E
così era stato deciso. Era passato più di un mese
da quando
gli Skald avevano attaccato il villaggio e Aneta si era trovata a
condividere
il Rifugio con i Marchesi. Anche se le successive spedizioni degli
uomini-lupo
erano state poco più che scorribande volte a rubare qualche
pecora e a fare
razzia negli orti, Lord Gawel era stato inflessibile: i sacrifici
sarebbero
ripresi.
Non
senza un certo
sgomento, Aneta aveva visto crollare poco alla volta le riserve dei
suoi
concittadini: ben presto, tutti avevano concordato che quella era la
strada
migliore da percorrere, la più saggia. E se anche qualcuno
non si fosse trovato
d'accordo, si sarebbe comunque ben guardato dall'esternare le proprie
perplessità, per timore che queste attirassero su di lui
delle attenzioni poco
gradite. Tacevano dunque le fanciulle che avrebbero potuto ritrovarsi
vittime
del sacrificio, tacevano i mercanti che avrebbero volentieri sterminato
gli
Skald come le bestie che erano, taceva Lady Nevena, qualunque fossero
state le
motivazioni che l'avevano spinta a opporsi al marito, il giorno in cui
si erano
scontrati al Rifugio.
Taceva
anche Bromyr,
all'apparenza, anche se, ormai, tutte le sue conversazioni con la
figlia minore
vertevano su un'unico argomento: la necessità di trovarle un
marito, e in
fretta. Conformemente a quello che era l'accordo stretto
originariamente con
gli Skald, infatti, si era deciso che non sarebbero state sacrificate
le
giovani sposate, che fossero state madri di figli o che avrebbero
presto potuto
diventarlo.
Ma
Aneta non poteva
inventarsi un marito da un giorno all'altro. Non c'era nessuno che le
piacesse
e, cosa più importante, nessuno che si fosse apertamente
mostrato interessato a
lei. Forse, pensava, avrebbe potuto cercare di irretire qualche vecchio
vedovo
alla ricerca di una moglie giovane. Ma i vecchi vedovi erano
sorprendentemente
difficili da trovare, mentre le fanciulle desiderose di salvarsi la
pelle erano
parecchie, molte delle quali più graziose di lei.
Per
non parlare della questione di mamma,
pensava Aneta in una giornata di metà maggio, mentre con un
pestello sminuzzava le foglie di ortica che avrebbe poi usato per
creare un
decotto. Mai come in quei giorni trovava difficile sopportare le voci
che
sussurravano alle sue spalle, chiamandola Nata dalla Morte. Aveva quasi
l'impressione che quello che era stato un pettegolezzo quasi
dimenticato avesse
ora ripreso forza, come se le persone fossero improvvisamente tornate a
interessarsi delle circostanze della sua nascita. E forse era proprio
così.
Aveva quasi il sospetto che le altre giovani nella sua stessa
condizione
avessero preso a raccontarsi a vicenda - avendo cura di spargere quanto
più
possibile la voce - di quanto orribile fosse il modo in cui era venuta
al
mondo: era un modo come un altro per ricordare agli uomini in cerca di
moglie
che, certo, non ne avrebbero voluta una che recava su di sé
un marchio tanto
sgradevole.
Di
qualcuna
criticavano il carattere, di altre la forma del naso. Su di lei,
invece,
evocavano lo spettro della malasorte e della superstizione. Non c'è niente di strano,
rifletté Aneta,
rovesciando le foglie tritate sul piatto della bilancia posizionata sul
tavolo
davanti a lei. Lei avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovata nella
loro
posizione.
In
ogni caso, era
ormai da qualche settimana che sentiva incombere su di sé un
presagio funesto.
Vedeva un'unica strada davanti a sé: la via che conduceva
inesorabilmente al
grande menhir a cui venivano incatenate le vittime sacrificali, in
attesa che
gli Skald venissero a portarle via.
Aveva
più volte
provato a immaginare cosa sarebbe successo dopo,
ma quei sacrifici restavano tutto sommato un mistero. Nessuno sapeva
cosa
facessero gli uomini-lupo con le donne che venivano loro offerte:
l'unica cosa
certa era che nessuna di loro aveva più fatto ritorno per
raccontarlo. Le
giovani sparivano apparentemente nel nulla e non davano più
alcuna notizia di
sé: mai una di loro era stata vista ancora in vita, ma
nemmeno si erano mai
trovati dei corpi che ne testimoniassero la morte.
Era
proprio per
questo che Aneta trovava singolare che non ci fosse stato il bisogno di
cercare
una vittima per il primo - e, per il momento, unico -
sacrificio voluto
da Lord Gawel, dal momento che una ragazza si era offerta come
volontaria. Era
stata Malina a farsi avanti, la più bella tra le fanciulle
di Piana Bianca e,
di certo, la più religiosa. La sua fede era tale che, poco
più che bambina,
aveva fatto voto di entrare nel Tempio quale Ancella dei Tre Re.
Sebbene non
avesse ancora raggiunto i diciotto anni, età minima per
prendere i voti, non
era mai venuta meno al suo proposito di condurre una vita pia e
irreprensibile,
senza mai legarsi a nessun giovane, nonostante la sua pelle
d'alabastro, i suoi
occhi azzurri e i suoi capelli di un nero quasi innaturale -
nonché i soldi di
suo padre, che commerciava seta - facessero gola a molti.
Quando
aveva sentito
che la ragazza si era offerta per il sacrificio, Aneta aveva stentato a
credere
alla proprie orecchie: perché una persona tanto devota ai
Tre Re avrebbe dovuto
gettarsi in pasto a una divinità pagana? Poi,
però, aveva creduto di intuire la
verità: con quel gesto, Malina aveva forse voluto seguire la
legge del Re
Bianco, che predicava carità e compassione. Sacrificando se
stessa, la
fanciulla aveva salvato la vita a un'altra ragazza.
Avrebbe
tranquillamente potuto risparmiarsi la fatica,
considerò amaramente Aneta, riversando le foglie di ortica
sminuzzate all'interno di un sacchettino di lino grezzo. L'indomani,
infatti,
un'altra giovane donna sarebbe stata condotta al menhir ai margini
della
foresta. Il Marchese aveva stabilito che, come da tradizione, si
sarebbe tenuto
un sacrificio in occasione dei due solstizi e dei due equinozi. Aveva
però
anche ritenuto opportuno dare dimostrazione di buona volontà
recuperando in un
certo senso gli arretrati. Malina era stata l'offerta per il solstizio
d'inverno, mentre il giorno seguente, con quasi due mesi di ritardo,
sarebbe
stato portato agli Skald il dono dovuto in occasione dell'equinozio di
primavera.
In
assenza di
volontari, la scelta era ricaduta su Cylia, la terza figlia del vecchio
fornaio
del paese. Aneta non aveva saputo intravedere alcuna logica in quella
scelta:
Cylia era una giovane donna qualunque. Non era particolarmente bella,
era
schiva, ma educata, non aveva mai dato occasione di far parlare di
sé e la sua
famiglia difficilmente aveva dei nemici degni di nota.
Le
sembrava una
designazione del tutto casuale e la cosa la terrorizzava.
Se
non altro, mi è andata bene,
pensò Aneta, per darsi coraggio. Al
suo
posto avrei potuto esserci io.
Il
suono improvviso
del campanello appeso alla porta della piccola bottega che gestiva con
suo
padre la distrasse da quei pensieri. La ragazza ripose il sacchetto con
le
foglie d'ortica accanto a quelli che aveva già preparato in
precedenza e
sorrise alla nuova arrivata, una giovane bionda che teneva in braccio
un
bambino che doveva avere all'incirca un anno.
Mentre
la donnna si
avvicinava al bancone, Aneta cercò di fare mente locale e di
ricordarne il
nome, invano. In compenso, però, ricordava perfettamente
come la ragazza si
fosse ritrovata madre di quel bambino: quando la pancia aveva iniziato
a
crescere troppo per passare inosservata, la giovane, che al tempo era
senza
marito, era stata data in sposa a un soldato della guardia dalle dubbie
capacità intellettive. Ufficialmente si era trattato di un
matrimonio
riparatore, ma nessuno aveva mai creduto che quel bimbo che aveva gli
stessi
occhi freddi del Marchese e di Lord Marek fosse realmente figlio del
marito
della donna.
"Come
posso
aiutarti?" chiese Aneta, sorridendo.
La
donna indicò con
un cenno della mano gli scaffali posti oltre il bancone. "Avete ancora
della pomata all'arnica, giusto?" chiese, strizzando gli occhi per
vedere
meglio.
Aneta
annuì,
ruotando su se stessa per prendere il vasetto che le era stato chiesto.
"Sì, me ne è rimasto ancora un po'. È
quasi finito, ma contiamo di farne
una buona scorta durante l'estate." Tornando a fronteggiare il bancone,
Aneta incartò il barattolo di vetro e poi si rivolse
nuovamente alla sua cliente.
"Altro?"
Quella
abbassò lo
sguardo sul bambino che teneva tra le braccia. "Sono un paio di giorni
che
mio figlio si lamenta del mal di pancia. Credo che abbia ancora un po'
di
coliche: hai qualcosa che possa fargliele passare?"
Aneta
rifletté per
qualche istante. "Beh", disse, poi, "non ho niente che faccia
miracoli, ma, se vuoi, posso darti una tisana di anice e finocchio:
dovrebbe
aiutarlo a stare un po' meglio." Al cenno di assenso della sua
interlocutrice, raggiunse uno dei grandi recipienti di vetro in cui
conservava
gli ingredienti per le tisane e riempì un sacchetto di lino
con il necessario
per preparare un infuso che facesse al caso del bambino.
"Ecco
qui"
disse, tornando al bancone. Nel porgere la merce acquistata alla donna
di cui
non riusciva a ricordare il nome, la ragazza si trovò a
osservare un po' troppo
a lungo il piccolo stretto al suo petto: il suo sguardo ne
seguì i lineamenti
infantili, i capelli sottili, gli occhi dal taglio inconfondibile,
forse anche
un qualcosa nella piega delle labbra. Quando la madre del bambino
tossicchiò,
Aneta sussultò e si affrettò ad alzare gli occhi,
incontrando così quelli della
donna.
Sul
suo volto, però,
non trovò la vergogna che si scorgeva solitamente
nell'espressione delle donne
che avevano messo al mondo un piccolo bastardo. No, le sue labbra erano
piegate
in un sorriso quasi impercettibile, nel suo sguardo c'era una vaga
scintilla di
trionfo.
Quel
figlio e quel
marito che un tempo erano stati un disonore si erano improvvisamente
trasformati in una fortuna e in una protezione.
Eh,
già... Improvvisamente,
l'idea di tenere tra le braccia uno di quei marmocchi con gli occhi
freddi non
le pareva più tanto detestabile.