Film > Il padrino
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Autore: LionConway    09/03/2019    2 recensioni
[ STORIA MOMENTANEAMENTE IN PAUSA ]
New York, 1976.
Travis é un tassista notturno mentalmente instabile, nonché un uomo profondamente solo, depresso e continuamente scosso dagli orrori vissuti in Vietnam. Vaga su e giù per tutta la città, assistendo impotente al degrado urbano che lo circonda, un carnevale di droga, corruzione e prostituzione, pianificando in qualche modo di intervenire contro il crimine e le ingiustizie. Fino a quando non si invaghisce di Michael, un giovane solitario quanto lui che una notte sale sul suo taxi. I due scoprono di avere molto più in comune di quanto sembri inizialmente. Se non fosse che Michael ha recentemente ereditato gli affari illegali di una potente famiglia mafiosa.
DAL PRIMO CAPITOLO: Passava in rassegna i volti di tutti i presenti nel bar a quell’ora della notte, con quella un po’ infantile speranza di vederlo apparire, e a volte i suoi desideri erano esauditi. C’era sempre un che di regale nelle sue entrate. Travis non si sarebbe sorpreso di vedere tutti gli altri clienti genuflettersi davanti a lui in un atto di reverenza, nella speranza che lui toccasse le loro teste in un gesto di benedizione.
Genere: Drammatico, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Michael Corleone
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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III. 

Annegare

 

Quando quella mattina finì il turno, Travis passò a prendere la colazione e, anziché al solito cinema porno, decise di recarsi direttamente a casa. Viveva in uno squallido monolocale non troppo distante dalla rimessa dei tassì, così evitava di farsi un tragitto in metropolitana per andare al lavoro.

Entrando in casa, storse il naso per l’odore nauseabondo delle decine di mazzi di fiori che tappezzavano gli angoli del minuscolo appartamento. Li aveva comprati per Betsy, la donna che aveva offeso la prima volta che erano usciti insieme. Le mandava un mazzo al giorno, nella speranza che lei capisse quanto fosse desolato, ma finivano sempre per tornare indietro. Avrebbe dovuto decidersi a bruciarli, prima o poi, pensò. Lanciò sul tavolo il sacchetto con dentro la colazione e si tolse il giubbotto, che cominciava a farsi effettivamente pesante per quel periodo dell’anno, appendendolo a una gruccia accanto alla porta.

Travis prese posto nell’unica sedia al tavolo, si sbottonò la camicia e aprì l’involucro marrone che conteneva una scatola con la colazione, posate di plastica e una lattina di Coca-Cola. Stappò la bibita e bevve un paio di lunghe sorsate.

Mentre mangiava, rifletteva sugli eventi accaduti quella notte. Pensò a Michael e la prima cosa che si domandò Travis fu se, per caso, non accettando quella proposta dell’italiano, avesse dato l’impressione di non voler avere più a che fare con lui. Che lo avesse completamente liquidato. Non era così. In cuor suo, Travis sperava ancora di rivederlo, di chiacchierare con lui davanti a una semplice tazza di caffè. In amicizia. Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di un amico e, ne era certo, da come aveva parlato quella notte nel suo taxi, anche Michael ne aveva bisogno.

Mentre masticava una fetta di salsiccia, Travis lanciò un’occhiata al suo giubbotto dove ancora conservava il fazzoletto con il numero di telefono dell’italiano, domandandosi se avrebbe fatto bene a chiamarlo. Certo lui sembrava sperarci, ma era anche vero che glielo aveva lasciato prima di scendere dall’autovettura e, di conseguenza, prima di invitarlo a salire in una camera d’albergo insieme a lui a fare chissà cosa.

Il ricordo di quell’offerta fece avvampare Travis che avvertì all’istante il bisogno di bere. Finì la bibita in un paio di sorsi ma si portò comunque la lattina ancora fresca contro la guancia accaldata, sospirando di sollievo. Non era quella proposta che lo faceva dannare, ma la consapevolezza che avrebbe voluto accettare. Che, con ogni probabilità, lo avrebbe fatto davvero, se non avesse avuto davanti a sé ancora mezzo turno di lavoro. Ammetterlo gli costava una fatica disumana, probabilmente perché si trattava di una verità, o mezza tale, che doveva fronteggiare lui nei confronti di sé stesso.

