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Autore: WhiteLight Girl    02/03/2019    2 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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PEZZI DI UN PUZZLE - 2

Una volta trasformato in Chat Noir, per Adrien aprire la cassaforte era stato facile; Chloe se n’era resa conto appena aveva rimesso piede in casa dopo la scuola e lo aveva trovato sul pavimento, circondato da Miraculous e dai pezzi della scatola che aveva probabilmente buttato per terra. Ci mise un istante a ricordare che, fondamentalmente, l’aveva chiusa lì dentro per nasconderla a suo padre e ai dipendenti dell’albergo e non ad Adrien stesso, eppure lui la guardava come se volesse metterle le mani al collo e strangolarla.

«Ne manca uno,» le disse. «quello della tartaruga. Cosa ne hai fatto?»

Chloe scrollò le spalle e lasciò cadere la cartella accanto alla porta; non si sarebbe abbassata a rispondere a tono ai capricci di qualcuno che probabilmente non sapeva neanche cosa stava facendo.

«Ho solo pensato che con te fuori gioco e me che ti faccio da balia Ladybug avesse bisogno di un altro assistente.» spiegò.

Chat Noir le andò incontro. «Non avevi alcun diritto di farlo. Cosa ti è preso? Pensavi che fosse una buona idea prendere un Miraculous a caso e darlo alla prima persona che hai incontrato? Chi ti assicura che non lo userà a sproposito come ha fatto mio padre? Potresti aver creato un nuovo supercattivo!»

Chloe deglutì, provò ad ignorare il tono dirompente della voce di lui, il modo in cui tutto, dalla posizione del suo corpo, alle sue parole, fino alla sua voce, lo facesse sembrare un predatore minaccioso, ma strinse i pugni e sostenne il suo sguardo.

«Ho preso un Miraculous a caso, sì, ma non l’ho dato ad una persona qualunque, puoi credermi.» disse. Aspettò che Chat Noir desse segno di essersi calmato, ma lui non lo fece. Pollen comparve nel suo campo visivo, come ad assicurarle che, nel caso l’avesse attaccata, non era sola, anche se ancora non si era abituata alla sua presenza e spesso dimenticava che in un modo o in un altro riusciva a seguirla dovunque. «Il Miraculous è in buone mani. Mi hai chiesto tu di impedirti di fare del male a Ladybug, sto solo facendo il mio dovere.»

Un lampo di luce verde accompagnò la comparsa di Adrien, il suo piccolo Kwami fece una smorfia e si allontanò da lui, ma rimase abbastanza vicino da poter intervenire, all’occorrenza.

«Ti giuro» disse Chloe con una smorfia «che approveresti totalmente chi lo ha ora.»

Adrien deglutì e premette le mani contro le tempie, il capo chino, le ginocchia piegate per lo sforzo. «Proteggere Ladybug dovrebbe essere compito mio; mio e di nessun altro.» disse.

Chloe si domandò se lo stava dicendo per convincersene o per ricordarsi che era così, non aveva idea di chi gli avesse dato quel compito o se l’avesse deciso da solo per via di quello che affermava di provare per la ragazza.

«Ma ora ha bisogno di qualcuno che la protegga da te.» gli ricordò.

Adrien scoprì il volto, gli occhi erano umidi. «Credi che non lo sappia?»

Chloe sospirò. «Credo che tu non sia in te e che dovresti calmarti.» gli disse.

Pareva che si fosse ripreso, che fosse riuscito a mettere da parte quella voce che aveva affermato di sentire negli ultimi giorni e trovato ancora la pace, almeno per un po’.

«Non posso calmarmi se non so se la persona che le guarderà le spalle sia degna di fiducia.»

«Adrien, guardami.» disse. Chloe pensò che avrebbe potuto avvicinarsi senza correre troppi rischi e lo fece. Gli sfiorò il braccio. «Hai voluto fidarti di me, allora fidati se ti dico che se ti dicessi chi ha il Miraculous tu approveresti in pieno la mia scelta.»

