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Autore: FridaMooney98    20/03/2019    0 recensioni
Aron e Damian sono Cacciatori. Le loro prede, le Bestie della Luna, sono tanto importanti quanto rare e a loro hanno dedicato una missione che si protrae da secoli. Safiria è malata, indifesa e ferita e, per un triste gioco del destino, si ritroverà sulla loro strada. Attraverso il tempo e viaggiando per l'Europa, i Cacciatori e la ragazza dovranno scoprire cosa si cela dietro la maledizione delle Bestie della Luna. Dal testo: "Damian seguì con lo sguardo la luce del sole, che passando dai fori della tapparella si proiettava sul muro opposto in fasci lucenti. Bisognava coprirli meglio quella notte, subito dopo essere tornati dal giro di perlustrazione. Le “sensazioni” di Damian avevano condotto i Cacciatori in quel paesino, alla ricerca di un nuovo esemplare. Sperando nella buona riuscita dell’indagine, Damian e suo fratello sorrisero, i loro denti brillanti che luccicavano nell'ombra. Al tramonto, l’unico suono nella stanza era l’eco dei loro cuori che acceleravano accogliendo il buio."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Safiria terminò di cenare lentamente, senza fretta. Sapeva che quella sera Damian si sarebbe ripresentato. Ma quanto sarebbe stato disposto ad aspettare, prima di portarla via? Safiria si strinse su se stessa, sentendo lo stomaco contorcersi. Sarebbe accaduto prima o poi, Damian l’avrebbe portata via con se. E lei l’avrebbe accettato senza fiatare. Quando fece per alzarsi, Morgan la fermò. L’aveva osservata per tutta la cena. –Isobel, vai in camera tua.- La sorella maggiore si voltò verso Safiria con un’espressione interrogativa ma fece come il padre le aveva ordinato. –Va bene… Buonanotte Saf.- E cercò di sorriderle. Safiria ricambiò senza entusiasmo, attese che la sorella se ne fosse andata, poi si voltò verso suo padre, lo sguardo imperturbabile. –Safiria, dobbiamo discutere di una cosa molto importante. Anche se avrei preferito che tu me ne avessi parlato molto tempo fa...- Saf capì all’istante ma lasciò che il padre continuasse. –Da mesi ormai sono a conoscenza delle tue uscite notturne.- -Non sono mai uscita dal confine del giardino. Non provo a scappare.- Morgan annuì: -Lo so. Perché non me ne hai parlato?- Saf si abbandonò sullo schienale: -Cosa potevo dirti? Non avresti mai approvato, hai troppa paura che io cerchi di andarmene. Avresti blindato la porta finestra della mia camera. E qualsiasi altra uscita.- Morgan si sentiva un padre terribile. Non poteva in alcun modo difendersi da quelle accuse, erano tutte vere. Ma adesso, doveva trovare il modo di non permetterle più di uscire, come Cloude aveva detto. Non senza fatica, Morgan si alzò e fissò sua figlia negli occhi: -Proprio così, ho paura che tu te ne vada. Per questo non posso permettere che questa cosa vada avanti. Per il tuo bene, non uscire più dalla tua camera. O sarò costretto a chiuderla a chiave, come tu hai detto.- Safiria da subito non fece una piega. Rimase a fissarlo in silenzio, senza muoversi. Poi parlò, con una calma quasi inquietante: -Uscirò comunque. In un modo o nell’altro uscirò da questa casa ogni notte. Che ti piaccia o no.- Morgan strinse i denti. Sapeva che sarebbe stata testarda e sapeva che, probabilmente, a spingerla all’esterno era il suo desiderio di rivedere quelle persone che tanto volevano portarla via. Cloude aveva ragione, doveva impedirlo. –Non mi lascerai altra scelta, Safiria. O rispetti la mia decisione o rimarrai chiusa nella tua stanza tutta la notte, dal tramonto all’alba.- Safiria continuò a sostenere lo sguardo del padre, che perse le staffe. Sposto rumorosamente il tavolo e prese la figlia per un polso. Safiria non tentò di resistere, suo padre la trascinò su per le scale senza troppo sforzo. La spinse in camera e la portò alla porta finestra. Davanti ai suoi occhi girò la chiave di ottone nella serratura e una volta estratta se la infilò in tasca. Lasciò la figlia e andò nel piccolo bagno. Safiria sentì scattare la chiave anche in quella finestra. Morgan cercò di calmarsi e guardò Saf, ancora immobile, seduta sul letto. –Questo potevi evitarlo. Potevi evitare di farmi fare questo, Safiria.- Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Per un ultima volta, Saf sentì la chiave ruotare nella serratura. Poi il silenzio.

