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Autore: blackjessamine    28/02/2019    7 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 9
La morte è la curva della strada





“La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.”
F. Pessoa





“... e insomma, sicuramente dovrò ridare l'esame di Storia del Diritto Magico, perché tutte quelle date e quei codici proprio non mi stanno in mente, quindi non potrò nemmeno frequentare i corsi teorici del secondo semestre...”
Sirius sorrise d'un sorriso triste, osservando il suo figlioccio infilzare la carne che aveva nel piatto come se quella bistecca fosse la principale responsabile dei suoi guai all'Accademia.
“Be', come si dice, non contare i tuoi G.U.F.O. prima che siano arrivati. Non è detto che l'esame sia andato così male.”
L'occhiata incredula che Harry lanciò attraverso il tavolo era abbastanza eloquente per chiarire come la pensasse il ragazzo a riguardo.
“Non ho nemmeno preso il G.U.F.O. di Storia della Magia. E lì potevo contare sugli appunti di Hermione!”
“Finché non cacceranno Ruf, nessuno potrà prendere seriamente in considerazione quel corso.”
Harry sorrise, un sorriso cupo che non arrivò al suo sguardo.
“Be', per lo meno sono rimasto sveglio fino alla fine dell'esame, questa volta. È già un passo in avanti.”
C'era qualcosa di sbagliato, nell'ombra che scuriva il viso del suo figlioccio.
“Stai bene?”
Harry, senza alzare gli occhi dalla sua bistecca, annuì.
“Sì. Insomma... sì. Spero solo di non dover studiare tutta quella roba di nuovo.”
Sirius sospirò: avrebbe voluto fare qualcosa di più per Harry, ma il suo figlioccio parlava poco di sé, e si concedeva di esprimere preoccupazioni solo nell'ambito dell'Accademia. Sembrava quasi che Harry avesse deliberatamente deciso di permettersi solo le preoccupazioni di un normale diciottenne, fingendo che tutto il resto – la guerra, le perdite, l'anno appena trascorso – non fosse mai successo.
E invece era successo, e Harry ne era stato travolto e stravolto. Sirius si era informato, aveva letto le cronache della guerra, aveva parlato con Arthur e Andromeda. Nessuno avrebbe mai dovuto chiedere una cosa del genere ad un ragazzo. Quello che Harry aveva dovuto affrontare sarebbe stato sufficiente per distruggere la vita di qualsiasi uomo adulto e responsabile, e invece Harry lo aveva affrontato a testa alta, e non si era mai fermato. Non si era fermato davanti alla necessità di ricostruire. Non si era fermato davanti ai processi sommari dei Mangiamorte catturati, dove aveva testimoniato, sempre. Non si era fermato davanti ai giornalisti che avevano cercato di rendere la sua vita un inferno, impedendogli di fare anche il più piccolo gesto quotidiano. Aveva assunto fin troppo seriamente il suo incarico di padrino per il piccolo Teddy, diventando una presenza fissa e stabile in casa di Andromeda. Si era gettato nell'Accademia Auror senza nemmeno un ripensamento, e viveva nella costante ansia di dover dimostrare di meritare quel posto, di non mostrarsi un privilegiato, di essere all'altezza di tutti gli altri colleghi diplomati e scelti dopo durissime prove di selezione. E ora, Sirius detestava ammetterlo, di occupava del suo padrino con impegno e dedizione, come un uomo adulto che prestasse le sue cure ad un genitore anziano e malato.
Proprio quella sera gli aveva mostrato, pieno di entusiasmo, un plico di rotoli di pergamena ricoperti da una scrittura ordinata e fittissima:
“Ieri Hermione ha mandato questa roba. Sta facendo delle ricerche, sta cercando dei precedenti per casi simili a quelli del tuo processo... e, vedi qui?” chiese, indicando una trentina di riferimenti a processi avvenuti negli ultimi ottant'anni; “lei non può leggere questi atti, a Hogwarts, ma io ho già fatto richiesta, e domani mattina mi apriranno gli archivi, così...”
“Harry, non devi. Non sei tu a doverti occupare di questa cosa, capito? Hai già troppo per la testa. Venerdì mattina è stato proprio Kingsley a procurarmi un appuntamento con due Magigiuristi importanti. Ci penseranno loro a sistemare la cosa.”
“Sì, ma...”
