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Autore: NyxTNeko    03/03/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Autun, 1° gennaio 1779

Dopo un interminabile viaggio effettuato tra navi e carrozze, Napoleone e Giuseppe arrivarono nella città di Autun. Qui iniziò a formarsi il carattere cupo e riflessivo del secondogenito: il suo lato solitario, laconico, riservato e schivo cominciò ad emergere in maniera ancora più evidente rispetto a quando era in Corsica; non aveva amici, andava in giro quasi sempre da solo, quando non c'erano né il fratello né il padre.

Era capace, intelligente, deciso e imparava in fretta, determinato e volenteroso ad apprendere: imparò le basi della lingua francese in tre mesi. I precoci risultati permisero a Napoleone di iscriversi e frequentare la scuola militare di Brienne-le-Chateau a cui era destinato.

Giuseppe invece sarebbe rimasto ad Autun per tutto il ciclo di studi nell'ambito forense e non più ecclesiastico. Il padre era riuscito ad ottenere un posto libero in quel ramo e, quindi non avendo né i fondi necessari, né altre possibilità, decise di fargli studiare quella disciplina apprezzata dal figlio stesso.

23 aprile

- È giunto il momento di separarci, fratello - gli ricordò mestamente Giuseppe. Era dura separarsi da Napoleone che era stato per lui molto più di un semplice fratello.

- Sì, ma tu cerca di non affezionarti troppo a loro - rispose freddamente il fratello minore - Non dimenticarlo! - Stava soffrendo in silenzio, non sapeva però che Giuseppe lo aveva capito, tuttavia, fingeva di non accorgersene, il suo orgoglio non lo avrebbe accettato di certo.

- Ma cosa vai a pensare! - lo canzonò il fratello maggiore - Sei tu che devi stare attento a non picchiarli troppo - rise, sperando di rallegrare l'ambiente troppo formale di quel luogo.

Napoleone non cambiò la sua espressione gelida, quasi assente dalla realtà, e non badò all'ironia subdola del fratello. Il suo pensiero era rivolto altrove, lontano dal suo tempo e dalla sua logica. Il momento era ormai giunto e come ogni uomo doveva superare gli ostacoli che la vita gli avrebbe posto sul suo cammino, lo aveva giurato a se stesso.

- Napoleone, sei pronto? C'è la carrozza che ci attende - urlò il padre dietro la porta bussando lievemente.

- Sì, un attimo... - sussultò improvvisamente, scosso da quella voce che gli ricordava l'addio - Spero di rivederti presto, Giuseppe - lo salutò febbrilmente. Dopo averlo fissato alla sua solita maniera, istintivamente, lo abbracciò; non lo avrebbe mai fatto, ma il suo desiderio di affetto era diventato troppo grande da poter reprimere anche per uno come lui.

- Anch'io lo spero tanto - sussurrò dolcemente Giuseppe ricambiando quell’abbraccio intenso. Non riuscì a trattenersi e scoppiò a piangere. Per la prima volta si sentì davvero il fratello maggiore: percepì il peso di quelle responsabilità che Napoleone si era caricato da solo sulle spalle "Perdonami" si disse in cuor suo - Ciao... - gli rispose solamente.

Si staccò da lui, si allontanò in silenzio con passo cadenzato, arrivò alla porta, lo guardò per l’ultima volta sorridendo, per nascondere le sue lacrime, uscì dalla stanza e dalla struttura per incominciare una nuova e importantissima fase della sua vita che lo avrebbe segnato per sempre, avrebbe forgiato il suo animo. Da quel momento non sarebbero stati più gli stessi.

Brienne-le-Chateau, 15 maggio

Carlo e Napoleone arrivarono prima delle aspettative a Brienne-le-Chateau una piccola cittadina, nelle vicinanze di Troyes nella Champagne, poco abitata, famosa per un meraviglioso castello gotico che sormontava la città e soprattutto per l’École Militaire costruita pochi anni prima, ma ambita da alcune famiglie nobili francesi per la preparazione professionale degli ufficiali.

Napoleone sentiva il freddo penetrare nelle ossa e si strinse nelle braccia cercando di scaldarsi; la primavera era iniziata da parecchi mesi ed era quasi prossima alla fine, eppure lì sembrava che non fosse mai arrivata. Forse era solo una sua sensazione fisica, dovuta al fatto che in Corsica il clima era molto più caldo, secco, per non dire torrido rispetto a quello umido e freddo della Francia.

Carlo si accorse questo particolare ed ebbe un piccolo sentore di paura, che espulse subito consapevole della determinazione e la grande forza d'animo del figlio, gli sorrise, pur non essendo del tutto soddisfatto. Era certo del fatto che questa sua scelta di portarlo in Francia per studiare lo avrebbe condizionato per tutta la vita.

