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Autore: LionConway    01/03/2019    2 recensioni
[ STORIA MOMENTANEAMENTE IN PAUSA ]
New York, 1976.
Travis é un tassista notturno mentalmente instabile, nonché un uomo profondamente solo, depresso e continuamente scosso dagli orrori vissuti in Vietnam. Vaga su e giù per tutta la città, assistendo impotente al degrado urbano che lo circonda, un carnevale di droga, corruzione e prostituzione, pianificando in qualche modo di intervenire contro il crimine e le ingiustizie. Fino a quando non si invaghisce di Michael, un giovane solitario quanto lui che una notte sale sul suo taxi. I due scoprono di avere molto più in comune di quanto sembri inizialmente. Se non fosse che Michael ha recentemente ereditato gli affari illegali di una potente famiglia mafiosa.
DAL PRIMO CAPITOLO: Passava in rassegna i volti di tutti i presenti nel bar a quell’ora della notte, con quella un po’ infantile speranza di vederlo apparire, e a volte i suoi desideri erano esauditi. C’era sempre un che di regale nelle sue entrate. Travis non si sarebbe sorpreso di vedere tutti gli altri clienti genuflettersi davanti a lui in un atto di reverenza, nella speranza che lui toccasse le loro teste in un gesto di benedizione.
Genere: Drammatico, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Michael Corleone
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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 II.

Riflessi

 

Travis sistemò lo specchietto retrovisore, un gesto che ormai gli veniva quasi automatico, e osservò il riflesso del suo passeggero che si sistemava sul sedile posteriore. Teneva spesso gli occhi bassi. Non era come lui, così abituato a guardarsi attorno, a notare qualsiasi cosa lo circondasse, a soffermarsi sul benché minimo particolare. Lo vide gettare indietro la testa e sospirare. Si passò i palmi delle mani sul volto e allentò il nodo alla cravatta che indossava.

Travis pensò di rompere il ghiaccio. «Giornata lunga?» chiese, senza voltarsi, e sempre attraverso lo specchio, il suo interlocutore gli restituì uno sguardo a metà tra il sorpreso e l’interrogativo, come se non si aspettasse quella domanda. Si sentì incredibilmente stupido: la vita dei suoi clienti non erano affari suoi.

Travis stava per scusarsi, pensando di essere stato invadente, quando vide l’uomo annuire e spostare lo sguardo fuori dal finestrino: «Sì. Sì, decisamente lunga e stressante».

Travis si sentiva la gola secca. Girò le chiavi nel cruscotto e mise in moto l’automobile. «Se non le dispiace, svolto solo un attimo l’angolo» annunciò, controllando che non arrivassero altri veicoli da dietro. «Non mi va molto di salutare i miei colleghi, se escono anche loro».

Non aveva idea del perché avesse esternato quel pensiero ad alta voce, ma l’altro uomo ne rimase divertito e proruppe in una risata educata. Travis non poté fare a meno di lanciargli un’altra occhiata nello specchietto. Non lo aveva mai sentito ridere, non lo aveva mai visto con quell’espressione in volto: sembrava quasi un’altra persona, pareva più rilassato, più umano. Avvertì una bizzarra sensazione al basso ventre, come se una mano lo pizzicasse in prossimità della cintura.

Aveva appena svoltato l’angolo in una traversa della Settima Avenue quando l’altro uomo parlò di nuovo: «Non le piacciono i suoi colleghi?»

Travis accostò a un marciapiede e scrollò le spalle.

«Sono okay» rispose, lanciando uno sguardo alla moltitudine di persone oltre il parabrezza che ignoravano di essere costantemente osservate e giudicate dal suo sguardo inquisitore «Però non siamo esattamente intimi, mi spiego? E a volte diventano fastidiosi, dicono stupidaggini... Se fossero amici puoi anche sopportare, dare corda o, eventualmente, discutere –ma se sono solo colleghi che vedi durante le pause… »

