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Autore: NyxTNeko    10/03/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 7 - L'uomo più forte del mondo è colui che sa stare da solo -

Nelle ore successive al suo arrivo, il disagio verso i suoi coetanei e non francesi, considerati, visti, come nemici, cresceva a dismisura, ma riusciva a tenere, seppur faticosamente, a bada i suoi istinti. Lo aveva promesso a sé stesso e a suo padre.

- Eccolo lì, il ragazzo corso! - indicò sottovoce, con aria di superiorità, uno dei suoi compagni di classe - Si vede che è un poveraccio

- Sì - ridacchiò l'altro seduto al suo fianco - Ostenta una sicurezza che non avrà mai, in fondo lo sappiamo tutti che si trova qui solo grazie ad una borsa di studio ricevuta per pietà e non perché è un vero nobile

- Eh sì, hai proprio ragione - confermò un altro compagno celando la bocca con le mani per non farsi beccare - Non so chi l'abbia fatto venire qui, ma chiunque esso sia è proprio cieco oltre che stupido

Ma Napoleone li aveva sentiti eccome e il sangue gli ribolliva nelle vene, la sua pazienza era messa a dura prova in quel posto. Aprì un libro preso dalla sua biblioteca portatile e cominciò a leggerlo, cercando di calmarsi, anche se non riusciva a concentrarsi. Il pensiero era fisso su quei maledetti francesi che lo avevano adocchiato, preso di mira dal primo istante, e non la smettevano di tormentarlo. Lo giudicavano, lo schernivano come fosse un fenomeno da baraccone giunto lì per farli divertire.

Uno dei due, che era flaccido e incredibilmente grasso per la sua età, si alzò e gli si posizionò davanti, sogghignando beffardamente - Ehi tu, corso - gli disse presuntuoso, ponendo un accento sgradevole sull'ultima parola. Napoleone, però, sembrava non badargli. Da dietro il libro aveva spostato le pupille nella sua direzione, senza farsi notare. Il nobile insisteva nel chiamarlo in modo arrogante, tuttavia, non riusciva ad attirare la sua attenzione o a parlargli. Era come se fosse circondato da una bolla che evitava ogni contatto - Ti hanno mangiato la lingua?! Non rispondi eh? Credi di essere furbo, in realtà sei solo un debole, un sottomesso... - continuava a provocarlo, eppure niente pareva smuoverlo, almeno apparentemente.

Si allontanò momentaneamente da lui e il corso poté tirare un sospiro, non di sollievo, poiché aveva intuito che quel maledetto francese aveva qualcosa in mente, e l'istinto gli diceva che non era affatto piacevole. Perciò rimase in quella posizione e in silenzio, pronto ad incassare ancora con enorme fatica. Intanto il nobile si consultò con i suoi compagni, i quali, uno dopo l'altro, ghignarono sinistramente e cominciarono ad urlare a gran voce, tenendo il dito puntato - La paille au nez, il suo nome è la paille au nez - ripetè, seguito dagli altri compagni.

Un dispregiativo inventato, giocando sul suo nome strano e sulla sua pronuncia alla francese: evidenziando non solo, quindi, la sua diversa condizione economica, ma anche, e soprattutto, il suo essere straniero; questo crudele nomignolo gli fece, per un millisecondo, perdere il controllo dei suoi impulsi. Quanto avrebbe voluto lanciarsi contro di loro e riempirli di botte, sfogare tutta la sua frustrazione specialmente su quello che aveva proposto quell'insulto, però, dovette trattenersi ed ingoiare nuovamente il rospo. Si legò questo affronto al dito, certo che prima o poi gliel'avrebbe fatta pagare cara.

Alla fine l'altezzoso aristocratico enunciò, quasi fosse un discorso - Dicono che i corsi siano fieri, coraggiosi e che non temano niente e nessuno, a me paiono solo dei deboli vigliacchi... non ha avuto neanche il coraggio di parlarmi, che plebeo! - Si asciugò la fronte con il fazzoletto, tornò al suo posto e cadde sulla sedia; era stata una grande fatica questa volta farlo arrabbiare, troppo grande per un nobile come lui.

