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Autore: Carme93    11/03/2019    2 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo terzo
 
King’s Cross: si parte!
 
La mattina del primo settembre – probabilmente il giorno più atteso da ogni giovane mago – era finalmente giunta e Teddy era emozionatissimo. Il ragazzino, con i capelli tra il rosso e il rosa, girava freneticamente per casa verificando di aver preso tutto quello che gli sarebbe servito a Hogwarts, nonostante sua nonna gli avesse assicurato di aver controllato ella stessa il baule.
«Teddy, per l’amor di Merlino, stai fermo due secondi! Mi stai facendo girare la testa!» borbottò Andromeda Tonks, intenta a sfogliare La Gazzetta del Profeta di quel giorno.
Il ragazzino allora corse nella sua stanza e si diede un’ultima occhiata intorno, sua nonna, se l’avesse visto, avrebbe detto che era troppo sentimentale. Probabilmente lo era realmente, ma era vero anche che non avrebbe rivisto quella casa per i successivi tre mesi e mezzo.
Guardò l’ora sul suo orologio da polso e decise che era il momento di scendere al piano di sotto: aveva appuntamento con Diana e Laurence per le nove e non stava più nella pelle. Harry e la nonna gli avevano raccomandato di indossare vestiti babbani, in quanto si sarebbero recati in stazione con la macchina per venire incontro ai signori Webster, che avevano fin troppi motivi per essere in ansia quel giorno senza necessità di provare persino i mezzi di trasporto magici. Teddy si guardò allo specchio: indossava i soliti jeans, leggermente scoloriti sulle ginocchia – la nonna avrebbe voluto buttarli, ma il ragazzino gliel’aveva impedito perché andavano molto di moda tra i coetanei babbani e Diana riteneva che gli stessero bene -, una polo blu – questa nuova di zecca, scelta personalmente da Ginny -, un paio di semplici converse rosse e il cardigan realizzato a mano da nonna Molly. Tutto sommato, capelli a parte, avrebbe potuto benissimo essere scambiato per un semplice undicenne babbano. Chi avrebbe mai potuto dire che lui era un mago? La nonna, vedendolo a colazione, aveva storto il naso: non aveva nulla contro i Babbani, ma non apprezzava quel genere di abbigliamento.
Teddy, sempre più eccitato, prese il baule e iniziò a trascinarlo in corridoio e poi giù per le scale.
«Che stai facendo?» sbottò sua nonna, scegliendo proprio quel momento per apparire in fondo alle scale. «Lo porto giù con la… Teddy!».
Il baule era sfuggito dalle mani del ragazzino ed era scivolato a capofitto verso il piano di sotto. Fortunatamente, Andromeda fu rapida a reagire, si scansò dalla traiettoria del pesante bagaglio e con un gesto della bacchetta ne rallentò la corsa, proprio pochi secondi prima che si schiantasse contro la cristalliera.
Il ragazzino sorresse lo sguardo furioso della nonna, chiedendosi come uscire da quel guaio. A salvarlo fu il campanello. «Vado io» gridò Teddy, correndo giù e superando la donna per raggiungere l’ingresso. Aprì la porta di slancio, pensando fosse Laurence, ma diverse braccine sottili gli si attaccarono alle gambe e lo fecero cadere. Una risata divertita si levò in sottofondo.
«Dai, liberatelo» intervenne una voce femminile ben nota.
Teddy si raddrizzò quel tanto che poté, visto che Lily aveva deciso di sedersi sulle sue gambe e lo fissava con la sua boccuccia sdentata e tentava di allungare la manina verso i suoi capelli colorati.
Harry si abbassò e prese la bambina in braccio, la quale mise subito il broncio. «Ora viene anche Teddy» le disse il padre.
«Voi due lasciate alzare Teddy ed entrate in casa a salutare Andromeda» ordinò Ginny agli altri due figli.
Teddy aiutò Al ad alzarsi e lo vide trotterellare dietro ai genitori. «Jamie, levati» disse all’altro bambino che gli si era appiccicato al braccio.
«No!».
«Come no? Fammi alzare!».
«No!».
«Ehilà, comodo?».
«Laurence, non rompere» sbottò Teddy, ignorando il suo migliore amico, apparso sulla soglia di casa. «James, non farmi arrabbiare!» minacciò il più piccolo, ma questi strinse la presa.
«Ciao! Che state facendo? Credevo non dovessimo fare tardi…».
Il volto di Teddy andò in fiamme, quando apparve persino Diana. Si erano per caso messi d’accordo?
«Teddy, vuol rimanere qui» sghignazzò Laurence.
«Idiota» sibilò Teddy e si alzò, tirando anche James di peso. «Non voglio rimanere qui!». Il più piccolo mollò la presa. «Oh, bene, ti sei deciso…» ma poi Teddy tacque vedendo lo sguardo arrabbiato che James gli rivolse prima di correre in salotto. «Che gli ho fatto?».
«Beh, gli mancherai, no?» replicò Diana come se fosse ovvio.
Ah, Teddy proprio non ci aveva pensato e se ne vergognò.
«Sei pronto? I nostri genitori ci stanno aspettando» lo chiamò Laurence.
«Sì, sì. Vado a chiamare Harry e gli altri».
«Teddy, James è un bambino, vedrai che gli passerà» gli disse gentilmente Diana.
«Grazie».
«Allora, sei pronto?» lo accolse sorridente Harry.
«Sì e lo sono anche Diana e Laurence. Ci aspettano fuori».
«Bene, andiamo, noi è il caso di farci attendere» dichiarò Andromeda recuperando la borsa e un cappello.
«Devi proprio metterlo?» chiese Teddy contrariato: quel cappello andava di moda un secolo prima!
«Tu, zitto. Hai già fatto abbastanza per stamattina» lo redarguì la nonna.
Harry ridacchiò e gli circondò le spalle con un braccio. «La cristalliera, eh?». Il ragazzino si lasciò scappare un risolino nervoso, mentre controllava che la nonna non li potesse sentire. «Adesso, al baule ci penso io. Raggiungi i tuoi amici».
«Ma James…?». Teddy non sapeva come porre la domanda.
«Jamie capirà e poi Natale arriverà più velocemente di quanto crediate».
Il ragazzino sorrise al padrino e corse fuori, non notando lo sguardo commosso degli adulti né lo scambio di battute, mentre si avviavano alla macchina.
«Per fortuna, indosserà la divisa solo sul treno» sussurrò Harry alla moglie.
«Remus e Tonks sarebbero molto fieri di lui».
Harry le strinse la mano e annuì. «Allora, tutti a bordo» annunciò, mettendo Lily nel seggiolino. Jamie giocava ancora a fare l’offeso, così Al ne approfittò per attirare le attenzioni del fratellone per tutto il viaggio verso Londra; Lily, invece, era nella posizione giusta per allungare la manina e tirare i capelli rossi di Teddy. Arrivati alla stazione di King’s Cross il gruppetto si ricongiunse con i Webster i Landerson. Teddy affiancò gli amici, tenendo per mano Albus. James iniziò a infastidire Laurence e Diana, il perché lo sapeva solo lui.
«Dai, smettila» sbottò Teddy, mentre il bambino tentava di tirare le trecce della sua amica e la insultava a mezza voce, per non essere sentito dalla madre.
Giunti al passaggio tra i binari nove e dieci, Laurence e il padre passarono per primi, seguiti immediatamente dalla madre.
I signori Webster palesemente sottopressione si rivolsero a Harry, che, pazientemente, ripeté quanto aveva già detto loro il signor Landerson. Diana, mostrandosi coraggiosa, prese il carrello e corse verso il muro sotto gli occhi esterrefatti dei genitori, che furono costretti a seguirla. Teddy fu fiero di lei: aveva appena fatto il passo decisivo per entrare nel loro mondo, il mondo che le spettava di diritto.
Ginny e Andromeda attraversarono la barriera subito dopo, portando con loro Al, Lily e un capriccioso James.
Teddy strinse nervosamente l’impugnatura carrello e fissò il muro davanti a lui. Non aveva paura di andare a sbatterci contro, ma cominciava a essere veramente spaventato da quello che sarebbe accaduto dopo.
Harry gli strinse la spalla. «Avanti, ora non ci sta guardando nessuno».
Il ragazzino si sentì rincuorato da quel gesto e annuì, prese un bel respiro e corse verso la barriera. Al momento dell’impatto, che effettivamente non ci fu, chiuse gli occhi e quando gli riaprì la piattaforma 9 e ¾ apparve di fronte ai suoi occhi: una locomotiva rosso fuoco sbuffava vapore limitando la visuale, ma il chiasso dei ragazzi con genitori e animaletti domestici vari non era minimamente attutito.
Harry, insieme ai padri di Diana e Laurence, cercò uno scompartimento liberò e caricò il baule del figlioccio.
Alla fine si riunirono per un ultimo saluto. Teddy era sempre più agitato, un po’ perché aveva visto dei giornalisti tentare di avvicinarsi a loro, ma erano subito stati respinti da alcuni uomini in borghese e al ragazzino non erano sfuggite le occhiate d’intesa con il suo padrino, e anche perché vedere gli altri ragazzi e i suoi stessi amici salutare i genitori era stato un pugno nello stomaco. Era consapevole di avere una famiglia enorme che gli voleva bene, ma non era la stessa cosa e ora capiva ancora meglio il discorso che gli aveva fatto Harry qualche settimana prima. Si avvicinò al suo padrino e lo abbracciò di slancio, sperando di non scoppiare a piangere.
«Tutto bene, Teddy?» gli sussurrò Harry.
«No. Perché loro non sono qui?». La domanda gli era sfuggita senza che potesse farci nulla. Sentì Harry irrigidirsi e se ne pentì, ma questi non disse nulla e lo strinse a sé con forza.
«Ci sono cose che ci si sente di dover fare. I tuoi hanno deciso di combattere, non si sarebbero mai nascosti» rispose sinceramente Harry. «Troverai tanti altri amici fantastici a Hogwarts, vedrai».
Teddy annuì e si staccò, per salutare Ginny, la nonna e i bambini. Non poteva permettersi di crollare in presenza di tanta gente, non era nel suo carattere.
«No!» urlò James, interrompendo le ennesime raccomandazioni di Andromeda e Teddy gliene fu grato.
Teddy si piegò in modo di essere alla stessa altezza del bambino. «Torno presto, vado a imparare a fare le magie, così poi te le insegno».
Gli occhi del bambino si illuminarono. «Promesso?».
«Sì».
«Torni presto?».
«Apriremo insieme i regali di Natale come ogni anno» rispose Teddy e James sembrò contento e soddisfatto.
Teddy, Diana e Laurence salirono sul treno e raggiunsero il loro scompartimento, affacciandosi poi dal finestrino per continuare a salutare.
 
