Dal capitolo precedente:
"Semir non ce la
fece più.
Sentì le lacrime calde rigargli il viso e
cominciò a singhiozzare, in silenzio.
E sorrise tra le lacrime.
Non ci credeva, non riusciva a crederci.
Lo avevano preparato al peggio, gli avevano detto tutti che sarebbe
morta, che
sarebbe stata solo questione di tempo. E invece...
«Posso vederla?» riuscì a domandare, con
la voce rotta dall’emozione.
«Domani, ispettore.» accordò Schneider,
poggiandogli una mano sulla spalla
«Domani...»."
Mondo beffardo
GIORNO 39.
Ben
rimase addossato alla parete,
immobile e muto, per tutta la durata dei controlli.
Osservava Schneider eseguire il suo lavoro in modo meticoloso e si
chiedeva a
che cosa di preciso stesse assistendo: davvero a un miracolo?
Andrea, stesa sul letto, seguiva con lo sguardo il dottore, rispondendo
a ciò
che egli le chiedeva, sforzandosi di rimanere lucida e cosciente.
Guardandola, Ben si sentiva terribilmente spaesato.
Ogni giorno era passato a salutarla e ogni giorno l’aveva
trovata immobile
nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciata il
giorno prima, con il
respiro a mala pena udibile e gli occhi sigillati. Ma adesso, la moglie
del suo
migliore amico era sveglia, reagiva agli stimoli e rispondeva alle
domande del
medico, seppur a fatica, in modo impeccabile.
«Okay,
perfetto.» esclamò Chris
Schneider all’improvviso, facendo sobbalzare il giovane
ispettore «Per adesso
ho finito. È... sorprendente, davvero. Ovviamente
avrà bisogno di molto riposo
e di rimanere monitorata, ma sembra... sembra che non vi siano danni
permanenti
dovuti al coma.».
Andrea accennò ad un sorriso, poi spostò lo
sguardo su Ben, che però tornò a
fissare le piastrelle del pavimento, colto all’improvviso da
una specie di
strano imbarazzo.
«Ben, se vuoi puoi rimanere qualche minuto.»
continuò Schneider, poggiando
all’ispettore una mano sulla spalla, con un sorriso.
«Dottore...» lo chiamò Andrea, con un
filo di voce «Vorrei... io vorrei vedere
mio marito.».
Il medico annuì, avviandosi verso la porta «Vado a
vedere come sta, signora
Schäfer. Nel frattempo la lascio con Ben,
d’accordo?».
Poi l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso,
lasciò la stanza e si richiuse
la porta alle spalle.
Ben
si avvicinò al letto,
titubante, e si sedette sulla sedia posta accanto alla donna distesa.
Impiegò qualche lungo secondo ad alzare lo sguardo su di
lei. Era come se
pensasse che qualsiasi brusco movimento avrebbe potuto da un momento
all’altro
capovolgere di nuovo la situazione, rompere l’incantesimo. E
lui non voleva che
accadesse.
Fu Andrea a parlare per prima, e lo fece con un tono di voce talmente
basso che
l’ispettore dovette avvicinarsi per riuscire a udirla.
«Ben... tutto bene?» domandò,
sforzandosi di mantenere gli occhi ben aperti.
«Sì, certo, sì.»
balbettò il giovane poliziotto, guardandola negli occhi
«Scusa
Andrea, è che io sono... sono... insomma, ci avevano detto
che non ti saresti
svegliata. Noi eravamo preparati al peggio.».
La donna annuì, piano.
Era contenta che il ragazzo fosse lì. Sapeva che non avrebbe
mai abbandonato né
lei né tantomeno il marito, e questo la faceva sentire
sicura.
«Ben... dimmi che cosa... è successo...»
mormorò, con un filo di voce.
Ben sbiancò all’istante. Di nuovo. Lo aveva
già fatto con Semir e la prima
volta non era andata bene. Non se la sentiva di farlo ancora, di dare
ancora le
stesse cattive notizie. Non ne aveva la forza.
Senza nemmeno accorgersene, stava già scuotendo il capo,
terrorizzato.
«Ben... per favore.».
«Andrea, senti, io credo che tu prima dovresti riposare e
poi...».
