunge, lo stomaco stretto dall’emozione.
<< Non può essere indipendente da questo, John >> dice lui scuotendo il capo. << Per come sei fatto ci penseresti due volte in più a lasciarmi da solo, ora che sono cieco >>.
<< Non abbiamo ancora la sicurezza che tu lo sia >>.
<< Ma le cose al momento stanno così. Non posso ragionare sui ‘se’ e sui ‘ma’, John. Io non ci vedo >> dice stringendo i pugni. << Sono al buio, nell’oscurità fitta e spessa, questo so ora. Forse domani vedrò delle ombre e il giorno dopo tornerò a vedere e rideremo di tutto questo, ma al momento è questa la mia condizione >>.
<< Bene, vuoi stare nel qui ed ora? Stiamo nel qui ed ora, allora! >> sbotta innervosito dalle sue parole e dalle paure che queste smuovono in lui. << Tu sei cieco e io voglio restarti accanto. Voglio aiutarti ad abituarti a questa nuova condizione e voglio prendere a calci nelle palle quello stronzo fino a fargliele risalire alla gola per averti fatto questo >> ringhia gettando in malo modo il tovagliolo col quale si è ripulito le dita dalla pomata.
<< Quanta volgarità, dottore >> lo schernisce Sherlock. Ridono entrambi di una risata nervosa e impacciata. John posa i due tamponi sulle palpebre e rifà il bendaggio con garze vasellinate trattate con antibiotici.
<< Come sto? >> gli chiede una volta ultimata l’opera, con quel moto di vanità che gli ha sempre visto quando sistema i capelli o controlla come gli stanno gli abiti prima di uscire.
<< Aggiunge mistero al tuo personaggio >>.
<< Io non sono un personaggio, John >>.
<< Certo. C’ero anche io poco fa’, se non te ne ricordi >>.
<< Stavo recitando la parte del figlio bisognoso di coccole solo per farle piacere >>.
<< Raccontala a tuo fratello >> ridacchia invitandolo ad alzarsi in piedi. << Forse lui riesci a prenderlo in giro, caro mio. A proposito, si è fatto vivo? >> gli chiede mentre si dirigono al portone.
<< Mi ha chiamato poco dopo Lestrade. Ha detto che sarebbe passato a trovarmi oggi, ma gli ho fatto presente che il lato positivo di essere cieco è proprio quello di non essere obbligato a vedere la sua faccia. Deve averla presa male >>.
John ride prendendolo distrattamente per mano. Ferma al volo un taxi e gli tiene aperta la portiera.
<< Mi è sembrato sinceramente preoccupato quando gli ho detto delle tue condizioni, Sherlock >> gli dice mentre il tassista li conduce sulle rive del Tamigi.
<< Certo. È una rottura dover pensare a dove piazzare il fratello handicappato, John. Così come era stata una rottura cercare una comunità e ancora prima l’ennesima tata capace di sopportarmi >>.
<< Cosa vuoi dire con ‘dove piazzare il fratello handicappato? >>.
<< Credi che mi permetterebbe di vivere da solo se questa cecità fosse permanente? Mi rinchiuderebbe da qualche parte e, a differenza delle comunità, questa volta mi sarebbe davvero difficile scappare e non essere subito ripreso >>.
John non crede alle sue orecchie. Per quanto Mycroft gli fosse sembrato davvero preoccupato per le sue condizioni, e non rispetto a dove piazzare il fratello cieco, quel che Sherlock gli sta dicendo non lo trova poi così impossibile.
<< Non ci vado in un posto dove non vedo cosa possono farmi, John >> dice Sherlock facendolo rabbrividire. << Piuttosto… >>.
<< Piuttosto? >> insiste, sentendo il sangue raggelare.
<< Niente >> sorride voltandosi verso di lui. << Quando saremo alla baracca avrò bisogno del tuo aiuto, John >> dice cambiando argomento. Di quello che gli sta dicendo, però, John non coglie nulla. È rimasto ancorato a quel ‘piuttosto’. ‘Piuttosto’ cosa? Cosa potrebbe preferire uno come Sherlock? Forse la stessa cosa che ha preferito Bryan? Sì… la stessa che avrebbe preferito lui dinanzi all’alternativa di una vita piatta e vuota e che l’averlo incontrato ha scacciato.
 
 
   
 
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