“Sì, punto. Non voglio e non posso essere un peso, per te. Stai già facendo troppo, e non ce n'è bisogno. E dico in generale... non è necessario che tu concluda l'Accademia entro tre anni. Se lo vuoi fare, se ti fa piacere farlo, allora va bene, ma se deve diventare un peso... non sarà certo qualche mese di vacanza a rovinarti la carriera.”
Sirius osservò con attenzione gli occhi di Harry, chini sul suo piatto sporco. Non era esattamente quello, il consiglio che avrebbe voluto dargli. Sirius avrebbe voluto dirgli che non c'era bisogno che continuasse a sentirsi il peso del mondo sulle spalle, che non c'era bisogno che si sentisse responsabile per ogni spillo che cadeva a terra, e che aveva il diritto, aveva tutto il sacrosanto diritto di fermarsi e crollare, almeno un po'.
Eppure, Sirius sapeva anche che non sarebbe servito a niente. E sapeva che Harry si stava permettendo di lasciarsi andare soltanto su quel tema, dunque Sirius decise di non sbilanciarsi troppo, e di dire riguardo all'Accademia quello che avrebbe voluto dire sul resto della sua vita.
“È... non è semplice.”
“No che non lo è. Ma, ti prego, non perdere altro tempo per il mio processo. È una cosa che posso gestire da solo. Che devo gestire da solo...”

Tap.
Tap.
Tap.
Un suono lieve, un delicato picchiettio contro il vetro scuro della finestra che ebbe il potere di far sobbalzare sia Harry che Sirius. La forchetta del ragazzo cadde a terra con un sonoro clangore, e Sirius per poco non rovesciò il suo bicchiere di Idromele che gli era stato spedito, assieme ad un bigliettino di bentornato, da Hestia Jones proprio quella mattina.
Padrino e figlioccio si lanciarono uno sguardo dapprima guardingo, poi divertito, quando scorsero il gufo dalla scura livrea che becchettava contro il vetro della finestra. Decisamente, avevano entrambi bisogno di distendere i nervi.
Cercando di non mostrare quanto quell'apparizione improvvisa lo avesse turbato, Sirius si affrettò a lasciar entrare il piccolo pennuto in casa.
Il gufo, che recava legato alla zampa un pacchetto stretto e lungo, non degnò Sirius nemmeno di uno sguardo: si precipitò sul tavolo, e prese a mangiare senza il minimo ritegno dal piatto di Harry.
“Probabilmente è per te”, disse Sirius, tornando a sedere al suo posto.
Il ragazzo, stringendosi nelle spalle, strappò la carta da pacchi marrone, rivelando una scatolina rettangolare, lunga e sottile. Non c'erano lettere, ad accompagnare quel pacco.
“Oh!”
Quando aprì la scatola, Harry gettò un rapido sguardo al contenuto prima di allontanarla di scatto.
“No, direi che è per te!”
Adagiata su un letto di velluto grigio, una bacchetta lunga e sottile, di un lucido legno chiaro e dalle sfumature calde sembrava attendere solo che la mano di Sirius si stringesse attorno alla sua impugnatura.
Il suo cuore saltò un battito.
Quelle settimane erano state composte di giornate difficili e dense, giornate in cui Sirius faticava a mantenere la sua mente abbastanza lucida. C'erano stati momenti di sconforto e di confusione, di dolore e di immensa solitudine, e la mancanza di una bacchetta era stata un dolore sordo, costante, uno sfondo immutabile e insormontabile. Si era sentito vulnerabile, inutile, inerme come un bambino, nudo.
Le sue dita scivolarono attorno all'impugnatura della bacchetta con la stessa naturalezza con cui fino ad un attimo prima avevano maneggiato la forchetta, e all'improvviso un flebile calore si diffuse dalla punta delle sue dita lungo le vene, e poi su, a risalire nel suo sangue, fino a raggiungergli il cuore.
Una pioggia di scintille argentate riempì il piccolo ambiente della cucina del cottage, e Sirius assaporò l'inebriante sensazione di sentirsi di nuovo un uomo completo.
C'era un formicolio elettrico nel suo braccio, un formicolio così simile alla scossa che lo pervadeva quando cercava di trasformarsi in Felpato che, per un attimo, temette di aver perso di nuovo il controllo sui suoi poteri.
E invece era ancora Sirius, ma un Sirius diverso: un Sirius vivo, capace di sentire ogni sua terminazione nervosa accendersi sotto il flusso inebriante e tranquillizzante al tempo stesso della sua magia, fluida e perfettamente controllabile.
