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Autore: Emmastory    15/03/2019    3 recensioni
Come sappiamo, le avventure della fata Kaleia non si sono certo concluse, e come in una sorta di piccolo intermezzo, si nota che le tradizioni natalizie hanno fatto il loro ingresso nel mondo delle fate. Forse ne hanno sempre fatto parte, o forse tale cambiamento è dato dalla loro vicinanza con la comunità umana, ma comunque sia, godetevi la lettura.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XIV
 
Miss Grinch
 
Si svegliò di soprassalto scoprendosi nel suo letto, e la prima cosa che vide fu il buio. Quasi per istinto, si rigirò fra le coperte come alla ricerca di qualcosa, non trovando però nulla di diverso dalla fioca luce della lampada che illuminava i pochi fogli rimasti sullo scrittoio. In breve, quella che un tempo era una risma si era ridotta a pochi superstiti di carta ancora ordinatamente impilati e salvi da un altrimenti segnato destino, fatto di scarabocchi e macchie d'inchiostro. Chi voleva prendere in giro? Lo negava, e spesso era anche pronta a farlo ad alta voce, ma ogni anno, la storia era sempre la stessa. Svegliarsi in quel modo, al buio e al freddo, in inverno era per lei una consuetudine, e conoscendosi, sapeva bene di non poter ammettere altrimenti. Quella stagione tanto fredda non andava certo a genio alla strega Zaria Vaughn, e qualcuno più in alto di lei si ritrovava spesso a dover aiutare le povere anime che visitando saltuariamente la sua stanza cercassero di convincerla del contrario. Principalmente la figlia Marisa e la sua gatta Willow, o più raramente, i classici ragazzini impegnati a giocare nel bosco che circondava la sua casa, e che sembravano raggiungerlo solo per infastidirla. Non era vero, ovvio, ma alla donna avevano sempre dato quest'impressione, e quando accadeva, niente riusciva a smuoverla dalle sue convinzioni. Nel tempo, una sola persona era riuscita a convincerla ad abbassare le sue ipotetiche armi e a liberarsi della corazza con cui si proteggeva, ed era stata Kaleia. La fata da tutti conosciuta come gentile manipolatrice della natura, e in quel caso, anche del suo cuore. La signora Vaughn ricordava ancora l'invito che aveva esteso alla ragazza e al suo protettore, così come il discorso della figlia prima che questa consegnasse quel regalo ai due innamorati. Da allora era passato un anno, e se erano riusciti a convincerla, ora era come se il loro tentativo, il loro gesto e quell'invito non esistessero più. Il tempo scorreva lento, e lei restava a letto. La neve cadeva fuori dalla finestra, il vento fischiava dolcemente, e le coperte le offrivano il rifugio perfetto. Voltandosi, diede le spalle al mondo esterno puntando lo sguardo sul muro accanto al letto, e nel farlo, sbuffò. Ne aveva abbastanza. Perchè doveva succedere ogni anno? Se lo chiedeva ogni volta, e la risposta era sempre la stessa, unica e impossibile da dimenticare. Tradizione. Una parola per lei priva di significato, che racchiudeva in sè tutte le abitudini che gli umani di buon cuore del villaggio poco distante avevano mostrato e insegnato anche alle fate. Fra queste, una festa piena di luci, colori e regali, fatta di duro lavoro e momenti da passare con chi si ama. Quella era la realtà, ma lei non ci credeva affatto. Molti l'avrebbero guardata da lontano e parlato alle sue spalle definendola cattiva, meschina e dal cuore di ghiaccio, e inizialmente, anche la stessa Marisa. Sua figlia, la bambina che lei stessa aveva partorito. Scuotendo la testa, la donna si decise ad alzarsi, raggiungendo la cucina e gettando un ancora stanco occhio alle piccole decorazioni nel salotto appena adiacente. Sveglia da prima di lei, Marisa si era data il suo bel da fare per rendere l'ambiente più vivibile e confortevole in quel periodo di festa, ma guardandole, lei storse il naso, seccata. "Marisa!" chiamò, restando ferma e immobile dov'era e attendendo l'ingresso in scena della giovane. Ligia al dovere come sempre, questa non si fece attendere, e appena un attimo più tardi, si presentò a lei, calma e tranquilla. "Sì, mamma?" chiese, guardandola senza capire. Non proferendo parola, la donna indicò con lo sguardo le due stelle appese al camino del salotto con due minuscoli chiodi. "Cosa sono queste? E soprattutto, cosa ci fanno qui?" chiese, guardandola fisso negli occhi e sputando veleno. "Stelle di Natale. Le ho appese come decorazione. Ormai manca poco, e questi sono giorni speciali." Le rispose la figlia, con la voce che tremava. A quelle parole, la donna mantenne il silenzio, ma una luce assassina le fece brillare sinistramente gli occhi. La quiete permeò l'aria per quella che a entrambe parve un'eternità, e non appena Marisa aprì la bocca per riprendere fiato e calmarsi, sua madre parlò. "Speciali? Speciali? Dico, avrai voglia di scherzare! Sai bene che è una tradizione umana, e noi non lo siamo!" Tuonò, seria e perentoria come mai era stata. Spaventata, Marisa sentì il corpo scosso da tremiti sempre più evidenti. Conoscendo la madre forse meglio di sè, avrebbe dovuto aspettarsi quella reazione così brusca, e nonostante proprio come la stessa madre, anche lei ricordasse quanto era successo con l'amica fata appena l'anno prima, provava il fortissimo desiderio di piangere al solo pensiero. A quanto sembrava, l'odio della donna per il Natale doveva essere stato soltanto mitigato dopo quello che, seccata, la strega definiva un momento di follia, ma svanendo come polvere o nebbia portata via dal