Lasciò la frase in sospeso, non sapendo bene come concluderla, e mordicchiandosi il labbro inferiore. D’altronde, che ne sapeva lui dell’amicizia? Non ricordava di avere mai avuto un vero e proprio amico, nemmeno quando frequentava la scuola, e la vita da liceale se l’era fatta mancare andando a lavorare a quattordici anni nel negozio di alimentari dei suoi genitori. Questo aveva influito parecchio sulle sue capacità nel relazionarsi con altre persone, con i suoi coetanei, con le donne. Queste sembravano essere il più grande rompicapo che Dio avesse mai creato per l’uomo comune, figuriamoci per uno come Travis: sembrava sbagliare continuamente con loro, non le capiva, non ci si raccapezzava, anche solo un approccio innocente sembrava offenderle. Sapeva di aver fatto un errore con l’ultima ragazza con cui era uscito, un errore a cui aveva disperatamente tentato di rimediare, ma anche ogni sua buona intenzione veniva ignorata.

Il giovane tassista si rese conto di essere rimasto immerso nei propri pensieri un po’ troppo allungo perché il suo silenzio non venisse notato. Questa volta fu il suo passeggero a romperlo. «Già, non é esattamente la stessa cosa» sospirò. «Mio padre dice sempre che l’amicizia, quella vera, quella che prevede lealtà, è l’unica cosa importante quanto la famiglia. Che si basano sullo stesso concetto. Rispetto, amore, protezione»

«Suo padre ha ragione»

«Lei crede?»

Travis mosse di nuovo gli occhi sullo specchietto e si accorse che l’altro uomo sembrava essersi irrigidito: «Io penso che le amicizie si possano scegliere e valutare se ne vale la pena. Se risultano imprevedibili, a quel punto si ha l’opzione di tagliarle fuori dalla tua vita. Con i famigliari è già più complicato, temo. Per quanto tu possa cercare di allontanarti, a volte, non hai scampo».

Travis non condivideva al cento per cento quella constatazione, ma ciò che lo aveva colpito di quel discorso era la palese confessione a cuore aperto che uno sconosciuto aveva appena fatto trapelare. E così, il suo misterioso e affascinante straniero si era lasciato sfuggire di avere una situazione famigliare complicata. Che vagasse per le strade di notte per allontanarsene? Per evadere? Forse era davvero una checca come sostenevano Dollaro e Charlie T. e ai suoi parenti non stava bene la cosa. Ma anche se fosse stato così, Travis non riuscì a fare a meno di dispiacersi un poco per lui. Di provare pena. Non poteva aiutarlo a sistemare la sua vita in famiglia.

«Dove vuole che la porti?»

Gli parve saggio cambiare discorso. Il suo passeggero assunse un’espressione dapprima pensierosa, per poi scuotere la testa con gli occhi persi nel vuoto: «Vorrei saperlo anche io. Qualunque posto va bene, suppongo, purché mi tenga lontano da casa per un po’».

Quel discorso stava cominciando a prendere una piega deprimente, così Travis tentò di alleggerire la situazione: «Non posso sconfinare nel New Jersey senza un permesso, però!»

L’altro uomo rise di gusto e il tassista si sentì compiaciuto di quella sciocca battuta, ma ancora di più della reazione che aveva suscitato. Le sue battute sembravano non far mai ridere nessuno. Ricordava una volta, appena qualche settimana prima, in cui aveva provato a sdrammatizzare innocentemente sul fatto che il suo libretto della patente fosse pulito quanto la sua coscienza e il tipo che gli stava concedendo un colloquio lo aveva subito zittito, pensando che volesse fare il furbo con lui. Probabilmente avrebbe dovuto nominare il New Jersey anche in quell’occasione.

«Brooklyn, allora» si decise infine il giovane uomo, allungando una mano sullo schienale del sedile anteriore, appena vicino alla spalla di Travis. «Non ho ancora deciso esattamente l’indirizzo, ma è già qualcosa».

Travis annuì e fece ripartire l’auto: c’era tempo per pensare a una vera e propria destinazione, almeno fino al ponte. E per parlare. Ormai era sicuro che potessero farlo, che tenere una conversazione con lui gli piacesse e che la cosa fosse reciproca. Diavolo, non sapeva nemmeno il nome di quel tizio.

«Mi chiamo Travis!» si presentò, domandandosi subito dopo se non fosse svalicato troppo oltre la cortesia professionale. Gli era sempre difficile capirlo e probabilmente era quello il motivo per cui non chiacchierava spesso con i passeggeri. Non che di solito li considerasse degni della sua attenzione.