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«Enan, sbrigati. Non vorrai perdere il treno?».
«Certo che no! Arrivo, mamma» rispose il ragazzino afferrando la gabbia della sua civetta e correndo fuori dalla stanza.
Lo aspettavano tutti all’ingresso del Paiolo Magico.
«Eccitato?» lo accolse Fagan, divertito.
Enan annuì, continuando a guardarsi intorno. Erano giunti a Londra il giorno prima e avevano dormito al Paiolo Magico. Nelle ultime settimane il ragazzino era stato ben due volte a Londra e ne era entusiasta, sebbene preferisse la tranquillità della sua isola. Si avviò rimanendo accanto al cugino, che di certo non era agitato, visto che era la settima volta che partiva per Hogwarts!
Per raggiungere la stazione a piedi impiegarono una mezz’oretta.
«Oh». Enan quasi si sentì sopraffatto nell’entrare in quell’immenso edificio e ancor di più vedendo i treni. La madre dovette richiamarlo più volte perché non rimanesse indietro e si perdesse nella folla.
Artek e Fagan fecero a gara a chi attraversasse per primo il passaggio, mentre Enan rimase indietro insieme alla madre. Era molto nervoso.
«Passiamo insieme?» chiese allora alla madre. In quel momento si sentì veramente patetico: non ci voleva molto ad attraversare la barriera! Sua madre annuì e appoggiò le sue mani sulle sue.
«Pronto?» gli chiese. Era nervosa anche lei. Il ricordo della breve chiacchierata del pomeriggio prima con il nonno ritornò prepotentemente alla mente del ragazzino.
 
«Enan, vieni un attimo nel mio studio».
La voce autoritaria del nonno riscosse Enan, intento a controllare di aver messo tutto il necessario dentro il baule. Non dovette rispondere, se il vecchio Donel Macfusty chiamava c’era poco da discutere: lo sapevano i figli, lo sapevano a maggior ragione i nipoti. Perciò il ragazzino scese al primo piano e raggiunse lo studio, che altro non era che una stanza nella quale il nonno conservava i documenti della famiglia e della fattoria: era un ambiente piccolo, occupato da una larga scrivania, due sedie dallo schienale rigido e degli scaffali addossati al muro.
«Eccomi, nonno» disse Enan entrando.
L’anziano continuò a leggere una pergamena per qualche secondo, poi si grattò il mento distrattamente.
«Odio, la burocrazia. Il Ministero vuol fare un’ispezione… spero almeno che mandino qualcuno competente, l’ultima volta uno si stava facendo divorare… Enan, entra, non stare sulla porta». La prima parte del discorso era stato un borbottio seccato, l’ultima parte era stata decisamente un ordine.
Enan obbedì e si pose all’in piedi tra le sedie e gli scaffali.
«Siete pronti a partire?».
«Sì, nonno. Stavo ricontrollando di aver preso tutto, prima che Fagan porti i bauli all’ingresso».
«Bene» commentò l’anziano. «Non voglio che perdiate la passaporta per Londra, sarebbe una scocciatura enorme». Si alzò e si avvicinò al nipote, fissandolo dritto negli occhi. Enan distolse lo sguardo, ma una mano sotto il mento lo costrinse a rialzarlo nuovamente. Il ragazzino sentì il cuore battere a mille, incapace di cogliere i pensieri del nonno. Si chiese se dovesse dire qualcosa, ma tacque ancora.
«Fatti onore a Hogwarts. Non deludermi e soprattutto non deludere tua madre».
Enan deglutì e si costrinse ad annuire. «Farò del mio meglio» sussurrò chiedendosi che cosa intendesse il nonno: non aveva mai preteso un particolare successo accademico da parte dei figli o dei nipoti, perché ora gli faceva quel discorso?
«Bene». Il nonno sembrò contento di quella risposta e gli diede un buffetto affettuoso. «Se hai bisogno di qualcosa, scrivimi».
 