La lattina rossa si accartocciò nel suo pugno saldo, prima di venire scagliata dalla parte opposta della stanza. Dannazione, ma che gli prendeva? Lui non era così. Non era attratto da Michael, di questo era certo, non poteva esserlo, era assurdo. Si sentiva affascinato da lui? Assolutamente sì, ma non era una questione di attrazione fisica: era lui ad essere affascinante, nel suo portamento, nel modo di vestire, nel suo parlare colto e istruito che Travis sapeva di non essere in grado di uguagliare a causa della sua misera formazione scolastica. Si rese conto solo in quel momento di nutrire uno sciocco sentimento di gelosia nei confronti di quell’uomo che, probabilmente, era fresco di una laurea al college, magari qualche università prestigiosa, e adesso si apprestava a diventare un potente uomo di affari come era probabilmente già stato suo padre prima di lui. Fu un lampo d’invidia fugace e travolgente che Travis represse subito in silenzio.

Era così. Si trattava solo di una forma di ammirazione, nient’altro. Doveva esserlo.

Una volta finito di mangiare, Travis sospirò e si alzò per gettare via i rifiuti. Attraversò poi la stanza intenzionato a buttarsi sul letto, ma si fermò di fronte allo specchio a figura intera appeso alla parete color tuorlo d’uovo. Studiando il suo riflesso nello specchio, si tolse la camicia e rimase a fissare il proprio petto nudo. Si passò una mano sull’addome, risalendo piano sui pettorali. Non aveva mai notato di essere così magro, così smunto e insignificante. Era sempre stato uno dei soldati più mingherlini del suo plotone, circondato da uomini grossi e dal fisico palestrato, un fisico che Travis sapeva non sarebbe mai stato in grado di ottenere a causa della sua fisionomia e del suo metabolismo troppo veloce. Di tutta quella massa non ne avrebbe mai avuta. Ma l’addestramento militare lo aveva portato ad avere almeno una buona serie di muscoli, duri e tesi sotto la pelle. Adesso gli sembrava di avere solo dei tessuti di carne flaccida attaccati alle ossa. Si promise di tornare a fare del movimento fisico il prima possibile e di migliorare la propria alimentazione.

Travis si tolse gli stivaletti marroni che indossava, slacciò la fibbia della cintura e si sfilò i jeans, rimanendo solo in biancheria intima, in piedi davanti allo specchio. Si guardò le gambe che gli parevano più lunghe del normale, ossute, con le ginocchia nodose. Unì i piedi e vide che nel punto in cui le cosce avrebbero dovuto quasi toccarsi, ci sarebbe passata tranquillamente quasi tutta la sua mano. Per un attimo immaginò che fosse una delle mani candide e ben curate di Betsy a insinuarsi in mezzo alle proprie gambe, eccitandolo al tocco della propria pelle nuda. Travis scosse la testa, scacciando quel pensiero e si sedette sulla sponda del letto, prendendosi la testa tra le mani: Betsy non era così. Non si era mai nemmeno permesso di pensare che fosse quel genere di donna, non era questo che aveva cercato di farle intendere invitandola a vedere quel tipo di film in quel tipo di cinema. Voleva solo passare del tempo con lei. Conoscerla e farsi conoscere, non gli sarebbe mai nemmeno passato per l’anticamera del cervello di mancarle di rispetto, era solo uno stupido film, dannazione.

Sospirò e decise di sdraiarsi sotto le lenzuola e cercare di prendere un po’ di sonno. In posizione fetale, Travis si tirò la  coperta fin sopra la testa, facendosi buio contro i raggi del sole mattutino che filtravano attraverso le imposte. Chiuse gli occhi e, per qualche bizzarro motivo, non fu il volto angelico e incorniciato da ciocche dorate di Betsy a balenare nella propria mente, ma quello scuro e levigato di Michael, con i capelli corvini tirati all’indietro e gli occhi bassi persi in chissà quale pensiero.

Il suo sonno fu, come sempre, alternato a fasi di veglia di almeno mezz’ora ciascuna e, quando si fecero le quattro del pomeriggio, Travis decise che aveva poltrito a sufficienza. Si fece una doccia di tutta fretta, si rivestì cambiando la camicia e mangiò una mela al volo. Mentre masticava, ponderò un po’ su quello che avrebbe potuto fare per ammazzare l’ora e mezza di vuoto che aveva prima di andare a prendere il taxi e cominciare una nuova e lunga Odissea tra i gironi infernali della Grande Mela. I suoi occhi restarono fissi sul proprio giaccone fin troppo a lungo e, alla fine, si decise a estrarre dalla tasca interna il fazzoletto con il numero di Michael scritto sopra. Non aveva il telefono nell’appartamento, quindi afferrò le chiavi, uscì dalla porta e scese le scale fino all’ingresso del proprio condominio, dove compose il numero al telefono pubblico attaccato al muro.

