Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    16/03/2019    1 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

"Semir non ce la fece più.
Sentì le lacrime calde rigargli il viso e cominciò a singhiozzare, in silenzio. E sorrise tra le lacrime.
Non ci credeva, non riusciva a crederci.
Lo avevano preparato al peggio, gli avevano detto tutti che sarebbe morta, che sarebbe stata solo questione di tempo. E invece...
«Posso vederla?» riuscì a domandare, con la voce rotta dall’emozione.
«Domani, ispettore.» accordò Schneider, poggiandogli una mano sulla spalla «Domani...»."

Mondo beffardo

GIORNO 39.

Ben rimase addossato alla parete, immobile e muto, per tutta la durata dei controlli.
Osservava Schneider eseguire il suo lavoro in modo meticoloso e si chiedeva a che cosa di preciso stesse assistendo: davvero a un miracolo?
Andrea, stesa sul letto, seguiva con lo sguardo il dottore, rispondendo a ciò che egli le chiedeva, sforzandosi di rimanere lucida e cosciente.
Guardandola, Ben si sentiva terribilmente spaesato.
Ogni giorno era passato a salutarla e ogni giorno l’aveva trovata immobile nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciata il giorno prima, con il respiro a mala pena udibile e gli occhi sigillati. Ma adesso, la moglie del suo migliore amico era sveglia, reagiva agli stimoli e rispondeva alle domande del medico, seppur a fatica, in modo impeccabile.

«Okay, perfetto.» esclamò Chris Schneider all’improvviso, facendo sobbalzare il giovane ispettore «Per adesso ho finito. È... sorprendente, davvero. Ovviamente avrà bisogno di molto riposo e di rimanere monitorata, ma sembra... sembra che non vi siano danni permanenti dovuti al coma.».
Andrea accennò ad un sorriso, poi spostò lo sguardo su Ben, che però tornò a fissare le piastrelle del pavimento, colto all’improvviso da una specie di strano imbarazzo.
«Ben, se vuoi puoi rimanere qualche minuto.» continuò Schneider, poggiando all’ispettore una mano sulla spalla, con un sorriso.
«Dottore...» lo chiamò Andrea, con un filo di voce «Vorrei... io vorrei vedere mio marito.».
Il medico annuì, avviandosi verso la porta «Vado a vedere come sta, signora Schäfer. Nel frattempo la lascio con Ben, d’accordo?».
Poi l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso, lasciò la stanza e si richiuse la porta alle spalle.

