III.
Annegare
Quando quella mattina finì il
turno, Travis passò a prendere la colazione e,
anziché al solito cinema porno,
decise di recarsi direttamente a casa. Viveva in uno squallido
monolocale non
troppo distante dalla rimessa dei tassì, così
evitava di farsi un tragitto in
metropolitana per andare al lavoro.
Entrando in casa, storse il
naso per l’odore nauseabondo delle decine di mazzi di fiori
che tappezzavano
gli angoli del minuscolo appartamento. Li aveva comprati per Betsy, la
donna
che aveva offeso la prima volta che erano usciti insieme. Le mandava un
mazzo
al giorno, nella speranza che lei capisse quanto fosse desolato, ma
finivano
sempre per tornare indietro. Avrebbe dovuto decidersi a bruciarli,
prima o poi,
pensò. Lanciò sul tavolo il sacchetto con dentro
la colazione e si tolse il
giubbotto, che cominciava a farsi effettivamente pesante per quel
periodo
dell’anno, appendendolo a una gruccia accanto alla porta.
Travis prese posto nell’unica
sedia al tavolo, si sbottonò la camicia e aprì
l’involucro marrone che
conteneva una scatola con la colazione, posate di plastica e una
lattina di
Coca-Cola. Stappò la bibita e bevve un paio di lunghe
sorsate.
Mentre mangiava, rifletteva
sugli eventi accaduti quella notte. Pensò a Michael e la
prima cosa che si
domandò Travis fu se, per caso, non accettando quella
proposta dell’italiano,
avesse dato l’impressione di non voler avere più a
che fare con lui. Che lo
avesse completamente liquidato. Non era così. In cuor suo,
Travis sperava
ancora di rivederlo, di chiacchierare con lui davanti a una semplice
tazza di
caffè. In amicizia. Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di
un amico e, ne era
certo, da come aveva parlato quella notte nel suo taxi, anche Michael
ne aveva
bisogno.
Mentre masticava una fetta di
salsiccia, Travis lanciò un’occhiata al suo
giubbotto dove ancora conservava il
fazzoletto con il numero di telefono dell’italiano,
domandandosi se avrebbe
fatto bene a chiamarlo. Certo lui sembrava sperarci, ma era anche vero
che
glielo aveva lasciato prima di scendere dall’autovettura e,
di conseguenza,
prima di invitarlo a salire in una camera d’albergo insieme a
lui a fare chissà
cosa.
Il ricordo di quell’offerta
fece avvampare Travis che avvertì all’istante il
bisogno di bere. Finì la
bibita in un paio di sorsi ma si portò comunque la lattina
ancora fresca contro
la guancia accaldata, sospirando di sollievo. Non era quella proposta
che lo
faceva dannare, ma la consapevolezza che avrebbe voluto accettare. Che,
con
ogni probabilità, lo avrebbe fatto davvero, se non avesse
avuto davanti a sé
ancora mezzo turno di lavoro. Ammetterlo gli costava una fatica
disumana,
probabilmente perché si trattava di una verità, o
mezza tale, che doveva
fronteggiare lui nei confronti di sé stesso.
La lattina rossa si
accartocciò nel suo pugno saldo, prima di venire scagliata
dalla parte opposta
della stanza. Dannazione, ma che gli prendeva? Lui non era
così. Non era
attratto da Michael, di questo era certo, non poteva esserlo, era
assurdo. Si
sentiva affascinato da lui? Assolutamente sì, ma non era una
questione di
attrazione fisica: era lui ad essere affascinante, nel suo portamento,
nel modo
di vestire, nel suo parlare colto e istruito che Travis sapeva di non
essere in
grado di uguagliare a causa della sua misera formazione scolastica. Si
rese
conto solo in quel momento di nutrire uno sciocco sentimento di gelosia
nei
confronti di quell’uomo che, probabilmente, era fresco di una
laurea al college,
magari qualche università prestigiosa, e adesso si
apprestava a diventare un
potente uomo di affari come era probabilmente già stato suo
padre prima di lui.
Fu un lampo d’invidia fugace e travolgente che Travis
represse subito in
silenzio.
Era così. Si trattava solo di
una forma di ammirazione, nient’altro. Doveva esserlo.
Una volta finito di mangiare,
Travis sospirò e si alzò per gettare via i
rifiuti. Attraversò poi la stanza
intenzionato a buttarsi sul letto, ma si fermò di fronte
allo specchio a figura
intera appeso alla parete color tuorlo d’uovo. Studiando il
suo riflesso nello
specchio, si tolse la camicia e rimase a fissare il proprio petto nudo.