Si appoggiò contro la parete ruvida e rimase in attesa con la cornetta premuta tra l’orecchio e l’incavo della spalla. Non fece in tempo a domandarsi cosa mai avrebbe potuto dire che qualcuno all’altro capo del telefono rispose dopo un paio di squilli: «Pronto?»

Travis s’irrigidì nell’udire la voce nel ricevitore. Non era Michael. Apparteneva decisamente a un altro uomo, uno sconosciuto dalla leggera inflessione irlandese. Per un momento, il ragazzo temette di aver sbagliato numero, o peggio, che l’italiano gli avesse giocato uno scherzo, lo avesse preso in giro.

«Pronto?» ripeté l’altro uomo nella cornetta e Travis si costrinse a rispondere, più per cortesia che per altro perché, se fosse stato per lui, avrebbe già buttato giù la chiamata. «Ehm –cerco Michael? Michael Corleone?»

«Mi dispiace, è andato via un’oretta fa. Non tornerà in ufficio prima di domani. Ma se vuole lasciare un messaggio posso tranquillamente farglielo arrivare entro un paio d’ore».

Travis si morse il labbro inferiore. Dannazione, lo aveva mancato di poco.

«Be’, non è particolarmente urgente, in realtà» bofonchiò, domandandosi inconsciamente chi fosse quel tipo che sembrava frequentare l’italiano anche oltre gli orari lavorativi. «Gli può solo dire che ho telefonato? Purtroppo non ho un telefono privato sul quale farmi richiamare»

«Glielo dirò senz’altro» Il tono dell’altro uomo era quieto ed estremamente educato. Travis pensò che avrebbe potuto leggergli la propria sentenza di morte e lui lo avrebbe trovato comunque rilassante. «Il suo nome?»

«Travis. Travis Bickle»

«Molto bene. Se non c’è altro, le auguro una buona serata, signor Bickle»

«Sì. Arrivederci»

Travis riagganciò involontariamente la cornetta con una tale forza che temette che il telefono potesse staccarsi dal muro. Alla fine, decise di uscire di casa e farsi una passeggiata nei dintorni prima di iniziare il turno.

Quando quella notte entrò nel diner, non gli ci volle molto per rendersi conto che Michael non era ancora arrivato. Travis si unì al suo solito trio di colleghi, che quella sera avevano preso posto al tavolo lungo vicino alla porta, di fronte alla vetrata.

Scivolò sulla sedia accanto al Mago e di fronte a Charlie T., che lo salutò con il suo solito “Ehi, cowboy” al quale Travis rispose con un cenno della testa. Dollaro sventolava un foglio sotto il naso del Mago sostenendo che una famosa attrice fosse salita sul suo taxi e gli avesse firmato quel grosso pezzo di carta. L’altro, tuttavia, lo prendeva in giro ribattendo che sicuramente fosse un falso, che una star di quel calibro non si sarebbe mai sognata di montare sul retro di un taxi a quell’ora della notte in mezzo alle puttane e ai drogati e che Dollaro fosse così disperato per i suoi debiti che avrebbe potuto far passare qualsiasi lembo di carta igienica sporca come il pezzo che aveva pulito il culo di Liza Minelli e intascarci della grana. Subito Dollaro sembrò voler controbattere, ma ammise poi che come idea non sarebbe stata poi così male.

Il Mago scosse la testa, lasciandolo al suo destino, e si volse verso Travis, a cui diede un’amichevole pacca sulla spalla. «Non hai ancora preso il tuo caffè» osservò.

Travis scosse la testa: «Non ne ho molta voglia, adesso»

«Diamine, ragazzo, che ti prende ultimamente? Sembri davvero strano. Insomma, più strano del solito».

Travis soffocò l’impulso di liquidare il collega con una smorfia: quindi era questa la considerazione che gli altri avevano di lui? Che fosse strano, bizzarro?