Tutto quello che avrebbe voluto fare, ora, era uscire di corsa da quell'ambiente ristretto e soffocante, e lasciare che la magia a lungo repressa fluisse liberamente dalla punta delle sue dita nel cuore di quella bacchetta tanto docile e adatta a lui.
A trattenerlo fu solo il viso di Harry, cupo e un po' pallido, chino su un biglietto spiegazzato.
“Harry? Stai bene?”
Il ragazzo annuì lentamente, prima di porgere a Sirius il bigliettino.
“Credo che questo sia per te.”
Sulla pergamena gualcita, lettere puntute e vergate da una mano un po' tremante recavano il seguente messaggio:
“A S. O. B.
Non sono solito lavorare con questi materiali, ma le mie dita non avrebbero saputo trovare alternativa migliore, per coadiuvare la sua magia. Sono certo che questa bacchetta (legno di ginepro, tredici pollici, estremamente flessibile, composta da un nucleo di crine di Thestral) saprà accompagnarla al meglio nel resto della sua vita.
Ne faccia buon uso.
G. O.”
Nucleo di crine di Thestral.
C'era un che di ovvio, in questa scelta, ma Sirius avrebbe mentito, se avesse affermato che la cosa non lo turbava.
C'erano state tante domande che si era sforzato di tenere a bada, in quelle settimane, ma che ora, davanti a quella bacchetta – quella bacchetta che gli era scivolata tra le dita con tanta naturalezza – non poteva più ignorare.
Il Velo. Quei sussurri a malapena udibili, ma costanti. La voce di James mentre Sirius cadeva, e poi quel poco che gli Indicibili avevano comunicato a Landmann, mentre era ancora ricoverato.
“Abbiamo sempre ritenuto quell'Arco una sorta di passaggio fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Una soglia che credevamo si potesse varcare in una sola direzione. Non sapevamo a che cosa stesse lavorando Chipman: quando l'Arco è crollato, uccidendolo, il suo ufficio si è sigillato, respingendo ogni nostro tentativo di entrare.”
Un passaggio fra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Nessuno può tornare dalla morte. Questo era chiaro a qualsiasi mago con un po' di senso della realtà in testa.
Eppure, Sirius sedeva nella cucina del cottage di zio Alphard. Viveva, e ricordava bene l'istante in cui la sua coscienza, cadendo oltre il Velo, si era sfaldata.
Aveva avuto spesso paura di morire, e altrettanto spesso aveva creduto di essere sul punto di farlo.
Ma quando era caduto oltre il Velo, era stato tutto diverso. Non c'era l'adrenalina del terrore, non c'era paura, non c'era rimpianto. Solo una pacata consapevolezza, solo il disgregarsi di sensi e pensiero. E quel nulla, quel nulla che aveva raccolto i suoi brandelli di razionalità era qualcosa di così immenso e non abbastanza umano che, ne era certo, la sua mente non sarebbe mai stata capace di immaginarlo.
Sirius era morto.
Era morto, eppure poteva fissare gli occhi accigliati di Harry. Poteva passarsi una mano fra i capelli, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Poteva mangiare e bere, poteva richiamare alla mente il pomeriggio passato a guardare Teddy giocare, poteva sentire una lama infuocata squarciargli il petto ogni volta che ripensava al sorriso gentile di Remus.
Un morto non poteva provare tutto quel dolore.
Sirius chiuse gli occhi, cercando di allontanare tutte quelle domande che, lo sapeva, gli avrebbero fatto perdere il senno.

“Sirius? Ti... ti posso chiedere una cosa?”
Sirius riaprì gli occhi in tempo per vedere la mascella di Harry contrarsi.
“Dimmi tutto.”
“Tu... ti ricordi qualcosa? Di quello che è successo negli ultimi due anni?”
Sirius guardò a lungo il viso pallido e teso del suo figlioccio, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“No, Harry. Cadere oltre il Velo e uscirne per me è stato come chiudere e riaprire gli occhi. È durato un solo istante.”
Harry distolse lo sguardo, nervoso. Esitò un istante, quasi non fosse certo che potesse parlare, ma alla fine sbottò:
“Perché io ti ho visto. E ti ho parlato.