Si
passò una mano sull’addome, risalendo piano sui
pettorali. Non aveva mai notato
di essere così magro, così smunto e
insignificante. Era sempre stato uno dei
soldati più mingherlini del suo plotone, circondato da
uomini grossi e dal
fisico palestrato, un fisico che Travis sapeva non sarebbe mai stato in
grado
di ottenere a causa della sua fisionomia e del suo metabolismo troppo
veloce.
Di tutta quella massa non ne avrebbe mai avuta. Ma
l’addestramento militare lo
aveva portato ad avere almeno una buona serie di muscoli, duri e tesi
sotto la
pelle. Adesso gli sembrava di avere solo dei tessuti di carne flaccida
attaccati alle ossa. Si promise di tornare a fare del movimento fisico
il prima
possibile e di migliorare la propria alimentazione.
Travis si tolse gli
stivaletti marroni che indossava, slacciò la fibbia della
cintura e si sfilò i
jeans, rimanendo solo in biancheria intima, in piedi davanti allo
specchio. Si
guardò le gambe che gli parevano più lunghe del
normale, ossute, con le ginocchia
nodose. Unì i piedi e vide che nel punto in cui le cosce
avrebbero dovuto quasi
toccarsi, ci sarebbe passata tranquillamente quasi tutta la sua mano.
Per un
attimo immaginò che fosse una delle mani candide e ben
curate di Betsy a
insinuarsi in mezzo alle proprie gambe, eccitandolo al tocco della
propria
pelle nuda. Travis scosse la testa, scacciando quel pensiero e si
sedette sulla
sponda del letto, prendendosi la testa tra le mani: Betsy non era
così. Non si
era mai nemmeno permesso di pensare che fosse quel genere di donna, non
era
questo che aveva cercato di farle intendere invitandola a vedere quel
tipo di
film in quel tipo di cinema. Voleva solo passare del tempo con lei.
Conoscerla
e farsi conoscere, non gli sarebbe mai nemmeno passato per
l’anticamera del
cervello di mancarle di rispetto, era solo uno stupido film,
dannazione.
Sospirò e decise di sdraiarsi
sotto le lenzuola e cercare di prendere un po’ di sonno. In
posizione fetale,
Travis si tirò la coperta
fin sopra la
testa, facendosi buio contro i raggi del sole mattutino che filtravano
attraverso le imposte. Chiuse gli occhi e, per qualche bizzarro motivo,
non fu
il volto angelico e incorniciato da ciocche dorate di Betsy a balenare
nella
propria mente, ma quello scuro e levigato di Michael, con i capelli
corvini
tirati all’indietro e gli occhi bassi persi in
chissà quale pensiero.
Il suo sonno fu, come sempre,
alternato a fasi di veglia di almeno mezz’ora ciascuna e,
quando si fecero le
quattro del pomeriggio, Travis decise che aveva poltrito a sufficienza.
Si fece
una doccia di tutta fretta, si rivestì cambiando la camicia
e mangiò una mela
al volo. Mentre masticava, ponderò un po’ su
quello che avrebbe potuto fare per
ammazzare l’ora e mezza di vuoto che aveva prima di andare a
prendere il taxi e
cominciare una nuova e lunga Odissea tra i gironi infernali della
Grande Mela. I
suoi occhi restarono fissi sul proprio giaccone fin troppo a lungo e,
alla
fine, si decise a estrarre dalla tasca interna il fazzoletto con il
numero di
Michael scritto sopra. Non aveva il telefono
nell’appartamento, quindi afferrò
le chiavi, uscì dalla porta e scese le scale fino
all’ingresso del proprio
condominio, dove compose il numero al telefono pubblico attaccato al
muro.
Si appoggiò contro la parete
ruvida e rimase in attesa con la cornetta premuta tra
l’orecchio e l’incavo
della spalla. Non fece in tempo a domandarsi cosa mai avrebbe potuto
dire che
qualcuno all’altro capo del telefono rispose dopo un paio di
squilli: «Pronto?»
Travis s’irrigidì
nell’udire
la voce nel ricevitore. Non era Michael. Apparteneva decisamente a un
altro
uomo, uno sconosciuto dalla leggera inflessione irlandese. Per un
momento, il
ragazzo temette di aver sbagliato numero, o peggio, che
l’italiano gli avesse
giocato uno scherzo, lo avesse preso in giro.