Ben si avvicinò al letto, titubante, e si sedette sulla sedia posta accanto alla donna distesa.
Impiegò qualche lungo secondo ad alzare lo sguardo su di lei. Era come se pensasse che qualsiasi brusco movimento avrebbe potuto da un momento all’altro capovolgere di nuovo la situazione, rompere l’incantesimo. E lui non voleva che accadesse.
Fu Andrea a parlare per prima, e lo fece con un tono di voce talmente basso che l’ispettore dovette avvicinarsi per riuscire a udirla.
«Ben... tutto bene?» domandò, sforzandosi di mantenere gli occhi ben aperti.
«Sì, certo, sì.» balbettò il giovane poliziotto, guardandola negli occhi «Scusa Andrea, è che io sono... sono... insomma, ci avevano detto che non ti saresti svegliata. Noi eravamo preparati al peggio.».
La donna annuì, piano.
Era contenta che il ragazzo fosse lì. Sapeva che non avrebbe mai abbandonato né lei né tantomeno il marito, e questo la faceva sentire sicura.
«Ben... dimmi che cosa... è successo...» mormorò, con un filo di voce.
Ben sbiancò all’istante. Di nuovo. Lo aveva già fatto con Semir e la prima volta non era andata bene. Non se la sentiva di farlo ancora, di dare ancora le stesse cattive notizie. Non ne aveva la forza.
Senza nemmeno accorgersene, stava già scuotendo il capo, terrorizzato.
«Ben... per favore.».
«Andrea, senti, io credo che tu prima dovresti riposare e poi...».
«Ben.» lo interruppe lei, con voce a mala pena udibile, eppure decisa «So già tutto... ho alcuni ricordi... mentre ero in coma Aida mi parlava e anche tu, e io ricordo quello che mi avete detto. Io so già...».
«Allora non farmelo ripetere... per favore.» controbatté Ben, quasi supplicando.
Non voleva dirlo. Non voleva dire a una madre che sua figlia era rimasta uccisa, non l’avrebbe fatto, non più.
«Io... io l’ho sentito, Ben.» fece Andrea, sempre sussurrando.
I suoi occhi chiari erano lucidi.
Il silenzio occupò la stanza per parecchi secondi.
Lo sapeva, Ben immaginava che Andrea sapesse tutto. E, a maggior ragione, non avrebbe pronunciato quelle parole.
Si limitò a seguire con lo sguardo la lacrima che silenziosa scendeva dagli occhi della donna, senza dire niente. Aspettò qualche minuto, in cui non accadde nulla, in cui lei piangeva in silenzio e il silenzio era sempre più immenso.
«L’ultima cosa che Lily ha visto, prima che ci rapissero... siamo stati io e Semir che litigavamo.» disse lei, a un tratto, con la voce rotta dall’emozione «L’ultima cosa che ha visto...».
«Andrea, non dire così...».
«Almeno...» aggiunse poi, con una lacrima ancora ferma sul viso «Almeno, se non vuoi parlarmi di Lily, dimmi come sta Semir.».
Parlava piano, faceva ancora troppa fatica a parlare.
Ben rispose nuovamente con il silenzio.
Le immagini del giorno prima, quando finalmente l’amico si era sfogato almeno in parte, gli tornarono prepotenti alla memoria. E poi quella frase, quella domanda che più di tutte lo aveva lasciato senza parole. Perché non mi avete lasciato morire?
Il giovane ispettore sospirò, continuando a non rispondere.
«Io voglio vederlo.» replicò Andrea, in un sussurro «Devo vedere mio marito...».

«Devo vedere Andrea.» fece Semir, non appena vide il dottor Schneider oltrepassare la soglia della sua stanza.
Chris si avvicinò al letto su cui era steso il suo paziente e un mezzo sorriso gli spuntò sulle labbra. Quell’uomo continuava a ricordargli tanto se stesso e il fatto che lui e la moglie continuassero a chiedere l’uno dell’altra gli faceva stranamente tenerezza.
«Con calma, ispettore, ora la porto da lei. Sua moglie ha una forza straordinaria, lo sa? Sembra non aver riportato danni e dopo più di venti giorni di coma questa è una notizia sorprendente, mi creda.».
Semir accennò un sorriso.
«Mi porti da lei, dottore, per favore.».
Schneider annuì, con calma. Si avvicinò al suo paziente e reclinò lo schienale de letto in modo che sollevarsi fosse più semplice, quindi aiutò Semir a mettersi seduto sul letto.
Poi sistemò la sedia a rotelle il più vicino possibile al letto e la fissò al pavimento.
«Pronto, ispettore?» domandò, con decisione «Se la sente?».
L’altro annuì, anche se la testa, come ogni volta che da sdraiato si metteva seduto, cominciava a girargli.
«Bene.» commentò il medico, pronto a sorreggere il suo paziente.
In men che non si dica, Semir si ritrovò seduto sulla sedia a rotelle, che ora Schneider stava dirigendo fuori dalla stanza. Provò a ordinare alla sua testa di fermarsi, mentre spinto dal dottore percorreva il bianco corridoio che lo avrebbe portato da sua moglie.
Ma la testa continuava a girare e il cuore aveva cominciato a battere a mille.
Chissà se Andrea sapeva. Chissà se sapeva di Lily. Chissà se sapeva delle sue gambe. Chissà se avrebbero mai potuto, davvero, ricominciare.