Vide Dollaro distogliere lo sguardo dal presunto autografo, ora in mano a Charlie T. per uno studio più approfondito, e sollevarlo su di lui. «Senti, Travis» mormorò e nei suoi occhi baluginò per un attimo un riflesso inquietante, come se fossero fatti di vetro «Anche a te capiterà gente pericolosa, non é così?»

«Eh»

«Ce l’hai un pezzo di ferro?»

Travis scosse la testa: l’idea di impugnare nuovamente una pistola dopo tre anni che si era abituato a non imbracciare armi, non gli andava così tanto a genio.

«Ne vuoi una?» continuò Dollaro «Conosco un rappresentante che ti farebbe un buon prezzo. Sai com’è, bisogna stare accorti di questi tempi, soprattutto con il lavoro che facciamo»

«No, ti ringrazio» tagliò corto Travis e quando udì spalancarsi la porta del ristorante, voltò la testa così di scatto che temette che il proprio collo potesse spezzarsi. Poté giurare di sentire il proprio stomaco attorcigliarsi quando vide la figura snella di Michael entrare nel locale con quella sua consueta aria solenne. Il completo nero che indossava in contrasto con il neon dell’ambiente sembrava farlo risplendere di luce propria, come un Dio tra i mortali. Travis avrebbe volentieri strisciato ai suoi piedi e baciato quelle scarpe di vernice dall’aria estremamente costosa. Ma si costrinse a mantenere una certa dignità e ricambiare il sorriso cortese che l’italiano rivolgeva a lui e agli altri tre tassisti.

«Buonasera» salutò Michael e, attorno a sé, udì i suoi colleghi biascicare un «’sera» di rituale.

Quando i suoi occhi indugiarono nuovamente su Travis, questi si alzò automaticamente in piedi e un po’ si gongolò di essere in vantaggio di qualche centimetro rispetto a lui. Gli piaceva come adesso era Michael a osservarlo dal basso verso l’altro, gli piaceva come il sorriso dalle sue labbra non si fosse dissolto. Gli piaceva come fossero ancora più vicini l’uno all’altro rispetto alla notte precedente. Gli piaceva meno rendersi conto di sentirsi totalmente impotente e incapace di rispondere delle proprie azioni quando si ritrovava ad aver a che fare con quell’uomo. Non gli piaceva decisamente la consapevolezza che Michael avrebbe potuto tranquillamente fargli un’altra proposta come quella della scorsa serata e che sarebbe stata un’offerta che non avrebbe potuto rifiutare. Che non ci sarebbe riuscito.

Quando Michael parlò, la sua voce roca era pacata ma graffiante: «Credo di doverti un caffè, se non sbaglio».

Travis annuì, avvertendo una serie di brividi scorrergli per tutta la spina dorsale e, quando Michael si voltò per fargli strada verso un tavolo più avanti, lo seguì sentendosi come un profeta scelto tra milioni di anime mortali. Udì i mormori indiscreti del magico trio alle proprie spalle e si decise a ignorarli.

I due giovani presero posto su due sgabelli al bancone, in modo da ordinare più sbrigativamente. Michael comandò due caffè e due fette di torta alla melassa. «Devi assolutamente provarla» si giustificò e Travis annuì sorridente, fidandosi del suo giudizio.

Una volta che furono serviti, vide Michael lanciare uno sguardo alla sua destra, oltre la spalla di Travis, per poi abbassare nuovamente gli occhi e afferrare la piccola brocca di panna liquida in mezzo alle tazze.

«I tuoi amichetti non sembrano troppo felici di vederci insieme» osservò, vuotandosi la panna. Quando la offrì a Travis, vide che sulle labbra gli si era formato un mezzo ghigno divertito. Il tassista ricambiò l’espressione e lo lasciò vuotare la panna anche nella sua bevanda.

«Te l’ho detto, non sono miei amici» rispose, prima di attaccare la torta con la forchetta «mi piace parlare con te».

Pensò subito che forse, con quella frase, aveva nuovamente azzardato troppo, perciò si affrettò a riempirsi la bocca con il dolce: Michael aveva ragione, il sapore era assolutamente squisito.

Accanto a lui, l’italiano aveva preso a girare il cucchiaino nel liquido marrone scuro con la sua solita aria pensierosa, forse anche leggermente sconsolata. «Mi fa piacere» sospirò «Dopo la pessima figura di ieri sera, credevo che non avresti mai più voluto avere a che fare con me».

