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Autore: G RAFFA uwetta    04/03/2019    0 recensioni
Un’antica maledizione bussa alla vita del giovane Auror Harry Potter sfiorandolo, quasi derisoria. Ma il Fato è capriccioso e ha in serbo per lui ben altro. Attraverso i chiaroscuri dei suoi ricordi, torneranno a galla verità nascoste e faranno male, quasi quanto pronunciare: Avada Kedrava.
‘L’eternità giace in chi ha memoria.’ – uwetta.
Dal testo: “— Ho l’impressione che ci sia qualcuno che non dovrebbe essere qui, — aveva risposto all’amico, senza smettere un secondo di guardarsi in giro preoccupato. — Quanto sei paranoico, Harry! Vabbè che hai vinto il premio come miglio Auror dell’anno, ma adesso esageri! Chi vuoi che sia così pazzo da pensare di potersi mettere contro di loro, — aveva indicato la sala gremita di gente, mentre gli poggiava il braccio intorno al collo in un goffo abbraccio. — Goditi il momento, — poi l’aveva trascinato con sé.
— Imperio! — aveva sibilato sottovoce qualcuno: gli occhi di Ron divennero vacui mentre con estrema lentezza estraeva la propria bacchetta.”
Tutte le riflessioni sulla psiche sono mie personali considerazioni.
Presenza accennata di Bondage e di violenza. Pre-slash.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Narcissa Malfoy, Ron Weasley | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Harry, Harry/Ginny
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller





Cap. 5 – Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto



Il suo trasferimento al Manor si era svolto senza particolare emozione, nel più totale riserbo. Non un gufo, non una parola spesa su nessun giornale magico. Gli era stata assegnata una stanza, anzi, quando era riuscito ad alzarsi da solo dal letto, aveva compreso che in realtà era un piccolo appartamento ubicato in fondo a un lungo corridoio nell’ala più estrema dell’edificio. Per accedervi, bisognava attraversare una specie di ‘velo impalpabile’, – Harry era più certo che fosse una Passa-porta sotto mentite spoglie che lo spedisse dritto dritto dall’altra parte dell’Inghilterra. – atto, secondo la signora Malfoy, a preservare i suoi beni dagli sfoghi della magia involontaria.

«Non le basterebbe l’eternità per ripagare i danni,» gli aveva detto come nota di benvenuto, «si goda il soggiorno. Verrò a farle visita ogni mercoledì alle sedici in punto, per accertarmi dei suoi progressi. Un’ultima cosa, fino a nuovo ordine è esentato dal presenziare alle cene,» aveva aggiunto sorridendo sdegnosa.

L’inizio, non era stato per nulla facile, in quella casa si era sentito un intruso, un peso da sopportare per obbligo. Nonostante avesse accettato, non riusciva a comprendere appieno perché la signora Malfoy, Narcissa quando entrava nella sua stanza, si fosse presa il fardello di curarlo; in fondo, se suo marito era morto ad Askaban, un po’ la colpa era anche sua. Tra quelle mura aveva sperimentato il peggio di sé e ciò che di più pericoloso la sua magia potesse fare.



I Medimaghi avevano compreso fin da subito che l’umore del moro era intrinsecamente collegato all’instabilità della sua magia. C’erano stati giorni in cui il cielo aveva scaricato in terra dosi massicce d’acqua e fulmini, altri in cui i prati circostanti si erano imbiancati in pieno agosto. Le fondamenta avevano rischiato più volte il tracollo quelle notti in cui, per Harry, era stato difficile distaccarsi dal crudo sogno e piombare nella disperata realtà. Alla fine, con estrema pazienza, si era creata una sorta di ‘monotona quotidianità’ perché, come soleva dire il dottor Lethargie Taubheit: «Sono le abitudini i punti cardini della solidità mentale.»

Pian piano, come la goccia che corrode le pareti della grotta, lo psicologo aveva dipanato la matassa aggrovigliata del passato di Harry, costringendolo a venire a patti con il proprio io interiore, a riappacificarsi con i propri fantasmi. Non aveva lasciato nulla al caso, rischiando spesso di venir trucidato. Con infinita pazienza, era riuscito a insediarsi nel cuore del moro, divenendo un punto fermo, un appoggio su cui contare. «La Vita è una scala infinita; se uno dei pioli cede, puoi sempre cambiarlo. Non importa se avrà un ruolo importante, o se sarà solo una comparsa, ogni gradino sostituito ti aiuterà nel tuo cammino.» Gli aveva sciorinato il dottore un pomeriggio nebbioso, mentre Harry sedeva imbronciato perché si rifiutava di riconoscere che si stava affezionando alla famiglia che l’ospitava.







La prima volta, a Teddy, era stato dato il permesso di andare a trovarlo solo quando non aveva avuto incubi per due notti consecutive. Harry, dopo aver stretto al petto il bimbo, l’aveva fatto sedere tra le coperte stropicciate; in mano teneva un libretto di fiabe Babbane tutto pasticciato, da cui non si separava mai. Pazientemente, sotto l’attenta sorveglianza di un’elfa, aveva fatto del suo meglio per non far sentire a Teddy la mancanza della nonna.

«Davvero la nonna è andata via?» aveva pigolato con la sua vocina acuta. «Davvero, davvero? È colpa mia? Sono stato cattivo?» Grossi goccioloni avevano preso a scendere sulle sue guance rosate. «Tieni,» allarmato, gli aveva allungato il libro, «se lo ripulisci, poi lei torna?»