A una trentina di chilometri da Villa Hall, in un anonimo appartamento di un anonimo condominio, Cloude assistette a tutta la scena, illuminato solo dalla luce lattiginosa del computer. Attraverso le tende scure, sul monitor apparve Morgan Hall, intento a chiudere Safiria in camera. Il professore si avvicinò allo schermo e un sorriso soddisfatto si profilò sul suo volto.

Safiria non si alzò dal letto per parecchio. Rimase a pensare al gesto di suo padre, cercando di comprenderlo. Perché aveva atteso mesi per poi rinchiuderla? Che fosse a conoscenza dei suoi recenti incontri con Damian? Cercò di riflettere, di trovare una soluzione. Lasciò che il suo sguardo vagasse per la stanza ma il tempo passava e non aveva idee valide. Ormai era chiaro che le sarebbe toccato scassinare la serratura. Dopotutto suo padre aveva dimenticato che aveva ancora a disposizione internet e di certo avrebbe trovato dei tutorial validi. “Proprio così, ho paura che tu te ne vada.” Una piccola fitta al cuore. Quasi le venne da sorridere, tanto quella situazione le sembrava tragica.  D’un tratto, sentì dei colpetti al vetro della porta finestra. Si voltò di scatto. Le tende erano tirate ma sapeva perfettamente di chi fosse l’imponente ombra al di là di esse. Andò alla porta e aprì uno spiraglio, deglutendo: Damian. Lui le rivolse uno sguardo interrogativo, alludendo alla porta chiusa. Saf scostò le tende e gli fece segno di non poter uscire. Damian sorrise e, anche lui mimando, le chiese di aspettare. Frugò in tasca, lo sguardo concentrato, per poi dedicarsi alla serratura. Safiria osservò la sua testa china, le spalle ricurve sulla porta e si sentì improvvisamente meno sola. Dopo qualche secondo si udì uno scatto e la porta si aprì. –Devo dire che questa casa non è particolarmente sicura. Chiunque sarebbe riuscito a scassinare questa serratura.- Sussurrò lui, entrando silenziosamente nella stanza. Safiria lo lasciò passare: -Lo avrei fatto da me, se tu non fossi arrivato fin qui.- Si voltò verso di lui, che già stava curiosando nella stanza. –Allora sei ricca.- Ghignò. Safiria alzò gli occhi al cielo. –Guarda che baldacchino. Insomma, un vero pezzo d’antiquariato. Non ne vedevo uno così dal mille…- Si fermò. Quando si voltò verso la ragazza, lei già lo stava fissando con sguardo interrogativo: -Mille e?- Lui si grattò la testa. –Hai paura che io scopra quanti anni hai?- Inarcò un sopracciglio lei. –Io ne ho diciannove. Quasi venti, a dire il vero.- -Avrei giurato che tu fossi più vecchia.- Scherzò. Lei non fece una piega, non capendo che fosse una battuta: dopotutto, l’unico suo criterio di paragone era Isobel, che non sembrava più vecchia di lei nonostante lo fosse. Se Damian le aveva dato più anni di quelli che aveva, non significava nulla. –Non hai risposto alla mia domanda.- Continuò. Damian sapeva che rivelarle la sua data di nascita l’avrebbe scossa, quindi cercò di cambiare discorso: -Perché sei chiusa in camera tua?- Saf si morse il labbro. Damian percepiva la sua tensione. –Mio padre è molto protettivo con me. Sa che esco di casa la notte e ha deciso che la cosa non poteva continuare.- Damian annuì, a disagio. Dopotutto, poteva capire il padre di Safiria e anzi, ammirava che si preoccupasse per lei; nella sua infanzia, pensò, nessuno si era mai preoccupato troppo. –So che cerca di proteggermi. Se non fosse stato per lui, penso me ne sarei già andata. O forse sarei morta… è difficile dirlo.- Damian incrociò le braccia: -Dopotutto per quello che sa lui devi solo stare lontana dal sole. C’è di peggio nella vita che non potersi abbronzare.- Safiria alzò le spalle: -Penso tu abbia ragione. Forse se abitassi in una grande città e avessi molti amici, non finirei più per impazzire.- Si guardò intorno, stringendosi le braccia attorno al petto: -Penso che la mia vita sarebbe diversa se mia madre fosse viva. Mio padre non sarebbe così apprensivo e non si ostinerebbe a rimanere in questa casa, in questo stupido, piccolo paesino pieno di pregiudizi e… Che stai facendo?- Damian si era bloccato improvvisamente e annusava l’aria nella stanza. Quasi del tutto coperto dal profumo di Safiria, si avvertiva un odore pungente, quasi metallico. Seguì l’odore, dalla porta fino al baldacchino, poi accanto alla scrivania. –Qualcuno è stato in questa stanza.