«Enan» lo richiamò dolcemente la madre, ora leggermente preoccupata.
«Sì, tranquilla. Sono pronto».
E, una volta raggiunti i cugini e gli zii sul binario 9 e ¾, Enan aveva promesso a sé stesso di non deludere mai sua madre.
«Mi mancherai» mormorò Lilias abbracciandolo.
Enan sospirò e annuì. «Anche tu, ma Natale arriverà presto».
 
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«È un muro di mattoni! Siamo sicuri che non sia uno scherzo!?».
Zoey sbuffò e si voltò verso il padre: come poteva avere ancora dei dubbi? Ne aveva avuti un’infinità anche lei, ma dopo aver visto Diagon Alley erano spariti tutti.
«È così che ha detto il professor Paciock» tagliò corto la ragazzina, prima che sua madre potesse replicare. Sospirò e puntò la barriera. Aveva litigato con le sue amiche, che poi tanto amiche non le sembravano più ora: aveva tentato loro di raccontare la verità, ma non le avevano creduto e ritenevano che fosse soltanto una scusa bislacca per nascondere il fatto che i suoi genitori l’avessero iscritta in quella scuola di Londra che tanto volevano, perciò l’avevano accusata di tradimento. C’era stata male per giorni, ma se quel muro di mattoni la separava dalla sua nuova scuola, non avrebbe rinunciato e non sarebbe tornata indietro per paura di sfracellarsi. «Dovete venire con me, o rimarrete fuori».
I signori Turner, titubanti, affiancarono la figlia. Zoey impaziente prese le loro mani e le appoggiò sull’impugnatura del carrello. «Al mio tre corriamo» dichiarò allora, sorpresa che la stessero veramente ascoltando. «Uno… due… tre!».
Zoey chiuse gli occhi e trattenne il fiato, ignorando le urla dei suoi genitori. Non vi fu alcun impatto.
Riaprì gli occhi e rimase senza parole: una locomotiva scarlatta occupava già il binario e molti ragazzi affollavano la piattaforma, alcuni vestiti in modo strano proprio come le persone che aveva visto al Paiolo Magico.
La ragazzina si voltò verso i suoi genitori e li trovò a bocca spalancata che si stringevano tra di loro totalmente increduli. Ella, per conto suo, tirò un sospiro di sollievo e cominciò a guardarsi intorno, tentando di non perdersi nulla di quella nuova avventura. Magari avrebbe anche rincontrato Charlie, la ragazzina conosciuta a Diagon Alley. Tentò di allungare il collo, ma c’erano così tanti ragazzi e ragazze di età diverse, che rinunciò quasi subito. Se non l’avesse rivista sul treno, sicuramente a Scuola ci sarebbe riuscita, in fondo erano dello stesso anno per quello che aveva capito.
«Zoey». La voce della madre era quasi un sussurro.
«Avete visto? È tutto ok. È tutto come l’aveva descritto il professor Paciock».
«Già» sospirò suo padre. «Dai, cerchiamo un posto per te, così ti aiuto a caricare il baule».
Impiegarono un po’ di tempo a trovare uno scompartimento libero.
«L’anno prossimo verremo prima» borbottò sua madre.
Il signor Turner caricò il baule su una retina. «Penso che ci saranno dei facchini in quella Scuola, no? O al massimo potrai chiedere a qualche ragazzo più grande di aiutarti all’arrivo…» bofonchiò.
«Non ti preoccupare. Troverò senz’altro un modo».
«Non mi preoccupo» rispose inaspettatamente suo padre. «So che te la caverai benissimo. Semplicemente avevo creduto che questo momento sarebbe arrivato non prima di altri sei-sette anni, quando ti saresti iscritta all’università…».
«A Natale sarò di nuovo qui. Ho già un’idea di quello che voglio come regalo» ribatté Zoey con un ampio sorriso. «Vi manderò una lista completa naturalmente».
«Non ne avevamo dubbi» sbuffò sua madre.
«Scrivici, mi raccomando. E non solo la lista dei regali che vuoi» intervenne suo padre, mentre tutti e tre tornavano sulla piattaforma – la signora Turner non aveva resistito alla curiosità di osservare il treno dall’interno - «Sul serio, eh. Se non puoi stasera stessa, domani mattina scrivici».
«Giusto o staremo in pensiero» soggiunse la signora Turner.
«Va bene, tanto avete capito come funziona la posta via gufo?».
«In teoria sì, ma abbiamo bisogno di un po’ di pratica» rispose suo padre.
«Tranquilli, vi racconterò ogni cosa!».
«Certo, ogni cosa» replicò ironico il signor Turner. «Piuttosto, promettimi di non distruggere la Scuola».
«Esagerato».
«Promettimelo».
«Lo prometto, lo prometto» sbuffò Zoey.
Infine arrivò il momento dei saluti veri e propri. La ragazzina abbracciò entrambi i genitori, conscia che le sarebbero mancati e probabilmente se ne sarebbe resa conto soltanto quella sera, ma comunque eccitata e non vedendo l’ora di partire.
«Se dovessi trovarti male o dovessero trattarti male, verrò a prenderti, babbano o meno» le sussurrò suo padre, mentre saliva sul treno.
Zoey sorrise.
 