«Lo so» rispose l’altro uomo e il giovane tassista quasi sobbalzò nell’udire quella risposta: «Davvero? Come?»

«Ho letto il nome sulla patente».

Travis si sentì un idiota e lanciò uno sguardo in cagnesco alla targhetta sul cruscotto con la copia della propria patente in bella vista. «Odio quella fototessera» grugnì e sentì ridacchiare dietro di sé. «Ho una faccia stupida»

«Nessuno viene mai bene nelle fototessere» Sembrava un tentativo di conforto. «Le farei vedere la mia, se non stesse guidando. Anzi, no, mi vergognerei troppo»

«Sono sicuro che non sia così male».

Lui non lo era di certo. Travis scacciò subito via quel pensiero. L’altro uomo scosse la testa: «Non se ne parla. Sembra quasi una foto segnaletica. Avevo sedici anni»

«Touché». 

Altre risate. L’aria nel piccolo taxi sembrava essersi fatta improvvisamente più calda e accogliente.

Quando Travis si fermò a un semaforo rosso, sentì nuovamente una mano contro la propria schiena.

L’uomo si sporse in avanti per parlare con lui più da vicino: «Il mio nome é Michael».

Il suo respiro solleticò per un breve attimo l’orecchio di Travis che, quando ripartì, avvertì come se le viscere gli sprofondassero.

Lo guardava da lontano da almeno due settimane e finalmente aveva un nome da associare a quel volto. Michael. Gli si addiceva. Come l’angelo che scacciò Lucifero dal Paradiso. Il Bene che trionfava sul Male.

Il tragitto da Times Square a Brooklyn durava circa un quarto d’ora, sfrecciando velocemente nel traffico cittadino. Travis si arrovellò velocemente le meningi alla ricerca di un nuovo argomento su cui provare a intavolare una discussione, ma questa volta fu Michael a parlare per primo: «Quindi lei fa tutta la città?»

Travis annuì.

«Ogni notte?»

«Prima sì. Ora ho due riposi a settimana»

«Passerà le giornate a dormire, immagino».

Come no. Gli sarebbe piaciuto, ma addormentarsi era come abbassare la guardia, viveva nell’ansia costante che qualcuno gli sarebbe piombato addosso mentre le sue difese erano praticamente nulle. Viveva in un’enorme città con un tasso di criminalità impressionante, un vero e proprio campo di battaglia non troppo diverso da quelli su cui aveva combattuto in Vietnam, strade dove tutti erano in guerra con tutti.

Per tutta risposta, Travis si strinse nelle spalle. «Non molto, in realtà» ammise. «Qualche ora al pomeriggio, niente di più. Di solito, quando finisco il turno, vado al cinema»

Nello specchietto, vide Michael distogliere lo sguardo dal finestrino e inarcare un sopracciglio. «Alle sei del mattino?» chiese, incuriosito, ma sembrò realizzare subito dopo averlo detto perché scoppiò di nuovo a ridere: «Oh! Ho capito, mi scusi! È solo –quello non aiuta? A dormire, intendo».

Travis si sentì avvampare, mentre imboccava un cavalcavia. Per lui era una routine consueta, ancora prima che facesse domanda come tassista, stare in giro tutta la notte e infilarsi poi in uno di quei piccoli squallidi cinema sulla Quarantaduesima Strada alle prime luci dell’alba. Non perché fosse chissà quale estimatore di quel genere di film, semplicemente erano a disposizione di chiunque e lui poteva starsene seduto a mangiare popcorn e riempirsi di Coca-Cola. Quello che passava sullo schermo non gli faceva differenza, non lo eccitava nemmeno. Non andava lì per toccarsi, come tutti gli altri avventori attorno a lui che non si preoccupavano di nascondere il loro apprezzamento, era solo un modo come un altro di avere un posto dove recarsi. Una meta, un qualcosa. Da quando era tornato dalla guerra, Travis si era ridotto a una solitaria anima errante, senza uno scopo, senza qualcuno che lo facesse sentir vivo o che portasse il cambiamento nella sua triste quotidianità. Lavorava per lunghe ore, aveva già messo da parte un sacco di soldi, e non se ne faceva niente se non ordinare cibo spazzatura. Anche i punti sparsi per la città dove si fermava per far scendere la gente non erano una destinazione sua, ma dei suoi passeggeri. Era come se l’unico scorcio di vita che Travis vivesse fosse solo attraverso gli altri, attraverso le loro malefatte, la loro gola di sesso violento e autodistruzione. Ma quel Michael sembrava diverso. Sembrava.

«É che io non mi intendo di film» disse, come se c’entrasse qualcosa con quello che l’altro uomo gli aveva chiesto –non gli andava a genio l’idea di parlare dei propri genitali.

Michael si mosse un poco sul sedile posteriore. «Io li adoro» ribatté «Quando sono tornato a New York, una delle prime cose che ho fatto é stata fiondarmi al cinema. Ha mai visto Tutti gli uomini del Presidente

Travis non resistette e fece in modo che nello specchietto si vedesse la propria espressione interrogatoria: «Cosa dal titolo dovrebbe farmi capire che non sia un porno anche quello?»

Vide Michael nascondersi il volto tra le mani e singhiozzare a ritmo delle risate. Travis ridacchiò a sua volta e, quando l’altro si fu ripreso, notò come il suo bel volto olivastro si fosse arrossato in prossimità delle guance. Travis si morse involontariamente il labbro inferiore.

«No, é un film con Robert Redford e Dustin Hoffman» spiegò e il tassista annuì, nonostante quei nomi non suonassero in alcun modo familiari al proprio orecchio. In ogni caso, rimase comunque ad ascoltare interessato Michael che, ben preso, snocciolava la trama del film che, a quanto pareva, ripercorreva tutta l’inchiesta svolta da due giornalisti del Post che avevano portato alla luce lo scandalo Watergate.

«Io ho votato Nixon» ammise Travis con un ghigno e Michael storse il naso nello specchietto retrovisore.

«Anche mio padre» rispose «Difatti mi sono ben guardato dal trascinarlo con me a vedere il film. I fatti reali erano stati un colpo già troppo duro per lui»

Nella mente di Travis riaffiorarono per un attimo alcuni ricordi d’infanzia. «Ehi, a dirla tutta ricordo un paio di film che ho visto!» esclamò. «Beh –in realtà non ricordo proprio i titoli, ma so che mi piacevano i cowboy»

«Come a tutti»

Mentre parlavano, si erano rapidamente avvicinati alla meta. Travis vedeva già un pilone del ponte di Brooklyn stagliarsi contro il cielo puntigliato di stelle. Un po’ se ne dispiacque: non voleva che Michael scendesse, non così presto. Non quando finalmente aveva avuto l’occasione di parlargli. Chissà se anche a lui avrebbe fatto piacere? Se solo Travis non avesse avuto almeno altre cinque ore prima di finire il turno…

«Lei vive a Brooklyn?» domandò a un certo punto il tassista, curioso, mentre la piccola autovettura saliva lungo la rampa per entrare sulla carreggiata del ponte. «Non ho potuto fare a meno di notare l’accento, mi scusi»

Michael ridacchiò dietro di lui. A Travis piaceva quella risata, sembrava smuovergli qualcosa nelle viscere. Si rese conto che il proprio pensiero non aveva alcun senso e si affrettò a cacciarlo via, insieme alla marea di altre riflessioni che lo avevano assillato dalla prima volta che aveva visto l’uomo entrare nel diner.

«Long Island» lo corresse Michael «Lo so, possono essere somiglianti, a volte. Sono nato a Little Italy, comunque».

Travis sorrise tra sé e sé per aver azzeccato le origini italiane.

Michael tirò sul con il naso. «É lì che lavoro» spiegò. «Più o meno. Mio padre ha messo su una compagnia di importazione di olio d’oliva, quasi trent’anni fa. Ho appena ereditato la direzione».

Travis, che aveva ipotizzato una cosa, alzò un dito: «Ma è mica la Genco?»

«Quella»

«Allora sono un vostro cliente! È il miglior olio della città»

«Siamo la marca più venduta della East Coast. I prodotti ci arrivano direttamente dalla Sicilia».