Ben uscì dalla stanza e aspettò che il medico, dopo aver sistemato la sedia a rotelle di Semir accanto al letto di Andrea, facesse altrettanto. Quando vide Schneider uscire in corridoio, gli sorrise e si diresse verso di lui, che si sistemava nervosamente gli occhiali sul naso.
«Ecco fatto.» esordì il dottore, indicando con lo sguardo la porta chiusa della stanza di Andrea «Finalmente possono parlare. Spero non ci siano altre complicazioni.».
«Lo spero anche io.» replicò Ben, con un sospiro, lasciandosi cadere seduto su una delle scomode sedie di plastica che occupavano parte del corridoio di fronte alle stanze.
«Chris, non credi che sarebbe possibile metterli nella stessa stanza, da ora in poi?» chiese poi, cercando con il medico un contatto visivo «Immagino dovranno stare ancora entrambi in ospedale e credo che... che stare insieme potrebbe aiutarli.».
«Vedrò quello che posso fare, Ben.» rispose Schneider con un mezzo sorriso, facendo poi per voltarsi e tornare al proprio lavoro.
Ma Ben lo fermò prima che l’uomo potesse allontanarsi anche solo di pochi passi.
«Chris, aspetta... ti devo chiedere una cosa.» disse, attirando nuovamente la sua attenzione.
Il dottore tornò a guardarlo, rimanendo però in piedi di fronte a lui.
«Ben, ho dei pazienti da controllare e...».
«Che cosa è successo a tua figlia, Chris?».
La domanda giunse talmente inaspettata che il medico non ebbe il tempo di prepararsi una risposta, un’espressione, oppure di sviare il discorso. Non ebbe il tempo di fare nulla, rimase semplicemente immobile, spalancando gli occhi e fissando l’ispettore che aveva di fronte come se si trattasse di un veggente.
«Che cosa... come...» balbettò, incredulo.
Mai una volta Ben lo aveva visto in quello stato. Mai una volta, fino a quell’istante, lo aveva trovato impreparato davanti a una domanda, senza parole come era in quel momento.
«Ben, come... di... di che cosa stai parlando?».
«Chris... ho visto come ti sei dedicato a Semir, sai? Ho visto quanto sei stato disponibile, ben oltre ogni aspettativa. Me ne sono accorto. Inizialmente pensavo che il caso ti stesse a cuore per qualche ragione che io non avrei mai compreso, ma poi...» Ben fece una breve pausa, scuotendo appena il capo e fissando il suo interlocutore negli occhi, senza lasciargli alcuna via di fuga «Poi, una settimana fa, ti ho chiesto come mai Semir non affrontasse l’argomento di Lily. E tu mi hai risposto che ognuno affronta un dolore del genere in modo diverso, e poi mi stavi per raccontare qualcosa, ma immediatamente ti sei bloccato e te ne sei andato, dicendo di avere dei pazienti da visitare. Quindi, Chris, se posso saperlo... che cosa è successo a tua figlia?».
Schneider sospirò.
Improvvisamente si sentì nudo, scoperto. Scacco matto.
Si sedette accanto al giovane ispettore, togliendosi gli occhiali e cominciando a pulirne le lenti ossessivamente, con un lembo del camice, come se quel gesto potesse in qualche modo aiutarlo a rilasciare la tensione.
«Ben, è una storia di molto tempo fa.».
«E sei sicuro di non avere bisogno di parlarne?» replicò Ben, con decisione.
Il medico scosse appena il capo, senza alzare lo sguardo sul ragazzo.
«Avevo una figlia, è vero. E l’ho persa, per questo immagino come possa sentirsi il tuo collega. Ma è successo tanto tempo fa.».
«Che cosa è successo, Chris?».
Schneider sospirò piano. Non lo aveva previsto. Non aveva pianificato di parlarne, in dieci anni non lo aveva mai fatto quasi con nessuno. Eppure, contro ogni aspettativa, cominciò a raccontare.
«Un incidente. Dieci anni fa... Io guidavo, ero in macchina con mia moglie e la mia bambina, Laila... aveva cinque anni. Io non... non ho visto un camion, non l’ho visto arrivare. E la cosa buffa è che non mi è successo niente, Ben. Mia moglie era ridotta in fin di vita, la mia bambina era morta sul colpo e io non mi ero fatto nulla.».
