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Autore: _Lightning_    24/03/2019    3 recensioni
I Vendicatori hanno sconfitto Thanos, salvato la Terra e riportato l'universo alla normalità. Ma, almeno per Peter, il lieto fine non è ancora arrivato.
Tony si ritrova a sospirare di nuovo, in un moto spossato. [...] Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.
[post-Infinity War non canonico // Tony&Peter // What If? // PoV Multiplo]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Prima dell'alba
 
 
 
“I've battled hard with the face in the mirror
Every scar makes me dig down deeper
I push it 'til there's nothing more
'Cause I'm stronger than I was before”

 
[The Fear – The Score]
 
 
 
          In quei giorni, Peter si sente esattamente come se quel ragno l’avesse morso di nuovo. Solo che in questo caso ogni vantaggio si rivela controproducente, se sommato al lieve stato di dissociazione dalla realtà in cui si ritrova spesso a scivolare. Ha una strana percezione del proprio corpo, che sente troppo potente e sempre sul punto di fargli perdere l’equilibrio: si sta ancora abituando al ritorno della sua forza fuori dal comune, ed è come essere di nuovo un bambino che impara a padroneggiare i movimenti e le azioni più basilari attraverso i propri errori.

Ha perso il conto di quanti bicchieri ha rovesciato e di quante volte sia inciampato nei suoi stessi piedi o abbia inavvertitamente rotto qualcosa. È sempre stato tremendamente imbranato, e anche coi suoi nuovi poteri la cosa aveva avuto un margine di miglioramento molto ristretto, ma adesso è una calamità ambulante ed è sicuro che zia May lo stia sopportando solo perché è al settimo cielo per averlo di nuovo con lei quasi al cento per cento, disastri inclusi.
 
Il Dottor Strange non si è stupito più di tanto per quegli effetti collaterali: secondo lui degli strascichi erano prevedibili e concorda con Bruce nel dire che riacquisterà una completa mobilità nel giro di un paio di settimane al massimo, come d’altronde tutti coloro che sono sfuggiti al limbo e di cui si sta man mano occupando coi suoi collaboratori dei Sanctum e Wanda. Il suo mutismo sembra averlo lasciato più perplesso, ma non preoccupato, e ha promesso di interessarsi più a fondo alla questione nel caso non si risolva spontaneamente.
 
Peter cerca di non pensarci troppo e di non stressarsi per cercare di parlare, perché sente chiaramente che non è un qualcosa che dipende dalla sua volontà – non che sia molto rassicurante. Si sforza semplicemente di godersi quelle vacanze anticipate, una delle tante iniziative avallate dal governo per dar modo a chi è tornato di riprendersi e passare del tempo con i propri cari dopo la scampata fine del mondo. È particolarmente grato di non dover andare a scuola, evitando così che le sue evidenti difficoltà divengano di dominio pubblico, obbligandolo a spiegare a tutti perché non riesce a parlare. È stato già abbastanza difficile con Ned e MJ, che si sono ormai stabiliti in pianta quasi stabile a casa sua rendendogli un po’ meno pesanti quelle giornate silenziose passate a pensare a quando potrà riprendere il suo ruolo di Spider-Man senza rischiare di rompersi l’osso del collo.
 
Sta cercando di recuperare una sorta di routine, nonostante la stranezza di non doversi alzare presto in quelle giornate di maggio tiepide e primaverili, in cui si lascia trascinare sempre più spesso fuori casa man mano che la sua mobilità migliora. Si sente molto meno osservato da quando ha notato che non è l’unico ad avere qualche difficoltà di movimento per le strade del Queens. Gli è ancora difficile concepire che la metà delle persone che guarda fosse svanita fino a una settimana prima, ed è un fatto destabilizzante e rassicurante allo stesso tempo. È un’altra delle tante cose a cui cerca di non pensare.
 