Harry aveva scosso il capo, gli occhi colmi di tristezza, baciandolo tra i capelli color pece. «No, Teddy, la nonna è partita per un lungo viaggio e noi non la rivedremo per molto tempo,» gli aveva sussurrato, le labbra premute contro la piccola testa.

«Ma perché io sono qui? Non mi vuole più bene? Ha trovato un bambino più buono di me?» aveva biascicato tra i singhiozzi.

«No! No! No! Questo non devi pensarlo, mai!» si era affrettato a smentire Harry. «Lo sai com’è la nonna, deve sempre sapere tutto. Le hanno parlato di questo posto meraviglioso, molto, molto lontano da qui, ma, prima di poterti portare, è andata lei stessa a controllare se effettivamente è bello come dicono. Immagina se tu vai lì e poi non ti piace, non puoi certo tornare indietro, no?» Teddy aveva scosso la testa dubbioso, tirando su con il naso; Harry, sorridendo triste, gli aveva pulito il volto ancora sconvolto dal pianto.

«Facciamo così, intanto che lei non c’è, noi stiamo qui, in questa grande casa assieme a tua zia e tuo cugino, in attesa che lei torni. E, quando lo farà, noi saremo pronti con le braccia spalancate e tutti i baci che avremo conservato solo per lei. Che ne dici? Ti pare un buon piano?» Harry aveva aspettato il suo timido sorriso, prima di sospirare e riaccomodarsi contro il cuscino. Non si era accorto che, nascosti dall’ombra dell’uscio della camera, stavano fermi i due Malfoy.

La mattina dopo, il sonno agitato di Harry era stato interrotto dallo scalpiccio lungo il corridoio, appena fuori dalla porta. L’uscio si era spalancato e Teddy era entrato tenendo stretto al petto un lungo telo nero, dall’aria pesante. Nella fretta di raggiungere il letto a ridosso del camino, era più volte inciampato nello strascico che si imbrigliava nelle gambe corte. Harry aveva sorriso davanti all’esuberanza del piccoletto, mentre si passava veloce una mano sul volto stanco, quasi a scacciare i rimorsi che la vista di Teddy avevano evocato.

«Ma cosa?» aveva bofonchiato al bambino.

«L’ho trovato in fondo al letto, è un regalo della nonna, sai,» gli aveva risposto Teddy mentre, con gesti reverenziali, gli occhi luminosi di gioia, stava lisciando il tessuto che aveva steso sulle coperte sfatte.

«Ma come?» si era ritrovato a richiedere incredulo a Draco, sopraggiunto in quel momento.

«Eloquente come al solito, Sfregiato.» I due uomini si era guardati in cagnesco, sillabando un’infinità di impropri sopra la testa del più piccolo, quasi fossero ancora due studenti a Hogwarts.

«Guarda, Harry,» aveva strillato tutto eccitato il bambino, attirando l’attenzione del più grande. «Si è illuminato!» Infatti, sul tessuto nero era appena apparso un vistoso cuore color ciliegia. «La zia mi ha detto che se bacio il cuore si accende,» aveva iniziato a spiegare indicando il disegno, dondolandosi sulle gambe, «poi lui entra nel sacco in attesa che la nonna lo riprenda.» Aveva alzato il viso e il suo sorriso fiducioso aveva stretto in una morsa quello più arido di Harry, quasi a voler sgretolare il ghiaccio che lo circondava.

«Guarda,» aveva alzato il lembo finale, leggermente gonfio, per mostrarlo al padrino, «ce ne sono già cento! Due sono della zia e uno di Draco, tutti gli altri sono miei,» aveva aggiunto tutto orgoglioso gonfiando il petto. A lato, il biondo aveva tossito imbarazzato mentre Harry lo guardava a bocca spalancata, sfregando tra le dita callose il sacco.

«Allora, devo rimediare subito!» aveva esclamato, prima di passare all’azione e avvicinare alle labbra il disegno stampandoci sopra un’infinità di baci; Teddy aveva riso deliziato.

«Mi dispiace interrompere questo idillio,» si era intromesso sarcastico Draco, «ma abbiamo fatto un patto, tu e io.» Mentre parlava aveva agitato minaccioso il dito davanti al viso del bambino che, prontamente, aveva abbassato il capo fintamente contrito. Gli occhi di Teddy, con un guizzo veloce, avevano sbirciato quelli complici di Harry che, per non scoppiare a ridere, di fronte all’espressione soddisfatta del biondo, si era immediatamente messo una mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso malandrino.

«Scusa Draco,» stava appunto dicendo mesto il più piccolo, «ora saluto Harry e torno di là.» Poi, aggrappandosi al collo del padrino, gli aveva stampato sulla guancia un rumoroso bacio. Draco, che stava tenendo l’uscio spalancato, aveva alzato gli occhi al cielo stizzito.

«Sbrigati, non sono il tuo elfo domestico!» aveva cianciato oltraggiato. Nella stanza era scoppiata una fragorosa risata.

«Grazie,» aveva sussurrato Harry, nell’istante in cui Teddy si era infilato sotto il braccio del biondo per poi venire inghiottito dal buio del corridoio, portandosi dietro il suo prezioso tesoro, «lo apprezzo molto.» Draco aveva alzato le spalle impassibile. «Dico sul serio,» si era schernito il moro. «Dimmi una cosa, chi ha avuto l’idea di usare il mantello dei Mangiamorte per fare il sacco?» Le guance infiammate del biondo avevano parlato da sole.

«Non pensavo te ne accorgessi. È un problema per te?» aveva sbuffato altezzoso, per poi rasserenarsi al diniego del moro; senza aggiungere altro, era uscito impettito dalla stanza.



Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.



   
 
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