«Ben.» lo interruppe lei, con voce a mala pena
udibile, eppure decisa «So già
tutto... ho alcuni ricordi... mentre ero in coma Aida mi parlava e
anche tu, e
io ricordo quello che mi avete detto. Io so
già...».
«Allora non farmelo ripetere... per favore.»
controbatté Ben, quasi
supplicando.
Non voleva dirlo. Non voleva dire a una madre che sua figlia era
rimasta
uccisa, non l’avrebbe fatto, non più.
«Io... io l’ho sentito, Ben.» fece
Andrea, sempre sussurrando.
I suoi occhi chiari erano lucidi.
Il silenzio occupò la stanza per parecchi secondi.
Lo sapeva, Ben immaginava che Andrea sapesse tutto. E, a maggior
ragione, non
avrebbe pronunciato quelle parole.
Si limitò a seguire con lo sguardo la lacrima che silenziosa
scendeva dagli
occhi della donna, senza dire niente. Aspettò qualche
minuto, in cui non
accadde nulla, in cui lei piangeva in silenzio e il silenzio era sempre
più
immenso.
«L’ultima cosa che Lily ha visto, prima che ci
rapissero... siamo stati io e
Semir che litigavamo.» disse lei, a un tratto, con la voce
rotta dall’emozione
«L’ultima cosa che ha visto...».
«Andrea, non dire così...».
«Almeno...» aggiunse poi, con una lacrima ancora
ferma sul viso «Almeno, se non
vuoi parlarmi di Lily, dimmi come sta Semir.».
Parlava piano, faceva ancora troppa fatica a parlare.
Ben rispose nuovamente con il silenzio.
Le immagini del giorno prima, quando finalmente l’amico si
era sfogato almeno
in parte, gli tornarono prepotenti alla memoria. E poi quella frase,
quella
domanda che più di tutte lo aveva lasciato senza parole. Perché non mi avete lasciato morire?
Il giovane ispettore sospirò, continuando a non
rispondere.
«Io voglio vederlo.» replicò Andrea, in
un sussurro «Devo vedere mio
marito...».
«Devo
vedere Andrea.» fece Semir, non appena vide il dottor
Schneider
oltrepassare la soglia della sua stanza.
Chris si avvicinò al letto su cui era steso il suo paziente
e un mezzo sorriso
gli spuntò sulle labbra. Quell’uomo continuava a
ricordargli tanto se stesso e
il fatto che lui e la moglie continuassero a chiedere l’uno
dell’altra gli
faceva stranamente tenerezza.
«Con calma, ispettore, ora la porto da lei. Sua moglie ha una
forza
straordinaria, lo sa? Sembra non aver riportato danni e dopo
più di venti
giorni di coma questa è una notizia sorprendente, mi
creda.».
Semir accennò un sorriso.
«Mi porti da lei, dottore, per favore.».
Schneider annuì, con calma. Si avvicinò al suo
paziente e reclinò lo schienale
de letto in modo che sollevarsi fosse più semplice, quindi
aiutò Semir a
mettersi seduto sul letto.
Poi sistemò la sedia a rotelle il più vicino
possibile al letto e la fissò al
pavimento.
«Pronto, ispettore?» domandò, con
decisione «Se la sente?».
L’altro annuì, anche se la testa, come ogni volta
che da sdraiato si metteva
seduto, cominciava a girargli.
«Bene.» commentò il medico, pronto a
sorreggere il suo paziente.
In men che non si dica, Semir si ritrovò seduto sulla sedia
a rotelle, che ora
Schneider stava dirigendo fuori dalla stanza. Provò a
ordinare alla sua testa
di fermarsi, mentre spinto dal dottore percorreva il bianco corridoio
che lo
avrebbe portato da sua moglie.
Ma la testa continuava a girare e il cuore aveva cominciato a battere a
mille.
Chissà se Andrea sapeva. Chissà se sapeva di
Lily. Chissà se sapeva delle sue
gambe. Chissà se avrebbero mai potuto, davvero, ricominciare.
Ben uscì dalla stanza e aspettò che il medico,
dopo aver sistemato la sedia a
rotelle di Semir accanto al letto di Andrea, facesse altrettanto.
Quando vide
Schneider uscire in corridoio, gli sorrise e si diresse verso di lui,
che si
sistemava nervosamente gli occhiali sul naso.