Dentro di sé, Travis si maledisse per essere scappato in quel modo come un vigliacco.

«Ma no» mormorò, la voce leggermente tremolante. Si schiarì la gola e prese a punzecchiare lo strato più esterno della torta con la forchetta. «Non fa niente, davvero, è solo –io non sono… insomma…»

Non era cosa? Cosa cercava di negare così disperatamente da non riuscirci nemmeno? Non era un finocchio? Certo che non lo era, lo sapeva perfettamente. Gli piacevano le donne, per quanto lui non piacesse mai a loro; gli piaceva Betsy, si era innamorato di lei, lo sapeva, se lo sentiva. Non era attratto da Michael? No, era affascinato da Michael, una cosa diversa. Travis non poteva essere attratto da lui perché, come appena appurato, non era un finocchio. Fine. Era pura e semplice questione di logica.

«Credevo fossi sposato» osservò Travis ed era consapevole di quanto suonasse ridicola come scusa perché sapeva che non voleva dire niente. Raramente le persone si prendevano l’impegno di mantenere la promessa del matrimonio, perché giurare davanti a Dio era più semplice che scendere concretamente nei fatti. Quante volte aveva dato passaggi a uomini fedifraghi con la moglie a casa e la puttana preferita sottobraccio, quante volte aveva udito, sul sedile posteriore del proprio tassì, il lamento di mariti traditi che pianificavano aggressioni alle proprie donne, maschi che si sposavano ma poi preferivano uscire per farsi fottere da altri maschi, quante volte aveva sentito parlare di matrimoni andati a male per colpa di questo o quell’altro motivo.

«Lo ero, infatti» confermò Michael, tagliando un pezzo della propria torta «ma non lo sono più, purtroppo. Mia moglie é morta in Sicilia».

Travis si sentì un verme e desiderò scomparire dalla faccia della Terra per aver provato a pensare anche solo per un momento che Michael si fosse macchiato di adulterio, per averlo paragonato ai fenomeni da baraccone che incontrava ogni notte. «Mi dispiace, davvero» farfugliò, tenendo gli occhi sul proprio piatto, terribilmente imbarazzato «non intendevo –mi dispiace»

«Ehi, va tutto bene»

Travis sentì la mano di Michael posarsi sul suo ginocchio ed era un gesto così confortante che lo lasciò fare. Il suo pollice esercitava una leggerissima pressione. Il giovane si domandò se tutti gli italiani cercassero così tanto il contatto fisico tra di loro o se fosse un comportamento che Michael aveva deciso di riservare solo a lui. Il pensiero lo imbarazzava e lo lusingava al tempo stesso.

Michael bevve un altro sorso di caffè, ma non mosse la mano da lì. «Non crucciarti, non potevi saperlo se non te lo avevo detto».

Travis decise di cambiare discorso e bevve finalmente anche lui il proprio caffè fumante. «Ti ho telefonato, oggi» disse e Michael annuì: «Già, Tom me lo ha detto. Di solito passo in ufficio nel primo pomeriggio, mi dispiace non essere stato reperibile, oggi. Speravo di incontrarti qui, stasera».

Il piccolo Travis nelle sue interiora si gongolava di piacere: quindi ci sperava. Sperava di vederlo, di poter parlare con lui. Gradiva sul serio la sua compagnia, non lo evitava a prescindere, non lo considerava strano come facevano i suoi colleghi, non lo prendeva in giro.

Il tassista ingoiò un’ultima fetta di torta e prese un altro lungo, sorso di caffè, riflettendo su quello che stava per fare. Era un’idea che gli frullava in testa già da quella mattina e che, a dirla tutta, pensava di mettere in atto già quando aveva telefonato, ma era stato impossibilitato a causa di forze maggiori. Si domandava se avrebbe fatto bene, se per caso Michael avrebbe frainteso. Alla fine, si decise e tirò un lungo sospiro prima di chiedere: «Vuoi venire a vedere un film con me?»

Sapeva che Vedere un film era richiesta per un eventuale appuntamento, almeno con le donne, almeno era quello che aveva intenzione di lasciar trasparire quando aveva invitato Betsy al cinema. Ma a lui non stava proponendo un appuntamento, solo una serata tra amici, non diverso da una bevuta al bar. O, perlomeno, era questo che intendeva Travis: sarebbe stato lo stesso per Michael? Qualunque fosse la risposta, sperò comunque che accettasse. Sentirlo parlare di cinema con una certa passione lo aveva assai incuriosito.