"Aspettate che sia grande, voglio far tanto male a voi francesi!" li minacciò  mentalmente Napoleone, emettendo dei ringhi sordi, colmi di rancore. li fissava con la coda dell'occhio. Aveva resistito, la sua ira non era assopita, non riusciva proprio ad accettare quelle infamie ingiuste e prive di fondamento: sapeva di possedere grandi capacità intellettive ed una formidabile resistenza, ma in quel luogo sembravano valere solo i possedimenti, i soldi e il titolo; il merito, la forza di volontà, l’impegno parevano essere solo dei concetti astratti, sigillati tra i libri che studiavano ed analizzavano.

Riprese la sua lettura per calmarsi, fino a quando, un compagno di corso che non aveva né visto, né conosciuto in precedenza, il quale, però, lo aveva tenuto d'occhio per tutto il tempo, gli si avvicinò - Posso sedermi accanto a te, corso? - chiese gentilmente, accompagnato da un lieve inchino.

Napoleone alzò la testa e, quasi istintivamente, corrucciò lo sguardo,  credendo che quel francese lo stesse prendendo in giro - No, non puoi! - sbottò innervosito, riprese a leggere accigliato - Ci sono tanti posti liberi oltre al mio, vicino ai tuoi simili, da lì potrai farti beffa di me con più facilità, non credi? - aggiunse notando che quel tizio non avesse alcuna intenzione di andarsene.

Invece di ottenere l’effetto sperato, il ragazzino pareva deciso ad occupare proprio quel posto - Io non ho nessun desiderio di burlarti Napoleone - controbattè il ragazzino e posò la mano sul petto, come se fosse un giuramento - Ma se la tua volontà è quella di stare da solo, io non me la prenderò e accetterò la tua decisione - precisò poi, fissandolo tristemente. Non poteva pretendere che un ragazzo come lui potesse fidarsi così, su due piedi, di un compagno che apparteneva alla schiera dei suoi nemici più grandi.

Nel profondo del suo cuore, una voce interiore sussurrava al corso di fidarsi del ragazzino, si ostinò nel non darle retta: conosceva fin troppo bene quel genere di persone dal sorriso stampato in faccia, pronte a voltare le spalle nel momento del bisogno. Ne aveva conosciuti tanti e non solo in Francia.

- Lascialo stare quello - gli urlò un compagno con profondo disprezzo - È solo un corso senza un quattrino che si crede un aristocratico, se vuoi sederti c'è un posto qui, accanto a me - glielo indicò facendogli il segno con il dito.

Il ragazzino rifiutò ed insistette nel voler sedersi accanto a Napoleone che, dopo non pochi tentennamenti, lo accontentò. La sua pazienza era al limite. Così liberò il banco da strumenti e fogli. L'aula era molto piccola, con i banchi, disposti a file, allungati e attaccati.

- Ti ringrazio, amico - gli sorrise e si sedette accanto a lui sereno e soddisfatto.

- Io non so quali intenzioni tu abbia, francese, ma ti avviso fin da subito, poca confidenza e a ciascuno i propri spazi, capito? - chiarì senza troppi indugi e guardandolo fisso. Il suo sguardo era cupo e diffidente, quel ragazzino, sbucato dal nulla, apparentemente amichevole e cordiale, non lo convinceva per niente.

- Certamente, amico - confermò convinto e irremovibile.

- E non chiamarmi amico - evidenziò nervoso Napoleone. Mal digeriva la confidenza del nemico, la sua tranquillità; quale poteva essere il suo piano?

- Come vuoi...Napoleone - si corresse intimorito l’amico. Prese gli strumenti da lavoro e li appoggiò sul banco affianco a quelli del corso.

"Che intenzioni avrà?" si disse osservandolo con accortezza "Devo stare all'erta, è meglio cercare di essere il più distaccato e freddo possibile, mai fidarsi dei francesi". 