Neanche Tony sembra minimamente infastidito dalla sua goffaggine e rifiuta con fermezza ogni suo – silenzioso – tentativo di scusarsi ogni volta che causa qualche danno. Il che avviene spesso, soprattutto in un ambiente non esattamente privo di pericoli come il suo laboratorio. È contento di essere riuscito a strappare il permesso a zia May per riprendere le sue sessioni settimanali di “tirocinio” al Complesso, ma è anche sollevato per il fatto che lei non sappia in cosa consistano esattamente i suoi traffici, né di quanto poco controllo abbia ancora sul proprio corpo.
 
E neanche dell’insonnia, ma quello è un fatto che né lei né Tony devono scoprire.
 
§ 
 
Peter incespica nei suoi stessi piedi, e nel tentativo di recuperare l’equilibrio finisce per urtare involontariamente Dum-E, facendo oscillare il suo braccio meccanico; il robot si volta verso di lui, lanciando un acuto ronzio di protesta che suona quasi irritato.
 
«Ehi! Linguaggio!» lo rimbrotta animatamente Tony, atteggiandosi in un cipiglio severo per poi strizzare a lui l’occhiolino.
 
Peter non trattiene un piccolo sorriso in risposta, intento a non perdere la sua presa precaria sulla cassetta degli attrezzi che gli sta portando. Riesce a poggiarla sul banco di lavoro senza altri disastri ed emette un sospiro di sollievo.
 
«Grazie,» borbotta l'ingegnere, recuperando un rocchetto di filo di rame dalla cassetta e tornando a concentrarsi sui suoi armeggi attuali, che comprendono il suo alloggio per nanoparticelle, svariati schermi olografici che gli ronzano attorno e molte imprecazioni soffocate tra i denti.
 
Peter si poggia sui gomiti accanto a lui e si limita ad osservarlo con quieta attenzione mentre è occupato a riparare i suoi congegni, ammirando l’agilità e precisione con cui maneggia i piccoli attrezzi necessari per ripristinare il nucleo del reattore. Si scopre ad accigliarsi, pensando al modo in cui lui è riuscito a malapena a tenere in mano un cacciavite quando Tony gli ha proposto di rimettere in sesto insieme l’Iron Spider danneggiato. Si era innervosito così tanto per la propria incapacità che si era allontanato di scatto dal banco di lavoro, rifiutandosi di continuare, ed è grato che il suo mentore non abbia pronunciato una sola parola in proposito e sia semplicemente passato a lavorare sui suoi progetti senza tornare sull’argomento.
 
Adesso si pente della propria reazione e una parte di lui vorrebbe tentare di nuovo la sorte, così attende finché Tony non fa una breve pausa per ricontrollare uno degli schemi olografici prima di attirare la sua attenzione dandogli un paio di discreti colpetti sul braccio. Detesta essere così invadente, soprattutto perché, nonostante con le persone a lui care faccia qualche eccezione, sa che Tony non è molto espansivo, ma senza la propria voce non ha molte alternative. E d’altronde lui l’ha autorizzato espressamente a richiamarlo con ogni mezzo necessario visto che – parole sue – ha la capacità di attenzione di un bimbo di tre anni.
 
«Sì?» risponde infatti un po’ assente, voltandosi a guardarlo mentre ingrandisce una schermata.
 
Peter esita brevemente prima di accennare col mento all’Iron Spider piazzato sull’altro bancone e, con sua sorpresa, lui sorride come se gli avesse dato la notizia più bella della giornata.
 
«Ok, allora riproviamoci,» dichiara pimpante, senza neanche obiettare alla richiesta e sospendendo subito il suo lavoro per trasferirsi alla nuova postazione.
 
Peter fa per seguirlo, e prende nota solo ora di come Tony zoppichi leggermente, smorzando il suo passo tipicamente vivace e irrigidendosi appena nel posare il peso sulla gamba sinistra. Assottiglia le labbra con fare contrariato. A volte si dimentica che l’ultima battaglia è stata appena una settimana fa. Il suo braccio sembra essere quasi guarito e non indossa più alcun tutore o fasciatura, ma ultimamente ha una preferenza per le maniche lunghe e sul dorso della sua mano sinistra spicca un reticolo di cicatrici più o meno profonde e parzialmente rimarginate.
 