Michael ridacchiò e ritrasse la propria mano dal ginocchio di Travis. «I film che piacciono a te o quelli che piacciono a me?» domandò.

Anche Travis sorrise e abbassò lo sguardo, a metà tra il divertito e l’imbarazzato. «I tuoi, decisamente» rispose e prese un’altra sorsata della sua bevanda calda. «Si vede che te ne intendi decisamente più di me, quindi ti lascio decidere».

«Stasera immagino che tu stia lavorando, vero?»

Il tassista annuì, risollevando gli occhi sull’italiano: «Purtroppo sì. Ma domani e dopodomani sono i miei giorni liberi».

Suonava come un appuntamento. Non lo era.

Michael si grattò il mento, pensieroso. «Passa domani in ufficio alle sette» disse «è l’orario di chiusura. Poi andiamo insieme. Sai dove si trova?»

Travis annuì: ci era passato davanti un paio di volte con il taxi e ci si arrivava facilmente anche con la metropolitana. Lanciò un’occhiata all’orologio da polso e storse il naso quando vide che mancavano dieci minuti alla fine della sua pausa. Michael notò il suo disappunto: «Si torna a sgobbare?»

Travis si passò una mano sul volto e fece in modo di finire il suo caffè in un paio di sorsi. «Odio questo lavoro» sospirò e si rese conto che era la prima volta che ne parlava apertamente con qualcuno. «La gente di notte si trasforma in animali primitivi. Le persone in questa cità… sono pazze! Anzi no, sono proprio cattive. L’altra notte mi è capitato uno che mi ha indicato la figura di sua moglie attraverso la finestra di un palazzo. Non la finiva più di farneticare su come da lì a qualche minuto sarebbe salito e l’avrebbe uccisa. Continuava a dire che dovrei vedere come una 44 Magnum riduce la faccia e la vagina di una donna».

«Cristo Santo, Travis»

«E sai qual è la cosa peggiore? Che non potevo fare niente. Cosa avrei potuto fare Mike, uh? Andare alla polizia? Quelli non fanno mai niente, aspettano che accada il fattaccio per alzare il culo dal divano, e comunque non avrei fatto in tempo. Urlargli addosso che era pazzo, tentare di fermarlo? Probabilmente ce l’aveva davvero una pistola di quel calibro sotto la giacca, mentre io ero completamente disarmato».

Frenò l’impulso di guardare in direzione di Dollaro e si concentrò invece sulla domanda che gli porse Mike: «Si sa che cos’è successo alla donna? I giornali hanno riportato qualcosa?»

Travis si strinse nelle spalle. «Non leggo molto i giornali» ammise «guardo il notiziario ogni tanto, ma poi tutte le notizie sembrano sempre così uguali tra loro. Ma mi sono sentito così… impotente».

Vide Michael puntare lo sguardo dritto davanti a sé, come perso nel vuoto. «So cosa vuoi dire» sospirò e si mosse sulla sedia, cercando di cambiare discorso. «Senti, mi accompagneresti in un posto? Nessuna Magnum addosso, garantito».

Il giovane tassista annuì e scese dal proprio sgabello. «Vado un attimo in bagno».

Mentre si svuotava la vescica, venne raggiunto dal Mago all’orinatoio di fianco al suo: «Ehi, ma che stai combinando?»

Travis voltò il capo in direzione dell’omone e sollevò un sopracciglio: «Sto pisciando?»

«Non fare il finto tonto, hai capito perfettamente cosa intendo»

«E invece no. Ti prego, se hai un problema dimmelo, non parlare per indovinelli»

Il Mago si appoggiò all’orinatoio di ceramica bianca invasa da scritte oscene in pennarello indelebile e puntò su di lui uno sguardo accusatore che Travis sostenne di gusto.

«Te la fai con quel damerino, adesso?» chiese risoluto «Non senti cosa dicono Dollaro e Charlie, di lui?»

Travis distolse lo sguardo dal collega e scosse la testa con aria esasperata. «Ma perché dovrei dare retta a quello che dicono loro?» ribatté, mantenendo lo sguardo fisso sul muro di mattoni davanti a sé «É salito ieri sul mio taxi. Abbiamo chiacchierato e l’ho trovato piacevole, tutto qui». Ovviamente, omise la parte in cui Michael lo aveva invitato a prendere una stanza insieme. Ma anche così il Mago non sembrava convinto: «Per questo ti sei fiondato fuori dalla porta a tutta velocità, ieri notte? Quando ti mancava ancora un quarto d’ora di pausa?»