- Saf lo guardò senza capire: -Mio padre. Mia sorella Isobel, spesso.- Damian scosse la testa. Era un odore intruso, ne aveva sentiti tanti come quello. –Non è tuo padre. Men che meno tua sorella.- La traccia olfattiva era rimasta chiara laddove l’intruso si era appoggiato. –L’unico che è entrato, escludendo loro, è il mio insegante privato.- Damian imprecò. Come al solito, quei tizi invadenti erano riusciti a raggiungere l’esemplare prima di lui, anche in un posto piccolo e sperduto come quello. –Sono sempre un passo avanti a noi, è frustrante!- Si voltò verso la ragazza: -Devi venire via con me. Stanotte.- Safiria rimase impietrita. Era troppo presto! Non si aspettava un ordine simile, così improvviso. –Sicuramente sanno già che sono qui…- Bisbigliò lui, frugando tra i libri. Aprì i cassetti, sollevò i cuscini e scosse le tende. Con un piccolo tonfo, la microcamera cadde a terra, scivolando dal suo riparo. Safiria la fissò, gli occhi sbarrati. Non si mosse quando Damian la calpestò con forza, frantumandola. Cloude. Il professor Cloude l’aveva messa li. Quella consapevolezza le trapassò il petto dolorosamente. Perché? Perché voleva spiarla? Sapeva dei suoi incontri con Damian? Safiria sentì il suo corpo divenire gelido, senza forze. Perché? Le gambe cedettero e non riuscì a controllarsi. Perché Cloude? Damian si affrettò ad afferrarla, prima che raggiungesse il suolo, rischiando di sbattere la testa. Lui approfittò di quel momento per trascinarla fuori dalla stanza. La fece sedere sulla terrazza, la schiena poggiata alla balaustra. Lei rimase immobile, lo sguardo vuoto. Il giovane rientrò in camera e cominciò a frugare: una sacca, i pochi vestiti di Saf vi entrarono senza sforzo, il cappotto e gli stivali. A Saf non sarebbe servito altro. Ignorò il cellulare nero, consapevole che avrebbero potuto rintracciarla. Si caricò la sacca in spalla e tornò da Safiria: -Ora devi ascoltarmi, Safiria.- Lei spostò lo sguardo su di lui, senza espressione. –Dobbiamo andarcene. Persone molto poco affidabili potrebbero trovarci, non escludendo che potrebbero già essere qui. Dobbiamo portarti in un luogo sicuro, adesso.- Sentenziò. Un colpo provenne dalla camera e Damian si voltò di scatto, frapponendosi fra la ragazza e la portafinestra. Morgan Hall, ansante, apparve sulla soglia, il telefono ancora stretto nella mano destra. –Safiria, fermati!- Il suo richiamo era più una supplica che un ordine. Gli occhi di Morgan saettarono su Damian, terrorizzati: -Ho già chiamato… la polizia!- Il giovane espirò, comprendendo che l’uomo non era uno di quei bastardi, era il padre. Per un attimo ebbe una stretta allo stomaco: stava portando via una figlia a quel pover’uomo. –Safiria vieni qui!- Gridava Morgan. Damian scosse la testa e si voltò verso la ragazza. Non aveva tempo di esitare. –Andiamo, Safiria.- Lei non rispose ma oppose una lieve resistenza. Damian le tolse le mani di dosso, indietreggiando di un passo: -è una scelta tua, hai ragione. Ma cerca di scegliere in fretta e fai la cosa giusta, te lo chiedo per favore.- Il tempo per Safiria si fermò. Guardò suo padre avvicinarsi ed ebbe l’impulso di colpirlo. Morgan le afferrò il polso, incitandola a tornare in casa. Lei guardò quella casa, quella prigione densa di meravigliosi ricordi. Ripensò alla sua infanzia, a Isobel, a sua madre. Quasi senza accorgersene, i suoi occhi cercarono quelli di Damian e quando incontrò quello sguardo serio capì: aveva già deciso. Si divincolò dalla stretta del padre: -Tu sapevi di Cloude.- Era un’accusa, senza timore né dubbio. Morgan strabuzzò gli occhi. Cercava le parole ma Safiria non aveva bisogno di ascoltarne nemmeno una: - Addio papà.- Damian le fu accanto e lei lasciò che lui la sollevasse, prendendola in braccio. Morgan corse verso di loro, cercando lo sguardo di sua figlia. Saf gli rivolse un ultimo sguardo vuoto, tanto freddo da inchiodarlo al suolo. –Saluta Isobel da parte mia.- Impotente, Morgan fissò la schiena di quell’uomo che gli stava portando via tutto. Damian scavalcò la balaustra e si lasciò cadere, incredibilmente, atterrando senza sforzo sull’erba umida. Saf non era abbastanza in sé nemmeno per stupirsi di quell’azione disumana. Lui si guardò attorno e, nascondendosi nell’ombra, avanzò verso il bosco. Si tenne lontano dalla strada, cercando di non fare rumore. Sentì una macchina sgommare verso villa Hall solo parecchi minuti dopo, quando già era in vista della chiesa. Probabilmente si trattava dell’osservatore proprietario di quella microcamera. Spalancò la porta della canonica e Rodolf scattò in piedi, lanciando un gridolino. –Dobbiamo andare. Ora!