Lo segue senza dire una parola – nel senso che non direbbe nulla anche se potesse – ma il suo volto si rabbuia, per poi accigliarsi profondamente quando vede come si sia poggiato un po’ di sbieco sul bancone, cercando di alleviare la pressione sul fianco sinistro senza farsi notare. In quel mentre gli lancia un’occhiata di sottecchi, rendendosi conto di essere osservato, ma prima che possa iniziare a parlare per mascherare quel cedimento, Peter fa un rapido gesto verso di lui per fermarlo. L’ingegnere solleva le sopracciglia con perplessità, cercando di interpretare ciò che vuole dire.
 
«Che c’è?» chiede, svicolando palesemente da quella domanda indiretta mentre prende a rigirarsi un cacciavite in mano. «Ho qualcosa in faccia?» scherza, sfregandosi uno zigomo.
 
Peter quasi sbuffa, per poi avvicinarsi di un passo e puntare inequivocabilmente l’indice verso il suo fianco, all’incirca dove dovrebbe trovarsi la sua ferita, per poi rendersi conto di ciò che ha fatto ed abbassare di scatto lo sguardo. Tony esita per una frazione di secondo prima di rispondere, e Peter sente il proprio cuore mancare una dozzina di battiti, consapevole che è colpa sua se Thanos l’ha quasi ucciso, e che adesso Tony si dovrà ingegnare nell’accampare qualche scusa per dirgli che non è così.
 
«Non è nulla, Pete,» scrolla le spalle lui. «Davvero, mi hanno aggiustato per benino, e comunque le ragazze vanno matte per le ferite di guerra,» sogghigna col suo solito fare da spaccone e si dà una temeraria pacca sul fianco, sopprimendo poi chiaramente una smorfia di dolore.
 
Peter vorrebbe solo stare al gioco e accantonare la questione, ma quel fatto ha continuato a rodergli dentro per giorni e ha cercato mille volte di affrontare la questione con lui, senza poi averne il coraggio. Non solo Tony è rimasto ferito a causa sua perché non è riuscito a seguire le sue direttive invece di seguire lui, ma l'ha costretto anche ad assistere alla sua ben poco eroica dipartita con la falsa idea che fosse colpa sua, lasciandolo poi da solo col dramma di un universo annientato. Non è davvero colpa sua, ma Peter sa fin troppo bene che la morte di qualcuno pesa necessariamente su qualcun altro, e non basta un “mi dispiace” a cambiare i fatti.

Prende un respiro prima di indicarsi, l’indice puntato sul petto in un’accusa inconfutabile, e gli occhi dell’ingegnere si assottigliano all’istante.
 
«No,» dichiara subito. «Non hai il permesso di incolparti per quello che mi è successo, per qualunque altra cosa ti dovesse venire in mente. Non esiste, è chiaro?» sentenzia agitando il cacciavite a scandire le parole, con la mascella contratta in un’incredula severità.
 
Peter scuote appena la testa per poi incassarla nelle spalle, tirando le labbra mortificato. Sa che Tony crede in ogni parola che sta dicendo, ma il difficile è costringere lui stesso a crederci a sua volta. Lo sente sospirare, per poi cingergli le spalle con un braccio e dargli una lieve scrollata affettuosa e un po’ goffa.
 
«È successo quel che è successo, ok?» afferma a voce più bassa, ma Peter continua a tenere il capo chino. «Ehi, non ignorarmi: primo, detesto essere ignorato; secondo, non faccio spesso discorsi seri, soprattutto perché sono terribile a farli,» continua in tono più leggero, scuotendolo di nuovo e strappandogli un piccolo sbuffo divertito, senza però convincerlo ad alzare lo sguardo. «Non so se ricordi l’ultimo discorso serio che ti ho fatto,» aggiunge poi, in modo un po’ sfuggente.
 