Travis emise un piccolo “Ah” di ammirazione: «É da lì che viene la sua famiglia?»

Nel frattempo, avevano attraversato quasi tutto il ponte. Dentro di sé, un piccolo Travis mugugnava indispettito.

Michael annuì. «Ho vissuto lì nell’ultimo anno» aggiunse «Per affari. Mi sono pure sposato».

Travis si domandò perché quell’ultima affermazione lo avesse colpito allo stomaco come una palla di cannone che aveva appena lasciato una voragine. Istintivamente, portò lo sguardo in basso: lo stomaco era ancora lì, ma non se lo sentiva.

Una volta superato il ponte, Michael si sporse nuovamente in avanti, questa volta con tutto il corpo e Travis rabbrividì quando sentì il suo gomito contro il proprio bicipite. «Può svoltare a destra? Ho appena deciso di passare la notte all’hotel Mountview».

Travis eseguì.

Michael notò qualcosa: «Il tassametro?»

«Lasci stare, le offro la corsa»

«Ma dai!»

«Sul serio. Non ricordo l’ultima volta che ho avuto un passeggero così piacevole».

Travis si morse la lingua fino a farsi a male: non voleva dare l’impressione che ci stesse provando. Anche perché non era così. Non voleva che lui fraintendesse, non voleva bruciarsi l’opportunità di poter parlare nuovamente con lui.

L’italiano, però, non sembrò infastidito da quell’affermazione, anzi, per tutta risposta, gli strinse la spalla con una mano. «E io un tassista così efficiente» rispose e prese subito a frugarsi nelle tasche alla ricerca di qualcosa. Quando la trovò, alla fine, allungò una sigaretta oltre il sedile anteriore per passarla a Travis. «Si faccia almeno offrire una sigaretta, per piacere, anche se non fuma».

Travis la prese e lo ringraziò con un sorriso, mentre si accostava, infine, proprio di fronte all’hotel Mountview, la cui facciata in mattoni rossi fronteggiava il fiume.

Mise il freno a mano e si voltò dalla parte del suo passeggero. Aveva fatto male i calcoli: non si aspettava di trovare il suo volto così vicino al proprio e, nell’incrociare i suoi occhi scuri, Travis si sentì avvampare per qualche stupido motivo. Sperò che l’abitacolo fosse abbastanza buio perché l’altro non lo notasse.

«Io -» balbettò il tassista, cercando disperatamente di non far tradire il tremolio nella propria voce. «Penso – penso di potermi fermare cinque minuti per una sigaretta».

Intanto il tassametro era immobile.

Michael sembrò gradire quell’affermazione. Annuì, si sistemò la giacca di tweed e aprì la portiera dal suo lato. Travis fece altrettanto e scese dalla vettura. Si appoggiarono entrambi alla fiancata e il tassista lasciò che l’altro accendesse per lui. Rimasero in silenzio per un po’, esalando sbuffi di fumo, portati via dal venticello che risaliva dall’East River. Ogni tanto, Travis lanciava rapide occhiate di sbieco all’italiano che, invece, sembrava perso in pensieri ben più lontani da lui. Poco male. A Travis piaceva guardarlo, gli piaceva studiarne quei lineamenti. Lo avrebbe giudicato quasi statuario, una bellezza più greca che siciliana.

Erano entrambi a metà delle loro sigarette quando Michael, passandosi il pollice sul labbro inferiore, ricambiò il suo sguardo e gli chiese: «Vuoi salire in stanza?»

A Travis andò di traverso il fumo. Cominciò a tossire e sputacchiare rumorosamente e, quando si riprese, sentiva di avere la faccia paonazza e, probabilmente, non solo per la fatica di prendere fiato.

Michael non aveva fatto una piega, la sua espressione era rimasta impassibile e, anzi, si era già tranquillamente finito la sigaretta. Lo osservava in attesa di una risposta.