«Ecco fatto.» esordì il dottore,
indicando con lo sguardo la porta chiusa della
stanza di Andrea «Finalmente possono parlare. Spero non ci
siano altre
complicazioni.».
«Lo spero anche io.» replicò Ben, con un
sospiro, lasciandosi cadere seduto su
una delle scomode sedie di plastica che occupavano parte del corridoio
di
fronte alle stanze.
«Chris, non credi che sarebbe possibile metterli nella stessa
stanza, da ora in
poi?» chiese poi, cercando con il medico un contatto visivo
«Immagino dovranno
stare ancora entrambi in ospedale e credo che... che stare insieme
potrebbe
aiutarli.».
«Vedrò quello che posso fare, Ben.»
rispose Schneider con un mezzo sorriso,
facendo poi per voltarsi e tornare al proprio lavoro.
Ma Ben lo fermò prima che l’uomo potesse
allontanarsi anche solo di pochi
passi.
«Chris, aspetta... ti devo chiedere una cosa.»
disse, attirando nuovamente la
sua attenzione.
Il dottore tornò a guardarlo, rimanendo però in
piedi di fronte a lui.
«Ben, ho dei pazienti da controllare e...».
«Che cosa è successo a tua figlia,
Chris?».
La domanda giunse talmente inaspettata che il medico non ebbe il tempo
di
prepararsi una risposta, un’espressione, oppure di sviare il
discorso. Non ebbe
il tempo di fare nulla, rimase semplicemente immobile, spalancando gli
occhi e
fissando l’ispettore che aveva di fronte come se si trattasse
di un veggente.
«Che cosa... come...» balbettò,
incredulo.
Mai una volta Ben lo aveva visto in quello stato. Mai una volta, fino a
quell’istante, lo aveva trovato impreparato davanti a una
domanda, senza parole
come era in quel momento.
«Ben, come... di... di che cosa stai parlando?».
«Chris... ho visto come ti sei dedicato a Semir, sai? Ho
visto quanto sei stato
disponibile, ben oltre ogni aspettativa. Me ne sono accorto.
Inizialmente
pensavo che il caso ti stesse a cuore per qualche ragione che io non
avrei mai
compreso, ma poi...» Ben fece una breve pausa, scuotendo
appena il capo e
fissando il suo interlocutore negli occhi, senza lasciargli alcuna via
di fuga
«Poi, una settimana fa, ti ho chiesto come mai Semir non
affrontasse
l’argomento di Lily. E tu mi hai risposto che ognuno affronta
un dolore del
genere in modo diverso, e poi mi stavi per raccontare qualcosa, ma
immediatamente ti sei bloccato e te ne sei andato, dicendo di avere dei
pazienti da visitare. Quindi, Chris, se posso saperlo... che cosa
è successo a
tua figlia?».
Schneider sospirò.
Improvvisamente si sentì nudo, scoperto. Scacco matto.
Si sedette accanto al giovane ispettore, togliendosi gli occhiali e
cominciando
a pulirne le lenti ossessivamente, con un lembo del camice, come se
quel gesto
potesse in qualche modo aiutarlo a rilasciare la tensione.
«Ben, è una storia di molto tempo fa.».
«E sei sicuro di non avere bisogno di parlarne?»
replicò Ben, con decisione.
Il medico scosse appena il capo, senza alzare lo sguardo sul ragazzo.
«Avevo una figlia, è vero. E l’ho persa,
per questo immagino come possa
sentirsi il tuo collega. Ma è successo tanto tempo
fa.».
«Che cosa è successo, Chris?».
Schneider sospirò piano. Non lo aveva previsto. Non aveva
pianificato di
parlarne, in dieci anni non lo aveva mai fatto quasi con nessuno.
Eppure,
contro ogni aspettativa, cominciò a raccontare.
«Un incidente. Dieci anni fa... Io guidavo, ero in macchina
con mia moglie e la
mia bambina, Laila... aveva cinque anni. Io non... non ho visto un
camion, non
l’ho visto arrivare. E la cosa buffa è che non mi
è successo niente, Ben. Mia
moglie era ridotta in fin di vita, la mia bambina era morta sul colpo e
io non
mi ero fatto nulla.».
L’uomo si interruppe, prese un respiro.