Peter annuisce impercettibilmente. Ha recuperato memoria e chiarezza sull’ultima settimana, inclusi molti stralci di quella lunga chiacchierata notturna che lo aveva convinto di non essere vittima di un’illusione.
 
«Bene, allora hai già un’idea della quantità abnorme di errori che ho commesso, e io ho iniziato a zompettare in costume col triplo della tua esperienza. Che è un modo carino per dire che sono quasi vecchio,» cerca di ironizzare, come sempre quando si addentra in questioni spinose. «Comunque, stavolta cercherò di essere breve e conciso,» conclude non senza una traccia di nervosismo, forse al pensiero di avergli rivelato fatti molto personali.
«Quando sei rimasto sull’astronave per combattere, hai fatto ciò che pensavi fosse giusto, e sono l’ultima persona al mondo che può rimproverarti per questo. Anche se l’ho fatto,» specifica, schiarendosi la gola quasi a giustificarsi. «Sei rimasto e abbiamo combattuto insieme facendo tutto ciò che potevamo. E abbiamo perso. Certo, poi abbiamo vinto, ma– hai capito,» si interrompe, deglutendo a forza.
 
Peter sente la sua stretta farsi un po’ più salda, e non ha difficoltà a capire che sta rivivendo il momento in cui si è dissolto davanti a lui, sbriciolandosi sotto le sue dita; sente a sua volta un brivido al ricordo e non osa ancora alzare lo sguardo, stavolta per timore che la paura che gli suscitano ancora quei ricordi trapeli dai suoi occhi.
 
«Le cose brutte a volte accadono, Pete, lo sai. Quando ti ho reclutato mi hai detto che, se sei in grado di impedirle e non lo fai, accadono per colpa tua,» ricorda, costringendolo a trattenere la sorpresa per il fatto che gli siano rimaste così impresse quelle sue spiegazioni confusionarie. «In questo caso puoi dispiacerti per quello che è successo, per non avermi dato ascolto, o perché avresti potuto agire diversamente. Puoi dispiacerti per mille cose, ed è normale, è umano.» 
 
Gli dà una pacca sul petto col dorso della mano libera, all’altezza del cuore, quasi a sottolineare quella parola, e lo scosta leggermente da sé cercando guardarlo in volto, ma Peter continua a sfuggirlo.
 
«Ma non devi darti la colpa quando hai fatto tutto il possibile,» conclude comunque, quasi stentoreo.
 
Lo dice con tale convinzione che, per un istante, Peter pensa di poterci credere, per poi realizzare di voler imparare a farlo per davvero.
 
«Non devi convincertene adesso. E se hai ascoltato la prima puntata del discorso serio, sai che sarei ipocrita a dirti di farlo,» aggiunge Tony con un’alzata di spalle, quasi gli avesse letto nel pensiero. «Un passo alla volta, Pete.»
 
Gli dà un’ultima pacca leggera sulla schiena, per poi scostarsi e rivolgersi verso il bancone con assoluta disinvoltura, lasciandogli di nuovo i suoi spazi. Recupera il saldatore a penna e glielo piazza nella mano un po’ malferma senza aspettare una sua replica, rivolgendogli uno dei suoi sorrisetti storti quando incontra finalmente il suo sguardo.
 
«Su, basta chiacchiere. È ora di rimettere in sesto Spidey, che ne dici?»
 
Peter si limita a ricambiare con un sorriso sottile, sperando che Tony riesca a leggere l’enorme, caloroso “grazie” stampato sulla sua faccia.

 
§ 

La mano di Peter continua a tremare e Tony ha l’impressione che non sia solo semplice nervosismo: sembra che stia lottando contro il proprio corpo, il che non è poi così sorprendente. Finisce per trapassare completamente la sottile lamina metallica e lascia cadere il saldatore con un sussulto. Tony lo raccoglie prontamente e lo rimette sul suo supporto, mentre Peter digrigna i denti e sembra sul punto di scoppiare in lacrime o lanciare un grido per la frustrazione. Tony spera segretamente nella seconda eventualità, ma il ragazzino rimane in silenzio, coi pugni serrati e un’espressione addolorata in faccia. Almeno non se ne va in preda alla rabbia come ha fatto poco prima.
 