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Quel primo settembre 2009 sarebbe rimasto indelebile nella mente della famiglia Krueger: non perché l’ultimogenita, Charlotte, sarebbe partita per Hogwarts per la prima volta e nemmeno perché era l’ultimo viaggio del primogenito, James, nominato persino Caposcuola, ma perché per la prima volta da più di dieci anni il giudice Krueger era uscito di casa.
La famigliola contava di non aver problemi con giornalisti invadenti perché quel giorno sarebbe partito per Hogwarts Ted Lupin, niente meno che il figlioccio di Harry Potter, per cui i giornalisti avrebbero riversato le loro energie sul povero ragazzino.
Charlie era particolarmente contenta e soddisfatta per aver convinto il padre ad accompagnarla. Era riuscita a lasciare senza parole persino quell’antipatico di James!
Cris, il maggiordomo, li seguiva a rispettosa distanza: in teoria avrebbe dovuto guidare il giudice, ma i figli si erano rifiutati e a turno James e Willy conducevano il padre. Charlie trotterellava accanto a loro, così come la madre radiosa come la ragazzina non l’aveva mai vista. Questo confermava a Charlie che gli adulti erano inutilmente complicati.
Il binario era affollatissimo, proprio come gli anni precedenti. Charlie vi era stata già diverse volta, ma questa sarebbe stata diversa: sarebbe partita con la bellissima locomotiva scarlatta.
«Sei pronta, Charlie?» le chiese suo padre, quando si fermarono.
«Prontissima. Spero solo di aver preso tutto».
«In caso contrario, Cris ti manderà quello che hai dimenticato».
«Caro, c’è tuo cugino Rudolph».
Charlie gemette.
«Su, Charlie, sii educata» la esortò il padre.
La ragazzina non aveva nulla contro il cugino Rudolph, anzi assomigliava al padre sia caratterialmente che fisicamente, sebbene fosse più rigido e severo; quelle che non sopportava erano le figlie del cugino, specialmente le due più grandi. Salutò educatamente, come le era stato richiesto, ma avrebbe tanto voluto defilarsi.
«Quindi, quest’anno verrai anche tu a Hogwarts!» disse Josephine, la maggiore delle tre sorelle.
«Già». Charlie aveva sempre creduto che i Corvonero dovessero essere intelligenti, ma evidentemente sua cugina doveva aver corrotto il Cappello Parlante in qualche modo.
«Non vedo l’ora che arrivi anche il mio turno» sospirò sognante Kloe, di nove anni.
Charlie annuì distrattamente, pregando di essere salvata da quella situazione così noiosa. Lanciò un’occhiata alla cuginetta più piccola, che si nascondeva dietro le gambe del padre e le sorrideva nervosamente. Cecilia era una bambina adorabile, chissà come faceva a sopportare delle sorelle del genere. Ah, già lei sopportava James, quindi doveva esserci una via d’uscita per tutti.
«Josephine, sono sicura che sarai un’ottima guida per Charlotte».
Sua madre non aveva detto quelle parole, non poteva averle dette!
Charlie si voltò verso la donna e la fulminò con gli occhi, ma fu bellamente ignorata.
«Ma certo, Alexandra, ne sarò lieta».
Charlie ringhiò a voce bassa, chiedendosi quanto avrebbe resistito senza tirare una delle caccabombe che aveva nascosto nel baule sulla testa di quella smorfiosa di Josephine. Non poteva andare peggio di così! Oh, oh, l’aveva pensato davvero? La voce squillante della signora Gould, le ricordò che non c’era limite al peggio.
Matilde Gould le rivolse un sorriso acido e rimase appiccicata a un’altra ragazzina, vagamente nota a Charlie.
«Oh, Alexandra cara, ti ricordi di Elisabeth Foster?».
«Naturalmente!» trillò la signora Krueger, con quella vocetta da ‘alta società’ che Charlie tanto odiava poiché era convinta che sua madre non fosse così tanto stupida. «Tuo fratello non ha potuto accompagnarti, tesoro?». Voce melensa, altra cosa che Charlie non sopportava.
«No, il Campionato sta per iniziare ed è in ritiro con la squadra» rispose Elisabeth Foster contrariata.
Squadra? Campionato? Qualcosa si mosse nella memoria di Charlie, che si voltò verso Willy.
«Non ti ricordi?» le sussurrò lui, affiancandola. «Suo fratello gioca nel Portree Pride».
«Oh». Ecco perché quel nome non le era nuovo! Charlie fissò la coetanea con rinnovato interesse.
«Perché non troviamo uno scompartimento per tutte? Così le ragazze potranno conoscersi meglio durante il viaggio». Stava scherzando? Sua madre aveva deciso di aver così tante idee brillanti proprio quel giorno? «Cris!».
Il maggiordomo si mise a lavoro.
Charlie pensò di rifiutarsi di lasciargli prendere il baule, poi decise che una volta sul treno avrebbe avuto mille possibilità per fuggire a quella compagnia. Improvvisamente neanche Elisabeth Foster appariva un buon motivo per sorbirsi una viaggio del genere.
«Charlie».
La ragazzina corse dal padre, comprendendo che volesse salutarla lontano da tante orecchie indiscrete.
«Mi mancherai» gli disse subito.
«Anche tu» replicò suo padre sorridendo bonariamente. «La casa sarà troppo silenziosa».
«Ma tu tornerai a lavoro adesso, no?».
L’uomo si passò una mano sulla guancia rasata e sospirò. «Non ne sono sicuro ancora. Il Wizengamot ha già fatto a meno di me, ma ti prometto che smetterò di trascorrere le giornate in biblioteca».
«Bene, mi devi raccontare tutto però».
«Certo, anche tu. Cris mi leggerà le tue lettere come ha sempre fatto con quelle dei tuoi fratelli».
«Ti scriverò stasera stessa, appena arriverò nella Torre di Grifondoro, te lo prometto».
«Ci conto» ribatté suo padre. «Spero, però, di non ricevere lettere dal direttore della tua Casa, eh».
«Questo non te lo posso promettere».
«Charlie» sospirò l’uomo. «Cerca di comportarti bene».
«Ci proverò».
«Meglio di niente» si arrese suo padre. «Fa’ buon viaggio» soggiunse abbracciandola.
Charlie ricambiò la stretta, poi corse a salutare al volo anche la madre, Rudolph e le cugine più piccole. Ignorò la signora Gould nonostante i rimproveri della madre.
Il treno fischiò mentre i ragazzi salivano sul treno e l’eccitazione di Charlie aumentò notevolmente.
 
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«Charis, mi dispiace, non avrei dovuto usare la Materializzazione Congiunta» sospirò Adam Williamson, tenendo la testa della nipotina, che, bianca come un cencio, vomitava la colazione in un’aiuola.
«Non fa niente» mormorò la ragazzina flebilmente.
«Va meglio?».
«Sì».
«Dobbiamo andare» disse allora Adam, trattenendo un’imprecazione quando il treno fischiò per l’ennesima volta.
Charis gli diede la mano e a passo svelto si inoltrarono nella folla, tentando di raggiungere il treno.
«Ti aiuto». Adam issò il baule sul treno, scusandosi per la millesima volta per il ritardo e la materializzazione. Non avevano neanche il tempo di cercare insieme uno scompartimento.
«Non fa niente zio, sul serio» replicò Charis agitata.
«Sicura? Non è tutto a posto, lo vedo dalla tua faccia».
«Ho… paura» sussurrò la ragazzina a voce bassissima.
Adam la sentì ugualmente e si abbassò alla sua altezza. «Andrà tutto bene, fidati. Hogwarts è fantastica. Per qualunque problema i professori ti sapranno aiutare e farai finalmente amicizia con ragazzini della tua età. Vedrai, è normale essere spaventati quando si inizia qualcosa di nuovo».
Charis annuì poco convinta e gli buttò le braccia al collo, scoppiando in lacrime. «Verrai a trovarmi?».
«I genitori non vengono a trovare i figli di solito, i tuoi compagni ti prenderebbero in giro».
«Non m’interessa».
«Vedremo, va bene?».
Il treno fischiò di nuovo attirando l’attenzione dei ritardatari e spingendo i genitori rimasti sul binario a nuovi saluti.
«Va bene» sospirò Charis, ben sapendo di non poter ottenere nulla di più.
«Adesso, sali. O perderai il treno!».
Charis obbedì.
Adam ebbe un tuffo al cuore vedendo quella figurina piccola e fragile, infagottata in una nuovissima divisa di Hogwarts, fissarlo con gli occhi rossi. Dovette trattenersi per non prenderla in braccio e portarla via da lì: era per il suo bene. A Hogwarts avrebbe trovato la sua strada, come ogni mago.
 
