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Autore: BrainscanSF    09/03/2019    0 recensioni
In un mondo diviso tra regni in lotta, dove la nobiltà regna sovrana a scapito del popolino, è difficile trovare il proprio posto. Lo sa bene Ignis, che ha fatto della sopravvivenza un'arte. Messa da parte ogni ambizione, il giovane divide le sue giornate tra scorrerie e bevute al pub; sarà l'incontro con Scilla, capricciosa aristocratica fresca di diseredamento, a metterlo di fronte a un bivio: perseverare in una vita priva di sbocchi o rischiare il collo nel tentativo di riportarla a casa, nei Quartieri Alti? La risposta sembra scontata, ma l'impresa non è facile come potrebbe sembrare, nemmeno per chi, come lui, può contare su pessimi modi e un'ironia discutibile...
"Non possiamo sapere quando la nostra vita prenderà una piega imprevista. Possiamo provare a prevederlo, tutto qui. Ma io so che la fortuna è imprevedibile, viceversa per i suoi tragici rovesci. Non so come definire lei. Non so come definire noi.
Non possiamo sapere quando la nostra vita prenderà una piega imprevista, è vero, ma possiamo scegliere di scappare o di affrontare di petto l'ignoto. Io lo so. Mi è appena successo.
Cosa ho scelto? Be'..."
Genere: Avventura, Erotico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ho aspettato, mi sono impegnato affinché ogni fibra del mio corpo evitasse di dare in escandescenze ogni volta che Leroux allungava i suoi tentacoli viscidi verso la mia protetta, deciso a riabilitare la propria immagine.
Scilla si è nuovamente trincerata dietro la sua perfetta maschera da nobildonna sdegnosa, accetta i complimenti con aria da smorfiosa, dispensa sorrisi col contagocce e nel complesso si dimostra capricciosa e intrattabile. La conosco abbastanza da sapere che si sta solo divertendo a tenere Leroux sulle spine. Questa è la sua vera natura. Bella da togliere il fiato fuori, crudele come un ragno nell’indole. Ma anche i ragni hanno il diritto di vivere, in fin dei conti, e questa sua dualità non fa che renderla ancora più interessante e desiderabile.
A riprova del suo umore tempestoso, prima di sera si è impuntata a tutti i costi: davanti all’ennesima strettoia ha preteso che allargassimo l’apertura smantellando le facciate delle baracche per permettere alla carrozza di passare.
«Mademoiselle, un po’ di pazienza. Queste strade non sono affatto pratiche.»
«Ma io volio passare da qui.»
«Temo sia impossibile, ma chère.»
«Be’, allora rendetelo possibile, o non mi muoverò da qui.»
Una tenera creatura, la mia Scilla. Non ho visto tanta implacabile freddezza dai tempi di Jacques lo Scuoiatore, un serial-killer che una decina di anni fa imperversava nei bassifondi. E comunque lui uccideva subito le sue vittime con un colpo alla testa, Scilla si sta dimostrando un vero talento nel cuocere le sue vittime a fuoco lento. Siamo tutti in suo potere, che ci piaccia o no e a prescindere dalla nostra posizione sociale.
Tutta questa tolleranza nei suoi confronti mi dà da pensare che in realtà non so nulla di lei. Mentre passavo il pomeriggio a demolire la parete della cucina di qualche malcapitato non ho fatto altro che pensarci: al momento, il vantaggio di Leroux è dovuto alla sua conoscenza del valore della merce. Devo rimediare.
Come Scilla aveva previsto, siamo stati costretti ad accamparci per la notte. Fortunatamente le temperature primaverili fanno sì che anche noi comuni mortali accampati all’esterno della carrozza possiamo goderci un meritato riposo.
Mentre aspettavo un segno da parte sua, ho analizzato i miei colleghi senza farmi notare. Non hanno dimostrato la minima simpatia nei miei riguardi, ma questo non conta. Ogni gruppo ha il suo anello debole, devo solo trovarlo. Quel giovane paggio, per esempio, quel giovanotto con l’aria da coniglio spaventato. Posso spaventarlo facilmente per farlo cantare.
No, Ignis, usa la testa: devi crearti degli alleati, non dei nuovi nemici.