vento, era ritornato in superficie, come le bolle che a volte lambivano appena l'acqua del lago. Soffrendo in silenzio, Marisa provava pena per l'anziana madre, e dopo una metaforica eternità trascorsa in silenzio, decise di parlarle. "Non ricordi più, vero?" le chiese, ben sapendo di star andando a toccare un nervo ovviamente scoperto. "Ricordare cosa?" ringhiò la donna in risposta, inviperita. Oltraggiata da quelle parole, la figlia strinse i pugni con rabbia, e chiudendo gli occhi per impedire il libero sfogo della sua rabbia, cercò nel buio attorno a sè il sottile filo di una delle stelle che aveva appeso, e tirando, la liberò dal chiodo con un gesto di stizza. "L'anno scorso, gli anni prima." Sussurrò poi, guardandola con odio, gli occhi ridotti a due fessure. In completo e perfetto silenzio, la strega assistette a quella scena trattenendo il fiato, e in un attimo, la figlia fu lontana, troppo lontana. Fisicamente e metaforicamente insieme. Ammetterlo fu doloroso, ma fu allora che capì. "Marisa... aspetta!" quasi urlò, protendendo istintivamente una mano in avanti. "No! Credevo fossi cambiata, ma ti odio! Ti odio!" replicò la ragazza, voltandosi a guardarla e non riuscendo a trattenere nè fermare il fiume di lacrime che le scendeva dagli occhi. Ferita, non sapeva cosa dire, e accusando dolore ovunque, sentì di aver detto fin troppo. Da quel momento in poi, lunghi minuti scomparvero dalla vita di entrambi, e l'ultimo suono che la strega udì fu quello di una porta sbattuta con violenza. Con il veleno nel cuore, si ritirò nella propria, e occupandosi di rifare il letto con assoluta malagrazia, cercò, anzi, si impose di non pensarci. Per sua sfortuna, tutto fu inutile. Per la seconda volta, infatti, il suo sguardo cadde sui fogli accartocciati e abbandonati sul pavimento o nel cestino accanto al vecchio scrittoio rovinato dal tempo, e avvicinandosi, notò uno strano libro proprio al centro. Incuriosita, decise di esaminarlo, e in quel momento, la verità la colpì, e per lei fu come ricevere un pugno nello stomaco. Davanti a sè non aveva che un album di fotografie, sue e della figlia, e in ogni scatto era un momento perfetto, cristallizzato in un'immagine che le sarebbe appartenuta per sempre. Solo allora capì, solo allora comprese la gravità di quell'errore. Che stava facendo? Cosa le era saltato in mente, e soprattutto, come aveva potuto far prevalere il suo stupido ego fino a farlo scontrare con i sentimenti e con il cuore della figlia? Non lo sapeva, e per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una vera risposta. Era stata una sciocca, una maledetta idiota, e a quanto sembrava, ora era davvero troppo tardi per farsi perdonare. Così, quel mattino sfumò pigramente in pomeriggio, poi in sera, e tenendo quell'album fra le mani prima e stretto al petto attimi dopo, la donna pianse tutte le sue lacrime, non trovando la forza nè il coraggio di ripresentarsi nel salotto di casa per nessuna ragione al mondo, salvo poi costringersi e raggiungerlo non ascoltando altro che il continuo e costante fruscio della stoffa della sua lunga veste da notte sul pavimento. Al contrario di lei, la figlia già dormiva, e aguzzando la vista fra un passo e l'altro, sperò che i suoi occhi si abituassero presto all'oscurità, e quando accadde, non vide attorno a sè altro che desolazione. Le luci spente, le pareti e l'albero spogli degli addobbi visti in precedenza, e sul muro, l'unica foto che non si aspettò di rivedere. La ritraeva assieme alla figlia allora bambina, e nonostante sorridessero, a lei venne da piangere, e con gli occhi nuovamente umidi di lacrime, lesse a fatica la didascalia correlata. "Queste eravamo noi, adesso sei contenta, Miss Grinch?" Parole vere, toccanti e forti, che straziando il suo povero e inquieto cuore, le procurarono la peggior sensazione della sua vita. In tutta onestà, doveva ammettere di non sapere molto sugli umani e sulle loro tradizioni, tanto da essere perfino arrivata a ripudiarle, ma un secondo sguardo a quella foto di un tempo ormai andato fu abbastanza per erudirla. Stando ad una sorta di leggenda, quell'ultima parola era un semplice epiteto, che usato in senso dispregiativo, indicava persone come lei, che prive di cuore, scrupoli, emozioni e tatto, rovinavano la felicità di chi le circondava. Affranta, la donna accarezzò quel frammento di tempo con dita delicate, e il suo mostruoso riflesso nel vetro della finesta poco distante la lasciò muta. Era così che gli altri la vedevano? Era quella l'immagine che sua figlia aveva di lei? Non ne era mai stata sicura, e se il sospetto si era insinuato fra le crepe del suo animo, lei aveva sempre cercato di scacciarlo, fino a quel giorno, quando la realtà sembrava averla schiaffeggiata, dandole modo di riconoscere i suoi errori con spaventoso e riprovevole ritardo. 
 
 
 
Giungiamo così alla quattordicesima storia di questa raccolta, che racconta uno spaccato della  vita della vecchia strega Zaria Vaughn. Si è già visto che ha un motivo per non festeggiare il Natale, e questo è una sorta di sequel, che mostra cosa accade quando davvero si rifiuta di festeggiare. Lasciandosi accecare dall'orgoglio, finisce per ferire la sua stessa figlia, e sentendosi un mostro, trova in una foto la forza di andare avanti, imparando che non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta. Spero che questo scritto incontri il vostro parere, attenderò i vostri commenti,
 
Emmastory :)
   
 
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