«Pronto?» ripeté
l’altro uomo
nella cornetta e Travis si costrinse a rispondere, più per
cortesia che per
altro perché, se fosse stato per lui, avrebbe già
buttato giù la chiamata. «Ehm
–cerco Michael? Michael Corleone?»
«Mi dispiace, è andato via
un’oretta
fa. Non tornerà in ufficio prima di domani. Ma se vuole
lasciare un messaggio
posso tranquillamente farglielo arrivare entro un paio
d’ore».
Travis si morse il labbro
inferiore. Dannazione, lo aveva mancato di poco.
«Be’, non è
particolarmente
urgente, in realtà» bofonchiò,
domandandosi inconsciamente chi fosse quel tipo
che sembrava frequentare l’italiano anche oltre gli orari
lavorativi. «Gli può
solo dire che ho telefonato? Purtroppo non ho un telefono privato sul
quale
farmi richiamare»
«Glielo dirò
senz’altro» Il
tono dell’altro uomo era quieto ed estremamente educato.
Travis pensò che
avrebbe potuto leggergli la propria sentenza di morte e lui lo avrebbe
trovato
comunque rilassante. «Il suo nome?»
«Travis. Travis Bickle»
«Molto bene. Se non
c’è altro,
le auguro una buona serata, signor Bickle»
«Sì. Arrivederci»
Travis riagganciò
involontariamente la cornetta con una tale forza che temette che il
telefono
potesse staccarsi dal muro. Alla fine, decise di uscire di casa e farsi
una
passeggiata nei dintorni prima di iniziare il turno.
Quando quella notte entrò nel
diner, non gli ci volle molto per rendersi conto che Michael non era
ancora
arrivato. Travis si unì al suo solito trio di colleghi, che
quella sera avevano
preso posto al tavolo lungo vicino alla porta, di fronte alla vetrata.
Scivolò sulla sedia accanto
al Mago e di fronte a Charlie T., che lo salutò con il suo
solito “Ehi, cowboy”
al quale Travis rispose con un cenno della testa. Dollaro sventolava un
foglio
sotto il naso del Mago sostenendo che una famosa attrice fosse salita
sul suo
taxi e gli avesse firmato quel grosso pezzo di carta.
L’altro, tuttavia, lo
prendeva in giro ribattendo che sicuramente fosse un falso, che una
star di
quel calibro non si sarebbe mai sognata di montare sul retro di un taxi
a
quell’ora della notte in mezzo alle puttane e ai drogati e
che Dollaro fosse
così disperato per i suoi debiti che avrebbe potuto far
passare qualsiasi lembo
di carta igienica sporca come il pezzo che aveva pulito il culo di Liza
Minelli
e intascarci della grana. Subito Dollaro sembrò voler
controbattere, ma ammise
poi che come idea non sarebbe stata poi così male.
Il Mago scosse la testa,
lasciandolo al suo destino, e si volse verso Travis, a cui diede
un’amichevole
pacca sulla spalla. «Non hai ancora preso il tuo
caffè» osservò.
Travis scosse la testa: «Non
ne ho molta voglia, adesso»
«Diamine, ragazzo, che ti
prende ultimamente? Sembri davvero strano. Insomma, più
strano del solito».
Travis soffocò l’impulso di
liquidare il collega con una smorfia: quindi era questa la
considerazione che
gli altri avevano di lui? Che fosse strano, bizzarro?
Vide Dollaro distogliere lo
sguardo dal presunto autografo, ora in mano a Charlie T. per uno studio
più
approfondito, e sollevarlo su di lui. «Senti,
Travis» mormorò e nei suoi occhi
baluginò per un attimo un riflesso inquietante, come se
fossero fatti di vetro
«Anche a te capiterà gente pericolosa, non
é così?»
«Eh»
«Ce l’hai un pezzo di
ferro?»
Travis scosse la testa:
l’idea di impugnare nuovamente una pistola dopo tre anni che
si era abituato a
non imbracciare armi, non gli andava così tanto a genio.