Proprio mentre riflettevo su come approcciare il ragazzo senza farlo scappare a gambe levate, ho colto un movimento dietro al finestrino della carrozza, un fremito della tenda, l’apparizione di un ovale candido che subito scompare. La portiera si è aperta di uno spiraglio e Scilla è scivolata a terra, vestita di tutto punto.
Il Comandante Grandier si è mosso subito per intercettarla.
«Dovreste riposare, duchessa. È tardi.»
Scilla non si volta nemmeno, gli passa accanto come se fosse parte dello scenario, tipo un albero o un lampione. «Ho bisogno di fare due passi. Tornerò tra qualche minuto.»
«In tal caso, vi accompagno.»
«Mi trovo a dover declinare. Ignìs sarà più che suffiscionte per scortarmi» replica, vedendomi arrivare.
La mia ombra si proietta su Grandier. Lo vedo impallidire, ma senza abbandonare la posizione, e questo gli fa onore.
«Duchessa, ho ricevuto ordini molto precisi in merito. Devo compiere il mio dovere.»
Di nuovo, la bocca di Scilla prende una piega pericolosa, morbida e seducente.
Scilla si volta, lanciandogli strali incandescenti dagli occhi ridotti a fessure. «Provate a seguirmi, Grandier, e scoprirete il motivo per cui la mia famiglia si è meritata la sua fama» sibila, la lingua foderata di fiele.
«Vi prego di essere comprensiva. Ci sono interessi diplomatici in ballo.»
Qualcosa di grande e invisibile mi sfiora passandomi accanto.
Il cipiglio duro del comandante si scioglie all’istante, conferendo ai suoi tratti un’aria inaspettatamente giovanile.
«Mi amate?» domanda zuccherosa Scilla.
«Sì» esclama di slancio Grandier, con un entusiasmo che dubito abbia mai avuto. Nei suoi occhi leggo una strana disperazione, un’urgenza che conosco bene: è la sua coscienza che lotta per liberarsi dalle catene che la opprimono. È dolorosamente consapevole di quello che sta per succedere. «Sìsìsì! Vi amo più della mia stessa vita!»
«Molto bene. Allora siate jontile, aspettatemi qui. Fate in modo che nessuno sci segua.»
Grandier annuisce con tanto entusiasmo da farmi temere che la testa gli si possa staccare dal collo. Ce lo lasciamo alle spalle, a struggersi inutilmente.
Scilla mi precede fino ad una piazzetta ottogonale, si guarda attorno. «Qui va bene» stabilisce. «Se allento il legame su Grandier potrebbe dare l’allarme.» Si siede sul bordo del pozzo. Al buio la sua pelle emana la lucentezza opalescente di una perla.
«Sei una donna terribile.»
«Dovrai diventare come me, se vuoi sopravvivere nella capitale.»
«Ehi, bimba, ti informo che sono in grado di badare a me stesso.»
«Come oggi?»
«Cosa vorresti dire? La situazione era sotto controllo. Niente che non potessi gestire.»
«Se il tuo scopo era quello di farti uscidere, direi che sci sei andato viscino.» I suoi occhi viola mi passano in rassegna, seri. «Le regole sono cambiate, Ignìs, nel momento stesso in cui hai ascetato di seguirmi. Fai conto di essere nel bel mezzo di una partita a pokèr. Non hai nessuna garanzia che gli altri jocheranno pulito, se ne avranno l’occasione stai scerto che faranno di tutto per barare. Nel migliore dei casi hanno tecnica ed esperienza superiori alle tue.»
«Ora sì che mi sento meglio.»
«Andrà tutto bene. Sei con me. E il tuo Dono è perfetto per far fronte a questo jenere di situazioni.»
Improvvisamente la realtà dei fatti mi precipita addosso con la forza di una pioggia di massi. Ho le spalle larghe, ma quella rivelazione fa comunque i suoi danni.
«Quindi è questo il motivo per cui mi hai voluto con te. Per via del Dono. E io che mi sono lasciato incantare dalle tue lacrime. Oh, Ignìs, non lasciarmi sola!» la imito, in un ridicolo falsetto. «Tu hai iniziato a barare prima ancora di sederti al tavolo!»
Non riesco ad arginare il disgusto che provo per me stesso. Sono stato un idiota a credere di contare qualcosa per lei, che fossimo complici in questa missione.