Alzò lo sguardo e vide il figlio con le braccia strette al torace e completamente assorto ad osservare il paesaggio dalla finestra della carrozza; nella sua espressione c'era un velo di tristezza e malinconia, oltre ad una meno evidente punta di delusione e amarezza. Non erano nati dalla visione di quei paesaggi così diversi da quelli che conosceva fin dalla più tenera infanzia, anzi, era piacevolmente sorpreso di scoprirsi colpito, non immaginava di trovare tanta bellezza in quel paese, la Francia, che era stato bersaglio di odio e sofferenza, quanto piuttosto erano generati dal modo con cui era venuto a contatto.

Napoleone tuttavia, represse subito quel sentimento di meraviglia e di stupore "Non posso tradire la mia patria, non posso..." Il cielo grigiastro, pieno di nuvole che si sovrapponevano e si nascondevano l'un l'altra, rispecchiava lo stato d'animo agitato e turbolento di Napoleone.

La carrozza si fermò davanti al cancello dell'École e il cocchiere gli aprì la porta, augurandogli tanta fortuna. Quando Napoleone scese non poté non alzare il naso verso la struttura che si ergeva di fronte a lui, più che una scuola assomigliava ad una fortezza medievale circondata da un immenso spazio libero in cui erano presenti varie armi pesanti tra cui cannoni piccoli e grandi, un giardino curato e le scuderie. Il ragazzino non ebbe, inizialmente, una cattiva impressione di quel luogo, sembrava addirittura piacergli.

- Siete voi il nobile corso de Bonnapate? - chiese improvvisamente un’acuta e fastidiosa voce maschile proveniente dall'altra parte del cancello; era uno dei maestri: aveva un foglio in mano con una lunga lista di nomi e il suo era cerchiato di rosso.

- S-sì, sono io - balbettò Carlo un po' confuso. Si era dimenticato della difficoltà che i francesi avevano nel pronunciare perfettamente il suo nome e il suo cognome.

- Quindi quel ragazzino che avete al vostro fianco è Neappoleonne de Bonnapate - si sforzò nel pronunciare correttamente quel nome complicato.

- Napoleone Buonaparte - lo corresse Carlo; non poteva biasimarlo, suo figlio aveva un nome particolarmente difficile e lungo.

- Quel che è - si spazientì appallottolando il foglio nervoso - Insomma vostro figlio!

- Sì - sibilò imbarazzato il povero Carlo. Abbassò lo sguardo timoroso verso il figlio. Napoleone si mise a braccia conserte e fissò il maestro con odio e rancore crescente: proprio non sopportava quel suo atteggiamento saccente e vanitoso di chi è convinto di sapere ogni cosa.

Anche l'uomo ricambiava il suo disprezzo con identica espressione, notando che quel ragazzino corso era molto più piccolo, gracile di quel che si aspettasse perfino per la sua età. Non pareva affatto un fanciullo di nove anni. Aveva sentito dire in giro della sconcertante resistenza e testardaggine sia di spirito, sia di fisico, della popolazione corsa, ma probabilmente era solo una stupida diceria. Quelle maledette voci di corridoio prive di fondamento!

- Bene, signor Bonnapate, voi potete pure andare, d'ora in poi ci penseremo io e i miei colleghi all'educazione di vostro figlio - gli riferì sorridendo altezzosamente.

- Vi ringrazio immensamente, monsieur e spero che mio figlio possa imparare molto da voi - ringraziò Carlo e gli si inchinò quasi fino ai piedi. Sapeva quanto fosse umiliante tale atteggiamento, suo figlio lo avrebbe sicuramente odiato e provato vergogna verso di lui per tutta la vita. Non aveva altra scelta, le sue ultime speranze erano riposte nei figli.

- Non vi preoccupate, vostro figlio è in ottime mani, inoltre sono io a dover ringraziare voi per aver gentilmente 'donato' un nuovo uomo d'armi alla potenza francese - rispose sorridendo con più sincerità; si era accorto  dell’atteggiamento ossequioso e fin troppo disponibile di quel corso. Eh sì, quel popolo di rozzi e barbari corsi non era affatto come lo avevano descritto! Sarebbe stato davvero un piacere sfruttare quel ragazzino e renderlo un perfetto suddito francese in modo da poter ottenere un controllo maggiore contro i suoi stessi concittadini.

Carlo si inchinò nuovamente e rivolse un'occhiata veloce a Napoleone che ormai gli aveva voltato le spalle insieme al maestro e si avviava verso l'Ecole. Sorrise debolmente pensando che forse non era così male quell'istituto.