Adrien accennò un sorriso, Chloe quasi non avrebbe osato sperarlo.
«Chi è?» lo sentì chiedere.

Scosse il capo e sollevò l’indice. «Se te lo dicessi potrebbe essere in pericolo anche lui.»

Vide l’amico pensare a quello che aveva detto, sforzarsi di accettare ancora una volta che era così. Poi Adrien prese fiato e disse: «Chloe...»

«Dimmi.»

Il sorriso di lui, già tirato, si fece ancora più mesto. «Devi farmi un altro favore.»
Chloe pensò che avrebbe dovuto aspettarselo; Adrien avrebbe potuto essere nei guai, mezzo moribondo o qualunque altra cosa, ma avrebbe sempre e comunque messo da parte qualunque cosa lo affliggesse per poter aiutare gli altri a stare meglio.

«Di che si tratta?» gli domandò.

Adrien si chinò, raccolse alcuni dei Miraculous che erano rimasti per terra e ne aprì le scatole fino a trovare una collana con un ciondolo ricurvo bianco e arancione. Gliela porse. «Devi consegnare questo ad una persona e fare in modo che si unisca a Ladybug.»

Con un rantolo, Chloe la prese tra le mani. «Certo, ora sono anche un fattorino...»



Cercare di telefonare ad Adrien non era servito ed anche Chat Noir, ora Marinette ne era certa, la stava evitando. Nelle ultime ore la notizia dell’arresto di Gabriel Agreste era rimbalzata su ogni canale, giornale e stazione radio. Non ne poteva più, tutto quello che desiderava era poter sapere cosa fosse accaduto senza doversi affidare alle supposizioni dei giornalisti e dei fan. Chat Noir non aveva rilasciato dichiarazioni riguardo all’ultimo scontro, il signor Agreste non era raggiungibile dalla stampa.

Quando Ladybug si presentò in centrale e chiese di parlare con Papillon, la polizia la lasciò passare regalandole sorrisi e congratulazioni. Nonostante l’imbarazzo iniziale, fu immensamente grata che non le facessero domande a cui forse non avrebbe saputo rispondere.

Le chiesero di lasciare lo yo-yo all’ingresso e, nonostante non ne fosse entusiasta, obbedì. Solo pochi minuti dopo la invitarono a sedersi su una scomoda sedia traballante all’interno di una stanzetta priva di finestre; davanti a lei solo un tavolo sgombro e un’altra sedia. Vide la telecamera posta contro la parete, lo specchio dietro cui forse qualcuno sarebbe rimasto ad osservare; di certo lasciare che qualcuno usasse in quel modo la stanza degli interrogatori era inusuale, forse avrebbero cercato di carpire qualche informazione in più su ciò che aveva spinto Gabriel Agreste ad agire come aveva fatto, forse non avevano creduto alle ragioni che aveva esposto al momento dell’arresto, qualunque esse fossero.

Un agente che non conosceva accompagnò Gabriel nella stanza, non indossava il classico completo arancione che si era immaginata, come aveva visto innumerevoli volte nei film, ma il solito vestito elegante che aveva indossato il giorno precedente prima di trasformarsi in Papillon, leggermente sgualcito lungo i fianchi e sulle maniche.

Aspettò che l’uomo si sedesse, ma lui attese. L’agente lo scortò verso la sedia e lo ammanettò al tavolino, solo allora si allontanò e si sistemò accanto alla porta, in attesa.

Una volta che ebbe capito che non sarebbero rimasti davvero soli, Ladybug si rassegnò a non poter aspettare.

Osservò l’uomo che aveva davanti, scoprendo un duo di occhiaie ben marcate sotto i capelli spettinati. Il suo contegno, però, non pareva aver subito alcun colpo.

Fu lui a parlare per primo.

«Signorina Ladybug.» disse. Incrociò le mani davanti a sé, poggiandole sul tavolo per quanto gli permetteva la catena delle manette. «Immagino che lei sia qui per parlare di quello che è accaduto ieri.»