«Oddio, ma che ti importa?» Questa volta Travis aveva sbottato. Si tirò su la zip e camminò fino ai lavandini. L’altro uomo gli trotterellò dietro come una mamma chioccia.

«Senti, lo so che non sono affari miei di come gestisci i tuoi orari o in generale di quello che fai nel tuo tempo libero» tentò di giustificarsi il Mago.

«Ecco, esatto: non ti deve interessare»

«Tantomeno mi importa di chi ti porti a letto»

«Non mi porto a letto proprio nessuno»

Travis era infastidito e, a dirla tutta, parecchio sorpreso dall’insolenza che quell’uomo stava mostrando nei suoi confronti. Ne era deluso: aveva sempre stimato il Mago, lo aveva sempre visto come un punto di riferimento per via della molta più esperienza dall’alto di un uomo di una certa età; gli aveva infuso una certa sicurezza quando aveva iniziato il lavoro, aveva fatto in modo che non si sentisse spaesato perché nuovo. Evidentemente, aveva fatto bene a non annoverarlo nella sua schiera di amicizie più strette. Ma il rispetto c’era sempre stato, da parte di entrambi.

«Mi sto solo preoccupando per te!» 

Travis sentì le mani forti dell’uomo sulle sue spalle che cercavano di convincerlo a voltarsi. Assecondò il gesto, trovandosi a fronteggiarlo: il Mago era un po’ più alto di lui, decisamente più largo e muscoloso e i capelli brizzolati gli crescevano solo ai lati della testa, lasciando il capo pelato e sudaticcio. I piccoli occhi azzurri ravvicinati incontrarono quelli scuri del più giovane e Travis vi lesse una certa apprensione. Evidentemente, il Mago pensò di aver esagerato perché mollò la presa dalle spalle del ragazzo e cercò di sistemargli la camicia a quadri.

«Perdonami, figliolo, non intendevo essere brusco» si scusò il Mago «cerco solo di dirti –stai, attento, okay? Se le persone cominciassero a pensare…. Potresti farti male».

Non era stupido, Travis, capiva perfettamente quello che il collega stava cercando di dirgli: che se qualcuno di poco raccomandabile avesse mai potuto sospettare che fosse attratto dagli uomini, avrebbero cominciato a escluderlo, avrebbe potuto essere licenziato o massacrato di botte. Sapeva che, in un certo senso, il Mago era in buona fede nei suoi confronti, ma aveva avvertito la sua preoccupazione come un’invasione del suo spazio personale, del suo privato e, soprattutto, della sua virilità. Erano tutte stronzate, tutte ansie inutili perché Travis non era così.

Strinse i pugni bagnati, avvertendo le unghie penetrargli la carne, e se non avesse avuto quel briciolo di autocontrollo, probabilmente un cazzotto ben assestato all’uomo più anziano non glielo avrebbe risparmiato nessuno.

Invece si limitò a ringhiare tra i denti «La mia pausa è finita», girò sui tacchi e attraversò il locale a passi pesanti, avvertendo la rabbia ribollire dentro di lui. Quando arrivò alla porta, lanciò uno sguardo carico d’odio a Dollaro e Charlie T, quest’ultimo che se la rideva di gusto, e uscì fuori sul marciapiede. Vide Michael più avanti, appoggiato al suo taxi, che gettava una sigaretta ai propri piedi e si raddrizzava. Gli sorrise gentilmente, ma quando Travis si avvicinò, l’espressione mutò in interrogatoria: «Che ti prende?»

Evidentemente la faccia del giovane tradiva tutta la propria collera. Travis stava per rispondere, ma avvertiva la fronte farsi sempre più sudata e il cuore che cominciava a battere all’impazzata. Gli sembrò come se la gola gli si chiudesse, mozzandogli il respiro e, quando allungò una mano per aprire la portiera del guidatore, ebbe un forte giramento di testa, barcollò e cadde a terra. Michael venne subito in suo aiuto, spaventato, e gli sbottonò il colletto della camicia, cercando di fargli aria. «Travis! Travis, guardami!»