In risposta allo sguardo confuso di Sirius, Harry proseguì:
“Durante la battaglia. Quando stavo per... alla fine. Avevo la Pietra della Resurrezione, e ti ho parlato... con te, e con Remus, e con... con i miei genitori.”
Questa era la prima volta che Harry, dopo il resoconto rapido e formale fatto sotto gli occhi di Landmann, tornava a parlare apertamente di quello che gli era successo durante la Battaglia di Hogwarts. Sirius era incerto su come muoversi: che Harry sentisse il bisogno di parlarne era solo positivo, perché aveva vissuto eventi a dir poco traumatici, e cercare di affrontarli era l'unico modo per non impazzire. Al tempo stesso, ogni volta che pensava a ciò che era stato costretto ad affrontare, Sirius sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, e la sua vista si tingeva del rosso cupo della rabbia.
“Ti ho chiesto se morire facesse male. E tu mi hai detto che era più facile e più veloce di addormentarsi. E siete rimasti con me, e tu mi hai detto che... che loro non mi avrebbero visto, perché eravate parte di me.”
Sirius rimase in silenzio, di nuovo.
No, non ricordava niente di tutto questo.
Morire forse poteva essere più facile e veloce di addormentarsi, ma tornare dalla morte era come sbattere le palpebre. Non esistevano, quei due anni. Non erano celati dietro un ricordo nebuloso, non erano una notte passata a dormire, una notte priva di ricordi, ma dove il senso del tempo trascorso restava, in qualche modo.
Se aveva davvero camminato accanto al suo figlioccio, scortandolo verso quella che credevano sarebbe stata la sua morte, non ne aveva il minimo sentore. Se davvero, per una manciata di minuti, aveva camminato di nuovo assieme a Remus, a James e a Lily, non lo avrebbe mai saputo. Perché lui era morto. E i morti, per quanto in vita possano avere amato, non hanno coscienza.
“Io lo so che è stupido, ma forse... forse eravate davvero solo parte di me. Non eravate davvero lì, ma era solo la mia testa che mi faceva vedere quello di cui avevo bisogno per... per riuscire a farlo.”
Sirius avrebbe voluto trovare le parole adatte per cancellare dolore e turbamento dal viso di Harry, ma non ne aveva.
“Ed è davvero stupido, ma in un certo senso... sì, insomma, ero felice di avervi parlato... di portare con me l'approvazione dei miei genitori... di sapere che, in qualche modo, continuano a esistere, ed essere coscienti di cosa succede qui.”
Sirius strinse i pugni, cercando di combattere quel malessere che lo stava investendo come un'ondata gelida e destabilizzante. Non sapeva che cosa avrebbe dato per avere la consapevolezza di aver parlato un'ultima volta con James e con Remus, per sapere che loro esistevano, in qualche forma, e che continuavano a comprendere le dinamiche umane.
Per un attimo, fu tentato di mentire: raccogliere quel ragazzo tremante, cancellare le sue insicurezze e dirgli che sì, ora che ci pensava meglio, lo ricordava. Che gli era davvero stato vicino, e che i suoi genitori gli erano stati vicino, lo avevano cullato e accompagnato nei momenti più bui della sua esistenza. E che probabilmente erano ancora lì, accanto a loro, a vegliare su di lui e ad amarlo come avevano sempre fatto.
“Harry, io non lo so che cosa è successo. Vorrei saperlo, vorrei davvero, ma non lo so. Però forse stiamo solo sbagliando a porre la questione in questi termini...”
Sirius fece un respiro profondo, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri confusi. Quell'idea era priva di forma, era solo un puntino in mezzo al caos della sua testa, qualcosa che lui per primo faticava ad afferrare.
“Forse il punto non è tanto capire se quello che hai visto fosse reale oppure una proiezione della tua testa. Forse il punto è solo che... che Lily e James ti hanno amato. Ti hanno amato così tanto che quell'amore è rimasto... ed è qualcosa di concreto.”
I due rimasero in silenzio a lungo.
Sirius era certo di non essere riuscito a spiegarsi, di non essere riuscito a rassicurare nel modo giusto quel ragazzo, che ora stringeva i pugni e tremava come un cucciolo spaventato.
“Harry...”
“Mi dispiace!”
La voce di Harry era rotta, e i suoi occhi si andavano riempiendo di lacrime che il ragazzo cercava in tutti i modi di frenare.
“È colpa mia... tu saresti potuto non tornare mai, ed è colpa mia... sono stato così stupido... mi sono fatto manipolare come un bambino, e tu sei morto per colpa mia!”