Ebbe l’impressione che se si fosse presentata da lui come aspirante stilista, al colloquio si sarebbe comportato allo stesso modo e si domandò se fosse un modo per darsi un tono o se fosse una sua naturale attitudine. Con sincero rammarico, realizzò che non avrebbe mai potuto immaginarlo nelle vesti di un padre e ripensò ad Adrien.

Annuì. «È così.»

Sbirciò in direzione dell’agente, gli occhi di lui erano fermi contro la parete di fronte, ma di sicuro avrebbe ascoltato ogni parola.

«Il suo braccio sta guarendo?» chiese Gabriel. «Sono davvero desolato per ciò che è accaduto.»

Si sfiorò la benda che le cingeva il braccio, quella che probabilmente Chat Noir le aveva messo prima di decidere di sparire dalla sua vista, pizzicava, nonostante non fosse poi così profonda, e bruciava a tratti a ritmo con il battere del proprio cuore. Si sforzò di dimenticare che non erano soli e fare ordine tra le decine di domande che le si affollavano in testa e premevano per essere poste.

«Perché?» domandò infine, scegliendo di restare immersa nel suo personaggio da supereroe. «Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ha fatto... Perché si è arreso?»

L’espressione tesa di lui si sciolse, le dita si ammorbidirono le une contro le altre. Per alcuni secondi, Gabriel rimase in silenzio. «Per tutto questo tempo, per tutti questi anni, ho inseguito un sogno impossibile, convincendomi che ciò che avrei ottenuto sarebbe stato più di quello che ero effettivamente destinato ad avere. Non mi sono arreso, ho provato ed ho fallito.»

Ladybug si corrucciò. «Mi auguro che si trattasse di qualcosa per cui valesse la pena di mettere a rischio la vita delle persone che vivono a Parigi.» disse. Ripensò al momento in cui la guardia del corpo di Adrien era stata akumatizzata, quando lui si era lanciato dal tetto di un palazzo fiducioso del fatto che sarebbe riuscita ad afferrarlo prima di schiantarsi sull’asfalto della strada sottostante. «O la vita di suo figlio.»

Gabriel inclinò il capo, mal celando il suo senso di colpa, ma non disse nulla al riguardo.

«Lui sta bene?» domandò invece.

Ladybug si drizzò sulla sedia. «Adrien?» chiese. «Gli è successo qualcosa?»

Sotto lo sguardo dell’uomo, Ladybug ebbe la sensazione che avrebbe dovuto sapere di più. Che lui pensava che sapesse di più.
«Non ho visto suo figlio, ieri.» disse. Era vero; l’ultima volta che l’aveva visto era stato venerdì, ma non era necessario che lui lo sapesse. Poi ricordò di essersi svegliata senza orecchini, quindi ad un certo punto doveva averglieli tolti ed aveva potuto vederla a viso scoperto. Lui e Chat Noir conoscevano la sua vera identità, non c’era più alcun dubbio.

«Dove posso trovarlo?» gli domandò. Sperò che capisse che ciò che aveva fatto non avrebbe avuto conseguenze sull’amicizia sua e del ragazzo, ma realizzò anche che il suo parere non le importava più di tanto.

«Sinceramente.» disse Gabriel. «Avevo pensato che sarebbe stato con lei, adesso.»

Scosse il capo, non capendo perché avrebbe dovuto essere così. Si alzò; ogni altro dubbio era stato dimenticato. «Proverò a controllare a casa, allora.»

«Non sarà lì,» la informò Gabriel. «non dopo quello che è successo. Pensavo che si sarebbe rivolto a lei.»

La osservò come se la biasimasse per questo.

«Beh, non l’ha fatto.» ribatté Ladybug.

Si voltò e fece cenno all’agente di aprirle la porta, ma prima che potesse uscire sentì le ultime parole dell’uomo che una volta era stato il suo eroe.

«Trovalo, ti prego. Non lasciarlo da solo adesso.»

   
 
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