Furente, aspetto che dica qualcosa, schiacciandola sotto il peso del mio sguardo.
«Ignìs, non voglio più scappare» sospira lei, inaspettatamente. «Nascondermi nei bassifondi non fa per me.»
Spiazzato da quella affermazione, non posso fare altro che borbottare, poco convinto: «Avresti finito con l’abituarti, prima o poi.» Ancora prima di finire la frase so che la mia è l’illusione di un ingenuo. Seguendo la stessa logica, neppure io, un prodotto dei bassifondi, dovrei fare per lei.
Scilla scuote la testa, lentamente. «La mia vita è diversa, lassù. Volio svegliarmi tardi al mattino, partescipare ai balli, spondere denaro in viaji e vestiti, farmi cortejare, spezzare cuori con la stessa semplicità con cui si spezzano i croissant a colazione. Forse mi troverai superfisciale, ma è così che voglio vivere. Non conosco altri modi. Ora posso solo pensare che tutto questo mi è stato portato via, e non è justo.» Distoglie lo sguardo, puntandolo verso l’alto come se potesse attraversare i piani che ci separano dalla sommità della torre per immergersi nelle luci soffuse di Linguadiragno. «Se vorrai tornare indietro non te lo impedirò. So che i nobili non ti piasciono, e che ti sto chiedendo tanto, ma tutto quello che posso prometterti è che sarai ricompensato quando tutto sarà finito.»
Questa volta sono io a tenerla sulle spine. Se all’inizio ero convinto che avrebbe potuto rimpiazzarmi facilmente, ora non ne sono più tanto sicuro. Comunque, non resisto a lungo.
«Sai che non posso lasciarti in balia di quell’idiota di Leroux.» Infilo le mani in tasca per impedirmi di schiaffeggiarmi per la mia debolezza. «Anche lui fa parte del piano?»
«Il barone è una personalità molto in vista. Finché godrò della sua protezione potrò considerarmi al sicuro.»
«E lo stesso vale per me.»
Il mio angelo annuisce gravemente. «Non dobbiamo essere amisci di tutti, solo delle persone juste
«Ha delle mire nei tuoi riguardi.»
«E sarà molto melio per noi che le mantenga. Non sarà l’unico, se la situazione è quella che penso.»
Sono frastornato. Ogni minuto che passa Scilla rivela nuovi lati della sua personalità. Questo suo essere fragile e forte assieme mi affascina; un attimo prima piange con le lacrime che tremano appese alle ciglia, quello dopo minaccia un uomo col doppio dei suoi anni. I suoi cambi repentini mi lasciano sempre un passo indietro.
«Ma a cosa ti servo, esattamente? Sembri cavartela alla grande.» La domanda mi esce spontanea, senza che riesca a frenarmi. 
Inaspettatamente, la sua espressione si apre in un sorriso e io vengo investito da un fascio di luce lunare che mi lascia attonito e spaesato. 
«Sei l’unico con cui non ho bisogno di finjere» dice semplicemente.
Questo è un colpo basso; una lama nello stomaco farebbe meno danni. Con questa frase mi ha appena legato a sé per il prossimo futuro.
Mi tornano in mente le parole di Carlo: «Ormai ti tiene per le palle, amico. Ma non è così male essere tenuti per le palle da una donna come quella. Cioè, quando mai ti ricapita, con la brutta faccia che ti ritrovi?»
Ha espresso un concetto giusto: la congiunzione astrale che ha portato i nostri cammini ad incrociarsi è più unica che rara… ma non sono sicuro che sia un buon motivo per lanciarmi in una simile impresa. Un cuore infranto può essere guarito da una tasca gonfia, spero.
«Va bene. Sono con te» sospiro. Vorrei essere in grado di tenere alta la tensione drammatica, ma se Scilla è forte dell’addestramento ricevuto dalla nascita, io posso definirmi al massimo un guitto da strada. «Dovremmo usare la forza per farci strada nel caso la diplomazia fallisca, immagino.»
«Per gli Oscuri, non siamo dei barbari!»
La fisso, poco convinto, sostenendo il suo sguardo fino a che non cede con uno sbuffo impaziente.