L’uomo si interruppe, prese un respiro.
Era passato tanto tempo, ma ancora quella ferita faceva male, troppo male.
«Lei poi si riprese. Mia moglie, intendo. E poi... poi mi lasciò. Lei non mi ha mai perdonato, io credo che... credo che ancora pensi che sia stata solo colpa mia. E anche io l’ho creduto, per tantissimo tempo. Sapessi quante volte ho sperato di morire, Ben. Sapessi quante volte sono tornato a quell’incrocio, fermandomici in mezzo, sperando che un furgone sbucasse dal nulla e mi travolgesse. Sapessi quante volte...».
Ben ascoltava senza fiatare, immobile e attento. Ora capiva ogni cosa.
«E poi?».
«Poi cosa, Ben?».
«Come hai fatto a...» l’ispettore si interruppe, senza nemmeno sapere bene che cosa volesse chiedere.
«Come ho fatto a ricominciare a vivere?» concluse Schneider, al suo posto «Ci sono voluti mesi, mesi interminabili. Non so che cosa sia stato, Ben. So che un giorno mi sono guardato allo specchio... e ho capito. Ho capito che la mia Laila non avrebbe mai voluto che io smettessi di vivere, che io mi trasformassi in un fantasma senza anima e senza uno scopo. Così, semplicemente, ho ricominciato. E non è stato semplice, Ben, non lo è stato per niente. Ma ce l’ho fatta e ora sto bene, e salvo vite umane. E lo faccio ancora meglio di quanto non facessi prima, perché ora so quanto vale ogni vita che mi capita tra le mani. Ora so che la mia vita ha uno scopo.».
«Io non... non sapevo tutto questo...» balbettò Ben, immaginando che forse avrebbe fatto meglio a stare zitto, a non intromettersi in ricordi così privati, che indubbiamente ancora facevano male.
«Non ti preoccupare.» fece il medico, tornando finalmente a guardarlo negli occhi.
«Chris, io ho paura che Semir...».
«Ce la farà, Ben.» lo interruppe Schneider, con un sorriso «Ha sua moglie, ha un’altra meravigliosa bambina e ha te, che sei il migliore amico che potesse desiderare. Ce la farà.».
Il giovane ispettore ricambiò il sorriso, chiedendosi quanti angeli custodi fossero scesi sul suo cammino nel giro di pochi giorni. Prima il signore baffuto dall’accento inglese, poi il dottor Schneider. Persone che erano entrate nella sua vita per caso e che gli stavano facendo bene.
«Comunque il mondo è beffardo, sai Ben?» continuò il medico, con uno strano sorriso «Il giorno in cui il tuo amico è arrivato in ospedale, il giorno in cui la bambina è morta e in cui noi ci siamo conosciuti, era il 30 di Novembre. Dieci anni esatti dall’incidente in cui era morta Laila. Dieci anni esatti... e io mi sono ritrovato a vivere una situazione simile, ma in terza persona. Per questo tenevo e tengo alla sorte dell’ispettore Gerkhan, come e più che a quella di altri pazienti.».
«Il mondo è proprio beffardo.» concluse Ben, con un sospiro.
«Comunque, ho davvero altri pazienti da controllare.» fece a un tratto Schneider, alzandosi dalla sedia e interrompendo il silenzio che si era appena venuto a creare «Devo andare.».
«Certo, Chris. Grazie, non eri tenuto a raccontarmi questa storia.» rispose l’ispettore, sorridendogli con gratitudine.
Il medico riposizionò con cura gli occhiali davanti ai propri grandi occhi azzurri, poi gli fece l’occhiolino «Non ti preoccupare, l’ho fatto volentieri.» disse voltandosi.
«Ora vado, vedrò di far sistemare l’ispettore Gerkhan e la moglie in un’unica stanza, te lo prometto.» aggiunse, prima di allontanarsi e sparire in fondo al corridoio, avvolto nel suo ampio camice bianco.

 

N.d.A.
E anche il passato del medico è stato svelato.
Ci avviciniamo alla fine, tengo molto ai prossimi capitoli, spero davvero possano lasciarvi qualcosa.
Grazie a chi continua a leggere, a presto!
Sophie

  
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