«Ehi, non fa niente. Anch’io ho le mie giornatacce, sai,» commenta scrollando le spalle e gettando via con noncuranza la sezione rovinata. «Finché non ti fai male tu, sei libero di devastarmi il laboratorio. Uh, a parte loro due,» si corregge, con un gesto verso Dum-E e U. «A meno che tu non voglia davvero spezzarmi il cuore.»
 
Riesce a strizzargli fuori un sorriso e a farlo concentrare di nuovo sul suo lavoro, ma gli è fin troppo facile vedere oltre quella facciata. È doloroso vederlo così demoralizzato, prosciugato di ogni energia, e i pensieri che evidentemente affollano la sua testa sono solo una parte del problema.
 
May gli ha detto che Peter ha a malapena la forza di trascinarsi fuori dal letto la mattina, mangia poco e niente ed è piuttosto certa che non sia ancora riuscito a dormire più di qualche minuto di fila; sta diventando sempre più difficile ignorare i marchi violacei attorno ai suoi occhi e le sue guance smunte. La maggior parte delle volte Tony riesce a nascondere piuttosto bene la sua preoccupazione e, soprattutto, il fatto che anche lui non se la stia passando molto meglio dal punto di vista dell’insonnia. Continua a passare notti in bianco in laboratorio e finge di addormentarsi tra le braccia di Pepper, ma la sua mente agitata gli impedisce di riposarsi per più di un paio d’ore.
 
C’entrano il mutismo e l’insonnia di Peter, c’entra lo stress e la stanchezza corrosiva che gli hanno lasciato addosso la battaglia e l’aver usato il Guanto, c’entrano gli incubi in cui si sveglia con la certezza di avere una lama infissa nello stomaco o con la sensazione della cenere appiccicata su volto e mani, c’entra il terrore di risvegliarsi di nuovo in un letto freddo e vuoto. Sono tutte cose che tiene per sé, come sempre, e che Peter non può venire a sapere, o si colpevolizzerebbe ancor più di quanto già non faccia.
 
Quando è con lui fa del suo meglio per riempire il silenzio se si fa troppo profondo, di offrire il suo aiuto senza dargli l’impressione di compatirlo, di essere chiacchierone ed esuberante come al solito mentre cerca di assestarsi a quella nuova situazione di squilibrio, il tutto sentendosi come uno zombie che va avanti a caffeina.
 
Ha deciso di aspettare altri tre giorni, poi lui e May dovranno seriamente affrontare il problema di come farlo dormire, a prescindere dal rifiuto di Peter di parlarne, forse perché sarebbe una discussione a senso unico. E se il suo mutismo continua, dovranno discutere anche di quello, forse mandarlo in terapia. Sicuramente dovrà andare in terapia. Tony non osa neanche immaginare quanto sia sconvolto dopo gli ultimi eventi, ma è certo che, se lui ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta dopo aver attraversato un portale alieno rischiando di morire, a Peter ne serva uno dopo essere morto e tornato in vita.
 
Quel ragazzino ha una fibra di ferro e sa di trattarlo spesso in modo troppo protettivo, ma ciò non significa che stia davvero bene, e non è disposto a sottovalutare la sua salute mentale per qualche suo sciocco rifiuto di preoccuparsene.
 
«Non te la cavi male, per essere un novellino,» lo incoraggia in quel momento, sbirciando da sopra la sua spalla mentre è intento a lavorare con più destrezza sul rivestimento esterno della sua tuta. «Salda quella e hai finito,» aggiunge, additando l’ultima giuntura.
 
Peter esegue con metodica precisione, a dispetto delle dita tremolanti, e Tony riconosce lo sforzo che sta imprimendo in quel semplice gesto con una scintilla d’orgoglio per la sua tenacia.
 