Era passato tanto tempo, ma ancora quella ferita faceva male, troppo
male.
«Lei poi si riprese. Mia moglie, intendo. E poi... poi mi
lasciò. Lei non mi ha
mai perdonato, io credo che... credo che ancora pensi che sia stata
solo colpa
mia. E anche io l’ho creduto, per tantissimo tempo. Sapessi
quante volte ho
sperato di morire, Ben. Sapessi quante volte sono tornato a
quell’incrocio,
fermandomici in mezzo, sperando che un furgone sbucasse dal nulla e mi
travolgesse. Sapessi quante volte...».
Ben ascoltava senza fiatare, immobile e attento. Ora capiva ogni cosa.
«E poi?».
«Poi cosa, Ben?».
«Come hai fatto a...» l’ispettore si
interruppe, senza nemmeno sapere bene che
cosa volesse chiedere.
«Come ho fatto a ricominciare a vivere?» concluse
Schneider, al suo posto «Ci
sono voluti mesi, mesi interminabili. Non so che cosa sia stato, Ben.
So che un
giorno mi sono guardato allo specchio... e ho capito. Ho capito che la
mia
Laila non avrebbe mai voluto che io smettessi di vivere, che io mi
trasformassi
in un fantasma senza anima e senza uno scopo. Così,
semplicemente, ho
ricominciato. E non è stato semplice, Ben, non lo
è stato per niente. Ma ce
l’ho fatta e ora sto bene, e salvo vite umane. E lo faccio
ancora meglio di
quanto non facessi prima, perché ora so quanto vale ogni
vita che mi capita tra
le mani. Ora so che la mia vita ha uno scopo.».
«Io non... non sapevo tutto questo...»
balbettò Ben, immaginando che forse
avrebbe fatto meglio a stare zitto, a non intromettersi in ricordi
così
privati, che indubbiamente ancora facevano male.
«Non ti preoccupare.» fece il medico, tornando
finalmente a guardarlo negli
occhi.
«Chris, io ho paura che Semir...».
«Ce la farà, Ben.» lo interruppe
Schneider, con un sorriso «Ha sua moglie, ha
un’altra meravigliosa bambina e ha te, che sei il migliore
amico che potesse
desiderare. Ce la farà.».
Il giovane ispettore ricambiò il sorriso, chiedendosi quanti
angeli custodi
fossero scesi sul suo cammino nel giro di pochi giorni. Prima il
signore
baffuto dall’accento inglese, poi il dottor Schneider.
Persone che erano
entrate nella sua vita per caso e che gli stavano facendo bene.
«Comunque il mondo è beffardo, sai Ben?»
continuò il medico, con uno strano
sorriso «Il giorno in cui il tuo amico è arrivato
in ospedale, il giorno in cui
la bambina è morta e in cui noi ci siamo conosciuti, era il
30 di Novembre.
Dieci anni esatti dall’incidente in cui era morta Laila.
Dieci anni esatti... e
io mi sono ritrovato a vivere una situazione simile, ma in terza
persona. Per
questo tenevo e tengo alla sorte dell’ispettore Gerkhan, come
e più che a
quella di altri pazienti.».
«Il mondo è proprio beffardo.» concluse
Ben, con un sospiro.
«Comunque, ho davvero altri pazienti da
controllare.» fece a un tratto
Schneider, alzandosi dalla sedia e interrompendo il silenzio che si era
appena
venuto a creare «Devo andare.».
«Certo, Chris. Grazie, non eri tenuto a raccontarmi questa
storia.» rispose
l’ispettore, sorridendogli con gratitudine.
Il medico riposizionò con cura gli occhiali davanti ai
propri grandi occhi
azzurri, poi gli fece l’occhiolino «Non ti
preoccupare, l’ho fatto volentieri.»
disse voltandosi.
«Ora vado, vedrò di far sistemare
l’ispettore Gerkhan e la moglie in un’unica
stanza, te lo prometto.» aggiunse, prima di allontanarsi e
sparire in fondo al
corridoio, avvolto nel suo ampio camice bianco.
N.d.A.
E anche il passato del medico è stato svelato.
Ci avviciniamo alla fine, tengo molto ai prossimi capitoli, spero
davvero
possano lasciarvi qualcosa.
Grazie a chi continua a leggere, a presto!
Sophie