 
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«Siamo in ritardo!» sbottò Alexis scendendo dalla macchina e saltellando quasi sul posto. «Perderemo il treno e sarà colpa tua, Mark!».
Il ragazzino si voltò a fissarla incredulo. Naturalmente, era sempre colpa sua.
«Sbrigatevi, anziché lamentarvi» sbottò loro padre. «Jay, stai ancora mangiando!?».
«Sono pronto, sono pronto» bofonchiò il quindicenne con la bocca piena.
«Mark, prendi il tuo baule, io devo portare quello di tua sorella».
Il ragazzino gemette e tentò di trascinare il bagaglio su per le scale della stazione.
«Sei lento» lo redarguì Alexis.
Mark era nervosissimo e si morse la lingua per non dire qualcosa che l’avrebbe messo nei guai.
Una volta messi i bauli nei carrelli si misero a correre in mezzo alla folla tra i vari binari e fu davvero orribile: Mark rischiò di sbandare un paio di volte e altrettante, se non di più, di perdere di vista la sua famiglia; arrivò alla barriera del binario 9 e ¾ in tempo per vedere Alexis sparire, immediatamente seguita da Jay.
«Tocca te» disse suo padre. «Se perdi il treno, mica ti ci porto io a Scuola».
Mark non aveva alcun dubbio su questo. Prese un bel respiro e corse verso il muro. Dall’altro lato, i suoi fratelli erano già corsi verso il treno. Per un attimo ne rimase deluso, sentendosi smarrito in un posto totalmente nuovo per lui.
«Ti sei incantato, per la miseria!?» imprecò suo padre, apparso alle sue spalle.
Allora il ragazzino si mosse verso la locomotiva, sempre più incerto e spaventato. All’improvviso riapparvero i suoi fratelli, già liberatisi dei bauli, e salutarono rapidamente il padre.
«Mark, vedi di comportarti bene, ci siamo capiti?».
«Sì, signore» replicò automaticamente il ragazzino.
«E vedi di non mettermi in imbarazzo con i miei compagni» soggiunse Alexis. «Ho una reputazione io».
Mark non aveva idea di come avrebbe potuto metterla in imbarazzo, ma non osò ribattere.
«Sì, infatti tua sorella è il Capitano della squadra di Grifondoro!» disse il padre. «Ora, salite. Il treno sta per partire».
Mark si affrettò dietro i fratelli e suo padre chiuse la porta alle sue spalle. In quell’istante la locomotiva si mosse. Era veramente partito per Hogwarts. Con un sospiro fece per avviarsi lungo il corridoio dietro ai fratelli, ma Alexis si voltò di scatto e gli puntò contro un dito.
«Allora non hai capito niente! Devi starci lontano!».
Il ragazzino la fissò incerto: aveva detto di non metterla in imbarazzo, no di non seguirla. E comunque aveva parlato per sé, non per Jay, che continuava a rimanere in silenzio fissandosi i piedi.
«Ma so io cosa fare con te!».
Alexis si lanciò contro di lui e lo afferrò per il colletto della maglietta. «Mollami» la supplicò, terrorizzato da quello che gli avrebbe fatto. La ragazza lo trascinò per qualche metro, poi aprì una porta e lo spinse all’interno di un piccolo bagno.
«Goditi il viaggio» gli sibilò ella con cattiveria.
«No!» gridò Mark, ma Alexis lo chiuse dentro, probabilmente usando una magia visto che lui, nonostante ripetuti tentativi, non riuscì a riaprire la porta. Stanco, si lasciò scivolare a terra, appoggiando la schiena alla porta e nascondendo la testa tra le ginocchia. Se quello era l’inizio, non nutriva alcuna speranza per il seguito.
 
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Charis si appoggiò con le spalle alla parete e sospirò: era partita realmente e sarebbe stata lontano da suo zio per mesi! Guardò il baule e si disse di non poter rimanere lì, ma di dover trovare uno scompartimento come le aveva suggerito lo zio.
«Mi permetti di darti una mano?».
Quella voce le fece sollevare gli occhi di scatto. «Shawn!» strillò meravigliata.
«Ciao» replicò gentilmente il ragazzo, spostandosi gli occhiali con un gesto impacciato. «Vuoi sederti nel mio scompartimento? Credo di doverti delle spiegazioni».
«Sì, grazie» mormorò Charis imbarazzata.
Shawn sorrise e prese il baule per il manico. «Questo lo porto io, tranquilla».
«Grazie».
«Vieni, è qui vicino».
Charis lo seguì in silenzio.
«Eccoci» annunciò Shawn, poi servendosi della magia fece levitare il baule nel portabagagli.
«Oh, sei bravissimo».
Shawn arrossì. «Oh, no. È un semplicissimo incantesimo di levitazione. Vedrai a halloween saprai farlo anche tu».
«Speriamo» mormorò la ragazzina prendendo posto di fronte a lui.
«Come speriamo? Fidati, è molto più facile di quel che sembra e il professor Vitious è bravissimo!».
Per qualche secondo cadde un silenzio imbarazzato, poi Charis si prese di coraggio e gli chiese: «Allora, ehm, quindi sei un mago…».
«Ehm, già… scusa se non te l’ho detto… ma c’erano sempre gli altri e avevo paura che mi sentissero, così ho deciso di aspettare fino a oggi…».
«Aspetta, ma tu come sapevi che io sono una strega?».
Shawn sorrise. «I miei genitori lavorano al Ministero, quindi conoscono tuo zio».
«Ah, ecco» replicò Charis. «E che lavoro fanno?».
«Mio padre lavora nell’Ufficio Applicazione Legge sulla Magia, mentre mia madre in quello dei trasporti magici. Tu zio, invece, è un Auror, dico bene?».
«Sì» rispose la ragazzina, ma notando il luccichio negli occhi dell’amico aggiunse: «Da grande vuoi fare l’Auror?».
«Forse… non so… sarebbe bello…» bofonchiò Shawn arrossendo.
Charis sorrise e tirò fuori l’album da disegno dallo zaino. «Ti dispiace se disegno un po’?».
«No, fa’ pure. Io mi sono portato un libro».
Trascorsero quasi un paio di ore in totale silenzio, se non si contavano gli schiamazzi provenienti dal corridoio, ma verso l’una giunse la signora del carrello e Shawn offrì a Charis una brioche di zucca e un pacco di cioccorane.
«Ehilà». La porta dello scompartimento si aprì una seconda volta rivelando un ragazzo decisamente più grande, che indossava i colori di Serpeverde e una spilletta argentata riluceva sul suo petto. I Serpeverde avevano una brutta fama e Charis s’inquietò un po’ vedendolo.
«Ciao». La reazione tranquilla di Shawn tranquillizzò in parte la ragazzina, che continuò a fissare il nuovo arrivato. «Charis, ti presento mio fratello Austin. Austin, ti presento la mia amica Charis».
«Oh, quindi tu sei la famosa Charis! Shawn ti ha nominato un milione di volte quest’estate. Piacere di conoscerti».
Charis rossissima in volto strinse la mano che il ragazzo le aveva allungato. Shawn ora fissava il fratello maggiore con sguardo indignato.
Austin ghignò palesemente divertito. «Raggiungo i miei compagni, ci si vede a Scuola».
«Scusalo» borbottò Shawn fissando con ostinazione fuori dal finestrino.
«Tranquillo» bofonchiò Charis altrettanto imbarazzata. «Anch’io ho parlato di te a mio zio» mormorò innocentemente.
Shawn sorrise leggermente e, per cambiare discorso, chiese: «Sai giocare a sparaschiocco?».
«Sì, mio zio me l’ha insegnato».
«Ti va una partita?».
«Sì, ok».
 
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«Ehi, Angel, giusto? Tu che cosa sai delle Case? Come avviene lo Smistamento?». Zoey, messa da parte la figurina dell’ennesima cioccorana, pose questa domanda a un ragazzino minuscolo con cui condivideva lo scompartimento.
Gli altri ragazzi, Nati Babbani come lei, abbandonarono le figurine delle cioccorane –diventate il loro principale interesse nell’ultima ora e mezza – e si voltarono verso di loro.
«In che senso come avviene lo Smistamento?» chiese perplesso un ragazzino di nome Samuel Harper.
«Beh, in qualche modo ti smistano, no?» ribatté Zoey come se fosse ovvio.
«Infatti, voi maschi siete proprio lenti» aggiunse Ida Fischer in tono di sopportazione. Samuel le fece la linguaccia e il verso.
Angel, per conto suo, si raddrizzò sul sedile e posò il libro che stava leggendo sulle ginocchia. «Non lo so» ammise dopo un attimo di riflessione.
«Come non lo sai!? Hai detto di non essere un Nato Babbano» disse Ida Fischer.
«È complicato» borbottò Angel, stringendo il libro con forza.
«Cosa? Lo smistamento?» chiese preoccupata un’altra ragazzina di nome Hannah.
«O tu?» buttò lì con una certa superbia Ida Fischer.
«Ehi, non sei simpatica» sbottò Samuel.
«Che cos’è? Stupida solidarietà maschile?» ribatté Ida.
«Stupida sarai tu» si alterò il ragazzino.
«Dateci un taglio» sbottò Danila Allen. «Angel, potresti rispondere? Così questi due non si azzannano…».
«Vivo con mia nonna, ma lei è una magonò, perciò non ha mai frequentato Hogwarts».
«Che significa ‘magonò’?» domandò Hannah.
«Praticamente è il contrario di Nato Babbano. Il magonò è figlio di maghi, ma non ha poteri magici» rispose Angel.
«Quindi non sai come funziona lo smistamento?» sbuffò Ida delusa.
«No, mi dispiace» mormorò Angel.
«Secondo voi, quanto manca per arrivare a Hogwarts?».
«Samuel, l’avrai chiesto già trenta volte negli ultimi trenta minuti» sbottò infastidita Ida Fischer.
«Non è vero!» ribatté il ragazzino. «E tu mi stai già antipatica. Spero proprio che saremo in due Case diverse».
«Almeno su questo siamo d’accordo: non vorrei mai essere associata a uno come te».
Zoey sbuffò, pensando che a lei sarebbe piaciuto stare nella stessa Casa di Samuel: sembrava proprio simpatico. Si stravaccò meglio sul sedile e sbirciò fuori dal finestrino. Ormai il sole stava per tramontare. Fino a quel momento Zoey era molto contenta avendo conosciuto tanti ragazzini della sua età, inoltre aveva assaggiato tutti i dolci magici che poteva e aveva iniziato la sua collezione di figurine dei Maghi e delle Streghe più famose.
«Hannah» chiamò. La ragazzina dai lunghi capelli biondi si voltò sorridente verso di lei. «Me la fai una foto così, per favore?».
«Certo!» rispose Hannah sollevando la sua macchina fotografica. Era un modello molto vecchio.
«Anche a me» saltò su Ida.
«La faccio a tutti, se volete». Persino Samuel si mostrò contento e la ragazzina si sbizzarrì.
«Sei stata un genio a portarla» commentò a un certo punto Zoey. «Così potremo mandare un sacco di foto ai nostri genitori».
 
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«Grande, Enan!» gridò Fagan, battendogli il cinque.
Il ragazzino ricambiò orgoglioso. Suo cugino non solo l’aveva invitato nello scompartimento dei Grifondoro del settimo anno, ma lui e i suoi amici gli avevano permesso di giocare con loro a sparaschiocco.
«Sarai un fantastico Grifondoro, ne sono sicuro!» aggiunse Philippe Easton, aumentando maggiormente l’orgoglio del ragazzino.
 «Potrebbe anche essere un Serpeverde, voi Grifondoro siete così noiosi» intervenne l’unica ragazza del gruppo.
Philippe Easton e un altro ragazzo fecero finta di vomitare.
«Suvvia, Louise, basta mio cugino Donel come Serpeverde» rispose Fagan con un sorrisetto divertito per la reazione dei suoi amici.
Ed ecco, ancora una volta, quella strana sensazione che aveva colto Enan all’inizio del viaggio e in particolar modo nell’istante in cui Fagan gli aveva presentato Louise. Il ragazzino s’incupì leggermente e appoggiò la testa al finestrino. Il sole ormai era basso sull’orizzonte. Il ragazzino non avrebbe saputo dire quale fosse il problema, ma percepiva che Fagan fosse diversa dal solito, eppure era stato gentile e simpatico come sempre.
«Ehi, ti senti bene? Vuoi uscire in corridoio? Sicuramente è più tranquillo di questo scompartimento».
La proposta di Fagan colse Enan allo sprovvista, ma questi accettò immediatamente rendendosi conto per la prima volta che iniziava a mancargli l’aria. Suo cugino si scusò con gli amici e lo seguì in corridoio.
«Come facevi a sapere che avevo bisogno d’aria?» gli domandò subito Enan.
Fagan fece una smorfia e si appoggiò con le spalle alle pareti. «Ci sono passato».
«Vuoi dire che è colpa dell’emozione?».
«In parte, ma non solo» rispose il più grande. «È l’ambiente che ti soffoca».
Il ragazzino scosse la testa: «Non capisco. È forte il treno, non c’ero mai salito».
«Non è questo» sospirò Fagan. «Sei abituato alla nostra isola, agli spazi aperti».
«Oh». Enan non ci aveva pensato, ma si ricordò di aver colto con sollievo la proposta del cugino di sedersi vicino al finestrino. «Ma tanto tra poco arriviamo, no?».
«Sì, sì, te l’ho detto per cena saremo al castello» replicò Fagan. «Ti abituerai» tagliò corto dopo un attimo di silenzio.
«Mi abituerò a cosa?».
«Alla routine di Hogwarts» rispose laconicamente l’altro. «Io torno dentro, tu fatti pure un giro».
Enan annuì distrattamente e sospirò.
 
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«Accidenti!» sbottò Mark a bassa voce. Tanto ci aveva giocato, che era riuscito ad allargare lo strappo sul ginocchio dei jeans.
Non sapeva da quanto tempo fosse rinchiuso in quel bagno – fortunatamente molto più pulito in quelli della scuola elementare in cui i suoi compagni lo rinchiudevano per gioco -, non aveva un orologio e si era vergognato da morire di battere sulla porta e attirare l’attenzione su di sé. In più se sua sorella fosse stata là vicino si sarebbe arrabbiata probabilmente. Aveva tentato di cambiare posizione più volte, stando anche all’in piedi, ma alla fine profondamente annoiato si era gettato nuovamente a terra aveva appoggiato le spalle alla porta.
Si rese conto che era stata una pessima idea, soltanto quando qualcuno aprì da fuori all’improvviso e lui cadde all’indietro. Tre paia d’occhi lo fissarono straniti.
«Perché ti sei chiuso nel bagno?» chiese a bruciapelo l’unica ragazza presente. «E perché non hai risposto quando abbiamo bussato?».
Il panico minacciò di impossessarsi del ragazzino, che si affrettò a rialzarsi. Non aveva sentito bussare: probabilmente Alexis aveva incantato la porta insonorizzandola. Mark, però, non rispose sia perché non aveva la minima idea di come spiegare una cosa del genere sia perché aveva riconosciuto la spilla sulla divisa della ragazza. Dire che era terrorizzato, sarebbe stato poco.
«Mi sa che l’hai spaventato, Elly».
«Zitto, Bobby».
Mark fissava intensamente il pavimento, perciò non avrebbe potuto dire che espressione avesse la Caposcuola, ma il tono della sua voce appariva abbastanza autoritario.
Elly pose una mano sotto il mento del ragazzino e lo costrinse a guardala o almeno ci provò, perché Mark fissò con forza un punto alle spalle della ragazza pur di evitarne gli occhi.
«Sei del primo anno, vero?».
Mark deglutì e annuì silenziosamente.
«Chi ti ha chiuso in quel bagno?».
Il ragazzino tremò al solo pensiero di quello che sarebbe accaduto se avesse detto la verità alla Caposcuola: come minimo sua sorella l’avrebbe ucciso. Alla reazione di suo padre, invece, non voleva proprio pensare.
«Non piangere. Non ti obbligherò a dirmelo» lo sorprese la ragazza. Il ragazzino si asciugò le lacrime che gli erano sfuggite, tentando di calmarsi. «Mi chiamo Eleanor Montgomery, ma di solito mi faccio chiamare Elly. Tu come ti chiami?».
«Mark» mormorò il ragazzino.
«Proprio un bel nome» commentò Elly con un sorriso. «Ti va di venire nel nostro scompartimento? I miei amici sono così golosi che hanno comprato una quantità esagerata di cioccorane e naturalmente non le hanno ancora mangiate».
Ancora una volta Mark si limitò ad annuire.
«Bene, loro sono Robert, detto Bobby» disse Elly indicando un ragazzo alto e bruno, «e Lucas». L’altro ragazzo, biondo, rimasto in silenzio per tutta la conversazione, gli sorrise e fece un cenno con la mano in segno di saluto.
«Dove hai lasciato il baule?» chiese a un certo punto Bobby. «Il sole sta tramontando, tra non molto saremo a Hogwarts».
Mark si voltò automaticamente indietro.
«Non c’era nulla nel corridoio» disse Elly intuendo i suoi pensieri.
«I-io n-non s-so dove sia il mio baule» balbettò fuori di sé. L’aveva preso Jay? L’aveva preso Alexis? Sua sorella voleva fargli uno scherzo? Gliel’avevano rubato? Oh Merlino, suo padre l’avrebbe ucciso.
«Dove l’hai visto l’ultima volta?» chiese Lucas parlando per la prima volta.
«Nel corridoio, no? Prima che ti chiudessero in bagno» intervenne Bobby perspicace.
«Sì» sussurrò affranto Mark.
«Chi c’era con te?» gli chiese Elly.
«I miei fratelli» rispose Mark senza pensare.
«E non ti hanno aiutato?» ribatté Bobby, beccandosi un’occhiataccia da Elly.
«Allora l’avranno preso senz’altro loro» commentò la ragazza. «Stai tranquillo, però, siamo su un treno in movimento il tuo baule sarà qui da qualche parte e, ora, Bobby e Lucas, andranno a cercarlo, vero ragazzi?».
«Come si chiamano i tuoi fratelli?» chiese Lucas.
«Alexis e Jay Becker» mormorò Mark.
Lucas gemette alla prospettiva, mentre Bobby sbuffò. «Ricordami di chiedere alla Preside perché ha nominato te Caposcuola e non me. Sei una tiranna».
Elly gli rivolse un gran sorriso e gli superò spingendo avanti Mark.  «Tranquillo, sono contenti di aiutarti, Bobby è un bravo Prefetto, ma io ho voti più alti in alcune materie per questo sono la Caposcuola». Poi ci pensò su e aggiunse: «E anche perché ho più senso pratico probabilmente. Quando non riuscivano ad aprire la porta del bagno, sono corsi a cercarmi».
Mark si lasciò condurre in uno scompartimento leggermente caotico, occupato da una sola persona.
«Oh, allora sei ancora viva. Pensavo che qualche Grifondoro ti avesse tirato uno scherzo».
«Abby, so cavarmela da sola» sbuffò Elly. «Piuttosto che avete combinato in questo scompartimento? Bobby mi sentirà!».
«Chi c’è con te?» chiese la ragazza ignorandola.
Elly alzò gli occhi al cielo. «Lui è Mark, ci farà compagnia per il resto del viaggio. Perché non gli lanci una cioccorana?».
«Non è fuori luogo tirare il cibo?».
«È una cioccolata incartata. Non è come iniziare una battaglia di cibo in Sala Grande» ribatté Elly.
Mark colse il ghigno divertito di Abby, mentre ella gli tirava la cioccorana e il ragazzino si chiese se l’avesse fatto veramente. Comunque non fece domande e si sedette accanto alla Caposcuola.
«Grazie» mormorò scartando il dolce.
La cioccolata sembrò scaldarlo, ma forse era l’ambiente in sé: lo scompartimento era caldo e accogliente, il sedile era comodissimo – certo dopo aver trascorso ore sul pavimento duro e scomodo di un bagno, non ci voleva molto -, le ragazze discutevano animatamente tra loro, ridendo spesso, in più lo riempivano di dolci e piccole attenzioni. Stava così bene, che a un certo punto si assopì senza neanche accorgersene.
 
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«Allora, ragazzina, in che Casa vorresti essere smistata?».
Charlie sbuffò e fissò il ragazzo che le aveva rivolto la domanda. «Secondo te?».
Gli altri risero.
La ragazzina, appena salita sul treno, era scappata lontano dai suoi fratelli – per Willy le dispiaceva, ma non poteva rischiare di farsi catturare -, da Matilde Gould e da quella Elisabeth Foster. Non avrebbe mai sopportato il viaggio in loro compagnia. Aveva vagato per un po’ senza trovare uno scompartimento libero e poi alla ricerca di persone simpatiche alle quali chiedere ospitalità. Il caso aveva voluto che trovasse alcuni ragazzi con la divisa di Grifondoro e, senza pensarci un attimo, si era catapultata nel loro scompartimento.
«Non lo so…» finse di pensarci uno dei ragazzi, che si chiamava Artek Macfusty. «Forse Serpeverde? Hai la lingua abbastanza lunga».
«Assolutamente no!» gridò Charlie alzandosi in piedi e puntando un dito verso il ragazzo.
«Attento, Artek che la ragazzina ti morde» rise un ragazzo di nome Christian Anders.
«Mordo sul serio, quindi non mi provocherei se fossi in voi» minacciò Charlie, incurante del fatto che la circondasse un gruppo di ragazzi tra i sedici e i diciassette anni.
«Va bene, va bene. Fammi indovinare» disse Christian alzando le mani in segno di resa. «Sarai una di noi?».
«Bravo, tu mi piaci!» esclamò Charlie, provocando una serie di sghignazzamenti da parte degli altri ragazzi. «L’anno prossimo entrerò in squadra e vi farò vincere la Coppa del Quidditch! Piuttosto chi è il Capitano?».
«Ah, nota dolente» strillò Artek Macfusty in tono melodrammatico.
«Perché?» chiese Charlie. «Non è bravo?».
«Sta zitto, idiota» sbottò Christian allungando un calcio al compagno. «Vuoi farmi cacciare dalla squadra prima ancora di arrivare al castello?».
«Perché, chi è?» insisté Charlie.
«Oh, la conoscerai se sarai smistata nella nostra Casa» rispose Artek, ignorando il volto cupo di Christian.
«Io sarò smistata a Grifondoro, non se» sibilò la ragazzina.
«Beh, il nostro Capitano è Alexis Becker. Christian è arrabbiato perché si aspettava lui la spilla».
«Sono migliore di lei, sia a scuola sia in campo. Manderà in rovina la squadra» bofonchiò palesemente arrabbiato Christian.
«Oh, no non ti preoccupare» s’intromise Charlie. «Se non sarà un bravo Capitano, la metteremo fuori gioco».
«Stai scherzando?» ribatté basito Christian.
«Oh, Merlino, ma lo sai che ti adoro?» gridò invece Artek. «Non vedo l’ora che tu sia ufficialmente dei nostri!».
«Questo è un posto di matti» borbottò Christian. «Artek sei un Prefetto per Merlino!».
«Ti regalo la spilla quando vuoi» replicò l’altro. «Allora, Charlie, che ne dici se progettiamo qualche scherzetto per quell’antipatica di Becker? Tu mi sembri una dalle idee brillanti».
«Oh, sì. Ho giusto una scorta di caccabombe super-esplosive che vorrei provare» trillò Charlie tutta contenta.
«Sono tutt’orecchi, dimmi un po’ come le vorresti usare» disse altrettanto felice Artek.
«Tutti matti, tutti matti» borbottò Christian passandosi una mano sulla faccia.
 
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«L’ho messa bene? Mi sembra un po’ storta» si lamentò Diana tirando nervosamente il nodo della cravatta.
«Smettila, è solo una stupida cravatta» sbottò Laurence seccato.
«Non si tratta della cravatta» sibilò la ragazzina. «Hai mai sentito parlare di ‘prima impressione’?».
«No, che è? Si mangia?» ribatté l’altro.
«Teddy, dì qualcosa!» sbuffò la ragazzina.
Teddy cercò di fissare il proprio riflesso nel vetro del finestrino, ma era inutile: ormai era buio pesto. «Sì, è vero. La prima impressione è importante» disse distrattamente.
«Secchioni» borbottò Laurence.
«Allacciati la cravatta per bene» esclamò Teddy voltandosi e guardandolo con attenzione.
«Fai sul serio?» ribatté trasecolato l’amico.
«Assolutamente sì. Tua madre mi ha fatto giurare che avresti indossato la divisa per bene, almeno la prima sera».
«E se non voglio?».
«Mi ha detto di legarti al sedile, se necessario».
«Questa poi. Non so se è peggio che il mio migliore amico si allei con mia madre o che mia madre che sia allei con il mio migliore amico!».
«Non è importante» replicò Teddy avvicinandosi al compagno.
«Che intenzioni hai?» domandò Laurence perplesso.
Teddy gli si gettò addosso e lo placcò sul sedile, ignorando le sue grida sdegnate.
«Forza, Diana, sistemagli la cravatta e anche il colletto».
«Tradimento, tradimento, tradimento!» urlò Laurence a squarciagola.
Non impiegheranno che pochi minuti a mettere in ordine la divisa dell’amico, ma fecero abbastanza chiasso da non sentire la porta dello scompartimento aprirsi, perciò sobbalzarono tutti e tre al suono improvviso di una voce sconosciuta.
«Sanguesporco! Dovevo immaginarlo, solo loro sono così rozzi».
«Che hai detto?! Ripetilo se hai il coraggio!» gridò Laurence estraendo la bacchetta e puntandola verso la voce. Teddy e Diana si voltarono.
Sulla porta vi erano due ragazzini che li fissavano ghignando: uno aveva la carnagione chiarissima e i capelli biondi; l’altro al contrario era bruno e più scuro di pelle.
«Abbassa la bacchetta, pivello, non la sai usare» disse sempre lo stesso ragazzo.
«Non credo sia il caso di litigare, finiremmo nei guai prima ancora di arrivare a Scuola» intervenne diplomaticamente Teddy. Quei ragazzi non gli piacevano, ma conosceva a sufficienza Laurence per sapere che la situazione si sarebbe evoluta in una zuffa se non se ne fossero andati immediatamente.
«Ma io so chi sei!» disse a un certo punto il biondino. «Oh, tu sei il figlioccio di Harry Potter! Ti dispiace, se non mi inchino? La puzza di sanguesporco basta a nausearmi».
E Laurence perse la pazienza. Teddy se lo aspettava e lo bloccò prima che colpisse uno dei due ragazzini. «Smettila, non è il caso di metterci nei guai il primo giorno!».
«Oh, che bravo bambino» ironizzò l’altro. «Forse dovremmo prendere esempio da loro, che ne dici Thomas?».
«Forse dovremmo presentarci, così saprebbero con chi hanno a che fare».
«Giusto! Sei più intelligente di quanto pensassi» esclamò il ragazzo biondo. «Allora, signori, avete l’onore di parlare con Antonin Dolohov».
Laurence sputò ai piedi di Antonin, che indietreggiò disgustato. «E tu chi saresti? Un simile sfregio potrei accettarlo soltanto da uno membro delle Sacre Ventotto!».
«Laurence Landerson» ringhiò il ragazzino. «E ricordati questo nome, perché sarà il tuo peggior incubo per i prossimi sette anni!».
Dolohov e il suo amico ridacchiarono.
«Io sono Thomas Mulciber» si presentò il bruno.
«Altro bellissimo cognome» commentò Laurence sputando anche addosso a lui.
«La vostra amichetta chi è?» chiese Dolohov, che non sembrava intenzionato ad andarsene, anzi allungò una mano verso il viso di Diana.
«Ehi, manteniamo le distanze. Non vi schifavate persino del nostro odore?» intervenne Teddy schiaffeggiando la mano di Dolohov.
«Che succede qui?».
Un ragazzo alto e dinoccolato apparve alle spalle di Dolohov e Mulciber.
«Questi ragazzi ci stavano dando fastidio» squittì spaventata Diana.
Teddy s’irrigidì leggermente: quel ragazzo era un Prefetto di Corvonero e non era detto che sarebbe andato a loro favore, d’altronde Laurence non c’era andato piano anche se non li aveva sfiorati con un dito.
«Non è vero, stavamo soltanto facendo conoscenza» ribatté prontamente Dolohov.
«Bene, allora andate. A momenti saremo a Hogsmeade» affermò il ragazzo, ma più che una costatazione apparve un ordine e i due ragazzini furono abbastanza saggi da obbedire.
«Li hai lasciati andare impunemente?! Lo dirò alla Preside!» urlò Laurence furioso. Teddy lo mollò per la sorpresa e lo fissò: mai Laurence Landerson aveva minacciato di rivolgersi alle autorità costituita e si conoscevano dall’asilo. «Ci ha chiamato sanguesporco».
«Ma che significa?» domandò titubante Diana.
«È un insulto per quelli che non hanno i genitori maghi… i Nati Babbani, insomma…» rispose il Prefetto.
«Ah… una persona come me, quindi…» mormorò mestamente Diana.
«È una cosa stupida» disse Teddy per consolarla.
«Ed anche severamente vietata» soggiunse il Prefetto. «Una volta a Hogwarts, riferirò al Vicepreside».
«Oh, bene» commentò Laurence rilassandosi e lisciandosi la divisa.
«Mi chiamo Brian McCallister, se doveste aver bisogno di aiuto non avete che da chiedermelo. Ora devo andare. Ci vediamo a Scuola».
   
 
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