«Visto? Te l’ho detto che Impari in fretta; ancora un po’ di pratica e ti assegno al servizio riparazione armature, contento?» conclude con un sorrisetto giocoso, sollevando poi gli occhiali protettivi.
 
Peter fa lo stesso, con un minuscolo sorriso a incrinargli le labbra. Le ombre che gli appesantiscono gli occhi sembrano dissolversi per un istante, solo per ricomporsi quando il suo sguardo incontra la cromatura rosso-blu, col simbolo del ragno attraversato da un profondo taglio slabbrato. Sembra sul punto di dire qualcosa, e lo vede chiaramente accapigliarsi con la sua lingua nel tentativo di farle articolare le parole. Non un suono lascia la sua bocca, e la sua fronte si increspa di rughe profonde e fuori posto sul suo volto giovane. Tony sente un vuoto alla bocca dello stomaco, ma si costringe a sembrare nel pieno controllo di se stesso e posa una mano leggera sulla sua spalla.
 
«Non forzarti, Pete. Te l’ho detto: hai tutto il tempo che ti serve,» gli dice a mezza voce, stringendo appena la presa.
 
Peter annuisce appena in risposta, ancora innervosito e con gli occhi incollati sulla sagoma sfigurata del ragno.
 
§ 
 
«E da quanto saresti sveglio, tu?» indaga Bruce, scrutandolo attraverso l’ologramma azzurrino che li separa.
 
«Uh… una settimana?» risponde lui distrattamente, mentre ingrandisce un esploso della Hulkbuster
 
«Hai decisamente bisogno di dormire,» bofonchia lo scienziato, con un’occhiata di rimprovero.
 
«Non stavamo parlando del ragazzino?» ribatte Tony, sulla difensiva.
 
«E adesso sto parlando di te,» alza le spalle Bruce, senza demordere facilmente.
 
«Beh, Doc, non è che mi dispiacerebbe fare il mio sonno di bellezza, ma…» esita appena, con la battuta che gli muore sulle labbra. «Lo sai come funziona,» sbuffa rassegnato, per poi evitare il suo sguardo.
 
«Sì, lo so,» risponde laconico Bruce. «Ne hai parlato con Pepper?»
 
«Non c’è bisogno,» replica, con le labbra che si curvano in un sorriso dolceamaro.
 
Lei sa sempre se sta dormendo davvero o per finta, a dispetto di quanto si impegni nel nasconderlo. E comunque, gli incubi lo tradiscono ogni volta che riesce a chiudere gli occhi. Anche lei ha avuto difficoltà a prendere sonno, e di positivo c’è che si rigirano nel letto insieme più spesso del solito, facendo almeno buon uso di quelle notti insonni.
 
«E con Steve?»
 
La voce di Bruce lo distoglie prima che i suoi pensieri esausti e alla deriva si soffermino su ricordi un po’ troppo vividi. Scuote la testa senza celare il disappunto per quella domanda imprevista e buttata là come se fosse assolutamente naturale. Il tatto di Bruce è come sempre impeccabile.
 
«Perché dovrei? Solo perché è stato in letargo per settant’anni non vuol dire che ne capisca qualcosa di insonnia,» replica, ostentando un’ironica nonchalance mentre si finge concentrato sui suoi progetti.
 
«Non mi riferivo a quello,» sospira Bruce.
 
Tony alza esageratamente gli occhi al cielo in tutta risposta, a sottolineare che lo sa benissimo.
 
«Hanno firmato gli Accordi emendati,» afferma poi, lapidario. «La questione è risolta,» conclude, con un’occhiata che lascia chiaramente intendere che anche quel discorso è chiuso.
 
«Non siete esattamente in rapporti amichevoli,» osserva l’altro.
 
«Siamo in rapporti civili1,» risponde secco Tony, chiudendo un mucchio di schermate e accartocciandole bruscamente nel palmo. «Ovvero, riesco a parlarci civilmente senza sentire l’urgenza di spaccargli i denti,» esplicita, con un sorrisetto incolore.
 