- Esclamò lui. Safiria sobbalzò contro il suo petto, riscuotendosi. –Cosa… Che posto è questo?- Si divincolò, allontanandosi di colpo da Damian. Lui non la stava guardando, cercando di recuperare tutte le loro cose per non lasciare alcuna traccia. –Dov’è Aron?- Chiese, la voce bassa ma autoritaria. Rodolf si sbrigò ad aiutarlo: -A est. Ha detto che sarebbe rimasto a pattugliare la strada.- -Allora sarà qui a breve. Avrà visto di certo qualcuno di quei bastardi. È passata una loro auto pochi minuti fa.- Rodolf annuì, correndo fuori dalla canonica con le borse in spalla. Safiria, rimasta a bocca aperta, non capiva più nulla. Era stato tutto così veloce che non sapeva come reagire. Damian sembrò solo allora accorgersi di lei. Il suo sguardo si addolcì nel vederla in quello stato: era sconvolta, gli occhi sgranati, le labbra e le spalle che tremavano e si torceva le dita spasmodicamente. La circondò con un braccio, spingendola fuori con delicatezza. Un’auto nera inchiodò di fronte a loro e Aron si sporse dal finestrino: -Non c’è tempo da perdere! Damian!- Lui spalancò la portiera posteriore e si trascinò dietro Safiria. Poco prima che la portiera si richiudesse dietro di loro, una sinuosa figura nera si infilò nell’auto. Aron spinse sull’acceleratore. -Maledizione, gatto!- Imprecò Damian quando Mirtillo si accomodò sulle gambe di Safiria. Lei lo strinse a se, sconvolta e Damian la fissò preoccupato. –Safiria, andrà tutto bene.- Lei lo guardava senza vederlo. Rodolf, sul sedile del passeggero, si reggeva terrorizzato, gridando ogni qual volta Aron imboccava una curva ad una velocità impressionante. La macchina sfrecciò per tutta Turckeheim fino ad imboccare una strada secondaria, diretta verso sud. –Dovremo sparire dalla circolazione per un po’, ma non mi preoccuperei.- Sentenziò Aron. Damian annuì: -In casa c’era solo una microcamera. Doveva esserci un solo osservatore, non ho sentito l’odore di nessun’altro.- Rodolf sospirò, sentendo la macchina rallentare ad una velocità più rassicurante: -Oh allora pensate di tornare in Italia per un po’?- Damian sollevò un sopracciglio: -Nessuno ha parlato dell’Italia!- -Beh, siamo già sulla strada. Se non è necessario tornare a rintanarci in Norvegia, perché non prenderci una vacanza!- Aron si intromise, abbaiando di tacere. Nella macchina cadde un silenzio teso e fu lo stesso Aron ad interromperlo: -Andremo in Italia. Ma ci tratterremo solo qualche settimana.- Rodolf esultò mentre Damian si accasciava sempre di più tra i sedili di pelle. –Chiedo scusa- La voce atona di Safiria stupì tutti. Damian si voltò verso di lei, che fissava il finestrino. –Posso sapere dove siamo diretti? Cosa c’è in Italia?- Aron aprì la bocca per rispondere ma Damian sbatté un piede sul suo sedile: -Presentati, Aron. E sii gentile con Safiria, per favore.- Il fratello maggiore irrigidì i muscoli per qualche secondo, come se fosse pronto a strangolare Damian. Poi, inaspettatamente Aron allungò una mano dietro di sé: -Sono Aron, il fratello maggiore di Damian. è un piacere conoscerti.- Safiria rimase a guardare la mano, contrariata, senza comunque aspettarsi una risposta. Infine la strinse, non senza sospirare. –E io sono lo zio Rodolf! Rodolf Lancaster.- Si girò lo zio. Safiria strinse anche la sua, poi tornò ad abbandonarsi sul sedile, accarezzando Mirtillo, addormentato sul suo grembo. –Come ti senti?- Saf alzò gli occhi su Damian: -Tu come pensi che mi senta?- -Mi spiace che tu debba vivere  tutto questo.- Saf si sentiva sfinita. –Non so che cosa mi sia saltato in mente decidendo di seguirti.- Sussurrò, gli occhi che si riempivano di lacrime. Damian non rispose, sentendosi dannatamente in colpa. Era stato lui, lui e le sue percezioni, a portarli li. Saf chiuse gli occhi, appoggiandosi alla portiera, lontano da lui e dal suo profumo. Per un po’, si lasciò cullare dal movimento dell’auto, poi si addormentò.




   
 
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