«Ne vuoi una?»
continuò
Dollaro «Conosco un rappresentante che ti farebbe un buon
prezzo. Sai com’è,
bisogna stare accorti di questi tempi, soprattutto con il lavoro che
facciamo»
«No, ti ringrazio»
tagliò
corto Travis e quando udì spalancarsi la porta del
ristorante, voltò la testa
così di scatto che temette che il proprio collo potesse
spezzarsi. Poté giurare
di sentire il proprio stomaco attorcigliarsi quando vide la figura
snella di
Michael entrare nel locale con quella sua consueta aria solenne. Il
completo
nero che indossava in contrasto con il neon dell’ambiente
sembrava farlo
risplendere di luce propria, come un Dio tra i mortali. Travis avrebbe
volentieri strisciato ai suoi piedi e baciato quelle scarpe di vernice
dall’aria estremamente costosa. Ma si costrinse a mantenere
una certa dignità e
ricambiare il sorriso cortese che l’italiano rivolgeva a lui
e agli altri tre
tassisti.
«Buonasera» salutò
Michael e,
attorno a sé, udì i suoi colleghi biascicare un
«’sera» di rituale.
Quando i suoi occhi
indugiarono nuovamente su Travis, questi si alzò
automaticamente in piedi e un
po’ si gongolò di essere in vantaggio di qualche
centimetro rispetto a lui. Gli
piaceva come adesso era Michael a osservarlo dal basso verso
l’altro, gli
piaceva come il sorriso dalle sue labbra non si fosse dissolto. Gli
piaceva
come fossero ancora più vicini l’uno
all’altro rispetto alla notte precedente.
Gli piaceva meno rendersi conto di sentirsi totalmente impotente e
incapace di
rispondere delle proprie azioni quando si ritrovava ad aver a che fare
con
quell’uomo. Non gli piaceva decisamente la consapevolezza che
Michael avrebbe
potuto tranquillamente fargli un’altra proposta come quella
della scorsa serata
e che sarebbe stata un’offerta che non avrebbe potuto
rifiutare. Che non ci
sarebbe riuscito.
Quando Michael parlò, la sua
voce roca era pacata ma graffiante: «Credo di doverti un
caffè, se non sbaglio».
Travis annuì, avvertendo una
serie di brividi scorrergli per tutta la spina dorsale e, quando
Michael si
voltò per fargli strada verso un tavolo più
avanti, lo seguì sentendosi come un
profeta scelto tra milioni di anime mortali. Udì i mormori
indiscreti del
magico trio alle proprie spalle e si decise a ignorarli.
I due giovani presero posto
su due sgabelli al bancone, in modo da ordinare più
sbrigativamente. Michael
comandò due caffè e due fette di torta alla
melassa. «Devi assolutamente
provarla» si giustificò e Travis annuì
sorridente, fidandosi del suo giudizio.
Una volta che furono serviti,
vide Michael lanciare uno sguardo alla sua destra, oltre la spalla di
Travis,
per poi abbassare nuovamente gli occhi e afferrare la piccola brocca di
panna
liquida in mezzo alle tazze.
«I tuoi amichetti non
sembrano troppo felici di vederci insieme»
osservò, vuotandosi la panna. Quando
la offrì a Travis, vide che sulle labbra gli si era formato
un mezzo ghigno
divertito. Il tassista ricambiò l’espressione e lo
lasciò vuotare la panna
anche nella sua bevanda.
«Te l’ho detto, non sono miei
amici» rispose, prima di attaccare la torta con la forchetta
«mi piace parlare
con te».
Pensò subito che forse, con
quella frase, aveva nuovamente azzardato troppo, perciò si
affrettò a riempirsi
la bocca con il dolce: Michael aveva ragione, il sapore era
assolutamente
squisito.
Accanto a lui, l’italiano
aveva preso a girare il cucchiaino nel liquido marrone scuro con la sua
solita
aria pensierosa, forse anche leggermente sconsolata. «Mi fa
piacere» sospirò
«Dopo la pessima figura di ieri sera, credevo che non avresti
mai più voluto
avere a che fare con me».
Dentro di sé, Travis si
maledisse per essere scappato in quel modo come un vigliacco.
«Ma no» mormorò, la
voce
leggermente tremolante. Si schiarì la gola e prese a
punzecchiare lo strato più
esterno della torta con la forchetta. «Non fa niente,
davvero, è solo –io non
sono… insomma…»
Non era cosa? Cosa cercava di
negare così disperatamente da non riuscirci nemmeno? Non era un finocchio? Certo che non lo
era, lo sapeva
perfettamente. Gli piacevano le donne, per quanto lui non piacesse mai
a loro;
gli piaceva Betsy, si era innamorato di lei, lo sapeva, se lo sentiva. Non era attratto da Michael? No, era affascinato da Michael, una cosa
diversa. Travis non poteva essere attratto da lui perché,
come appena appurato,
non era un finocchio. Fine. Era pura e semplice questione di logica.