«Tony, sto solo dicendo che forse dovresti affrontare le tensioni irrisolte, invece di stare sul chi vive ogni volta che entra nella stanza,» specifica Bruce, con insolita loquacità e scostando da parte gli ologrammi che li separano per guardarlo direttamente negli occhi.
 
Tony si prende una breve pausa, assorbendo quelle parole mentre il suo cipiglio si infittisce.
 
«Non me ne frega un cazzo di “risolvere le tensioni”, né di Capitan Giustizia, e neanche del suo allegro compare sovietico, se proprio vuoi saperlo,» sbotta poi, causticamente. «Quello di cui mi frega adesso è come far dormire e parlare quel ragazzino prima che mi venga un infarto a un mese dalle nozze,» conclude, riuscendo faticosamente a non alzare la voce.
 
«Va bene, va bene,» si arrende Bruce, alzando i palmi. «Sei stato chiarissimo,» gli concede, forse sarcastico e non senza tirare le labbra in un moto di disapprovazione.
 
Tony gli scocca un’occhiata egualmente irritata e gli volta le spalle, fingendo di controllare dei dati dietro di lui per celare la sua espressione ora turbata. Al diavolo quei maledetti Accordi, al diavolo i suoi incubi, al diavolo Thanos e pure tutti i Vendicatori. Sarebbe disposto ad affrontare di nuovo la Siberia se ciò potesse far tornare Peter quel ragazzo spensierato e pieno di vita che insieme a Pepper l’aveva strappato proprio da quella morsa gelida. Sbatte rapidamente le palpebre per scacciare il velo liquido che gli ha annebbiato gli occhi: lo farebbe senza pensarci due volte.
 
«Devo fare qualcosa,» si trova a mormorare, quando è sicuro che la sua voce sia in grado di reggere le emozioni che si dibattono dentro di lui.
 
«Hai qualche idea?» chiede cautamente Bruce, accettando quel cambio d’argomento.
 
«No. Ho già fatto la mia parte sul fronte dei colpi di genio risolutivi, e sono seriamente a corto d’inventiva,» sbotta lui con un sospiro frustrato. «Non riesco a dormire, quindi non penso lucidamente, ma non dormo perché sono troppo occupato a pensare,» si lascia andare poi, giocherellando con fare irritante col modellino dell’armatura come se fosse una pallina antistress.
 
Bruce blocca i suoi movimenti inconsulti afferrando l’ologramma a mezz’aria.
 
«Risolveremo anche questa, Tony,» dice con fermezza. «Come sempre.»
 
Tony si limita a replicare con un cenno d’assenso poco convinto.
 

1"Siamo in rapporti civili" è una resa un po' libera dell'espressione originale "we're on speaking terms"; visto il rimando ironico alla Guerra Civile mi è sembrata una traduzione appropriata.

Note Dell'Autrice:

Salve a tutti!
Troppo fluff, lo sapete, mi rimane sullo stomaco, quindi era doveroso compensare con un po' di sano angst in questo capitolo <3
In realtà è una parte un po' di passaggio,ma sta per arrivare il bello :D

Mi rendo conto che May è e sarà poco presente in quest'ultima fase, ma vorrei sottolineare che non svaluto affatto il suo ruolo: volevo semplicemente concentrarmi su quello che ha Tony nella vita di Peter, soprattutto in un momento così delicato. Lui è di fatto l'unico che può provare a capire come si sente grazie al suo vissuto; May, per quanto sia un affetto fondamentale e imprescindibile, non fa parte di quel mondo e offre un tipo di supporto diverso (a cui darò comunque comunque rilevanza).
Scusate lo spiegone, sarà che anch'io mi sento in colpa nel metterla un po' da parte :'D

Ringrazio come sempre T612 e _Atlas_ per aver recensito gli scorsi capitoli, e quest'ultima anche per aver betato con infinita pazienza <3

A sabato prossimo, col penultimo capitolo!

-Light-

P.S. Link al capitolo originale (come nei precedenti, traduzione e originale hanno diversa divisione) -> What A Good Laugh Can Bring


 
   
 
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