«D’accordo, potrebe suscedere.» si arrende, battendo un piedino a terra. «Ma non dimeneremo le spade come dei volgari mercenari, ci comporteremo con la classe che ci contraddistingue. Ma sono sicura che non sarà nescesario
«Mh-mh» faccio, poco convinto.
«Una volta arrivati a Mezzocielo manderò un messaggio alle mie cugine. Normalmente preferirebbero bollirmi viva e manjarmi gli occhi, ma sono certa di riuscire a trovare un accordo.»
Il pensiero che da qualche parte possano esistere delle fanciulle simili a Scilla viene offuscato dalla seconda parte della frase.
«Ma che razza di famiglia siete?» sbotto per effetto di quello che mi pare a tutti gli effetti legittimo sconcerto.
«La vita nella Capitale è spietata.»
«Non scrollare le spalle a quel modo! Posso sapere perché ti hanno cacciata, poi?»
«Scerto, ma in un altro momento. Grandier sta per liberarsi. Dobbiamo tornare.»
È saltata giù dal bordo di pietra del pozzo e io le sono andato dietro, mettendo in scena quella che è diventata la nostra consuetudine.
Mi chiedo se tra tutte le nobili personalità che hanno degli interessi nei suoi riguardi abbia compreso anche me, se stia già architettando un modo per “tenermi buono” o se invece sono troppo insignificante per rappresentare una minaccia. È solo l’ennesima domanda che vorrei farle, invece mi limito a seguirla in silenzio. Ho parecchio materiale su cui riflettere.
Un alito di vento mi sfiora, leggero come un presagio. Non riesco a definire la sensazione, ma improvvisamente vorrei afferrare Scilla e gettarmi in una delle tante viuzze che si aprono su tutti i lati, correre fino a rimanere senza fiato.
Eppure l’accampamento è immerso nel silenzio. Grandier è dove lo abbiamo lasciato, in piedi, immobile, con la luce del falò che accende i contorni della sua sagoma di una luce arancione. 
Devo avvicinarmi per notare la lama di pugnale che gli spunta alla base del collo, dove il colletto della divisa è completamente nero di sangue.
Da sopra la sua spalla fa capolino una testa piumata, un lungo becco ricurvo simile ad un rostro. E capisco, finalmente, lasciando che l’adrenalina mi scorra dentro in un’ondata prodigiosa.
L’assassino, che in realtà è un uomo con un elmo dalle sembianze di un rapace, sfila il pugnale e lascia cadere Grandier a terra. Misura lo spazio a lenti passi attorno al cadavere, scrutandomi dall’ombra del cimiero, e mi sembra di scorgere un’ombra di scherno nel modo in cui inclina la testa, privo di paura.
«Scilla, raggiungi il centro dello schieramento e sveglia i soldati. Lascia che ti proteggano.» Parlo rapidamente, non ho tempo per discutere con lei.
«Ma...»
«Ascoltami, per una volta!» sbotto, esasperato. «Trovati un posto sicuro e restaci!»
Riluttante, Scilla obbedisce. Mentre i soldati si risvegliano, imbracciando le armi, lei scatta verso i loro ranghi come un fantasma nella notte.
Il mio avversario protende la sua spada corta, e mi faccio sotto. Detesto la sua indolenza, quell’aria sicura con cui mi sta davanti, a gambe larghe e postura rilassata.
Lo carico come un toro inferocito, agguanto al volo una mazza dal cumulo degli attrezzi che abbiamo utilizzato per la demolizione e lo sollevo, pronto a calarglielo sulla testa. All’ultimo istante il rapace svanisce, proiettandosi verso l’alto con un prodigioso balzo. Il suo mantello mi sfiora la sommità della testa, poi più nulla.
Mi volto frenetico, cercandolo. Così facendo ho l’occasione di vedere il nostro accampamento, ora trasformato in una mischia di persone che corrono, calpestandosi a vicenda mentre vengono incalzati da altri assalitori piumati. Sono vestiti tutti alla stessa maniera, con mantelli simili ad ali e lunghe lance. E si muovono come se effettivamente cavalcassero le correnti, rapidi e letali calano dal cielo, sciamando in gran numero. Non ho mai visto nulla di simile, se non nei racconti popolari.
La scorta si ricompone attorno alla carrozza, incalzata su due fronti.