«Credevo fossi sposato»
osservò Travis ed era consapevole di quanto suonasse
ridicola come scusa perché
sapeva che non voleva dire niente. Raramente le persone si prendevano
l’impegno
di mantenere la promessa del matrimonio, perché giurare
davanti a Dio era più semplice
che scendere concretamente nei fatti. Quante volte aveva dato passaggi
a uomini
fedifraghi con la moglie a casa e la puttana preferita sottobraccio,
quante
volte aveva udito, sul sedile posteriore del proprio tassì,
il lamento di
mariti traditi che pianificavano aggressioni alle proprie donne, maschi
che si
sposavano ma poi preferivano uscire per farsi fottere da altri maschi,
quante
volte aveva sentito parlare di matrimoni andati a male per colpa di
questo o
quell’altro motivo.
«Lo ero, infatti»
confermò
Michael, tagliando un pezzo della propria torta «ma non lo
sono più, purtroppo.
Mia moglie é morta in Sicilia».
Travis si sentì un verme e
desiderò scomparire dalla faccia della Terra per aver
provato a pensare anche
solo per un momento che Michael si fosse macchiato di adulterio, per
averlo
paragonato ai fenomeni da baraccone che incontrava ogni notte.
«Mi dispiace,
davvero» farfugliò, tenendo gli occhi sul proprio
piatto, terribilmente
imbarazzato «non intendevo –mi dispiace»
«Ehi, va tutto bene»
Travis sentì la mano di
Michael posarsi sul suo ginocchio ed era un gesto così
confortante che lo
lasciò fare. Il suo pollice esercitava una leggerissima
pressione. Il giovane
si domandò se tutti gli italiani cercassero così
tanto il contatto fisico tra
di loro o se fosse un comportamento che Michael aveva deciso di
riservare solo
a lui. Il pensiero lo imbarazzava e lo lusingava al tempo stesso.
Michael bevve un altro sorso
di caffè, ma non mosse la mano da lì.
«Non crucciarti, non potevi saperlo se
non te lo avevo detto».
Travis decise di cambiare
discorso e bevve finalmente anche lui il proprio caffè
fumante. «Ti ho telefonato,
oggi» disse e Michael annuì:
«Già, Tom me lo ha detto. Di solito passo in
ufficio nel primo pomeriggio, mi dispiace non essere stato reperibile,
oggi.
Speravo di incontrarti qui, stasera».
Il piccolo Travis nelle sue
interiora si gongolava di piacere: quindi ci sperava. Sperava di
vederlo, di
poter parlare con lui. Gradiva sul serio la sua compagnia, non lo
evitava a
prescindere, non lo considerava strano come facevano i suoi colleghi,
non lo
prendeva in giro.
Il tassista ingoiò un’ultima
fetta di torta e prese un altro lungo, sorso di caffè,
riflettendo su quello
che stava per fare. Era un’idea che gli frullava in testa
già da quella mattina
e che, a dirla tutta, pensava di mettere in atto già quando
aveva telefonato,
ma era stato impossibilitato a causa di forze maggiori. Si domandava se
avrebbe
fatto bene, se per caso Michael avrebbe frainteso. Alla fine, si decise
e tirò
un lungo sospiro prima di chiedere: «Vuoi venire a vedere un
film con me?»
Sapeva che Vedere un film
era richiesta per un eventuale
appuntamento, almeno con le donne, almeno era quello che aveva
intenzione di
lasciar trasparire quando aveva invitato Betsy al cinema. Ma a lui non
stava
proponendo un appuntamento, solo una serata tra amici, non diverso da
una
bevuta al bar. O, perlomeno, era questo che intendeva Travis: sarebbe
stato lo
stesso per Michael? Qualunque fosse la risposta, sperò
comunque che accettasse.
Sentirlo parlare di cinema con una certa passione lo aveva assai
incuriosito.
Michael ridacchiò e ritrasse
la propria mano dal ginocchio di Travis. «I film che
piacciono a te o quelli
che piacciono a me?» domandò.
Anche Travis sorrise e
abbassò lo sguardo, a metà tra il divertito e
l’imbarazzato. «I tuoi,
decisamente» rispose e prese un’altra sorsata della
sua bevanda calda. «Si vede
che te ne intendi decisamente più di me, quindi ti lascio
decidere».