E lo guardava, Travis, ma gli appariva sfocato attraverso il velo di lacrime che cominciava a sgorgare dagli angoli dei propri occhi. Teneva la bocca spalancata e ansimava come un pesce fuor d’acqua, cercando disperatamente di far entrare aria nei polmoni.

Sentì le mani di Michael sul suo volto e la sua voce gli suonava ovattata, come se si trovasse in un’altra stanza. «Chiudi la bocca. Non cercare di respirare, trattieni!» diceva.

Trattenere il fiato? Stava praticamente morendo!

«Fa’ come ti dico!»

Travis provò a eseguire. Chiuse la bocca, stringendo le labbra, e gli parve di affogare. Nella testa gli sembrava di avere un martello che picchiava forte contro le proprie meningi. Il cuore sembrava volergli esplodere nel petto. Si concentrò sul proprio battito irregolare. Ta-tunf, ta-tunf, ta-tunf, forte contro la propria cassa toracica. Alla fine, non ce la fece più, riaprì la bocca ed espirò sia da lì che dal naso. Quando inspirò nuovamente, sentì l’aria della notte entrare con prepotenza dentro ai polmoni. Stava sudando copiosamente, la testa gli girava ancora, le vertigini gli davano la nausea, ma il battito cardiaco stava lentamente cominciando a riprendere un ritmo normale.

Davanti a sé, a pochi centimetri dal proprio viso, c’era Michael, accucciato sul marciapiede e ancora con le mani sulle sue guance sudate. Probabilmente gli aveva appena salvato la vita.

«Va meglio?» gli domandò, tirando via una mano dal suo volto per afferrargli il polso sinistro. «Sembra che tu ti stia calmando».

Travis annuì, spostato, e si schiarì la gola che gli bruciava. Tentò di dire qualcosa, ma ancora non ci riusciva.

Michael lo aiutò a sollevarsi. Si mise il braccio destro di Travis attorno alle spalle, sostenendolo con il suo corpo, e gli circondò i fianchi con il suo arto sinistro. Il ragazzo si lasciò trascinare lungo il marciapiede, sotto lo sguardo incuriosito di alcune persone con i volti illuminati di rosso dal neon delle insegne. Michael fermò un taxi di servizio e lo aiutò a montare sul sedile posteriore insieme a lui.

«All’ospedale più vicino, per favore, è urgente» sentì Michael ordinare al tassista e quello partì.

Faceva strano trovarsi quasi del tutto sdraiato sul sedile posteriore di un taxi, ma non tanto quanto essere appoggiato contro il petto di Michael, con il suo braccio attorno. Tuttavia, il fatto che fosse strano non lo rendeva meno piacevole. Travis sollevò una mano e trovò quella dell’altro che ricadeva appena sopra la sua spalla. Le loro dita si intrecciarono. Si domandò se quel tassista fosse un occhio di falco tanto quanto lui, se avesse intravisto qualcosa, se per caso lo conoscesse.

«Ho avuto un attacco d’asma?» farfugliò Travis, la voce ancora tremante.

«No» rispose Michael «hai avuto un attacco di panico. É meglio portarti all’ospedale per degli accertamenti»

Il giovane non replicò. Per tutto il resto del viaggio, rimasero in silenzio, e le loro mani non lasciarono la presa l’uno dell’altro nemmeno per un attimo. 

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Bonsoir! Voglio congratularmi con me stessa per essere stata in grado di aggiornare almeno questa storia nei tempi prestabiliti. Avrei voluto dare la precedenza a Bridge Over Troubled Water, dal momento che conta ancora un solo capitolo, ma questa settimana ho avuto impegni e problemi familiari che hanno rallentato la scrittura, perciò mi sono ritrovata a fare una scelta. Ma sono felice perché finalmente si sta formando un po' di zucchero tra questi due complessati -perché non pensate che Michael sia meno problematico di Travis. Be', forse solo un pochetto... Comunque, li shippo a bestia!

Piccola precisazione: in questo capitolo i protagonisti cominciano a darsi del "tu" rispetto al "lei" dei capitoli scorsi, ovviamente non sono stata troppo a pensarci su dal momento che la forma di cortesia nella loro lingua, l'inglese, non esiste. 

Come al solito, vi invito a lasciare qualsiasi tipo di parere, recensioni critiche sono le benvenute tanto quanto quelle positive. Grazie anche a chi segue questa storia in silenzio, un bacione a tutti e al prossimo capitolo (:

  
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