Sirius sentì qualcosa spezzarsi, dentro di sé.
Sapeva che Harry doveva affrontare dei traumi che avrebbero piegato anche uomini adulti e ben più saldi di lui, ma Sirius non voleva – non poteva – essere un altro di quei pesi sulla sua coscienza.
“Non lo dire, Harry. Non è stata colpa tua, non devi pensarlo...”
“Sì, invece! Se non fossi stato così stupido... se non mi fossi fatto ingannare, tu non saresti mai dovuto venire a cercarmi al Ministero, e non saresti mai morto... mi dispiace, Sirius, mi dispiace!”
Le spalle di Harry si contrassero, scosse da un singhiozzo silenzioso.
Incapace di trovare le parole adatte, Sirius si limitò a fare il giro del tavolo, e a stringere a sé il corpo tremante di Harry.
Ed Harry pianse, non come piangono i grandi.
Pianse con ampi singhiozzi, il corpo attraversato da spasmi incontrollabili. Pianse come il bambino che era stato, e che Sirius non era stato in grado di proteggere.
Pianse per il suo senso di colpa, per quello che aveva perso, e per tutto quello che non si era concesso di piangere negli ultimi sei mesi.
Non ci fu bisogno di parole: nessuno dei due avrebbe potuto esprimere la grandezza e la complessità dei sentimenti racchiusi in quel pianto esasperato, ma era chiaro a entrambi, era chiaro in ogni respiro pesante e ogni contrazione di dita, era chiaro come l'aria carica di neve fuori dal cottage.
“Mi dispiace di averti lasciato solo, Harry.”




 
***




Note:
Questa pausa lunghissima è imperdonabile, vi chiedo scusa.
Soprattutto, è imperdonabile tornare con un capitolo tanto breve e un po' fuori contesto.
Temo non sarà l'ultimo, di capitolo fuori contesto: in questi giorni ho avuto modo di riflettere a lungo su questa storia, ho messo a fuoco quali sono i passaggi di trama su cui mi voglio concentrare, e spero di aver capito come arrivarci. Questo implicherà dilatare e restringere in modo un po' strano alcuni tempi, perché ci sono situazioni che vanno esplorate prima di determinati eventi, ed eventi che per forza di cose devono avvenire ad una certa distanza nel tempo.
Scusate, so che avrei potuto fare un lavoro più curato e preciso, se solo mi fossi decisa a seguire una delle poche regole che avevo imparato dalla Danza: mai pubblicare qualcosa di lungo senza avere buona parte del lavoro pronto. Non ce l'ho, quella pazienza e quella costanza che servono per continuare a scrivere anche senza un lettore.
Mi dispiace.

Ora due righe sul contenuto del capitolo: mesi e mesi fa ho passato qualche serata a saltellare da una pagina web all'altra, cercando informazioni e dettagli legate alla stella Sirio. Sono certa di essere arrivata, ad un certo punto, a un collegamento con il ginepro. Quale sia nel concreto questo collegamento, non lo saprei più dire, scusatemi.
Il nucleo in crine di Thestral, invece, è forse un azzardo: è lo stesso nucleo della Bacchetta di Sambuco, e in quel caso ha senso, trattandosi appunto di una Bacchetta fabbricata e donata dalla Morte. Eppure, in questa storia Sirius è indissolubilmente legato alla morte, lo è in maniera tale che non sono proprio riuscita a pensare ad altro, per la sua bacchetta.
Mi rendo conto che, cercando di spiegare cosa sia la morte, mi sto avventurando su un terreno minatissimo e dalla complessità indescrivibile, che rischia, peraltro, di portarmi lontanissima da quello che è il presupposto essenziale della storia (arrivare finalmente a un lieto fine impossibile da canon). Chiudere gli occhi e fare finta che questi elementi non siano però delle linee cardine di questo tipo di trama sarebbe un pochino ipocrita, però.
Oltretutto, sto cercando di conciliare la mia personale convinzione (un po' nichilista, direbbe qualcuno) con quella visione che la Rowling fa trasparire dai romanzi, una visione con cui in realtà purtroppo sono abbastanza in disaccordo.
Vorrei chiarire ancora meglio questo punto, ma ho scritto delle note più lunghe del capitolo stesso, quindi taccio.
Magari ci tornerò sopra fra qualche capitolo.
   
 
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