«Stasera immagino che tu stia
lavorando, vero?»
Il tassista annuì,
risollevando gli occhi sull’italiano: «Purtroppo
sì. Ma domani e dopodomani
sono i miei giorni liberi».
Suonava come un appuntamento.
Non lo era.
Michael si grattò il mento,
pensieroso. «Passa domani in ufficio alle sette»
disse «è l’orario di chiusura.
Poi andiamo insieme. Sai dove si trova?»
Travis annuì: ci era passato
davanti un paio di volte con il taxi e ci si arrivava facilmente anche
con la metropolitana.
Lanciò un’occhiata all’orologio da polso
e storse il naso quando vide che
mancavano dieci minuti alla fine della sua pausa. Michael
notò il suo
disappunto: «Si torna a sgobbare?»
Travis si passò una mano sul
volto e fece in modo di finire il suo caffè in un paio di
sorsi. «Odio questo
lavoro» sospirò e si rese conto che era la prima
volta che ne parlava
apertamente con qualcuno. «La gente di notte si trasforma in
animali primitivi.
Le persone in questa cità… sono pazze! Anzi no,
sono proprio cattive. L’altra
notte mi è capitato uno che mi ha indicato la figura di sua
moglie attraverso
la finestra di un palazzo. Non la finiva più di farneticare
su come da lì a
qualche minuto sarebbe salito e l’avrebbe uccisa. Continuava
a dire che dovrei
vedere come una 44 Magnum riduce la faccia e la vagina di una
donna».
«Cristo Santo, Travis»
«E sai qual è la cosa
peggiore? Che non potevo fare niente. Cosa avrei potuto fare Mike, uh?
Andare
alla polizia? Quelli non fanno mai niente, aspettano che accada il
fattaccio
per alzare il culo dal divano, e comunque non avrei fatto in tempo.
Urlargli
addosso che era pazzo, tentare di fermarlo? Probabilmente ce
l’aveva davvero
una pistola di quel calibro sotto la giacca, mentre io ero
completamente
disarmato».
Frenò l’impulso di guardare
in direzione di Dollaro e si concentrò invece sulla domanda
che gli porse Mike:
«Si sa che cos’è successo alla donna? I
giornali hanno riportato qualcosa?»
Travis si strinse nelle
spalle. «Non leggo molto i giornali» ammise
«guardo il notiziario ogni tanto,
ma poi tutte le notizie sembrano sempre così uguali tra
loro. Ma mi sono
sentito così… impotente».
Vide Michael puntare lo
sguardo dritto davanti a sé, come perso nel vuoto.
«So cosa vuoi dire» sospirò
e si mosse sulla sedia, cercando di cambiare discorso.
«Senti, mi
accompagneresti in un posto? Nessuna Magnum addosso,
garantito».
Il giovane tassista annuì e
scese dal proprio sgabello. «Vado un attimo in
bagno».
Mentre si svuotava la vescica,
venne raggiunto dal Mago all’orinatoio di fianco al suo:
«Ehi, ma che stai
combinando?»
Travis voltò il capo in
direzione dell’omone e sollevò un sopracciglio:
«Sto pisciando?»
«Non fare il finto tonto, hai
capito perfettamente cosa intendo»
«E invece no. Ti prego, se
hai un problema dimmelo, non parlare per indovinelli»
Il Mago si appoggiò
all’orinatoio di ceramica bianca invasa da scritte oscene in
pennarello
indelebile e puntò su di lui uno sguardo accusatore che
Travis sostenne di
gusto.
«Te la fai con quel damerino,
adesso?» chiese risoluto «Non senti cosa dicono
Dollaro e Charlie, di lui?»
Travis distolse lo sguardo
dal collega e scosse la testa con aria esasperata. «Ma
perché dovrei dare retta
a quello che dicono loro?» ribatté, mantenendo lo
sguardo fisso sul muro di
mattoni davanti a sé «É salito ieri sul
mio taxi. Abbiamo chiacchierato e l’ho
trovato piacevole, tutto qui». Ovviamente, omise la parte in
cui Michael lo
aveva invitato a prendere una stanza insieme. Ma anche così
il Mago non
sembrava convinto: «Per questo ti sei fiondato fuori dalla
porta a tutta
velocità, ieri notte? Quando ti mancava ancora un quarto
d’ora di pausa?»
«Oddio, ma che ti importa?»