- Non mi sono presentato, pardon, Louis Antoine Fauvelet de Bourrienne di Sens - riferì porgendogli la mano piccola e rosea.

Il corso passò lo sguardo dalla mano tesa di fronte a lui, al suo viso disteso che sfoggiava un sorriso rasserenante - Napoleone di Buonaparte da Ajaccio - rispose avvicinando lentamente la mano a quella di Louis Antoine che strinse energicamente. Lo fissava intensamente, quel tipo continuava a non convincerlo affatto.

- Il tuo nome è così particolare! - esclamò incuriosito, ed era sincero nel riferirlo al compagno di banco - Non l’ho mai sentito in giro…

- Infatti non è molto usato neanche dalle mie parti, se devo essere onesto, la mia famiglia è una delle poche sull'isola ad adoperarlo da secoli - lo interruppe freddamente. Dove voleva arrivare con quel discorso?

- È una rarità possedere un nome unico come il tuo, credimi, te lo dice una persona che…

- Non ho bisogno delle tue considerazioni, né dei tuoi consigli, soprattutto se riguardano la mia persona - sbraitò alzandosi in piedi, invaso dall'impulso di prenderlo a pugni - Ed ora chiudi quella bocca altrimenti sparisci e vai a parlare di certe sciocchezze con qualcun altro! - aggiunse simile ad una furia impazzita.

Il suo viso era diventato di botto rosso, sudato; gli occhi spalancati e le pupille ristrette. Mancò davvero poco che gli si buttasse addosso se non fosse per il fatto che il professore o, meglio il monaco, arrivò, squadrò gli studenti del primo anno, uno ad uno, i quali zittirono immediatamente. Napoleone si sedette subitamente ed emise un profondo respiro per ritornare calmo.

Il monaco, il Padre Patruolt, si sistemò e iniziò a scrivere dei numeri in sequenza sulla lavagna. Il corso con velocità ed entusiasmo riportò l'espressione sul foglio e iniziò a ragionarci sopra "Finalmente qualcosa di interessante" pensò sollevato - Forza ragazzi, ricopiate quest'espressione e risolvetela, se ci riuscite - ordinò il monaco mentre si toglieva la polvere dalle mani grassocce, con un pizzico di presunzione, sapeva che quei calcoli erano difficili per ragazzini di quell'età, e quindi sarebbero stati impegnati per tutta la lezione. Si sistemò la cintura intorno alla pancia. Si accomodò e osservò i ragazzini, intenti a svolgere il compito. Li vedeva sforzarsi e cercare suggerimenti in giro.

Louis Antoine era in seria difficoltà e, quasi istintivamente, il suo occhio cadde su Napoleone che, al contrario, sembrava a suo agio con quei numeri: la matematica era sempre stata la sua materia preferita, i numeri erano una lingua, che avevano un significato nascosto da decifrare attraverso la risoluzione, era una continua sfida stimolante. Stava risolvendo con estrema naturalezza quell'espressione, per nulla facile. Bourrienne era rimasto senza parole, incredulo, alla vista di ciò: era molto più bravo di quanto potesse immaginare o ipotizzare. Non se la sentì di copiare, preferì lasciare l'espressione incompleta e continuare ad osservarlo stupito.

Dopo pochi minuti il corso alzò il braccio per riferire il risultato dell'espressione e il monaco gli diede la parola credendo che volesse scherzare, non appena il ragazzino gli riferì il ragionamento e il risultato, sul suo volto si dipinse lo sbigottimento, si sentì improvvisamente accaldato e sudato. Non riusciva a credere che quel bambino lo avesse risolto in pochi minuti e senza l'aiuto di nessuno, era inconcepibile - Non è possibile! - esclamò Padre Patruolt, ‎avvicinandosi e strappandogli il foglio dalle sue mani e da quelle dei compagni al suo fianco per controllare se vi fossero scopiazzature - Devi averlo copiato da qualche compagno, non ci sono dubbi - continuava a fissare quel figlio pieno di calcoli assolutamente perfetti, non era umana una cosa del genere.

