Senza respiro
La
casa odora di polvere e cane bagnato, il pavimento è cosparso di schegge di
legno e stracci lerci: Morfin con la sua rabbia
malata ha rotto anche l’ultimo piatto buono. Merope se ne sta tranquilla
accanto alla finestra, noncurante di ciò che la circonda, la porta che sbatte è
ormai solo un labile ricordo. I capelli sembrano un nido di uccello, il sangue
si è quasi seccato all'attaccatura; il polso le duole, si sfiora il nuovo
livido come se stesse sfiorando i petali di un fiore, come se stesse
accarezzando lui.
Merope
sospira e si agita, gli occhi acquosi saettano oltre il vetro: può sentire la
sua risata, ma per quanto si sforzi questa volta non riesce a vederlo
attraverso gli strati di unto, e si sente soffocare: aspetta ogni giorno quel
momento come se ne andasse della sua vita – come se senza non potesse
respirare –, non può perderlo di nuovo e passare poi la notte a
sentirsi annegare, a torcersi nelle lenzuola sudate e a desiderare di morire.
Merope
di solito è razionale nella sua piccola realtà malandata, sa essere lucida e
cauta nel suo squilibrio degenere; ma è con una furia che non le appartiene che
si alza di scatto e spalanca la porta, correndo lungo il sentiero.
Lui
è lì, un cavaliere sul suo bianco destriero, è bello da mozzare il fiato, e la
parola “bello” non è mai stata così giusta: ha un suono pieno come le sue
spalle, si arrotola lasciva sulla lingua e forse esiste solo per lui. Merope
non riesce più a ragionare: si arrischia tra i cespugli di rovi, i piedi sudici
di more e sangue – se solo lui la vedesse, correrebbe a salvarla, la
porterebbe via di lì e lei potrebbe finalmente respirare.
E
poi lui finalmente la vede e Merope si ferma e lo guarda con il cuore in gola,
con il cuore che le mozza davvero il fiato; il polso torna a farle male, sente
le viscere contorcersi e la gola chiudersi. Il suo principe ride sguaiato e
l’angelo al suo fianco grida e si copre gli occhi come se avesse visto un
mostro – un mostro fatto di stracci lerci e sangue incrostato.
«Cecilia,
tesoro, tranquilla, non c’è nessun pericolo».
«Mandala
via!».
Ha
una maschera di disgusto sul volto, il suo bel principe delle favole, e per un
momento sembra che voglia colpirla con lo scudiscio. Merope è pronta a farsi
punire, è pronta ad altri lividi, e pensa che tutto sommato continuerebbe ad
accarezzarli come fiori. Ma lui prende le redini di entrambi i cavalli e li
conduce via da lì, via da lei.
Merope
è una statua di marmo, non riesce a muoversi, è un’edera marcia che ha deciso
di mettere lì radici; sente le orecchie fischiare e il sangue salirle al
cervello, vorrebbe piangere ma non è sicura di saperlo fare, e allora si
accascia al suolo, le mani alla gola perché non vuole più vivere – vuole
soltanto soffocare.
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NOTE:
Prima classificata al contest Nella
mia libreria indetto da blackjessamine sul forum
di EFP. Ho scelto il seguente pacchetto: Chuck
Palahniuk, “Soffocare”, Merope Gaunt
OPPURE Regulus Black.
Dopo
mesi e mesi e mesi e mesi (in realtà ne sono passati circa 5, ma mi sembra un’eternità!)
torno a scrivere e, soprattutto, a concludere e pubblicare una storia! E credo
che sia la prima volta di averla pensata, dall’inizio alla fine, e averla messa
nero su bianco in maniera coerente, senza stravolgimenti esagerati in itinere.
Da questo punto di vista posso dirmi pienamente soddisfatta; discorso a parte
per lo stile e il tono di questa flash, che non mi convincono pienamente: non
so, forse è una sensazione, ma non mi sembra di aver scritto come al mio
solito, è come se fossi stata un po’ troppo… Piatta? Scialba? Didascalica? Non
lo so nemmeno io, sinceramente, ma ho questa sensazione che non riesco a
levarmi di dosso.
Discorsi
e dubbi inutili a parte, vi ringrazio per essere arrivati sin qui e concludo
solamente con due piccole note:
-
Cecilia e Tom: non vengono mai nominati, ma spero
sia ben chiaro che si tratti di loro. Ho optato per questa scelta perché la
scena avviene tutta attraverso il punto di vista di Merope e ho immaginato che
in questa fase della sua vita ancora non conosca i nomi dei due.
-
Morfin: trovo che la traduzione/adattamento/whatever della versione dei libri italiana sia alquanto
senza senso (Orfin), dunque ho optato per la versione
originale del nome.