Questa volta Travis aveva sbottato. Si tirò su la zip e
camminò fino ai
lavandini. L’altro uomo gli trotterellò dietro
come una mamma chioccia.
«Senti, lo so che non sono
affari miei di come gestisci i tuoi orari o in generale di quello che
fai nel
tuo tempo libero» tentò di giustificarsi il Mago.
«Ecco, esatto: non ti deve
interessare»
«Tantomeno mi importa di chi
ti porti a letto»
«Non mi porto a letto proprio
nessuno»
Travis era infastidito e, a
dirla tutta, parecchio sorpreso dall’insolenza che
quell’uomo stava mostrando
nei suoi confronti. Ne era deluso: aveva sempre stimato il Mago, lo
aveva
sempre visto come un punto di riferimento per via della molta
più esperienza
dall’alto di un uomo di una certa età; gli aveva
infuso una certa sicurezza
quando aveva iniziato il lavoro, aveva fatto in modo che non si
sentisse
spaesato perché nuovo. Evidentemente, aveva fatto bene a non
annoverarlo nella
sua schiera di amicizie più strette. Ma il rispetto
c’era sempre stato, da
parte di entrambi.
«Mi sto solo preoccupando per
te!»
Travis sentì le mani forti
dell’uomo sulle sue spalle che cercavano di convincerlo a
voltarsi. Assecondò il
gesto, trovandosi a fronteggiarlo: il Mago era un po’
più alto di lui,
decisamente più largo e muscoloso e i capelli brizzolati gli
crescevano solo ai
lati della testa, lasciando il capo pelato e sudaticcio. I piccoli
occhi
azzurri ravvicinati incontrarono quelli scuri del più
giovane e Travis vi lesse
una certa apprensione. Evidentemente, il Mago pensò di aver
esagerato perché mollò
la presa dalle spalle del ragazzo e cercò di sistemargli la
camicia a quadri.
«Perdonami, figliolo, non intendevo
essere brusco» si scusò il Mago «cerco
solo di dirti –stai, attento, okay? Se le
persone cominciassero a pensare…. Potresti farti
male».
Non era stupido, Travis,
capiva perfettamente quello che il collega stava cercando di dirgli:
che se
qualcuno di poco raccomandabile avesse mai potuto sospettare che fosse
attratto
dagli uomini, avrebbero cominciato a escluderlo, avrebbe potuto essere
licenziato o massacrato di botte. Sapeva che, in un certo senso, il
Mago era in
buona fede nei suoi confronti, ma aveva avvertito la sua preoccupazione
come un’invasione
del suo spazio personale, del suo privato e, soprattutto, della sua
virilità.
Erano tutte stronzate, tutte ansie inutili perché Travis non era così.
Strinse i pugni bagnati,
avvertendo le unghie penetrargli la carne, e se non avesse avuto quel
briciolo
di autocontrollo, probabilmente un cazzotto ben assestato
all’uomo più anziano
non glielo avrebbe risparmiato nessuno.
Invece si limitò a ringhiare
tra i denti «La mia pausa è finita»,
girò sui tacchi e attraversò il locale a
passi pesanti, avvertendo la rabbia ribollire dentro di lui. Quando
arrivò alla
porta, lanciò uno sguardo carico d’odio a Dollaro
e Charlie T, quest’ultimo che
se la rideva di gusto, e uscì fuori sul marciapiede. Vide
Michael più avanti,
appoggiato al suo taxi, che gettava una sigaretta ai propri piedi e si
raddrizzava. Gli sorrise gentilmente, ma quando Travis si
avvicinò, l’espressione
mutò in interrogatoria: «Che ti prende?»
Evidentemente la faccia del
giovane tradiva tutta la propria collera. Travis stava per rispondere,
ma
avvertiva la fronte farsi sempre più sudata e il cuore che
cominciava a battere
all’impazzata. Gli sembrò come se la gola gli si
chiudesse, mozzandogli il
respiro e, quando allungò una mano per aprire la portiera
del guidatore, ebbe
un forte giramento di testa, barcollò e cadde a terra.
Michael venne subito in
suo aiuto, spaventato, e gli sbottonò il colletto della
camicia, cercando di
fargli aria. «Travis! Travis, guardami!»
E lo guardava, Travis, ma gli
appariva sfocato attraverso il velo di lacrime che cominciava a
sgorgare dagli
angoli dei propri occhi. Teneva la bocca spalancata e ansimava come un
pesce
fuor d’acqua, cercando disperatamente di far entrare aria nei
polmoni.