- No, vi assicuro che è tutta farina del mio sacco, non mi sarei mai permesso di copiarlo e di prendervi in giro - si giustificò alzandosi, gli occhi piantati sul monaco.

- È un bugiardo! - disse un compagno dietro di lui - L'ho visto mentre gettava lo sguardo sui fogli degli altri - mentì pieno di invidia.

- Anch'io - replicò un altro.

- Siete voi che state mentendo! - esclamò Louis Antoine adirato puntando il dito. Era un ragazzino molto pacato, razionale e mal sopportava che un suo compagno venisse calunniato così, soprattutto dopo aver dato prova delle sue capacità. Anche lui, per un istante, aveva provato grande invidia per quella sua straordinaria capacità, ma non poteva accettare quell’atteggiamento - Voi non avete visto un bel niente! L'unico che può testimoniare sono io e vi assicuro che Napoleone lo aveva già risolto pochi minuti dopo la trascrizione del maestro alla lavagna. Tutte le vostre accuse sono dettate dall’invidia, dall’odio che provate verso di lui! Siate ragionevoli e fatevi un esame di coscienza, se davvero vi considerate cristiani cattolici! - emise sdegnoso e poi si sedette.

Il maestro colpito dalla fermezza della sua parola e conoscendo la buona condotta del ragazzo e della sua famiglia, non poté che confermare il ragionamento e il risultato effettuati dal corso. Mentre Napoleone e gli altri compagni si stavano chiedendo come mai Louis Antoine si fosse comportato in quel modo. Cosa ci avrebbe guadagnato? - Riprendiamo la lezione da dove eravamo rimasti - disse il monaco rompendo il silenzio imbarazzante che si era generato e passò alla spiegazione dell’esercizio eseguito da Napoleone.
 

- Perché l'hai fatto? - domandò inquieto Napoleone al compagno Louis Antoine. Quella domanda aveva tormentato il suo animo per tutta la lezione. Non riusciva a spiegare il perché del suo gesto, né comprendeva se il suo atteggiamento nei suoi confronti fosse sincero oppure no.

- Perché siamo amici, che domande - rispose con ovvietà Louis Antoine.

- Io non ho mai detto di voler essere tuo amico, lo vuoi capire?!

- Ma perché ti ostini tanto? Non puoi farcela da solo...

- Perché non ho bisogno del tuo aiuto...non ho bisogno di nessuno qui, posso cavarmela tranquillamente da solo, come ho sempre fatto

- Ma io volevo solamente... - balbettò Louis Antoine.

- Te lo ripeto per l’ennesima volta! Io non voglio nessuno tra i piedi, tornatene dai complici che ti hanno mandato da me! - sbottò sempre più furioso.

- Napoleone, io so benissimo come ti senti e fai bene a non fidarti di nessuno qui, ma devi anche capire che da solo non si può fare tutto, non puoi sostenere il macigno della solitudine con le tue sole forze

- Mi ricordi tanto mio fratello Giuseppe - sospirò improvvisamente; il suo sguardo divenne melanconico, probabilmente era un argomento che gli stava particolarmente a cuore - Lui come te crede nel valore dell'amicizia, ma io non sono come lui e come te - lo scrutò con i suoi occhi indagatori. Si era convinto della sua lealtà e non voleva coinvolgerlo nelle sue faccende - Io sono dell'idea che non bisogna fidarsi neanche della propria ombra

Con quella frase Louis Antoine intuì che il discorso era definitivamente chiuso e con un piccolo cenno di capo fece intendere a Napoleone di aver capito - D’accordo Napoleone, se questa è la tua volontà io l’accetterò, la vita è tua ed io non sono in diritto di poterla modificare, se non lo desideri - sussurrò sorridendo amaramente - Sappi però che se dovessi aver bisogno di aiuto, anche disperato, io ci sono - aggiunse senza sorridere. Smise di parlare e attese in silenzio l’inizio della lezione successiva.

   
 
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