Napoleone non aveva reagito come al suo solito, anzi si era dimostrato molto più pacato e controllato del solito; non poteva sapere né immaginare, però, che il suo caro figliolo era come un vulcano in stato di quiete: stava trattenendo il suo livore, il suo odio e il suo disprezzo dentro di sè e prima o poi sarebbe esploso impetuoso e incontrollabile come la piena di un fiume. Il cancello dietro di lui si chiuse.

Non appena il maestro e Napoleone entrarono, sul volto dell'uomo si formò un ghigno di superiorità e l'ipocrisia venne immediatamente alla luce, anche se il ragazzino aveva capito, fin dalla prima occhiata, che il maestro stava fingendo di essere gentile e disponibile con suo padre; potevano prendere in giro Carlo ma non lui.

Gli mise una mano sulla spalla e lo accompagnò nella sua stanza che assomigliava più ad una cella: era piccola, polverosa, sporca e poco luminosa. L’unica fonte di luce proveniva da una finestra che si trovava in alto sopra la scrivania di legno ammuffito, il letto, situato esattamente nel lato opposto, era interamente di paglia. Abbassò la testa ed entrò, la vita in quel posto sarebbe stata più dura di quanto immaginasse, però avrebbe resistito, il suo spirito ne aveva bisogno.

- Sistema la tua roba, corso - ordinò l’uomo. Napoleone ruotò lievemente la testa e lo fissò con espressione torva, non lo sopportava proprio quel tizio - Quando avrai finito dirigiti in fondo al corridoio e aspetta insieme ai tuoi coetanei - aggiunse ricambiando il suo sguardo colmo d’odio e si allontanò da lui.

- Agli ordini! - rispose il corso, mettendosi in posizione con il braccio sulla fronte, seppur avrebbe voluto fargli tanto male.  Perché avevano abbassato il capo sotto i piedi dei francesi? Perché subivano le molestie e i soprusi senza reagire? Se prima, in cuor suo, si era vergognato di suo padre, in quel momento provò ribrezzo, disonore, per se stesso. Pure lui, alla fine, sarebbe diventato così? 

Trattenendo le lacrime che volevano uscire, mordendosi le labbra, sistemò puntigliosamente i suoi cari libri sulla scrivania, li accarezzò e li sfogliò rapito. Li aveva letti e riletti, ma il loro fascino era rimasto immutato: erano le uniche cose che possedeva, che appartenevano solamente a lui, non avrebbe permesso a nessuno di toccarle, neanche di sfiorarle casualmente. Non si era mai sentito così solo come in quella situazione, lontano dai suoi affetti, lontano dai suoi paesaggi che lo proteggevano, lontano dalla sua gente.

Si fece forza mostrando un'espressione fredda ed impassibile e, aperta la porta, si avviò verso il fondo del corridoio dove vi erano altri ragazzini più o meno della sua età. Lo fissavano con la coda dell’occhio, come se fosse diverso da loro, ed in effetti era così.

I suoi abiti non erano lussuosi e sofisticati, i suoi modi erano grossolani, e, inoltre, era magrolino, piccolo, non eccessivamente alto: aspetto malaticcio, che non era certamente adatto alla vita militare. Il colorito pallido e al tempo stesso olivastro evidenziava la sua origine mediterranea, meridionale. In mezzo a loro, robusti e resistenti, pareva un ramoscello. Alcuni, nel vederlo, cominciarono a ridere e a parlottare tra di loro, sbeffeggiandolo. Napoleone si accorse di ciò e gli lanciò un'occhiataccia furente, colma di astio, ogni secondo che passava diventava una tortura, già non sopportava più quel covo di vipere.

Strinse i pugni di nascosto, maledicendo il suo corpo che, nonostante le sue capacità, non lo rappresentava, quella magrezza lo rendeva minuscolo, insignificante. L'aspetto lo etichettava come straniero, diverso. Maledisse il suo destino avverso: quanto avrebbe voluto nascere in un'altra epoca, in cui non avrebbe dovuto mostrare remissività e accondiscendenza.

L'arrivo dei maestri destò Napoleone dai suoi pensieri, questi erano accompagnati dai monaci, i Padri Minimi, che gestivano l’istituto. Iniziarono a parlare del percorso di studi che avrebbero effettuato e della lunga e noiosa storia della scuola da cui erano usciti alcuni dei migliori ufficiali che la Francia ricordi. Si appoggiò al muro, con le braccia allacciate dietro la schiena, e, libero, momentaneamente, da occhiatacce e malelingue, ricominciò a vagare, con la mente, lontano lontano…

   
 
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