Vedo anche Leroux, pallido e determinato, atterrare al volo uno dei banditi volanti; entrambi finiscono a terra in un groviglio di arti, tra le gambe dei soldati, continuando a lottare.
Finalmente le forze di Linguadiragno riescono ad organizzare una barriera difensiva di blu e argento, e le loro spade mietono le prime vittime. Muovo in quella direzione, mulinando il martello per farmi largo nella mischia, guadando un fiume di lame.
Centro in pieno volto un nemico, mandandolo lungo disteso, ne butto a terra un altro e infierisco fino a che non vedo il sangue impregnare il lastricato. Una freccia mi si conficca nel bicipite, ma non ci faccio caso, impegnato a distribuire botte a destra e a manca.
Proprio quando sembra che Linguadiragno abbia conquistato abbastanza respiro da poter preparare una controffensiva, la vedo.
Oltre le teste incappucciate brilla quella di Scilla; i suoi riccioli tremano mentre viene spinta avanti, le braccia bloccate dietro la schiena.
«Ce l’ho! L’ho presa!»
Un verso prolungato, modulato come il richiamo di un uccello, si fa sentire sopra di noi. Una sorta di segnale che decreta la riuscita della missione. Immediatamente gli assalitori rinunciano all’assalto, sparendo con la stessa rapidità con cui sono apparsi. Molti sono rimasti a terra, ma tutti quelli in grado di muoversi saltano su come gatti, correndo in verticale sulle facciate delle abitazioni.
Avrei dovuto capirlo. L’obbiettivo era Scilla.
Travolgo gli uomini attorno a me nel tentativo di avvicinarmi al rapitore. Il modo in cui Scilla tiene la testa all’indietro, offrendo il collo bianco e indifeso, innesca in me una frenesia tale da annebbiarmi la vista. Giuro che a quel mentecatto gli faccio male ad un livello talmente profondo che i suoi discendenti nasceranno con le ossa sbriciolate, tutti piegati in strane angolazioni. Questo e altri pensieri simili rubano il campo al raziocinio che mi resta.
A testa bassa, incurante delle ferite o di quello che sta succedendo attorno a me, arrivo ad un passo dal biancore emanato da lei. Devo portarla in salvo.
Il tale che la stringe assiste con crescente preoccupazione alla mia avanzata, trafficando con una serie di funi.
Allora, interviene nuovamente l’assassino di Grandier. Lo riconosco dai segni rossastri sull’armatura, oltre che dalla posa scanzonata. Piomba fuori dal nulla, la sua spada disegna un arco brillante e qualcosa di caldo mi cola sulla schiena. Me lo scrollo di dosso centrandolo con una gomitata e vengo premiato da un lamento soffocato che però registro a malapena. Di nuovo libero, riprendo a muovermi, inesorabile.
«Scilla!» Mi allungo verso di lei, ma un istante prima che riesca a raggiungerla viene catapultata verso l’alto dallo stesso meccanismo che permette al resto del gruppo di compiere spostamenti tanto veloci a mezz’aria. Con la punta delle dita sfioro la sua pelliccia, ma è tutto quello che mi rimane di lei è il singulto di sorpresa che lancia prima di sparire.
Ovunque si rincorre il medesimo grido: Arrow, i pirati dei cieli. Una leggenda che prende vita solo per venirci a rompere i coglioni.
Avendo ottenuto quello che volevano, anche gli ultimi pirati si ritirano, trainati dalle imbragature, lasciandosi dietro espressioni confuse e un accampamento in preda al caos.
In alto, dietro alla cortina di nubi che copre la Terza Luna vedo ammiccare debolmente i fari di un’aeronave in movimento; transita tranquilla sopra alle nostre teste come un grosso cetaceo, indisturbata nella vastità del cielo.
Avere a che fare con tante leggende viventi nel giro di così poco tempo sarebbe troppo per chiunque: prima un’invasione di nobili, poi gli Arrow cantati dalle leggende. Ed è passato… quanto? Un mese? Un mese e mezzo? Riguardo a questi ultimi mi dico che avrei dovuto prestare maggiore attenzione, farmi trovare pronto. Credevo che le minacce maggiori sarebbero arrivate dal Fondo, non dal cielo. Non che sia una giustificazione. Non esistono giustificazioni, in questo caso.