Travis distolse lo sguardo in tutta fretta e prese ad agitarsi sul posto. «Non posso, io- devo tornare a lavorare» balbettò. Non riusciva a tenere le mani ferme, si tormentava gli occhi e spostava il peso da una gamba all’altra come se stesse saltellando. Alla fine, prese un respiro e si impose di darsi una calmata, ma evitò di alzare nuovamente lo sguardo su Michael: sentiva di non potercela fare, che l’imbarazzo lo stava avvolgendo come una coperta pesante in piena estate. «Devo davvero andare, mi dispiace» mormorò «Il tassametro… non può stare fermo troppo a lungo»

«Certo, capisco»

Travis no, non capiva: aveva davvero mandato i segnali sbagliati? E dire che fino a pochi minuti prima era lui che non voleva rischiare che Michael pensasse fosse intenzionato a sedurlo. Forse si stava facendo troppe paranoie. Magari voleva solamente invitarlo a bere qualcosa.

Si sforzò di alzare di nuovo gli occhi sull’uomo. Si sorprese nel vedere che anche lui aveva abbassato lo sguardo. Per caso lo aveva offeso? Travis inspirò: «Però può offrirmi qualcosa la prossima volta che ci incontriamo in quel diner».

Vide Michael sorridere e annuire. Questa volta, tornarono a guardarsi negli occhi. Travis deglutì e sentì il cuore battere all’impazzata nella propria cassa toracica.

«Perché no?» fu la risposta dell’italiano. «Spero di rivederla presto, allora, signor Bickle».

Quindi sulla patente aveva letto anche il cognome, oltre che il nome. Travis si domandò, forse un po’ stupidamente, se questo significasse qualcosa.  

Il tassista non scostò lo sguardo dalla sua figura snella fino a quando non scomparve oltre la porta dell’albergo. Velocemente, zompò di nuovo al volante dell’auto e ripartì sfrecciando per le strade di Brooklyn. Si passò una mano sul volto e constatò quanto fosse accaldato e imperlato di sudore. Un turbinio di domande e altri pensieri si fecero strada nella sua testa, ma Travis cercò in tutti i modi di non cedervi, di pensare ad altro. Più avanti, vide un uomo che gli faceva segno di fermarsi. Il piccolo taxi giallo accostò e fu quando si fu fermato per far salire il prossimo passeggero che Travis notò qualcosa sul sedile accanto al suo, dove teneva la tabella dei prezzi e la scatola con i contanti. C’erano una sigaretta e un fazzoletto di carta piegato su cui vi era scritto qualcosa con un pennarello. Travis lo afferrò, mentre il suo nuovo cliente biascicava il nome della prossima destinazione, e lo spiegò per rivelare una serie di numeri seguiti da un nome: Mike  Corleone.

«Mi ha sentito?» abbaiò l’uomo dal sedile posteriore. Travis non rispose: si limitò a fare un cenno col capo e a spostare nervosamente lo specchietto retrovisore. Le luci al neon di un’insegna balenarono per un attimo nel riflesso.

Il suo passeggero grugnì: «Allora si muova, non ho tutta la notte».

Travis si inumidì le labbra, incollò le mani al volante e spinse sull’acceleratore, ripartendo a tutta velocità. Brooklyn era quasi completamente deserta a quell’ora. A chiunque avrebbe fatto paura, specialmente con un uomo di mezza età come ospite del proprio sedile posteriore, sporco e che parlottava tra sé e sé come in preda a una nevrosi.

Con un gesto fulmineo, Travis mise il fazzoletto nella tasca interna del proprio giubbotto e vi posò una mano sopra. Il cuore batteva ancora forte sotto tutta quella stoffa. 

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Ed eccoci al nuovo aggiornamento! In ritardo di una giornata rispetto al previsto, ma rispetto alla mia solita lentezza é un vero e proprio traguardo! Così facendo, magari, conto di portare avanti regolarmente sia questa storia che Bridge Over Troubled Water (che sarà il prossimo aggiornamento). 

Ringrazio vivamente chi ha letto e apprezzato il primo capitolo e chi ha inserito la storia nelle Seguite. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, trovo estremamente utile ricevere pareri altrui e critiche costruttive e mi farebbe un immenso piacere <3 

A presto, spero, con il terzo capitolo. Vedremo cosa combinerà il nostro Travis adesso che quel furbacchione di Mike non ha decisamente perso altro tempo per farsi avanti con lui.

  
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