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Autore: Imperfectworld01    24/02/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il male dentro

«Tu! Come hai osato venire qui? Non te lo meriti, come non meritavi di avere un'amica come Emily. Non l'hai mai meritata, e io l'ho sempre saputo. Non sei come vuoi farci credere, e so che hai fatto del male alla mia piccola Emily! Lei era il mio angelo, mentre tu sei marcia dentro. C'è del male dentro di te. Avresti dovuto essere tu al suo posto... Sì, dovresti essere tu ad essere rinchiusa in una bara in questo momento. Saresti dovuta morire tu!»

Ero in preda ad un sovraccarico di emozioni. Mi sentivo ferita, umiliata, triste e anche un po' arrabbiata. Come aveva potuto dirmi quelle cose orribili? Capivo il suo dolore, aveva perso la sua unica figlia, ma questo non le dava il diritto di attaccarmi in quel modo. Specialmente perché prima che morisse ero sempre stata una delle persone con cui Emily aveva un maggior rapporto. Eravamo come sorelle. 
Come poteva credere che avrei potuto farle del male?
(Magari perché era vero).
Come poteva augurare la morte a un'altra persona, proprio in un momento in cui lei stessa, per prima, stava sperimentando quanto cordoglio e agonia portasse la perdita di una persona cara?
(Forse era ciò che meritavo davvero).
Come poteva pensare di me che fossi un essere maligno?
(A pensarci, non ero neanche così pura come tutti credevano).

Nel sentire le sue urla, in men che non si dica una grande folla si radunò attorno a noi. In prima fila, chiaramente, c'erano quei ficcanaso dei giornalisti, carichi ed eccitati per il prossimo scoop che avrebbero pubblicato.

«Vattene da qui. Non voglio e non permetterò che tu assista al funerale di mia figlia. Sparisci dalla mia vista immediatamente!» esclamò.

Le sue parole mi colpirono così tanto che vacillai, perdendo l'equilibrio e indietreggiando di qualche passo. Non poteva dire sul serio. Non mi stava davvero cacciando. Era il funerale della mia migliore amica, dovevo dirle addio, lei non poteva impedirmelo... giusto?

In quel momento, il padre di Emily intervenne. «Dorothy, forse...»

«No» lo interruppe, trucidandolo con lo sguardo. «Io non la voglio.»

Il minuscolo barlume di speranza che si era acceso non appena il signor Walsh si era mosso in mia difesa, si spense in un attimo.

«Non puoi decidere per lei, se...»

Questa volta fui io a interrompere il signor Walsh: «No, non si preoccupi. Ha ragione lei. È sua madre, ha tutto il diritto di cacciarmi, quindi se non mi vuole qui, allora toglierò il disturbo. Vi chiedo di perdonarmi per il male che ho causato».

Pronunciai quelle parole con voce tremolante, quasi biascicando, ma non riuscii a fare altrimenti. Poi mi voltai ed ebbi la conferma che tutti avevano assistito alla scena. Vidi Tracey, Herman, Dylan, persino l'avvocato Finnston e suo figlio. C'erano anche i miei genitori. Se gli altri sembravano solo scioccati, questi ultimi sembravano contrariati e anche delusi. Delusi da cosa? Da me? Dal fatto che non ero più la figlia che si aspettavano che fossi?

I giornalisti si avventarono su di me, cominciando a pormi domande insensate per i loro stupidi articoli a cui non diedi neanche ascolto, cosa che mi venne facilitata dallo stato di trance in cui ero caduta: ogni suono mi pareva ovattato, le persone mi sembravano solo ombre, l'unica cosa che riuscivo a vedere con nitidezza era la strada davanti a me. Così, dopo essere riuscita a crearmi spazio per potermi allontanare da quell'affollamento di persone, scesi di corsa dalle gradinate e sparii dalla loro vista, come mi era stato ordinato.

Cominciai a camminare senza una meta precisa, seguendo il tragitto delineato dal marciapiede, continuando a fissare per terra. Non avevo la benché minima idea di dove mi stessi dirigendo, le mie gambe si muovevano da sole e non ne volevano sapere di fermarsi. Era come se cercassero di fuggire, di scappare. Ma scappare da cosa, precisamente? Dalla mia mente, dai miei pensieri. Peccato che non fosse possibile.

O meglio, un modo c'era.

Mi arrestai all'improvviso e scesi dal marciapiede, mentre nella mia mente si riproducevano le parole che mi erano state rivolte pochi minuti prima.

"Sei marcia dentro."

Feci qualche passo in avanti, barcollando.

"Avresti dovuto essere tu al suo posto."

A chi sarebbe importato?

"C'è del male dentro di te."

Portavo solo sofferenza e dolore nella vita degli altri.

"Dovresti essere tu ad essere rinchiusa in una bara in questo momento."

Avrei fatto un favore a tutti.

"Saresti dovuta morire tu."

Perché non accontentarli?

Ogni volta che, ingenuamente, da bambina, attraversavo la strada correndo, senza stare attenta, ricevevo sempre, in cambio, una bella sgridata da parte dei miei genitori: «Non me ne frega niente se non vedi nessuno o se ti sembra che la macchina ti abbia vista. Basta solo un secondo, Megan, un solo secondo».

Non mi ero mai resa conto di quanto fossero vere quelle parole, fino a quel momento. Era solo un semplice secondo. 
Quando sentii il clacson emettere quel rumore assordante, capii che l'auto davanti a me si era fatta ormai troppo vicina, che avevo raggiunto il punto di non ritorno, così chiusi gli occhi e rimasi con i piedi incollati a terra, pronta per quello che sarebbe successo di lì a poco.

O forse, quello che speravo sarebbe successo ma che non accadde.

Mi sentii tirare con forza per un braccio e fui trascinata fuori dalla strada. Allora riaprii gli occhi e, invece che trovarmi a faccia a faccia con il dio degli Inferi, mi trovai David Finnston ad appena cinque centimetri di distanza. «Ma dico, sei impazzita? Che cosa diavolo ti dice la testa?» chiese facendo una leggera pressione sul mio braccio.

Non l'avevo mai visto in quel modo. Per la prima volta, fui in grado di decifrare la sua espressione. Era furioso, spaventato e forse anche sconvolto.

Che cosa mi diceva la testa? Troppe cose, ultimamente.

«Lasciami!» fu l'unica cosa che riuscii a dirgli, cercando di liberarmi dalla sua presa, invano.

«Non ci penso proprio» rispose.

Dopodiché la macchina ci si accostò di fianco: «Guarda dove vai, cretina! Non eri neanche sulle strisce!».

David rispose al posto mio. «E tu guarda la strada invece che stare al telefono!» urlò, mentre l'autista ripartiva alla massima velocità.
Poi tornò a guardarmi. «Non ti lascio finché non mi dici perché stavi per fare una cosa del genere.»

«Senti, lasciami in pace! Non hai idea di quello che...»

Mi interruppe prontamente. «È così che pensi di porre fine ai tuoi problemi? Lanciandoti sotto una macchina? Pensavo che dopo quello che è successo alla tua amica, avessi compreso quanto valore abbia davvero la vita. Credi che lei sarebbe contenta se tu te la togliessi, dopo che a lei è stata strappata ingiustamente?»

«No, ma forse rimedierei a quello che le è successo... e poi... e poi a nessuno importerebbe se io morissi» dissi, con un nodo in gola.

David strinse le labbra in un un sorriso amaro. Era evidente che gli facessi pena. «Megan, ormai è morta: non puoi rimediare. A maggior ragione perché non è colpa tua se è successo. Ma tu hai l'immensa fortuna di non esserlo, anche se ora non te ne rendi conto, quindi non provare mai più a cercare di buttare la tua vita nel cesso per via di qualche idea stupida che ti frulla nel cervello!»

«Non c'è nessuna idea stupida che mi ha portato a farlo! Io... mi odiano tutti. A scuola la situazione è ingestibile, sono un'emarginata perché i miei compagni mi reputano un'assassina. Farei solo un favore a tutti se mi togliessi dai piedi.»

«Sono sicuro che non è così. Ma se davvero ritieni che la tua vita abbia così poco valore e se davvero sei la Megan Sinclair così buona e altruista di cui tutti parlano, allora non farlo per te: fallo per gli altri. Fallo per tua madre e tuo padre, per Tracey che non potrà farcela a subire un'altra perdita così importante, fallo per i tuoi amici, fallo per quel disgraziato che avrebbe rischiato la prigione se ti avesse investita e ti avrebbe avuto per sempre sulla coscienza... e fallo per Emily. Non puoi rimediare alla sua morte, ma puoi darle la giustizia che merita, dimostrando la tua innocenza e dando la possibilità a chi è di competenza di scovare il vero colpevole, l'unico che dovrebbe pagare per tutta questa storia.»

Interruppi il contatto visivo che avevamo mantenuto fino a quel momento e abbassai lo sguardo. «Io non ce la faccio più...» ammisi, esprimendo tutto il mio sconforto. «Vorrei... vorrei soltanto andare dallo sceriffo a dirgli che sono stata io, solo per poter porre fine a questa storia.»

«Tu provaci, e giuro che...»

«Prova a capirmi! Cosa faresti tu se ti trovassi nella mia situazione?» lo interruppi, risollevando lo sguardo e puntandolo nuovamente sul suo.

«Te l'ho già detto. Lotterei con tutte le mie forze e con tutti i mezzi a mia disposizione, affinché sia resa giustizia. Dimostra a tutti che si sbagliano sul tuo conto.»

«Come faccio a farlo se tutti mi hanno voltato le spalle? Persino i miei genitori erano delusi da me...»

«Non lo erano. Dopo che te ne sei andata, tuo padre ha dovuto trattenere tua madre per impedirle di fare una scenata contro la madre di Emily. Le ha detto che non avrebbe mai dovuto permettersi di parlarti in quel modo, che non aveva nessun diritto di umiliarti e accusarti pubblicamente, che lei per prima, per via di tutto quello che stava passando, avrebbe dovuto capire quanto fosse inappropriato augurare la morte a qualcuno, a maggior ragione a te, che eri una delle migliori amiche di Emily.»

Sollevai le sopracciglia in segno di stupore. Mia madre mi aveva difesa, davanti a tutti. Normalmente era una di quelle persone che dava sempre ragione agli altri. Per lei l'unica cosa importante era sempre stata fare buona figura, non prendeva mai le mie difese, per lei avevano sempre ragione gli altri. «D-davvero?» domandai, ancora incredula.

David ammorbidì lo sguardo e annuì, lasciando la presa sul mio braccio. «Ora muoviti, che ti riaccompagno a casa.»

Avrei voluto contestare quelle sue imposizioni e dirgli che sarei stata in grado di arrivarci da sola, ma rinunciai in partenza: niente sarebbe riuscito a smuoverlo da quella decisione. Ormai mi vedeva come la ragazza che aveva cercato di togliersi la vita, perciò era evidente che non mi avrebbe permesso di andare a casa da sola.

Grandioso, pensai, l'unica cosa che volevo era porre fine ai miei problemi, ma l'unico risultato che ho ottenuto è stato quello di avere un'altra persona a preoccuparsi per me.

Tutto perché non ero capace di gestire le situazioni difficili, perché ero talmente debole da farmi buttare giù con niente, perché l'unica soluzione ai problemi che riuscivo a trovare era sempre quella più semplice, che avrebbe aiutato soltanto me a discapito degli altri. Quando avrei imparato a badare da sola a me stessa, a fare le scelte giuste, a smetterla di dipendere dagli altri?

Mentre facevo quelle considerazioni, venni interrotta dalla voce di David, che avvertii almeno a dieci passi da me: «Ti vuoi muovere? Guarda che ho lezione fra meno di due ore e ci metto un'ora e mezza ad arrivare a New Orleans!».

Allora mi attivai e cominciai a camminare, giungendo in poco tempo al fianco di David. Passammo i primi cinque minuti in silenzio e poi, quando sentii il suono delle campane della chiesa, presi a parlare per distrarmi: «Io non gioco a fare l'avvocato».

«Lo so, mi dispiace» disse, ma io gli parlai sopra: «Fammi finire. Stavo cercando di spiegartelo anche prima. A me piace leggere, specialmente cose che non conosco, così da poter imparare qualcosa di nuovo».

Per la seconda volta mi rivolse quello sguardo, un misto fra sorpresa e compiacimento, sebbene il mio timore più grande era sempre quello di apparire ridicola.

«E poi... pensavo che se fossi riuscita ad impressionarti, avresti smesso di trattarmi come fai sempre.»

«Vale a dire? Come ti tratto?» chiese confuso.

«Come se non te ne accorgessi» risposi alzando gli occhi al cielo. «Mi metti in soggezione, mi tratti da completa idiota e ogni volta mi fai sentire... ridicola.»

«Se proprio vuoi saperlo, non penso che tu sia stupida, né ridicola.»

«Davvero?» domandai sorpresa.

«Sì,» rispose «sei soltanto incredibilmente fastidiosa».

Mi voltai di scatto nella sua direzione. «Scusami?» domandai alzando un sopracciglio.

«Il fatto è che non riesce proprio a entrarti in testa che devi lasciar fare a chi è di competenza. Tutto ciò che devi fare, è fidarti e smetterla di mentire a me e a mio padre, oltre che immischiarti in cose con cui non c'entri nulla, pensando di poter risolvere il problema.»

«Guarda che dopo averti mentito sabato scorso, non ho più fatto niente! Tutto ciò che sai, è ciò che è successo venerdì sera, non c'è nient'altro.»

Mi fissò con espressione corrucciata. Non se l'era bevuta. Per un attimo mi ero dimenticata quanto, purtroppo, fosse trasparente il mio viso. Lasciava intravedere ogni emozione, specialmente quando mentivo.
Così, seppur consapevole del fatto che avrei assistito ad un'altra sua sfuriata, gli dissi "l'altro" che era successo.

«Be'... tralasciando forse un... un possibile inquinamento delle prove» ammisi, mordendomi il labbro superiore. A quanto pare, anche appropriarsi dell'arma del delitto costituiva un reato. «Ma... ma in realtà non è merito mio!» mi affrettai ad aggiungere.

David rimase calmo, e non seppi se interpretarlo come un buono oppure cattivo segno. Sembrava stesse riflettendo. Tuttavia, dal momento che non arrivò una sua risposta, gli diedi maggiori chiarimenti. «Non lo sapevo prima di martedì. Il coltello sul quale c'erano le mie impronte... ecco, l'ha preso Tracey. E, lo so cosa stai pensando, ma io le credo. L'ha soltanto fatto per me, per evitare che andassi nei casini.»

Sospirò. «È tutto?»

«Sì, non c'è altro» risposi, sebbene fossi rimasta un po' disorientata dalla sua reazione. Mi aspettavo come minimo un'altra lezione dal grande professore che credeva di essere.

•••

Durante il resto della nostra camminata, David cercò di risollevarmi il morale, dicendomi che, sebbene mi conoscesse da poco, era convinto che tutto ciò che la madre di Emily aveva detto sul mio conto fosse errato.

«Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni, anche prima che iniziassi a studiare legge, dato che ho assistito a molti dei processi di mio padre, è che, nonostante da piccoli ci insegnino che esistono persone buone e persone cattive, non è così: tutti abbiamo il male dentro di noi. Fa parte della natura umana. Così come c'è anche il bene. E noi siamo liberi di scegliere come agire. Perciò, sono le scelte ad essere sbagliate oppure giuste, non le persone ad essere cattive oppure buone. E, sebbene non sappia molto di te, se tralasciamo le stupidaggini che hai fatto quella notte, sento che tu sei una di quelle che sceglie sempre il bene» aveva detto.

Mi fece piacere sentire quelle parole. Peccato che dentro di me sapessi bene quanto tutto ciò fosse falso.

•••

Una parte di me, tuttavia, desiderava ardentemente farla pagare ad Olivia. Lo volevo così tanto, che ero sul punto di dire alla preside Fitzpatrick quali fossero realmente i miei sospetti. In fondo, la mia era solo una considerazione, un'opinione, non un'accusa vera e propria... mi era concesso esprimere la mia opinione, ossia pensare che fosse stata Olivia a stampare quel foglio in cui mi accusava di essere un'assassina? Avevo delle motivazioni più che valide per pensarlo, considerati i nostri trascorsi, facendo riferimento anche a quello che mi aveva detto il giorno prima. 
Se dire alla preside che i miei sospetti riguardavano Olivia era una cosa sbagliata, allora perché mi sembrava la cosa più giusta da fare in quel momento? Volevo così tanto che pagasse per quello che mi stava facendo passare. Se io stavo passando l'Inferno, forse sarebbe stato giusto dividere la mia dannazione insieme a lei.

«Anzi, in realtà, ora che ci penso...» attirai la sua attenzione: «Sì? Mi dica».

«Ecco, non ne sono sicura al cento per cento, tuttavia... È risaputo fra noi studenti del terzo anno che un'alunna abbia una certa insofferenza nei miei confronti. E proprio stamattina, poco prima che trovassi quel volantino, mi è sembrato di averla vista uscire dal laboratorio dei computer. Forse doveva solamente stampare una ricerca, non lo so, in fondo molti studenti utilizzano quel laboratorio, ma considerando i nostri precedenti...»

«Chi è questa ragazza?» chiese la preside Fitzpatrick con impazienza.

«Olivia. Olivia Goldberg.»

•••

Come ogni domenica, ecco il nuovo capitolo!

Le terribili parole della madre di Emily hanno scosso così tanto Megan, che stava quasi per fare la scelta più sbagliata che un essere umano possa fare: togliersi la vita. Il dolore per la perdita della sua amica, il senso di colpa, la situazione a scuola, l'insonnia, lo stress e la perdita di fiducia in se stessa non hanno fatto altro che portare ad un accumulo di pensieri negativi e, quelle parole piene di odio nei suoi confronti, non hanno fatto altro che far traboccare il vaso.

Al momento Megan ha una mente instabile per via di quello che sta vivendo e pensa che potrà vedere la luce in fondo al tunnel e quindi porre fine ai suoi problemi, soltanto facendola finita. Per fortuna in suo soccorso viene David,  che cerca anche di farla ragionare: soltanto stringendo i denti e lottando fino alla fine, riuscirà a lasciarsi quella storia alle spalle e dare a Emily la giustizia che merita.

Scusate se il ritmo del capitolo è un po' lento, tuttavia sono presenti molti indizi non indifferenti per i capitoli successivi. Per esempio, la reazione di David dopo aver scoperto del coltello, non è da sottovalutare...

Infine, si scopre che Megan non è riuscita a trattenersi e, per una volta, ha scelto il male, mentendo alla preside e dando la colpa a Olivia per quel foglio diffamatorio che aveva ricevuto nel suo armadietto. Quali conseguenze pensate che avrà questa sua decisione?

Fatemi sapere che ne pensate!

 
   
 
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