Devo inseguirli. Faccio per comunicare le mie intenzioni, ma vengo raggiunto da un poderoso colpo di lancia sul retro del ginocchio che mi costringe a piegarmi. Una seconda botta, diretta al braccio ferito, mi riporta finalmente a sbattere la faccia con un nuovo problema… che guarda caso ha le sembianze del barone Leroux.
Il suo sorriso smagliante dice più di quanto non possa esprimere a parole: ci leggo tutto il disprezzo che una persona del mio rango gli suscita, una sorta di selvaggia rivalsa nel vedermi provato e sanguinante. Ora comprendo il senso del discorso di Scilla sulla necessità di tenere giù la testa… anche se ho idea che sia troppo tardi.
«Bene, bene» esordisce il barone, lisciandosi i baffi con estrema, rivoltante soddisfazione. «Credo sia nescesario immobilizzare anche il nostro monsieur Ignìs, almeno fino a che non avremo chiarito la sua posizione in merito ai fatti di questa notte.»
Senza osar credere alle mie orecchie, tento di far ragionare quella schiera di damerini che mi si affolla attorno. «Dobbiamo inseguirli o li perderemo.»
«Quanta fretta! Ma noi non abbiamo bisogno di lanciarci all’inseguimento, per ora.» Mentre parla, rendendo noto al mondo intero il piacere che trae nell’ascoltare la propria voce, alle sue spalle l’uomo con l’armatura rossa da rapace viene condotto via dalle guardie (prima di sparire ha il tempo per mostrarmi furtivamente il dito medio alzato). «Abbiamo per le mani uno dei loro. E forse persino una talpa
Quest’ultima frase la dice fissandomi intensamente, ma impiego comunque qualche secondo per capire dove voglia andare a parare. È talmente assurdo che mi sembra di essere precipitato dentro una commedia teatrale. Letteralmente: come se fossi caduto sfondando il tetto di un teatro e mi fossi trovato a prendere parte alla rappresentazione. Non penso importi a qualcuno, però. È Leroux a pagare gli stipendi, qui.
«Tutte stronzate» replico. «Mi ci vedi ad andare in giro conciato in quel modo?»
«Questo sarà appurato in fase di interrogatorio. Via, monsieur, siete ferito. Prendetelo come un riposo forzato. Una volta che avremmo accertato la vostra estraneità ai fatti sarete nuovamente libero. È solo una misura cautelare.»
«Già, una misura cautelare… quella che tua madre avrebbe dovuto prendere quando ha aperto le cosce.»
Ho appena il tempo di godermi l’espressione che passa sul viso del nobile, che dietro di me qualcuno mi colpisce alla tempia con l’elsa della spada, scatenandomi una danza di piccole luci dietro alle palpebre. Mi giro bruscamente, facendo partire un gancio col braccio sano. Il colpevole, colto di sorpresa, viene letteralmente sollevato e scagliato a terra un metro più in là. Nel giro di poco mi sono tutti addosso, mi schiacciano a terra per immobilizzarmi, punzecchiandomi con la punta delle spade. Ne mordo un paio prima che riescano a costringermi a terra, e quel che ottengo è una spessa museruola di cuoio, senza tener conto dei braccialetti che mi regalano: puro acciaio nero di Galohr, talmente lucido da potercisi specchiare.  
«Vi consiglio di non aggravare la vostra posizione» gongola Leroux. «È già abbastanza compromessa senza bisogno che vi comportiate come un cane rabbioso.» Si rivolge ai suoi uomini con un cenno imperioso. «Portatelo via. Per questa notte istituiremo dei turni di guardia.»
Mentre mi tirano per la catena, mi capita di alzare lo sguardo verso l’affollamento di balconi che si accavallano sulle facciate delle baracche. Tra i tanti volti che hanno assistito in silenzio all’attacco riconosco quello di un marmocchio in particolare; solo poche ore prima abbiamo smantellato la parete del suo soggiorno per far passare la carrozza. Avrà appena tre o quattro anni, ma ha già lo sguardo serio e vigile di chi è abituato a destreggiarsi  qua sotto.
Non verrà nessun aiuto da parte loro, hanno tutte le ragioni per negarmelo.
Rivolgo un cenno alla famigliola, prima di proseguire per la mia strada.
   
 
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