Sentì le mani di Michael sul
suo volto e la sua voce gli suonava ovattata, come se si trovasse in
un’altra
stanza. «Chiudi la bocca. Non cercare di respirare,
trattieni!» diceva.
Trattenere il fiato? Stava
praticamente morendo!
«Fa’ come ti dico!»
Travis provò a eseguire.
Chiuse la bocca, stringendo le labbra, e gli parve di affogare. Nella
testa gli
sembrava di avere un martello che picchiava forte contro le proprie
meningi. Il
cuore sembrava volergli esplodere nel petto. Si concentrò
sul proprio battito
irregolare. Ta-tunf, ta-tunf,
ta-tunf, forte contro la propria
cassa toracica. Alla fine, non ce
la fece più, riaprì la bocca ed espirò
sia da lì che dal naso. Quando inspirò
nuovamente, sentì l’aria della notte entrare con
prepotenza dentro ai polmoni.
Stava sudando copiosamente, la testa gli girava ancora, le vertigini
gli davano
la nausea, ma il battito cardiaco stava lentamente cominciando a
riprendere un
ritmo normale.
Davanti a sé, a pochi
centimetri dal proprio viso, c’era Michael, accucciato sul
marciapiede e ancora
con le mani sulle sue guance sudate. Probabilmente gli aveva appena
salvato la
vita.
«Va meglio?» gli
domandò,
tirando via una mano dal suo volto per afferrargli il polso sinistro.
«Sembra
che tu ti stia calmando».
Travis annuì, spostato, e si
schiarì la gola che gli bruciava. Tentò di dire
qualcosa, ma ancora non ci
riusciva.
Michael lo aiutò a
sollevarsi. Si mise il braccio destro di Travis attorno alle spalle,
sostenendolo con il suo corpo, e gli circondò i fianchi con
il suo arto
sinistro. Il ragazzo si lasciò trascinare lungo il
marciapiede, sotto lo
sguardo incuriosito di alcune persone con i volti illuminati di rosso
dal neon
delle insegne. Michael fermò un taxi di servizio e lo
aiutò a montare sul
sedile posteriore insieme a lui.
«All’ospedale più
vicino, per
favore, è urgente» sentì Michael
ordinare al tassista e quello partì.
Faceva strano trovarsi quasi
del tutto sdraiato sul sedile posteriore di un taxi, ma non tanto
quanto essere
appoggiato contro il petto di Michael, con il suo braccio attorno.
Tuttavia, il
fatto che fosse strano non lo rendeva meno piacevole. Travis
sollevò una mano e
trovò quella dell’altro che ricadeva appena sopra
la sua spalla. Le loro dita
si intrecciarono. Si domandò se quel tassista fosse un
occhio di falco tanto
quanto lui, se avesse intravisto qualcosa, se per caso lo conoscesse.
«Ho avuto un attacco
d’asma?»
farfugliò Travis, la voce ancora tremante.
«No» rispose Michael
«hai
avuto un attacco di panico. É meglio portarti
all’ospedale per degli
accertamenti»
Il giovane non replicò. Per tutto il resto del viaggio, rimasero in silenzio, e le loro mani non lasciarono la presa l’uno dell’altro nemmeno per un attimo.
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Bonsoir! Voglio congratularmi con me stessa per essere stata in grado di aggiornare almeno questa storia nei tempi prestabiliti. Avrei voluto dare la precedenza a Bridge Over Troubled Water, dal momento che conta ancora un solo capitolo, ma questa settimana ho avuto impegni e problemi familiari che hanno rallentato la scrittura, perciò mi sono ritrovata a fare una scelta. Ma sono felice perché finalmente si sta formando un po' di zucchero tra questi due complessati -perché non pensate che Michael sia meno problematico di Travis. Be', forse solo un pochetto... Comunque, li shippo a bestia!
Piccola precisazione: in questo capitolo i protagonisti cominciano a darsi del "tu" rispetto al "lei" dei capitoli scorsi, ovviamente non sono stata troppo a pensarci su dal momento che la forma di cortesia nella loro lingua, l'inglese, non esiste.
Come al solito, vi invito a lasciare qualsiasi tipo di parere, recensioni critiche sono le benvenute tanto quanto quelle positive. Grazie anche a chi segue questa storia in silenzio, un bacione a tutti e al prossimo capitolo (: