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Autore: RedeNetele    23/02/2019    1 recensioni
Quando rifiuta per l'ennesima volta il corteggiamento di un pretendente sgradito, ad Aneta viene assegnata una punizione esemplare: viene nominata Figlia della Luna. Quello che potrebbe quasi sembrare un titolo onorifico è in realtà una condanna a morte: le Figlie della Luna sono infatti vittime sacrificali, giovani donne che vengono immolate agli Skald, il popolo selvaggio e misterioso che esige un tributo di sangue in tutte le Terre dell'Ovest.
Quando gli uomini-lupo vengono a prenderla, Aneta crede che la sua vita sia finita. Le basta però conoscere Devin, l'arrogante principe degli Skald, per capire che, in realtà, essa è solo agli inizi.
***
ATTENZIONE: non ho ancora deciso quale sarà il "carattere" di questa storia. Non escludo che in futuro ci siano scene di sesso e violenza. Regolatevi di conseguenza.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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E così era stato deciso. Era passato più di un mese da quando gli Skald avevano attaccato il villaggio e Aneta si era trovata a condividere il Rifugio con i Marchesi. Anche se le successive spedizioni degli uomini-lupo erano state poco più che scorribande volte a rubare qualche pecora e a fare razzia negli orti, Lord Gawel era stato inflessibile: i sacrifici sarebbero ripresi.

Non senza un certo sgomento, Aneta aveva visto crollare poco alla volta le riserve dei suoi concittadini: ben presto, tutti avevano concordato che quella era la strada migliore da percorrere, la più saggia. E se anche qualcuno non si fosse trovato d'accordo, si sarebbe comunque ben guardato dall'esternare le proprie perplessità, per timore che queste attirassero su di lui delle attenzioni poco gradite. Tacevano dunque le fanciulle che avrebbero potuto ritrovarsi vittime del sacrificio, tacevano i mercanti che avrebbero volentieri sterminato gli Skald come le bestie che erano, taceva Lady Nevena, qualunque fossero state le motivazioni che l'avevano spinta a opporsi al marito, il giorno in cui si erano scontrati al Rifugio.

Taceva anche Bromyr, all'apparenza, anche se, ormai, tutte le sue conversazioni con la figlia minore vertevano su un'unico argomento: la necessità di trovarle un marito, e in fretta. Conformemente a quello che era l'accordo stretto originariamente con gli Skald, infatti, si era deciso che non sarebbero state sacrificate le giovani sposate, che fossero state madri di figli o che avrebbero presto potuto diventarlo.

Ma Aneta non poteva inventarsi un marito da un giorno all'altro. Non c'era nessuno che le piacesse e, cosa più importante, nessuno che si fosse apertamente mostrato interessato a lei. Forse, pensava, avrebbe potuto cercare di irretire qualche vecchio vedovo alla ricerca di una moglie giovane. Ma i vecchi vedovi erano sorprendentemente difficili da trovare, mentre le fanciulle desiderose di salvarsi la pelle erano parecchie, molte delle quali più graziose di lei.

Per non parlare della questione di mamma, pensava Aneta in una giornata di metà maggio, mentre con un pestello sminuzzava le foglie di ortica che avrebbe poi usato per creare un decotto. Mai come in quei giorni trovava difficile sopportare le voci che sussurravano alle sue spalle, chiamandola Nata dalla Morte. Aveva quasi l'impressione che quello che era stato un pettegolezzo quasi dimenticato avesse ora ripreso forza, come se le persone fossero improvvisamente tornate a interessarsi delle circostanze della sua nascita. E forse era proprio così. Aveva quasi il sospetto che le altre giovani nella sua stessa condizione avessero preso a raccontarsi a vicenda - avendo cura di spargere quanto più possibile la voce - di quanto orribile fosse il modo in cui era venuta al mondo: era un modo come un altro per ricordare agli uomini in cerca di moglie che, certo, non ne avrebbero voluta una che recava su di sé un marchio tanto sgradevole.

Di qualcuna criticavano il carattere, di altre la forma del naso. Su di lei, invece, evocavano lo spettro della malasorte e della superstizione. Non c'è niente di strano, rifletté Aneta, rovesciando le foglie tritate sul piatto della bilancia posizionata sul tavolo davanti a lei. Lei avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovata nella loro posizione.

In ogni caso, era ormai da qualche settimana che sentiva incombere su di sé un presagio funesto. Vedeva un'unica strada davanti a sé: la via che conduceva inesorabilmente al grande menhir a cui venivano incatenate le vittime sacrificali, in attesa che gli Skald venissero a portarle via.

Aveva più volte provato a immaginare cosa sarebbe successo dopo, ma quei sacrifici restavano tutto sommato un mistero. Nessuno sapeva cosa facessero gli uomini-lupo con le donne che venivano loro offerte: l'unica cosa certa era che nessuna di loro aveva più fatto ritorno per raccontarlo. Le giovani sparivano apparentemente nel nulla e non davano più alcuna notizia di sé: mai una di loro era stata vista ancora in vita, ma nemmeno si erano mai trovati dei corpi che ne testimoniassero la morte.

Era proprio per questo che Aneta trovava singolare che non ci fosse stato il bisogno di cercare una vittima per il primo - e, per il momento, unico -  sacrificio voluto da Lord Gawel, dal momento che una ragazza si era offerta come volontaria. Era stata Malina a farsi avanti, la più bella tra le fanciulle di Piana Bianca e, di certo, la più religiosa. La sua fede era tale che, poco più che bambina, aveva fatto voto di entrare nel Tempio quale Ancella dei Tre Re. Sebbene non avesse ancora raggiunto i diciotto anni, età minima per prendere i voti, non era mai venuta meno al suo proposito di condurre una vita pia e irreprensibile, senza mai legarsi a nessun giovane, nonostante la sua pelle d'alabastro, i suoi occhi azzurri e i suoi capelli di un nero quasi innaturale - nonché i soldi di suo padre, che commerciava seta - facessero gola a molti.

Quando aveva sentito che la ragazza si era offerta per il sacrificio, Aneta aveva stentato a credere alla proprie orecchie: perché una persona tanto devota ai Tre Re avrebbe dovuto gettarsi in pasto a una divinità pagana? Poi, però, aveva creduto di intuire la verità: con quel gesto, Malina aveva forse voluto seguire la legge del Re Bianco, che predicava carità e compassione. Sacrificando se stessa, la fanciulla aveva salvato la vita a un'altra ragazza.

Avrebbe tranquillamente potuto risparmiarsi la fatica, considerò amaramente Aneta, riversando le foglie di ortica sminuzzate all'interno di un sacchettino di lino grezzo. L'indomani, infatti, un'altra giovane donna sarebbe stata condotta al menhir ai margini della foresta. Il Marchese aveva stabilito che, come da tradizione, si sarebbe tenuto un sacrificio in occasione dei due solstizi e dei due equinozi. Aveva però anche ritenuto opportuno dare dimostrazione di buona volontà recuperando in un certo senso gli arretrati. Malina era stata l'offerta per il solstizio d'inverno, mentre il giorno seguente, con quasi due mesi di ritardo, sarebbe stato portato agli Skald il dono dovuto in occasione dell'equinozio di primavera.

In assenza di volontari, la scelta era ricaduta su Cylia, la terza figlia del vecchio fornaio del paese. Aneta non aveva saputo intravedere alcuna logica in quella scelta: Cylia era una giovane donna qualunque. Non era particolarmente bella, era schiva, ma educata, non aveva mai dato occasione di far parlare di sé e la sua famiglia difficilmente aveva dei nemici degni di nota.

Le sembrava una designazione del tutto casuale e la cosa la terrorizzava.

Se non altro, mi è andata bene, pensò Aneta, per darsi coraggio. Al suo posto avrei potuto esserci io.

Il suono improvviso del campanello appeso alla porta della piccola bottega che gestiva con suo padre la distrasse da quei pensieri. La ragazza ripose il sacchetto con le foglie d'ortica accanto a quelli che aveva già preparato in precedenza e sorrise alla nuova arrivata, una giovane bionda che teneva in braccio un bambino che doveva avere all'incirca un anno.

Mentre la donnna si avvicinava al bancone, Aneta cercò di fare mente locale e di ricordarne il nome, invano. In compenso, però, ricordava perfettamente come la ragazza si fosse ritrovata madre di quel bambino: quando la pancia aveva iniziato a crescere troppo per passare inosservata, la giovane, che al tempo era senza marito, era stata data in sposa a un soldato della guardia dalle dubbie capacità intellettive. Ufficialmente si era trattato di un matrimonio riparatore, ma nessuno aveva mai creduto che quel bimbo che aveva gli stessi occhi freddi del Marchese e di Lord Marek fosse realmente figlio del marito della donna.

"Come posso aiutarti?" chiese Aneta, sorridendo.

La donna indicò con un cenno della mano gli scaffali posti oltre il bancone. "Avete ancora della pomata all'arnica, giusto?" chiese, strizzando gli occhi per vedere meglio.

Aneta annuì, ruotando su se stessa per prendere il vasetto che le era stato chiesto. "Sì, me ne è rimasto ancora un po'. È quasi finito, ma contiamo di farne una buona scorta durante l'estate." Tornando a fronteggiare il bancone, Aneta incartò il barattolo di vetro e poi si rivolse nuovamente alla sua cliente. "Altro?" 

Quella abbassò lo sguardo sul bambino che teneva tra le braccia. "Sono un paio di giorni che mio figlio si lamenta del mal di pancia. Credo che abbia ancora un po' di coliche: hai qualcosa che possa fargliele passare?"

Aneta rifletté per qualche istante. "Beh", disse, poi, "non ho niente che faccia miracoli, ma, se vuoi, posso darti una tisana di anice e finocchio: dovrebbe aiutarlo a stare un po' meglio." Al cenno di assenso della sua interlocutrice, raggiunse uno dei grandi recipienti di vetro in cui conservava gli ingredienti per le tisane e riempì un sacchetto di lino con il necessario per preparare un infuso che facesse al caso del bambino.

"Ecco qui" disse, tornando al bancone. Nel porgere la merce acquistata alla donna di cui non riusciva a ricordare il nome, la ragazza si trovò a osservare un po' troppo a lungo il piccolo stretto al suo petto: il suo sguardo ne seguì i lineamenti infantili, i capelli sottili, gli occhi dal taglio inconfondibile, forse anche un qualcosa nella piega delle labbra. Quando la madre del bambino tossicchiò, Aneta sussultò e si affrettò ad alzare gli occhi, incontrando così quelli della donna.

Sul suo volto, però, non trovò la vergogna che si scorgeva solitamente nell'espressione delle donne che avevano messo al mondo un piccolo bastardo. No, le sue labbra erano piegate in un sorriso quasi impercettibile, nel suo sguardo c'era una vaga scintilla di trionfo.

Quel figlio e quel marito che un tempo erano stati un disonore si erano improvvisamente trasformati in una fortuna e in una protezione.

Eh, già... Improvvisamente, l'idea di tenere tra le braccia uno di quei marmocchi con gli occhi freddi non le pareva più tanto detestabile.

   
 
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